sabato 16 maggio 2009

Tracce del Sacro

Oltre a Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto Fra Angelico, il quale fu beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1984 diventando protettore degli artisti, esiste un altro santo che fu, anche se meno famoso, un valente pittore.

Adam Chmielowski nasce ad Igołomia nel 1845 in Polonia; dopo aver partecipato all’insurrezione della Polonia contro lo zar nel 1863 e aver perso una gamba in battaglia, si trasferisce a Parigi dove inizia a frequentare la scuola delle Belle Arti; passerà in seguito per Gand, Monaco, fino a tornare a Varsavia dove, spinto da una profonda crisi mistica, nel 1880 entrerà nella Compagnia di Gesù come fratello laico, presso il monastero di Tarnopol. Dopo soli sei mesi, però, precipita in un profondo sconforto spirituale che sconfina nella follia obbligandolo ad abbandonare la tonaca e a farsi ricoverare. Guarito, nel 1882 entrerà in contatto con il III Ordine Francescano cominciando a diffonderne la spiritualità e dedicandosi ai più derelitti, non dimenticandosi mai però della pittura e del restauro. Muore a Cracovia nel 1916.

Seguace del naturalismo russo, quella fase che segue il Realìzm e che prende avvio nel 1863 quando tredici studenti dell’ Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo, riuniti intorno ad Ivan Kramskoj, si rifiutarono di partecipare al concorso conclusivo dei loro studi, che prevedeva l’esecuzione di un dipinto mitologico, organizzandosi nell’Artel, una corporazione artigianale, per poi entrare nel 1870 negli Peredvizniki (Itineranti o Ambulanti), ricerca una diversa plasticità, un modo nuovo e differente di affrontare e realizzare i soggetti e la voglia di una spiritualità più intima, non veicolata dall’accademismo, ma trovata nella natura e nel popolo. La nuova arte francese, che tanto influsso aveva nei paesi dell’est, contribuì inoltre a formare il suo stile.

Passando per una fase tra il romantico e il decadente, che ha il suo capolavoro nella singolare e tetra bellezza del “Cimitero italiano” del 1880

Adam_Chmielewski_-_cmentarz_w%C5%82oski

giunge nella sua opera ad una spiritualità non retorica, ad un senso dell’umano che profondamente si scontra e si incontra con la sua parabola di vita

Adam_Chmielowski_-_Sygietynski chmielowski-powrot

fino al suo capolavoro, risultato di una profonda esperienza sull'amore misericordioso di Cristo verso l'uomo (esperienza che lo condusse ad una metamorfosi spirituale che lo riavvicinò alla religione), tela dal forte impatto visivo, dalla profonda e tragica umanità, e dallo splendido trattamento della luce e del colore

ChmielowskiAdam_1881_EcceHomo

opera che si può definire concettualmente l’antitesi di un altro grande capolavoro dell’arte di influenza russa di quel periodo, Il Demone Seduto di Michail Aleksandrovič Vrubel' del 1890, opera dal selvaggio splendore che raffigura il protagonista de il Demone, il lungo romantico poema di Lermontov che descrive la passione carnale tra un eterno spirito nichilistico ed una ragazza Georgiana, Tamara.

Vrubel_Demon

L’Ecce Homo, tanto ammirato e venerato da Papa Giovanni Paolo II per il suo profondo senso di sofferenza, in quanto anche immagine della misericordia del Cristo quale uomo dei dolori, sarà la fonte di ispirazione per un altro artista polacco, Eugeniusz Kazimirowski il quale realizzerà un’immagine di stampo devozionale che tanta importanza ha avuto per la Polonia, per essere poi venerata dal mondo intero.

Nel 1934, sotto la supervisione di suor Faustina Kowalska la quale si basava sulle proprie visioni, il pittore realizza la tela della “Divina Misericordia” nella quale dal petto di un Cristo dal volto rassicurante ed insondabile allo stesso tempo, escono due raggi: “I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua. Il raggio pallido rappresenta l''Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime”.

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L’opera, dal 1948 rimasta celata in seguito all’invasione comunista della Polonia, e rimaneggiata con molti ritocchi, fu finalmente riesposta recentemente ed oggi è conservata a Vilnius in Lituania.

L’altra immagine più famosa però, e che è entrata di fatto nell’iconografia cristiana moderna, fu realizzata da Adolf Hyla seguendo la propria ispirazione e basandosi grossolanamente sulla precedente; questa tela senz' altro contribuì alla diffusione del culto della Divina Misericordia nel suo allontanarsi da una dimensione psicologica verso una resa esclusivamente devozionale e “paratattica” rispetto al dogma; se la tela di Kazimirowski scava molto più in profondità nella raffigurazione, quella di Hyla vira invece verso un patetismo di maniera, come poteva fare nel ‘700 un Carlo Dolci.

obraz_hyla Carlo_Dolci_Mater_dolorosa

Naturalmente l’immagine non è diventata famosa grazie a pregi artistici ma al suo legame con la storia di suor Faustina e alla promessa fattale dal Cristo di elargire particolari grazie alle persone che venereranno questa figura; ho ritenuto però significativa la storia di questa iconografia sia perché, credenti o meno, nella storia delle rivelazioni è noto soltanto quest’unico caso in cui il Signore Gesù ordina di dipingere un quadro che rappresenti la Sua effigie, trasmettendone plasticamente l’aspetto, sia perchè, nell’arte religiosa del ‘900, penso sia l’unico esempio di genesi di un’immagine sacra che precede e prescinde dall’icona, in senso popolare; immagine tanto più significativa anche perchè, figurativamente, ha dimostrato solidi legami con la tradizione e col concetto di arte sacra che sempre più si sta perdendo.

Anche se noi guardiamo con tanta ammirazione all’arte del passato la quale, almeno fino all’800, è stata in gran parte arte religiosa, non dobbiamo mai dimenticare come, a differenza di oggi, nel passato l’opera era ammirata dal popolo in quanto veicolo di storie sacre e dogmi, e solo in minima parte per la sua valenza estetica; a parte l’ovvia fondamentale attenzione all’inventio, alla topica, alla scelta dei soggetti e al loro uso corretto, dunque al decorum, l’esigenza devozionale si affida soprattutto alla gestualità, agli sguardi, agli “affetti” e in generale alla resa delle espressioni umane. Altrettanto fondamentale, soprattutto nel caso della necessità didascalica, è la claritas, la chiarezza dell’espressione. La forma deve essere funzionale; il fine dell’immagine religiosa è infatti quello di coinvolgere il fedele, di colpire i suoi sensi, di renderlo partecipe del divino. La pala d’altare, associata all’abside, si presenta spesso come un’“epifania religiosa”, visione o rivelazione di una realtà ultraterrena. Oppure essa deve rispondere a necessità prettamente didascaliche, deve visualizzare e comunicare un dogma, un precetto o in generale un aspetto della Chiesa. In questo senso le due pale della “Divina Misericordia” si possono considerare singolari e affascinanti esempi comunicativi di religiosità vissuta e veicolata.

Per chi volesse approfondire la storia dal punto di vista religioso e dogmatico: clicca qui.

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