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martedì 15 marzo 2016

Siglato accordo con la Fondazione Torlonia

Fanciulla Torlonia

È stato firmato oggi l’accordo tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e i rappresentanti della Fondazione Torlonia che sancisce la reciproca collaborazione per la piena valorizzazione della collezione Torlonia, il complesso di marmi antichi di proprietà privata tra i più imponenti e storicamente significativi al mondo. (link Mibact)

mercoledì 28 maggio 2014

Un Rubens a Roma


“Pieter Paul Rubens
Ritratto dell’Arciduca Alberto VII”

 Esposizione del dipinto e presentazione del volume

“Basilica di Santa Croce in Gerusalemme”
Sala Conferenze - Refettorio Antico

Piazza di Santa Croce in Gerusalemme - Roma

09 Giugno 2014 – ore 18.00

Lunedì 9 Giugno 2014, presso la sala conferenze della Basilica di S. Croce in Gerusalemme, verrà presentato il volume, edito da Silvana Editoriale, “Pieter Paul Rubens. Il Ritratto dell’Arciduca Alberto VII”. Il volume propone lo studio, condotto attraverso più ambiti di indagine, sul Ritratto dell’Arciduca Alberto VII di Pieter Paul Rubens (Siegen, 1577 – Anversa, 1640), opera risalente agli anni della formazione italiana tra la fine del Cinquecento e il primo decennio del secolo successivo, fondamentali per lo sviluppo di un canone estetico che caratterizzerà la futura carriera pittorica dell’artista fiammingo. Infatti, il piccolo dipinto mostra caratteristiche formali proprie della tradizione artistica nordica, ma ha già in se’ evidentissimi riferimenti alla cultura figurativa italiana, con una predilezione per i grandi maestri de Cinquecento veneto.
Il Ritratto dell’Arciduca Alberto VII, come molti altri di Rubens, raggiunge la verosimiglianza fisionomica attraverso la mediazione dell’interpretazione, della memoria espressiva che solo un maestro attento, curioso e selettivo come Rubens avrebbe saputo destreggiare. L’Arciduca Alberto VII, principe delle Fiandre, fu titolare della Basilica di S. Croce in Gerusalemme, prima di rinunciare alla porpora cardinalizia per sposare il 17 Dicembre 1598 l’Infanta Isabella di Spagna. Proprio nella Basilica romana che l’ebbe per ventisettesimo reggente verrà esposto questo piccolo ritratto, presso il Refettorio Antico, a cui sarà dedicata una mostra, a partire da Settembre 2014, presso l’Hallie Ford Museum di Salem (Oregon – U.S.A.).
Interverranno gli autori della pubblicazione: Cecilia Paolini, Ricardo De Mambro Santos, Claudio Falcucci. Presenterà l’evento Bianca Tavassi La Greca.

Programma in dettaglio:
Pieter Paul Rubens - Ritratto dell’Arciduca Alberto VII
Location: Basilica di Santa Croce in Gerusalemme - Piazza Santa Croce in Gerusalemme - Roma (RM)

Data: 09 Giugno 2014 - ore 18.00

Ore 18.00: Sala Conferenze: presentazione del volume “Pieter Paul Rubens. Il Ritratto dell’Arciduca Alberto VII”, edito da Silvana Editoriale.
Ore 19.00: Refettorio Antico: esposizione del dipinto.
Ore 20.00 Giardino interno: saluti finali.

Ufficio Stampa: Anita Tania Giuga - ART G.A.P.
-      Telefono: 06.9360201
-      Mobile: 392.5649492/347.5562867
-      Fax: 06.233290877
-      Web:  www.artgap.it
-      E-mail: ufficiostampa@artgap.it

domenica 2 marzo 2014

La Grande Bellezza di Sorrentino e l'arte

Un interessante proposta per leggere la Grande Bellezza di Sorrentino sotto lo sguardo della storia dell'arte con influenze e ispirazioni. Il film vive in effetti di questo perenne scambio osmotico tra bellezza, struttura e forma, e disordine (sopratutto interno e mentale) e decadenza. Uno sguardo disincantato e trasognato tra le pieghe di una città eterna per nome e per questo quasi indifferente, o superiore, agli sviluppi della microstoria. Ma il tempo che passa, e segna i passi dei protagonisti, è forse l'elemento che più di tutti concorre a trasfigurare l'esistenza singola e collettiva. Allora la città appare come un'infinito elogio alla vanità e alla bellezza delle cose.

"L’invito a scorrere mentalmente i fotogrammi de La Grande Bellezza chiedendo loro se riescono a vedere nella filigrana di quest’opera alcune grandi opere della storia dell’arte del nostro Paese, anzi del nostro continente. Nella galleria qui acclusa vengono infatti proposte della ‘diadi’: un frammento del film di Sorrentino e un’opera della storia dell’arte (l’intero o un dettaglio), l’uno come codice cifrato dell’altra, in un gioco di riflessi che meriterebbe, forse, un’analisi sistematica e dettagliata. Chi ha condotto questa ricerca – che proponiamo come atto di informazione realizzato davvero gratis et amore da tutti coloro che vi hanno preso parte – ha pensato e trovato decine di diadi: quelle della galleria di PEM, che l’Istituto italiano di cultura di Los Angeles ha accolto per offrirle in visione a chi passa in quelle sale all’approssimarsi della notte degli Oscar, sono solo alcune, citate qui come fossero il campionario di una mostra ancora da fare e di un libro da scrivere". (Fonte: Treccani)


Rembrandt, attribuito, Testa di Cristo, XVII sec. Filadelfia, Philadelphia Museum 


Georges Seurat, Studio per Une dimanche après midi à l’Île de la Grande Jatte, 1884-1885. New York, Metropolitan Museum of Art


Umberto Boccioni, La risata, 1911 New York, Museum of Modern Art (MoMA)


Amedeo Modigliani, Nudo disteso, 1917 New York, Metropolitan Museum of Art


Luis Tristán de Escamilla, Santa Monica, 1616. Madrid, Prado

mercoledì 19 febbraio 2014

Le mitiche gallerie romane d'arte contemporanea dal 70 al 90


Molto spesso capita (a me compreso) di guardare più attentamente le realtà lontane rispetto a quelle che ci circondano. Anche per questo motivo ho deciso di scrivere un articolo focalizzato sulla storia della città nella quale sono nato ed attualmente vivo: Roma. In particolare, ho deciso di ripercorrere in breve la storia di quei luoghi che hanno fatto la "storia dell'arte contemporanea" nella città negli anni '60 - '70 –'80 – '90. Ma l'idea era di non scrivere qualcosa di didascalico. Perciò ho optato per una scelta particolare. E' da tempo che ho il desiderio di scoprire cosa è rimasto di quelle gallerie e di quegli spazi che ho sempre sentito nominare nei libri e nei racconti di tante persone. Così sono andato direttamente a fotografare le loro identità attuali, affiancando alle immagini brevi testi esplicativi sulle singole attività. 
Spero che questo articolo possa servire a suscitare l'interesse e la curiosità di riscoprire un passato totalmente oscuro, ma di grande prestigio che necessita di essere valorizzato e storicizzato. 
Per problemi di spazio ho dovuto (purtoppo) tralasciare alcuni posti che ritengo ugualmente importanti quali la galleria GAS, Mario Diacono, Cannaviello Studio d'Arte, Incontri Internazionali d'Arte, D'Alessandro-Ferranti, Autorimessa.

LA TARTARUGA (1954-anni '90): 
via del Babuino > piazza del popolo 3 > via principessa clotilde 1-a 

Plinio de Martiis, recentemente scomparso, fu uno dei promotori dello sviluppo e della promozione dell'arte contemporanea a Roma soprattutto nel corso degli anni '50 e '60 (la galleria è rimasta aperta fino agli anni '90). Ebbe il grande merito (grazie anche all'aiuto di Leo Castelli) di mettere in contatto artisti internazionali come Rauschenberg, Twombly, De Kooning con i vari Festa, Schifano, Burri. La Tartaruga ha esposto tre o quattro generazioni di artisti, dalla Accardi a Fioroni, da Mauri e Kounellis a Notargiacomo e Ceroli fino ad Agnetti e Parmiggiani. Indimenticabile è il progetto "Teatro delle mostre", in cui Plinio propose di allestire una mostra al giorno per ogni artista - tra gli altri Ettore Innocente, Castellani, Tacchi, Paolini, Prini, Fioroni, Calzolari, Boetti. In occasione delle singole esposizioni, i diversi artisti dovevano creare una sorta di cartello segnaletico, da porre all'ingresso del portone, per pubblicizzare la mostra.

L'ATTICO (1966):
piazza di spagna 20 > via cesare beccaria 22 (ora discoteca 'Vamp') > via del paradiso 41 

Diretta da Fabio Sargentini, l'Attico è forse la galleria che, negli anni '70, ha promosso le mostre "più sperimentali", grazie all'enorme vis creativa del suo fondatore. Oltre alle personali ormai celebri, come quella di Kounellis che presentò dodici cavalli vivi all'interno della galleria, L'Attico propose festival di danza e musica con Terry Riley, La Monte Young, Trisha Brown; concerti di Steve Reich, Philip Glass insieme a Joan Jonas; proiezione dei video di Gerry Schum. Marisa Merz, nel 1970, decollò su un aereo, in contatto radio con la galleria: l'artista trasmetteva i dati tecnici del volo che venivano trascritti direttamente da Sargentini su un grafico. Durante la mostra "Lavori in corso" il pubblico era invitato a visitare la galleria durante i lavori di ristrutturazione. Nel 1972, nella sede di via del Paradiso, Gilbert & George si esibirono per sei giorni consecutivi in "The Singing Sculpture". 
Beuys, Ontani, De Dominicis, Duchamp, Prini, Le Witt, Acconci sono solo alcuni degli artisti esposti in questi anni. Nel 1975 in "24 ore su 24", diversi artisti (tra cui Boetti, Chia, Mattiacci e Prini) furono invitati a esporre per sei giorni consecutivi. Un anno dopo Sargentini decise di abbandonare la galleria a via Cesare Beccaria allagando lo spazio. Dall'inizio degli anni '80 la galleria perde la sua vena sperimentale, esponendo esclusivamente la nuova pittura commerciale, senza ricercare e supportare i lavori di artisti "di ricerca", che verranno alla ribalta negli anni '90. 

LA SALITA (1957-1986): 
salita san sebastianello 16/a (ora agenzia immobiliare) > via gregoriana 5 > via garibaldi 86 


Fondata da Gian Tomaso Liverani nel 1957, inizialmente la galleria si affidò alle cure di critici quali Crispolti, Restany, Lionello Venturi. Questi organizzarono collettive con artisti come Novelli, Vedova, Burri, Schifano, Festa, Angeli. Il 1961 è un anno importante per la galleria: i lavori del Gruppo Zero sono esposti insieme a Yves Klein e Francesco Lo Savio; seguono le personali di Fabio Mauri, Giulio Paolini, Christo (al suo debutto in Italia). Tre anni dopo Liverani, influenzato dal clima Pop, decide di prelevare dalla Standa banchi espositivi, su cui espone opere d'arte in serie, in vendita ai prezzi del grande magazzino. Ma è "Animal Habitats, Live and Stuffed", la personale di Richard Serra, a segnare la storia del La Salita. Animali vivi e impagliati sono in mostra nei locali della galleria: Liverani finisce in tribunale, ma viene assolto grazie alle testimonianze di G.C. Argan e di Palma Bucarelli. In seguito, dopo le personali di Lombardo, Mochetti, Innocente, Fabro e Notargiacomo, l'attività dello spazio va sempre più perdendo la sua forza; la galleria chiude nel 1986, dopo il trasferimento in Via Garibaldi 86.

PRIMO PIANO (1972-2003): 
via vittoria 34 > via panisperna 203 (ora appartamento privato) 

Maria Colao, anche lei purtroppo scomparsa, aprì lo spazio inizialmente in via Vittoria esponendo gli artisti italiani della sua generazione -come Lorenzetti, Gastini, Carrino, Masi con qualche personale di stranieri importanti come Fred Sandback, Mel Bochner. Fin dalla nascita, la galleria, oltre che spazio espositivo, è uno spazio di documentazione dove leggere e comprare libri e cataloghi. Ma è negli anni '80 che la funzione di Primo Piano diventa importante: è l'unica galleria romana che, durante gli anni della transavanguardia e nuova pittura, promuove artisti di ricerca come Ana Mendieta, Roman Opalka, Carl Andre, Robert Barry, Bernar Venet, Jean-Luc Vilmouth, Bernd & Illa Becher. Fuori dalle logiche del mercato dell'arte, Maria Colao ebbe il merito di seguire giovani artisti, all'epoca non ancora affermati, come Cesare Pietroiusti, Graham Gussin, Julian Opie, Luca Vitone, Olaf Nicolai. E' l'unica galleria che è riuscita a sostenere l'arte "d'avanguardia" di diverse generazioni. L'ultima mostra vede la partecipazione dell'allora quasi sconosciuta Katharina Grosse, protagonista, recentemente, di una personale al Palais de Tokyo -e della copertina di Parkett!

GIAN ENZO SPERONE (1972-2004):
piazza santi apostoli 49 > via quattro fontane 20 (ora istituto straniero) > via della pallacorda 15 (ora antiquario)

Galleria storica, aperta nel 1972, a Piazza Santi Apostoli 429, da Gian Enzo Sperone con Konrad Fisher (in società fino al 1974); questo spazio, più di ogni altro, durante gli anni '70, seguì gli artisti concettuali europei ed americani. Dopo aver inaugurato con una personale di Gilbert & George, presentò, infatti, il lavoro di Robert Barry, Giulio Paolini, Douglas Huebler, Donald Judd, Jan Dibbets, Alighiero Boetti, Lawrence Weiner, Joseph Kosuth, Daniel Buren insieme ai protagonisti dell'arte povera come Zorio e Fabro. Col passare del tempo, la galleria perse la sua identità, cominciando a esporre la pittura simbolo degli anni Ottanta, con mostre di Clemente, Chia e altri. La galleria, situata per dieci a Palazzo del Drago, nel 1984 si trasferì in via della Pallacorda dove è rimasta fino alla chiusura avvenuta nel 2004.

CENTRO JARTRAKOR (1977-1995): 
via dei pianellari 20 (ora studio privato) 

Fondato dall'artista Sergio Lombardo nel 1977, è uno dei primi spazi no-profit di Roma dediti alla ricerca e alla promozione dell'arte contemporanea e sede della "Rivista di Psicologia dell'arte". Lo spazio, oltre che da Lombardo, era gestito da Cesare Pietroiusti che proprio qui espose i suoi primi lavori. A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, alle mostre di Pietroiusti e dello stesso Lombardo, si affiancarono quelle di Anna Homberg e Domenico Nardone. 
Lo spazio promuoveva incontri sperimentali, legati alla psicologia ed ai suoi possibili usi in campo artistico, performative writings, mostre di artisti storici -come Piero Manzoni, Ettore Colla, Salvatore Meo- o giovani come Mottola, Capaccio, Asdrubali, Rossano. Rispetto allo sperimentalismo degli inizi, lo spazio col passare del tempo perse la sua peculiarità. Terminò la sua attività nel 1995.


GALLERIA PIERONI (1979-1993) 
via panisperna 203 

Trasferitasi da Bagno Borbonico (Pescara), la galleria di Mario Pieroni (fondatore dell'associazione Zerynthia) apre, nel 1979, con una collettiva di De Dominicis, Kounellis e Spalletti. Lo spazio espone artisti già affermati come Luciano Fabro, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Sol Le Witt, Giulio Paolini, Alighiero Boetti insieme ai più "giovani" Franz West, Gunther Forg, Bertand Lavier e Jan Vercruysse. 
Era situata nello stesso edificio di Primo Piano.

LA SCALA (1983-1985)
piazza san giovanni 10 (ora negozio)

Galleria gestita da Domenico Nardone (dopo l'esperienza come artista presso Centro Jartrakor), insieme a Daniela De Dominicis e Antonio Lombardi, situata negli spazi sconsacrati della chiesa del complesso della Scala Santa. L'attività dello spazio è legata soprattutto alla promozione, da parte del gruppo, di artisti denominati "Piombinesi" (Salvatore Falci, Stefano Fontana e Pino Modica, ai quali nel 1987 si aggiunse Cesare Pietroiusti), che passeranno, traghettati dallo stesso Nardone, nelle mani dello Studio Casoli a Milano. Tra le mostre della galleria ne ricordiamo una sulla poesia visiva (Miccini, Sarenco) e una personale di Ettore Innocente.

LA SCALA C/O IL DESIDERIO PRESO PER LA CODA (1985-1986)
vicolo della palomba 23 (ora ristorante 'Il desiderio preso per la coda')

Lascala c/o il desiderio preso per la coda nasce dalla volontà di Domenico Nardone di creare una galleria itinerante, senza una sede fissa, in grado di trasformare, di volta in volta, un luogo diverso in spazio espositivo. Cominciò (e si concluse, purtoppo) organizzando una serie di mostre e performances all'interno del ristorante "Il desiderio preso per la coda" (in grande anticipo sui tempi). Da segnalare la performance "Opening oysters" di Terry Fox e Mariano Vismara, in cui i due artisti passarono una serata ad aprire 25 kg di cozze! Tra gli artisti coinvolti nel progetto: il gruppo dei Piombinesi, Ettore Innocente, Renato Mambor e Cesare Pietroiusti.

GALLERIA ALICE (1988-1992)
via monserrato 34

Dopo le esperienze di Lascala e Lascala c/o, un altro spazio diretto da Domenico Nardone (sicuramente uno dei curatori-critici-galleristi più attivi di quegli anni). La galleria promosse gli artisti con cui Nardone aveva precedentemente lavorato come i Piombinesi, Stefano Arienti, Premiata Ditta, Alfredo Pirri. Da ricordare la collettiva "Storie", curata da Carolyn Christov-Bakargiev, la quale tentò di mettere a confonto artisti italiani ed internazionali con interessi comuni. Alla mostra parteciparono il gruppo dei Piombinesi insieme a Henry Bond, Sophie Calle, Willie Doerthy, Christian Marclay, Sam Samore (niente male per una piccola galleria romana, no?).

GALLERIA PAOLO VITOLO (1990-1992)
via gregoriana 4 (ora parrucchiere)

Insieme ad Alice, una delle poche gallerie "di ricerca" a Roma; forse questo spiega la leggera, ma evidente, contrapposizione tra i due spazi creatasi all'epoca.
Paolo Vitolo (ora gestisce una libreria d'antiquariato in via Tadino a Milano), personalità di grande intelligenza e capacità (pensate che, nella sua galleria di Milano, organizzò la personale di un giovanissimo Martin Creed!) decise di portare avanti una precisa linea di ricerca, accompagnandosi spesso anche a critici come Gabriele Perretta.
Tra le personali: Formento e Sossella (da riscoprire in particolare per la loro attività all'interno di Blob), Alberto Zanazzo, Luca Vitone, Cesare Viel. Da segnalare, nel 1991, la presenza di Maurizio Cattelan nella collettiva "Medialismo" (sfortunato tentativo di creare una nuova corrente artistica).

STUDIO CASOLI (1995-2001)
via della vetrina 21 (ora galleria VM21)
Galleria inizialmente milanese, nel 1995, decide di aprire uno spazio a Roma, esponendo artisti italiani ed internazionali. Tra gli artisti presentati Nan Goldin, Gino De Dominicis, Gordon Matta Clark (personale a cura di Adachiara Zevi), Pino Pascali, Lucio Fontana fino alle nuove generazioni come Nan Goldin e Letizia Cariello.

lunedì 20 gennaio 2014

Sergio Lombardo - Anni 70 - Conferenza del 16 gennaio 2014 al Palazzo Delle Esposizioni


Sergio Lombardo. Autore di Progetto di morte per avvelenamento del 1970, un'opera che si concretizza nell'offerta allo spettatore di una emblematica scelta tra la vita e la morte, Sergio Lombardo ha dedicato gran parte della sua ricerca all'influenza che la psicologia e l'arbitrio hanno sulla definizione della realtà e della sua rappresentazione attraverso il linguaggio. Il testo si riferisce alla conferenza tenuta da Lombardo presso il Palazzo delle Esposizioni lo scorso 16 gennaio. Il titolo della conferenza è 

ANNI '70
DOPO IL GRANDE SUCCESSO INTERNAZIONALE DEGLI ANNI '60
L'ITALIA RINUNCIA ALL'AVANGUARDIA
IN NOME DELL'ANACRONISMO

Il file in questione riporta, per punti, il discorso affrontato dal maestro mostrando, attraverso la documentazione bibliografica e la cronologia degli eventi come sia stata tradita e affossata l'avanguardia italiana, in particolare l'avanguardia romana degli anni Sessanta. Il testo riporta solamente delle impressioni in forma schematica e non è da intendere come un saggio completo ma solo come uno schema ricco di spunti critici da approfondire.

- See more at: http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/anni-settanta-roma-in-mostra

Sergio Lombardo - Progetto di morte per avvelenamento
Per maggiori testi consultare il seguente link: http://www.sergiolombardo.it/pubblicazioni.html


 

venerdì 26 aprile 2013

Nativi d'America nella Resurrezione del Pinturicchio in Vaticano



Chiunque entri nell’Appartamento Borgia, nel percorso dei Musei Vaticani, non può dimenticare l’immagine del Papa che, in ginocchio, la tiara deposta ai suoi piedi, contempla in adorazione la resurrezione di Cristo. Poniamo mente alle date. Il cardinale Rodrigo Borgia diventa Papa col nome di Alessandro vi nell’agosto del 1492. Pochi mesi dopo, il 12 ottobre, Cristoforo Colombo mette piede nel Nuovo Mondo. Tutto il ciclo pinturicchiesco dell’appartamento papale era sicuramente concluso alla fine del 1494 perché il 1° gennaio 1495 in questi ambienti trovò sontuosa ospitalità re Carlo viii di Francia accompagnato dai suoi baroni, dai suoi ministri, dai suoi preti. Papa Borgia era interessato al Nuovo Mondo, così come lo erano le grandi cancellerie d’Europa. Il 7 giugno 1494 a Tordesillas, in Castiglia, veniva firmato il trattato di questo nome che divideva le Indie Occidentali, le terre al di fuori dell’Europa, in un duopolio esclusivo fra l’impero spagnolo e l’impero portoghese. Il Nuovo Mondo veniva diviso dalla Raya, una linea meridiana che compartiva le aree di influenza spagnola e portoghese. Il diario del primo viaggio di Colombo si data al 1492-1493. Ed ecco quello che vide Colombo quel venerdì 12 Ottobre 1492 quando mise piede in terra americana. «Tosto vedemmo gente affatto nuda (...) buona però ed anzi amichevole, venivano alle nostre barchette a nuoto, recandoci i pappagalli e filo di cotone in gomitoli, e zagaglie ed altre cose molte, in iscambio di altri oggetti, come di piccole perle di vetro, di sonaglini che loro davamo». E se la precoce impressione di quegli uomini nudi, buoni e anche felici, che regalavano pappagalli e si tingevano il corpo di rosso e di nero, vivesse nelle figurine danzanti che stanno dietro la Resurrezione del Pinturicchio? Se così fosse sarebbe, quella, la prima rappresentazione figurativa dei nativi d’America.


lunedì 18 febbraio 2013

Lo sguardo di Michelangelo

Michelangelo Antonioni (1912-2007) è uno dei padri della modernità cinematografica. La sua opera ha oltrepassato i confini della settima arte: è stata profondamente ispirata dalle arti figurative e ha esercitato a sua volta su di esse un notevole ascendente, come sul cinema di ieri e di oggi. Tra i suoi ultimi lavori Lo sguardo di Michelangelo è un cortometraggio del 2004 che indaga con l'occhio della macchina da presa e un'assoluto silenzio il Mosè di Michelangelo a San Pietro in Vincoli. Splendida fotografia, attenzione per i più minimi dettagli e sostanzialmente un profondo e intimo amore per l'opera d'arte

Lo Sguardo di Michelangelo (Michelangelo Antonioni, 2004, KINOTE) from jeanne dielman on Vimeo.

domenica 10 febbraio 2013

Caravaggio, novità sul periodo romano


Interessanti novità d'archivio che gettano luce sul periodo romano di Caravaggio sono sintetizzate in quest'articolo da Fabio Isman, mentre presto saranno pubblicate in un libro.

Caravaggio è arrivato davvero a Roma nel 1596, quando aveva 25 anni: le testimonianze concordano; e cosa abbia fatto dopo il 1592, data dell’ultimo documento che lo attesta in Lombardia, resta un mistero: un viaggio a Venezia, come scrive Giovan Pietro Bellori nella sua biografia? Non c’è nessuna traccia. Scoperte, poi, sul suo grande nemico, il pittore Giovanni Baglione: diceva d’essere nobile, ma era figlio di un macellaio. E ancora: la Natività di Merisi, il quadro rubato dalla mafia nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, non è del 1609, ma dipinto nel 1600, a Roma: se ne sono trovate le tracce.

I MECENATI
E si è capito anche che l’intera fase romana dell’artista, a parte due soggiorni a Borgo, da Pandolfo Pucci, e a piazza delle Tartarughe dai Mattei, si svolge in un chilometro quadrato: un fazzoletto della città, tutt’attorno a San Luigi dei Francesi. Queste, e svariate altre, sono le importanti novità che tre ricercatori, Francesca Curti, Michele Di Sivo e Orietta Verdi dell’Archivio di Stato di Roma, hanno scoperto tra i documenti, appunto, dell’Archivio. Li avevano già studiati per «Caravaggio a Roma, una vita dal vero», mostra ideata da Eugenio Lo Sardo nel 2011; ma adesso, hanno trovato altre piste di indagine.

Ad esempio, si sapeva assai poco su Costantino Spada, un mercante di quadri da cui l’artista metteva in vendita le sue prime opere: «Il suo negozio era attiguo a Palazzo Madama, nel quale abitava il cardinal Del Monte», il primo protettore dell’artista; «e probabilmente, da lui comperavano i Giustiniani e gli Aldobrandini, che pure vivevano lì: attorno a lui, insomma, ruotano tutti i primi mecenati dell’artista; è assai più persona-chiave che non si sapesse finora». Il suo negozio è stato individuato grazie a un’edicola sacra, una «Madonnella», che era sulla casa. E lui è risultato in contatto anche con i Patrizi, i proprietari della Cena in Emmaus ora a Brera. Caravaggio lo frequenta assiduamente: è a casa sua, come testimone di un atto con cui Spada compera una casa a via della Frezza, nel 1599. 

Si sapeva assai poco anche di Francesco Morelli, maestro di Baglione quando (si è appurato) aveva 11 e non 15 anni: si scopre che da lui lavorano vari artisti, amici o nemici di Caravaggio; come Tommaso Salini, Ventura Salimbeni e Antiveduto Gramatica, da cui Merisi sarà a bottega, dopo Lorenzo Carli e prima di Giuseppe Cesari, il Cavaliere. E siamo sempre lì: attorno a San Luigi dei Francesi, che era allora il quartiere romano più alla moda. E Carli, da cui Caravaggio ha la sua prima abitazione in città, stava a via della Scrofa, di fronte alla bottega di Antiveduto.

IL CAPOLAVORO
Grandi novità ci sono anche sul quadro rubato a Palermo, in un testo del volume presto in vendita («L’essercitio mio è il pittore», Caravaggio e l’ambiente artistico romano: 576 pagg, 40 euro, nella collana della rivista Roma moderna e contemporanea, dell’Università Roma Tre), con saggi di 16 studiosi. La Natività si è sempre ritenuta opera siciliana, compiuta verso il 1609. Invece, no. L’iconografia la lega al Miracolo di San Matteo del Cavalier d’Arpino, nella stessa cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, dove Merisi produce la prima pubblica committenza: due figure sono esattamente uguali. Anche Maurizio Calvesi trovava la Natività stilisticamente assai prossima al periodo romano dell’artista.

IL MERCANTE DI STOFFE
È pure dipinta su un’unica tela; mentre nel periodo successivo, poiché non ne trovava, Caravaggio le ha sempre assemblate. Ma allora, quel quadro come è arrivato fino al lontano capoluogo siciliano? «C’è un contratto di Caravaggio del 1600», raccontano i tre studiosi, «con un mercante di stoffe, Fabio Nuti di Siena: per un quadro, è scritto, cum figuris, di cui sappiamo le misure e basta». Legami di Nuti con l’oratorio palermitano li ha trovati da uno studioso siciliano; e il suo quadro doveva essere pronto per la festa di San Lorenzo, il 10 agosto. Che sia proprio quello? 

Infine, la faccenda di Caravaggio colpito dal calcio di un cavallo, a fine 1596: è la ragione della sua lite con il Cavalier d’Arpino. Per risparmiare, questi non chiama un chirurgo a casa, e Merisi sarà aiutato da Carli: perché gli curino la ferita a una gamba, abbastanza grave, lo accompagna all’ospedale della Consolazione. Cioè quello dei poveri. E i due non faranno mai più pace.

venerdì 1 febbraio 2013

L'Inferno di Rodin

La Real Academia de España a Roma (Piazza San Pietro in Montorio, 3) inaugura il 29 gennaio nelle proprie sale la mostra dello scultore francese “Auguste Rodin. L’inferno di Dante”. L’esposizione presenta l’importante opera grafica, quasi sconosciuta, dello scultore Auguste Rodin (1840- 1917), che fu stampata nel 1897 dalla Maison Goupil, pioniere delle nuove tecniche di riproduzione dell’ immagine e della diffusione delle opere artistiche. Questa mostra ha un interesse doppio non solo perche ci permette di ammirare lo straordinario potenziale grafico dell’opera di Rodin, bensì anche l’inizio delle nuove forme di democratizzare l’arte attraverso la moltiplicazione e commercializzazione intrapresa dalla Goupil and Cia con un ampio e diversificato programma editoriale. Questo “monumento alla bibliofilia” fu anche denominato l’album Fenaille, in quanto ottenne il patrocinio di Maurice Fenaille, membro dell’Academie des beaux-arts di Francia, nonché grande collezionista e mecenate. Grazie a Lui, possiamo osservare i disegni che erano andati perduti di Rodin, perche furono realizzati come stampe grazie alla nuova tecnica della fotoincisione. Qui si mostrano le prove “bon a tirer”, alcune con le annotazioni originali dello stesso Rodin, poiché il procedimento dell’intera edizione fu seguita molto da vicino dallo stesso artista. Questi Disegni Neri di Rodin, sono ispirati all’Inferno di Dante Alighieri, e furono realizzati mentre lavorava nella sua famosa e non conclusa opera “ le Porte dell’inferno” (1880-1917), e benché non si tratti degli studi diretti per questo grande complesso di sculture, ne hanno la stessa ispirazione. Le 129 stampe vengono suddivise in tre gruppi: 82 appartengono all’inferno, 31 al limbo, e le altre 16 sono studi che seppur non riguardano l’opera di Dante, condividono lo stesso argomento d’ispirazione biblica ed evocazione delle opere di Michelangelo. Le dissacranti tecniche grafiche di Rodin evocano le opere di Goya, di Rembrandt, ma anche i disegni di Victor Hugo, molto conosciuti dallo scultore, poiché il suo rappresentante George Petit organizzò nel 1888 una mostra a Parigi sugli enigmatici disegni dello scrittore, dove lo schizzo d’inchiostro diventa protagonista.



Scarica l’Omaggio a Auguste Rodin di Octave Mirbeau : Omaggio a auguste rodin

mercoledì 9 gennaio 2013

Il Museo dalle Muse all'ostentazione

Musei capitolini
Nella post-modernità il museo appare concepito come un'opera d'arte, nella sua pretesa di essere oggetto artistico che espone se stesso. Gli oggetti sembrano avere un ruolo di secondo piano rispetto all'architettura che viene esibita, glorificata e magnificata dall'archistar che sembra porsi come nuovo profeta del proprio tempo. Ce ne parla questo interessante articolo di Andrea dell'Asta

Il Museo è sempre stato un luogo destinato ad accogliere la memoria di un popolo, di una civiltà. La sua storia è lunga e complessa. Occorre infatti risalire ai tempi dell'antica Grecia, in cui il termine mouseion designava la casa delle Muse, figlie di Zeus, protettrici delle arti e delle scienze, e di Mnemosine, dea della memoria. Ilmouseion è dunque da un lato strettamente legato al divino, è olimpico, e dall'altro, in un processo di anamnesi, ha la funzione di ricollegarci a ciò che sta all'origine del tutto, riconducendoci alla verità delle cose. Dal punto di vista architettonico, il mouseion è il tempio dedicato alle Muse e sarà chiamato con questo nome l'edificio costruito ad Alessandria d'Egitto nel III secolo a.C., celebre per la sua biblioteca, splendido spazio che accoglie il sapere del tempo, in cui l'uomo cerca di compiere una sintesi di tutte le sue ricerche. 
Da lì a luogo di raccolta di oggetti di particolare valore o interesse il passo è breve. Se in epoca romana nel museo si esponevano i bottini di guerra e i trofei, come le statue trafugate dalla Grecia, nel Rinascimento, il museo diventa luogo di conservazione e di contemplazione, spazio delle Wunderkammer, delle gallerie e dei gabinetti dei prìncipi. Nasce così il primo museo, quello capitolino a Roma
nel 1471, da una donazione di papa Sisto IV alla città e ordinato nel 1733 sotto il pontificato di Clemente XII. 
Il museo rinascimentale anticipa il museo moderno. Pensiamo agli Uffizi di Firenze, progettati come uffici, poi destinati ad accogliere la collezione medicea. Il Signore della città può esprimere i segni del proprio prestigio, che diventa in seguito gloria della stessa città fiorentina. Da strumento di recupero della memoria storica o di classificazione enciclopedica del creato, il museo diventa lentamente uno straordinario strumento di ostentazione del prestigio politico, economico e culturale di un popolo. 
Con l'epoca napoleonica, si raccolgono le maggiori opere d'arte appartenenti ai paesi di volta in volta occupati dai francesi, per diventare luogo di ricerca scientifica, ma anche luogo di conservazione e di tutela dei beni culturali e di educazione. Pensiamo al Louvre di Parigi o al British Museum di Londra… Il museo si fa sintesi di un passato universale, accogliendo le esperienze culturali di tutto il mondo. Acquisisce una funzione pubblica e sociale. Diventa "popolare", aperto a tutti. 
Nella post-modernità, il suo significato cambia radicalmente. Appare concepito come opera d'arte, nella sua pretesa di essere oggetto artistico che espone se stesso. Tuttavia, non sembra più in grado di accogliere la memoria di un popolo, di una fede, di una tradizione. Gli oggetti sembrano avere un ruolo di secondo piano rispetto all'architettura che viene esibita, glorificata e magnificata dall'archistar che sembra porsi come nuovo profeta del proprio tempo. Di fatto, che cosa vanno a vedere le migliaia di persone in coda per entrare in questo antro misterioso dalle forme così ardite e inconsuete? 
Il Guggenheim di Bilbao di Frank Gehry o il Maxxi di Zaha Hadid di Roma sono solo due esempi di architetture che fanno emergere questa contraddizione. Mostrano se stessi, nella pretesa di porsi come centro dell'attenzione, piuttosto che presentarsi come spazi destinati ad accogliere, a conservare, a valorizzare. Spazi autoreferenziali destinati a eventi auto-celebrativi. Pensiamo al Maxxi. All'interno, prevalgono interminabili corridoi, lunghe pareti curve senza alcuna giustificazione espositiva. L'importante non sono le collezioni ospitate, ma l'architettura che le accoglie. Il museo rappresenta se stesso. È come se fosse messa in atto una dislessia simbolica. Il museo rischia di diventare un contenitore vuoto, un idolo, espressione di una civiltà fatua, priva di consistenza, perché non ha più "memorie" da trasmettere, valori da comunicare. Si auto-espone, ponendosi come costruzione gigantesca, al pari di una nuova torre di Babele, che garantisca la gloria al nome della città che l'ha ospitata, nel desiderio di apparire nelle guide turistiche. Diventa il segno di un valore svuotato. 
Se andando in qualche piccolo museo della Toscana siamo rapiti dall'orgoglio e dalla passione di chi ci accompagna nel "loro" minuscolo museo, queste nuove architetture si fanno invece impersonali, algide, nella loro spregiudicata arditezza. Certo, inducono una grande quantità di turisti a varcare questo "nuovo tempio" della cultura, quasi si trattasse di una nuova forma di religione, ma sono pensate per eventi verticali. 
Quale è allora il ruolo del museo contemporaneo? Quella di significare un mondo che non ha più nulla da comunicare, se non la predizione della fine annunciata di una… civiltà senza valori?

Maxxi

mercoledì 2 gennaio 2013

Caravaggio a Roma

Attraverso un viaggio onirico, storico, emozionale, il più grande pittore del ‘600 percorre i saloni della mostra rivisitando se stesso, la sua opera, i suoi ricordi, la sua vicenda di artista e di uomo.

Un documentario ad altissima definizione ci porta nelle fibre di ogni singolo dipinto del grande maestro, mentre ci porta in un viaggio unico e irripetibile dentro le fibre di un’anima sconosciuta a molti.

Nella prima parte della docufiction Ivan Franek interpreta Caravaggio.


La docu-fiction “Caravaggio a Roma” prende le mosse dalla mostra organizzata alle Scuderie del Quirinale nel 2010 sulle opere diMichelangelo Merisi in arte "Caravaggio", pittore italiano nato a Milano il 29 settembre 1571 e morto a Porto Ercole il 18 luglio 1610. Il film è stato realizzato in occasione dei quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi.

martedì 11 dicembre 2012

Il cantiere della Domus Aurea - Il blog


Quando si mantiene viva l'attenzione su un monumento delicato e in difficoltà come la Domus Aurea è sempre un qualcosa di positivo. Questo blog mi sembra un'ottima iniziativa di valorizzazione e divulgazione.

Il Cantiere della Domus Aurea” si apre al web, con l’intenzione di raccontare giorno per giorno i lavori in corso. Un diario che informa sul progredire dei progetti e degli interventi di consolidamento delle strutture e delle decorazioni, delle sperimentazioni in corso, ma anche delle attività di ricerca, di documentazione.

Vogliamo, con questa iniziativa, far conoscere meglio i processi del nostro lavoro che, per le complesse problematiche conservative (strutturali, climatico/ambientali, paesaggistiche) fanno della Domus Aurea un laboratorio di attività specialistiche che trovano una sintesi in un unico progetto generale.

Per questo motivo diamo voce alle tante professioni impegnate nel monumento (archeologi, architetti, ingegneri, restauratori, fisici, chimici, biologi, esperti del verde e del paesaggio, tecnici).

Il blog, realizzato in open source e senza oneri per la Pubblica Amministrazione, è curato dallo staff interno della Domus Aurea che lo aggiornerà periodicamente con notizie e schede. Speriamo anche di favorire dialogo e discussioni, che cercheremo di mantenere vivi.

Ho assunto tre anni fa la responsabilità della Domus Aurea in una fase molto difficile della sua esistenza, accentuata ancora di più dal crollo del 30 marzo 2010. Da pochi mesi si è aperta una nuova fase determinata dalla decisione del Governo (OPCM del 25.04.2012) di revocare il Commissariamento del monumento (in vigore dal 2006) e di restituirne alla Soprintendenza la piena gestione.

Il mio punto di vista, in quanto Direttore del Monumento in servizio presso la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma (MiBAC) che ha in consegna il bene, è quello della sua tutela e valorizzazione, ma tiene conto degli aspetti legati alla sua appartenenza ad un contesto urbano a continuità di vita e dei temi legati al suo inserimento paesaggistico in un Parco storico della città.

Credo, d’altra parte, che sia molto importante soprattutto in questa fase storica della vita della Pubblica Amministrazione, operare nel segno della trasparenza, cercando di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla complessità della nostra azione attraverso l’informazione sul lavoro, sui progetti e sui problemi che si incontrano.

Fedora Filippi Direttrice scientifica della Domus Aurea

domenica 11 novembre 2012

Digitalife 2012

La Fondazione Romaeuropa presenta la terza edizione di Digital Life con un percorso modulare che si articola in tre sedi espositive dal forte valore simbolico. Il MACRO Testaccio indagherà il rapporto tra arte visiva, arte digitale, performing arts e fotografia, centrando il suo sguardo nella quarta dimensione della creazione, in uno spazio in cui i confini fra i diversi linguaggi si dissolvono. L’EX GIL declinerà i linguaggi della creatività digitale e delle sue fertili connessioni con le tecnologie più avanzate e sperimentali. Un progetto aperto e visionario che offrirà uno sguardo spettacolare sulla classe creativa del Lazio. Focus dei talks che animeranno l’OPIFICIO TELECOM ITALIA sarà invece una visione trasversale della creatività e dei suoi fautori, in collaborazione con le realtà che fanno dell’innovazione la loro prospettiva. Installazioni multimediali, ambienti sonori, videoarte, opere interattive, talk ed eventi scandiranno il tempo che ci guida da oggi al futuro.



Digital Life 2012 - Human Connections a Roma linguaggi della creatività digitale e sperimentazione tecnologica multimediale in mostra al MACRO, Opificio Telecom, Ex Gil 15 novembre / 15 dicembre 2012. Marina Abramović, Vito Acconci, Jan Fabre, Masbedo, Paola Gandolfi alcuni dei nomi degli ospiti in programma alla mostra. Installazioni multimediali, ambienti sonori, videoarte, opere interattive, talk ed eventi faranno immaginare futuri possibili.


sabato 3 novembre 2012

I 500 anni della volta Sistina nelle parole di Benedetto XVI



CELEBRAZIONE DEI VESPRI IN OCCASIONE DEL 500° ANNIVERSARIO DELL’INAUGURAZIONE DELLA CAPPELLA SISTINA, 31.10.2012

Alle ore 18 di questo pomeriggio, nella Cappella Sistina, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei primi Vespri della solennità di tutti i Santi, in occasione del 500° anniversario dell’Inaugurazione della Cappella.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione:

OMELIA DEL SANTO PADRE 

Venerati Fratelli, 
cari fratelli e sorelle! 

In questa liturgia dei Primi Vespri della solennità di tutti i Santi, noi commemoriamo l’atto con cui, 500 anni or sono, il Papa Giulio II inaugurò l’affresco della volta di questa Cappella Sistina. Ringrazio il Cardinale Bertello per le parole che mi ha rivolto e saluto cordialmente tutti i presenti. 
Perché ricordare tale evento storico-artistico in una celebrazione liturgica? Anzitutto perché la Sistina è, per sua natura, un’aula liturgica, è la Cappella magna del Palazzo Apostolico Vaticano.
Inoltre, perché le opere artistiche che la decorano, in particolare i cicli di affreschi, trovano nella liturgia, per così dire, il loro ambiente vitale, il contesto in cui esprimono al meglio tutta la loro bellezza, tutta la ricchezza e la pregnanza del loro significato. E’ come se, durante l’azione liturgica, tutta questa sinfonia di figure prendesse vita, in senso certamente spirituale, ma inseparabilmente anche estetico, perché la percezione della forma artistica è un atto tipicamente umano e, come tale, coinvolge i sensi e lo spirito. 
In poche parole: la Cappella Sistina, contemplata in preghiera, è ancora più bella, più autentica; si rivela in tutta la sua ricchezza. Qui tutto vive, tutto risuona a contatto con la Parola di Dio. 
Abbiamo ascoltato il passo della Lettera agli Ebrei: «Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa…» (12,22-23). L’Autore si rivolge ai cristiani e spiega che per loro si sono realizzate le promesse dell’Antica Alleanza: una festa di comunione che ha per centro Dio, e Gesù, l’Agnello immolato e risorto (cfr vv. 23-24). Tutta questa dinamica di promessa e compimento noi l’abbiamo qui rappresentata negli affreschi delle pareti lunghe, opera dei grandi pittori umbri e toscani della seconda metà del Quattrocento. 
E quando il testo biblico prosegue dicendo che noi ci siamo accostati «all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione» (v. 23), il nostro sguardo si leva al Giudizio finale michelangiolesco, dove lo sfondo azzurro del cielo, richiamato nel manto della Vergine Maria, dona luce di speranza all’intera visione, assai drammatica. «Christe, redemptor omnium, / conserva tuos famulos, / beatæ semper Virginis / placatus sanctis precibus» - canta la prima strofa dell’Inno latino di questi Vespri. Ed è proprio ciò che noi vediamo: Cristo redentore al centro, coronato dai suoi Santi, e accanto a Lui Maria, in atto di supplice intercessione, quasi a voler mitigare il tremendo giudizio. 
Ma stasera la nostra attenzione va principalmente al grande affresco della volta, che Michelangelo, per incarico di Giulio II, realizzò in circa quattro anni, dal 1508 al 1512. Il grande artista, già celebre per capolavori di scultura, affrontò l’impresa di dipingere più di mille metri quadrati di intonaco, e possiamo immaginare che l’effetto prodotto su chi per la prima volta la vide compiuta dovette essere davvero impressionante. Da questo immenso affresco è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea – dirà il Wölfflin nel 1899 con una bella e ormai celebre metafora – qualcosa di paragonabile a un «violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione»: nulla rimase più come prima. Giorgio Vasari, in un famoso passaggio delle Vite, scrive in modo molto efficace: «Questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo». 
Lucerna, lume, illuminare: tre parole del Vasari che non saranno state lontane dal cuore di chi era presente alla Celebrazione dei Vespri di quel 31 ottobre 1512. Ma non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale. Quella luce che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione. E la Cappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità. Con la geniale volta di Michelangelo, lo sguardo viene spinto a ripercorrere il messaggio dei Profeti, a cui si aggiungono le Sibille pagane in attesa di Cristo, fino al principio di tutto: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Con un’intensità espressiva unica, il grande artista disegna il Dio Creatore, la sua azione, la sua potenza, per dire con evidenza che il mondo non è prodotto dell’oscurità, del caso, dell’assurdo, ma deriva da un’Intelligenza, da una Libertà, da un supremo atto di Amore. In quell’incontro tra il dito di Dio e quello dell’uomo, noi percepiamo il contatto tra il cielo e la terra; in Adamo Dio entra in una relazione nuova con la sua creazione, l’uomo è in diretto rapporto con Lui, è chiamato da Lui, è a immagine e somiglianza di Dio. 
Vent’anni dopo, nel Giudizio Universale, Michelangelo concluderà la grande parabola del cammino dell’umanità, spingendo lo sguardo al compimento di questa realtà del mondo e dell’uomo, all’incontro definitivo con il Cristo Giudice dei vivi e dei morti. 
Pregare stasera in questa Cappella Sistina, avvolti dalla storia del cammino di Dio con l’uomo, mirabilmente rappresentata negli affreschi che ci sovrastano e ci circondano, è un invito alla lode, un invito ad elevare al Dio creatore, redentore e giudice dei vivi e dei morti, con tutti i Santi del Cielo, le parole del cantico dell’Apocalisse: «Amen, alleluia. […] Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi! […] Alleluia. […] Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria» (19,4a.5.7a). Amen. 

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana (Fonte)


Inseriamo anche l'articolo di Antonio Paolucci, uscito sull'Osservatore Romano e il link dal sito vaticano per visitare virtualmente la Cappella Sistina

Il 31 ottobre 1512 Giulio si inaugurava la volta della Cappella Sistina completata da Michelangelo

di Antonio Paolucci

Ogni giorno almeno diecimila persone con punte di ventimila nei periodi di massima affluenza turistica, entrano in Cappella Sistina. È gente di ogni provenienza, lingua e cultura. Di ogni religione o di nessuna religione. La Cappella Sistina è l'attrazione fatale, l'oggetto del desiderio, l'obiettivo irrinunciabile per l'internazionale popolo dei musei, per i migranti del cosiddetto turismo culturale.
Tuttavia la Cappella Sistina, pur facendo parte del percorso dei Musei Vaticani, non è un museo. È uno spazio religioso, è una cappella consacrata. Di più, essa è il vero e proprio luogo identitario della Chiesa romano-cattolica. Perché qui si celebrano le grandi liturgie, qui i cardinali riuniti in conclave eleggono il pontefice. La Sistina è allo stesso tempo la sintesi in figura della teologia cattolica.
La storia del mondo (dalla Creazione all'Ultimo Giudizio) vi è qui rappresentata insieme al destino dell'uomo redento da Cristo. La Sistina è la storia della salvezza per tutti e per ognuno, è l'affermazione del primato del Papa di Roma, è il tempo sub gratia della Chiesa che assorbe, trasfigura e fa proprio il tempo sub lege dell'Antico Testamento. È l'arca della nuova e definitiva alleanza che Dio ha stabilito col popolo cristiano. Non a caso l'architetto Baccio Pontelli che operò fra il 1477 e il 1481 modificando e innalzando le preesistenti strutture volle dare alla Cappella Magna del Papa di Roma, le misure del perduto Tempio di Gerusalemme così come ci sono indicate dalla Bibbia.
Chi entra nella Cappella Sistina entra di fatto in una immane sciarada teologico-scritturale che è arduo comprendere al primo sguardo. Ci sono immagini (la Creazione dell'uomo, il Peccato originale) che nella memoria di chi guarda (sempre che chi guarda provenga da Paesi di cultura cattolica) riaffiorano in disarticolati frammenti dal catechismo dell'infanzia. Ce ne sono altre (i Profeti, le Sibille, certi episodi dell'Antico Testamento) che il visitatore comune non conosce affatto. Chi, anche fra i visitatori credenti e praticanti, sa qualcosa della Punizione di Aman o dell'Innalzamento del serpente di bronzo o saprebbe spiegare, con un minimo di correttezza, chi erano la Sibilla Cumana o il profeta Giona?
E poi c'è Michelangelo il quale, come una luce troppo forte che acceca tutto ciò che sta intorno, assorbe con la sua notorietà clamorosa l'attenzione di ognuno rendendo difficile l'ordinata comprensione del sistema simbolico all'interno del quale Michelangelo è inserito.
Ci sono vari modi per entrare nel sistema Sistina, tutti necessari. C'è prima di tutto quello della comprensione iconografica, della decodificazione simbolica. Occorre guardare e riguardare a lungo e poi tornare a guardare le scene affrescate cercando di collocarle nel tempo, nella storia, nella dottrina che ha dato loro immagine e significato.
C'è poi la comprensione del messaggio stilistico, operazione ardua per chi non è provvisto di una attrezzatura storico critica adeguata.
Quel 31 Ottobre del 1512 quando Giulio ii inaugurava con la liturgia dei vespri la volta da Michelangelo conclusa dopo una immane fatica durata quattro anni (1508-1512), il Papa non poteva immaginare che da quei più di mille metri affrescati sarebbe precipitato sulla storia dell'arte un violento torrente montano portatore di felicità ma anche di devastazione, come scrisse il Woelfflin nel 1899 con una bella metafora.
Di fatto, dopo la volta, la storia dell'arte in Italia e in Europa cambia radicalmente. Niente sarà più come prima. Con la volta ha inizio quella stagione delle arti che i manuali chiamano “del manierismo”. La volta -- scrive Giorgio Vasari -- diventerà la lucerna destinata a illuminare la storia degli stili per molte prossime generazioni di artisti.
Per capire la radicalità della rivoluzione operata da Michelangelo, bisogna confrontare la volta con gli affreschi che trent'anni prima lo zio di Giulio ii, Papa Sisto iv della Rovere aveva fatto affrescare dai massimi pittori dell'epoca: da Ghirlandaio, da Perugino, da Botticelli, da Luca Signorelli. Il visitatore che guarda prima gli affreschi della volta poi quelli delle pareti, avrà l'impressione che fra gli uni e gli altri ci siano non trenta ma trecento anni di distanza. Basterà questo confronto a far intendere anche al visitatore della prima volta e di una sola ora la profondità e le dimensioni di una mutazione, quella messa in opera dal Buonarroti, che è filosofica, spirituale, religiosa prima di essere stilistica.
C'è poi (al sapere dell'iconografo e alle competenze dello storico dell'arte si sovrappone e si mescola la sensibilità del conservatore) un tipo di approccio alla Sistina che riguarda l'uso che ai nostri giorni pesa su questo documento supremo della umana civilizzazione. È l'approccio che conosco bene perché tocca direttamente le mie responsabilità di direttore dei Musei Vaticani.
Cinque milioni di visitatori all'anno all'interno della Cappella Sistina, ventimila al giorno nei periodi di punta, fanno un ben arduo problema. La pressione antropica con le polveri indotte, con l'umidità che i corpi portano con sé, con l'anidride carbonica prodotta dalla traspirazione, comporta disagio per i visitatori e, nel lungo periodo, possibili danni per le pitture.
Potremmo contingentare l'accesso, introdurre il numero chiuso. Lo faremo se la pressione turistica dovesse aumentare oltre i limiti di una ragionevole tollerabilità e se non riuscissimo a contrastare con adeguata efficacia il problema. Io ritengo però che nel breve medio periodo l'adozione del numero chiuso non sarà necessaria. Intanto (è l'obiettivo che sta impegnando in questi mesi le nostre energie) è necessario mettere in opera tutte le più avanzate provvidenze tecnologiche in grado di garantire l'abbattimento delle polveri e degli inquinanti, il veloce ed efficace ricambio dell'aria, il controllo della temperatura e dell'umidità. Se ne sta occupando, con un progetto di altissima tecnologia, radicalmente innovativa, la multinazionale Carrier, azienda leader nel mondo nel settore della climatizzazione. Io confido che, entro un anno, il nuovo impianto potrà entrare in funzione.
Diceva Giovanni Urbani, grande maestro dei nostri studi, che alla nostra epoca non è dato avere un nuovo Michelangelo. A noi è dato però il dominio della tecnica la quale ci permetterà, se correttamente applicata, di conservare il Michelangelo che la storia ci ha consegnato nelle condizioni migliori, per il tempo più lungo possibile.

(©L'Osservatore Romano 31 ottobre 2012)



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