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domenica 9 giugno 2013

Il sogno nel Rinascimento - La mostra a Palazzo Pitti

“Se il sogno è di per sé fenomeno notturno e spesso inquietante, coincidente con una vacatio dell’anima cosciente che spalanca le porte della più abissale interiorità umana (ma anche, secondo radicate credenze, apre varchi al Divino), la rappresentazione del sogno è per gli artisti d’ogni tempo una sfida giocata sul duplice terreno della convenzione e della fantasia. 
E nel Rinascimento, le risposte artistiche a questa sfida furono – lo vedrà chi visita la mostra o sfoglia il catalogo – quanto mai varie e illuminanti” (Cristina Acidini).

Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Firenze 1503-1577) da Michelangelo
Allegoria della Notte
1553-1555 ca
Le parole della Soprintendente Cristina Acidini introducono con efficacia alla mostra che offrirà al visitatore la possibilità di addentrarsi per la prima volta in un argomento così coinvolgente e affascinante come il Sogno nel Rinascimento, cercando di metterne in luce la ricchezza e varietà.

Il tema del sogno assume infatti un rilievo particolare nella mitologia antica e nella cultura del Rinascimento, come dimostra il suo diffondersi nelle arti figurative ed in particolar modo in opere di soggetto religioso o legate alla riscoperta dei miti antichi.

Profetico o premonitore, illustrato da episodi celebri dell’Antico Testamento (i sogni del Faraone spiegati da Giuseppe ebreo, il sogno di Giacobbe, etc.) o dall’agiografia visionaria (sogni di Costantino, di san Francesco, di santa Orsola, etc.), il sogno si offre anzitutto come manifestazione e rivelazione di un altro mondo. Esso manifesta altresì, in senso profano, le possibilità induttive e speculative offerte all’animo umano; trasfigura il vissuto quotidiano e rivela la sua dimensione erotica; viene ad occupare un ruolo prezioso nella teoria e pratica dell’arte, non meno attente all’attività onirica che la letteratura, la filosofia o la medicina.

“Il taglio iconografico e iconologico scelto, inconsueto per le esposizioni italiane, consentirà al pubblico di guardare con occhi diversi ad opere celebri come, ad esempio, il Sogno del Cavaliere di Raffaello della National Gallery di Londra, cui, per la prima volta, sarà accostata la fonte principale fornita al Sanzio, il poema latino dei Punica di Silio Italico, stampato a Roma fra il 1471 e il 1472” (Alessandro Cecchi).

Lorenzo Lotto (Venezia 1480-Loreto 1556)
Apollo addormentato
1530 ca
Varie sezioni articoleranno la mostra, cominciando da quelle che definiscono e precisano il contesto nel quale il sogno si manifesta: la notte, il sonno. La Notte, che inaugura il percorso espositivo, vi sarà rappresentata con tutta la sua complessa simbologia ed in particolare attraverso alcune delle tante derivazioni plastiche e pittoriche tratte dalla Notte che Michelangelo scolpì nella Sagrestia Nuova, per il monumento funebre in memoria a Giuliano de’ Medici. La sezione successiva, intitolata La Vacanza dell’anima, metterà in primo luogo in risalto le opere legate al sonno, ne presenterà poi altre inerenti ai miti della classicità come il Fregio della Villa Medicea di Poggio a Caiano di Bertoldo, ma anche opere letterarie come la celebreHypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, in cui il sogno svolge un ruolo fondamentale. Li affiancano dipinti e incisioni di soggetto mitologico e allegorico, alcuni per la prima volta esposti a Firenze come il Sogno del cavaliere di Raffaello della National Gallery di Londra e il dipinto con Venere e Amore addormentati e spiati da un satiro del Correggio proveniente dal Museo del Louvre.

Visioni dell’Aldilà tratterà il tema del sogno nella tradizione biblica e religiosa, con esempi grafici e pittorici dei secoli XV e XVI, dal Sogno di Giacobbe all’Interpretazione dei sogni da parte di Giuseppe, ai Sogni e Visioni di sante e santi come Elena, Orsola, Caterina d’Alessandria, Agostino, Girolamo.

Anonimo fiammingo
Il sogno di Raffaello
tavola
Di importanza fondamentale è la sezione intitolata La vita è sogno, che trae origine dall’eccezionale fortuna iconografica di un disegno di Michelangelo, Il Sogno o la Vanità dei desideri umani, come dimostra il gran numero di riprese e copie che ne sono state eseguite, fra le quali quelle di Giulio Clovio, Francesco del Brina, Battista Franco, etc. Nella stessa sezione I sogni del principe, presentano la figura di Francesco de’ Medici ed il suo particolare e fecondo rapporto con il sogno, di cui ci sono pervenute varie testimonianze, spesso impregnate di fantastica teatralità (come L’Allegoria dei Sogni del Naldini che si trova nello Studiolo), in questo simbolicamente rivelatrici di quanto e come il Sogno fosse al centro del dibattito culturale della fine del Rinascimento. Sono, in questo ambito, presentati disegni, documenti, dipinti fra i quali il Ritratto di Bianca Cappello di Alessandro Allori con al verso l’iconografia del celebre Sogno di Michelangelo e, sempre dell’Allori la rara Spalliera di letto dai motivi onirici, conservata nel Museo Nazionale del Bargello.

La penultima sezione Sogni enigmatici e visioni da incubo presenterà opere inquietanti e di difficile interpretazione come la stampa raffigurante Il sogno del dottore di Albrecht Dürer dove è difficile comprendere se l’artista abbia rappresentato un sognatore tentato da Venere oppure i pericoli dell’accidia, o Cibele che si prende gioco di un alchimista addormentato davanti al suo forno. Ancora opere da incubo, abitate dal Diavolo inteso come Separatore, il grande Trasgressore e provocatore di incubi, che si affaccia quando la sovranità del giorno si arrende e appare il lato oscuro delle cose: ed ecco le visioni dell’Inferno
o le Tentazioni di Sant’Antonio, di Bosch, Brueghel, Jan Mandijn e Met de Bles.

Battista Dossi (Ferrara 1490 ca-1548)
Allegoria della Notte
1543-1544
La mostra si conclude con un richiamo all’Aurora considerata nel Rinascimento come lo spazio - tempo dei sogni veri (rappresentata da un dipinto di Battista Dossi) per aprirsi, infine, al Risveglio (con il Risveglio di Venere di Dosso Dossi, Bologna, Collezione Unicredit Banca) come espressione della ciclicità paradigmatica e complementare del tempo.

La mostra - promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze Musei e l’ Ente Cassa di Risparmio di Firenze - è stata organizzata dalla stessa Soprintendenza del Polo Museale di Firenze e dalla Réuniones Musées Natoniaux Grand Palais di Parigi dove avrà una seconda sede al Musée du Luxembourg (9 ottobre 2013 - 26 gennaio 2014 - con la cura di Chiara Rabbi Bernard, Alessandro Cecchi e Yves Hersant, che hanno curato anche il catalogo edito da Sillabe.
Sito: http://www.unannoadarte.it/ilsognonelrinascimento/index.html

Mi permetto di rimandare, poichè in mostra, a questa mia breve ricerca Raimondi e il "Sogno di Raffaello" dedicata alla celebre e enigmatica stampa dell'artista

Marcantonio Raimondi (S. Andrea in Argine?, Bo, 1480 ca-Bologna)
Il sogno di Raffaello
1508 ca

giovedì 8 novembre 2012

Una croce a Santa Croce?


Premetto che l'installazione di Palladino a Piazza Santa Croce a Firenze non mi convince per nulla. Una montagna di marmo senza senso che vista a livello stradale appare inconciliabile con l'ambiente urbanistico fiorentino mentre vista in pianta non è che un'insensata e inutile rivisitazione e trasfigurazione del segno più sacro alla cristianità. E poichè oggi da una parte, da una certa tipologia di artisti, si abusa troppo del simbolo e dall'altra, dal punto di vista dei fruitori, non si è più capaci di leggerlo e di comprenderlo trovo ancor più pericoloso trattare la croce con la superficialità della visione contemporanea che, come dimostrato in molte situazioni, è univoca ovvero non apre orizzonti di senso ma è pervasa da un nichilismo di fondo che sostanzialmente illude e confonde lo spettatore. La perdita, in questa "croce", della dimensione escatologica e staurologica non può inoltre che allontanare l'installazione dalla pur paventata idea di arte sacra attuale.

Così leggiamo sul sito della Fondazione Florens


"Una gigantesca croce di 80×50 metri realizzata disponendo davanti alla basilica francescana più di 50 blocchi di marmo estratti dalle cave di Carrara, diversi per dimensioni (dai 2 ai 4 metri di altezza), peso (alcuni fino a 38 tonnellate), forma e colore. Su ogni blocco Paladino inciderà e tratteggerà segni arcaici, volti, arti, cifre e lettere: tutti elementi che contraddistinguono il suo linguaggio figurativo e attraverso cui Paladino affronta ed esplora i simboli e le iconografie cristiane da cui trarre ispirazione. La monumentale croce entrerà in dialogo con la facciata ottocentesca di Santa Croce e sarà percepibile nella sua interezza dal sagrato e dalle finestre dei palazzi, mentre l’invaso della piazza sarà coperto con un tappeto di ciottoli bianchi dell’estensione di circa 4.000 metri quadrati: un candido manto di marmo che rifletterà la luce del sole e quella artificiale notturna trasformando piazza Santa Croce in uno specchio di spiritualità e arte, un immenso foglio bianco su cui Paladino ha immaginato di disporre i blocchi in forma di croce.

Il progetto, a cura di Pino Brugellis e Sergio Risaliti, associa l’universalità del simbolo cristiano alla contemporaneità del patrimonio artistico, che in questa occasione viene re-interpretato offrendo una nuova esperienza della piazza e restituendola ad una sua originaria identità, quella di spazio pubblico, e, insieme, di spazio sacro: le pietre impressioneranno con la loro mole lo sguardo dei cittadini, attratti all’interno della croce come in un labirinto o in un sacro recinto dei primordi" (link)

Così invece risponde Tomaso Montanari dalle pagine del Corriere

"Non parliamo poi di Mimmo Paladino: centomila euro (di questi tempi!) spesi per una sorta di trasloco di marmi, con la brillantissima idea della croce in Santa Croce. Come si può pensare che un’opera calata dall’alto per qualche giorno, un’installazione che non ha nulla a che fare col vivo tessuto degli artisti attivi a Firenze possa ‘redimere’ la socialità malata di quel quartiere? Davvero qualcuno pensa che qualcosa cambierà? E cosa dire del consumismo che esibisce tonnellate di marmo, incurante delle polemiche sull’insostenibilità del crescente fabbisogno di quella pietra? O della coazione ad occuparsi sempre e solo delle quattro o cinque piazze consacrate dal turismo di massa? E sì che l’artista ha parlato proprio di arte e spazio pubblico in una delle ‘lectio’ (sì, nel programma si usa ‘lectio’ anche al plurale: il latino non è una macchina da soldi, dunque si può benissimo usarlo senza conoscerlo)"


Per tacere poi su tutta la simbologia alchemica e sapienziale insita nell'opera e che va esattamente nella direzione opposta della spiritualità cristiana

http://fidesetforma.blogspot.com/2012/11/la-croce-di-paladino-in-santa-croce-fra.html

giovedì 21 giugno 2012

Michelangelo - Venere e Amore

Come sempre ci si va cauti ma l'ipotesi della (ri)scoperta di un Michelangelo è sempre affascinante, ancor più perchè la posa di Venere nella formella analizzata ricorda tanto l'Adamo della Sistina.

Una formella di marmo presente dal XVIII secolo nel Cortile di Michelozzo di Palazzo Medici Riccardi a Firenze sarebbe stata scolpita da Michelangelo Buonarroti, lo geniale scultore fiorentino del Rinascimento. A identificare la scultura, intitolata 'Venere e Amore' e rappresentante una donna con in braccio un bambino, sono stati i due storici dell'arte Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi.

Ulteriori studi e indagini saranno intrapresi; tuttavia, lo stile, i riferimenti iconografici e culturali, le misure della forma (originariamente l'opera doveva avere una larghezza di 67-68 cm, con un rapporto tra dimensioni di 2:3, tipico di Michelangelo) e, naturalmente, l'elevata qualità dell'opera fanno pensare che questa formella sia proprio una formella di Michelangelo.


Michelangelo (att.) Venere e Amore 

e naturalmente c'è il cartone michelangiolesco con questo soggetto dal quale Pontormo ha tratto la sua opera.


Un articolo più completo da Fiorentini nel Mondo

Attribuita al Buonarroti una formella di marmo nel Cortile di Michelozzo: raffigura l’abbraccio di una donna nuda con un bambino. “Talvolta, capolavori sconosciuti si nascondono, ovvero si mimetizzano, dinanzi a innumerevoli sguardi”, così un rilievo di marmo inserito nel Cortile di Michelozzo di Palazzo Medici Riccardi nei primi anni del XVIII secolo è oggi presentato come opera attribuibile a Michelangelo Buonarroti. La composizione, l’iconografia, i riferimenti letterari, l’altissima qualità, la tecnica e lo stile della scultura, i confronti e le coincidenze con le opere di Michelangelo, rendono l’attribuzione di questa formella al grande Maestro fiorentino molto più che un’ipotesi.
Quasi al centro di uno dei grandi “cartelloni” collocato sulla parete meridionale del cortile, esattamente quella verso l’angolo occidentale, il piccolo rilievo marmoreo, raffigurante una donna sdraiata teneramente abbracciata a un bambino, rivela la sua natura rinascimentale, benché sia stata inserita fra reperti in marmo greci e romani. La ricostruzione storica della collocazione di quest’opera risale a dopo che i Riccardi avevano acquistato, nel 1659, il Palazzo Medici di Cosimo il Vecchio in via Larga, capolavoro del XV secolo: nel primo Cinquecento lo studiò Leonardo, vi lavorò Michelangelo. Nel mirabile Antiquarium creato da Francesco Riccardi, alcuni pezzi furono oggetto di critiche da parte di studiosi che mettevano in dubbio l’antichità di alcuni frammenti. Il rilievo rinascimentale ora individuato potrebbe persino essere stato eseguito come un “falso-antico”, pratica nella quale si distinse lo stesso Buonarroti.

L’opera, rotta in più frammenti in epoca imprecisata, fu ricomposta e incastonata nell’attuale cornice prima del 1715, sicuramente prima del 1719, anno dell'ultimo pagamento dei lavori eseguiti da Foggini e dai suoi allievi per i Riccardi. Lo studio sulla “lastrina” e l’ipotesi di attribuzione del rilievo a Buonarroti è stata avanzata per la prima volta da Gabriele Morolli e Alessandro Vezzosi nel recentissimo volume “Michelangelo Assoluto”, edito da Scripta Maneant (Reggio Emilia, 2012), a cura dello stesso Vezzosi, con introduzioni di Carlo Pedretti e Claudio Strinati, contributi (oltre che di Morolli) di Lucilla Bardeschi Ciulich, Rab Hatfield, Marina Mattei, e arricchito dalle interpretazioni fotografiche di Aurelio Amendola.

“La Provincia di Firenze accoglie con molto entusiasmo questa ricerca, portata avanti con serietà e competenza – ha commentato il Presidente dell’amministrazione provinciale Andrea Barducci - . L’attribuzione del rilievo a Michelangelo è anche un’occasione per riscoprire le bellezze, spesso poco note, di Palazzo Medici Riccardi. Proprio per questo motivo, è stata messa in programma un’operazione di accurata ripulitura delle sculture conservate nel Cortile di Michelozzo”.

La lastrina di marmo misura attualmente cm 43,5x58, mentre - come ricostruisce Gabriele Morolli - le misure presumibilmente originarie dell’opera, di cui oggi non si vede il termine a destra, potevano raggiungere una larghezza di 67-68 cm, mentre l’altezza doveva essere di poco superiore a quella attuale. Una misura ‘non fiorentina’ – chiarisce Morolli – usata da Michelangelo in quanto diviso nella sua biografia artistica tra Firenze e Roma, e tendente alle proporzioni del rapporto 2:3 di quinta musicale. Il rilievo rinascimentale è stato denominato “Venere e Amore” nell’ambito di una ricerca che ha permesso di individuare chiari parallelismi e convergenze con i caratteri di molte opere di Michelangelo, a partire dal contrasto tra il levigato, il ruvido e il ‘non finito’.

La formella Riccardi potrebbe anche essere una traduzione scultorea della Venere e Cupido “disegnata da Michelangelo e colorata da Pontormo”, ideata dal Buonarroti tra il 1532 e il 1533 per la camera di Bartolomeo Bettini e rielaborata negli anni in almeno sedici dipinti identificati e in altri sedici documentati, oltre a disegni e cartoni, da artisti come Agnolo Tori detto il Bronzino e Giorgio Vasari (cfr. la mostra “Venere e Amore” del 2002 nella Galleria dell’Accademia). Ma per Morolli e Vezzosi è più probabile che sia invece un antecedente databile verso il 1504 e in relazione con il Tondo Pitti (Firenze, Bargello) e il Tondo Taddei (Londra, Royal Academy). Senza escludere tuttavia l’ipotesi suggestiva del periodo mediceo nel Giardino di San Marco, o “degli esperimenti antiquari” per Pierfrancesco de’ Medici (nell’ultimo decennio del ‘400). Interessante per l’analisi di questa Venere Medici-Riccardi, il confronto con disegni come la figura distesa nella Studio per un Baccanale di Bayonne (attribuito a Michelangelo da Tolnay e Buck) e il frammento che si conserva a Colonia nel Wallraf-Richartz-Museum. Entrambi potrebbero essere in relazione con una precedente idea compositiva di Michelangelo, o con varianti di cui si ha un’eco nel disegno dello stesso Pontormo che trasforma il bacio incestuoso nell’abbraccio di una Madonna che allatta.

Questa Venere Medici-Riccardi presenta sì la potenza dell’Amore, ma un nudo femminile meno eroico e più aggraziato, meno virile di quello di Michelangelo-Pontormo che l’Aretino lodava per aver fatto Michelangelo “nel corpo di femmina i muscoli di maschio”. La posizione di questa Venere presenta affinità compositive persino con l’Adamo nella volta della Cappella Sistina, con l’Aurora e la Notte nelle Cappelle Medicee, con il dipinto perduto (e il cartone) di Leda e il cigno, con Venere e Amore di Pontormo-Michelangelo (Firenze, Galleria dell’Accademia), e continuano con il Sogno della vita umana (Londra, Courtauld Institute) e con il disegno di Sansone e Dalila (Oxford, Ashmolean Museum), fino al San Paolo dell’affresco vaticano.

Risalta nel rilievo un senso astraente e dinamico nei volumi, sensibile in luce e in ombra, nell’invenzione e reinvenzione della posizione resa celebre verso il 1517-1520 dall’incisione di Marcantonio Raimondi da Raffaello; ma certo Michelangelo – afferma Vezzosi – non aveva bisogno di Raimondi per una simile soluzione iconografica di così “elegante vivacità d’artifizio”. Un nuovo riconoscimento di autografia riferita a Michelangelo è di estrema complessità. Ulteriori indagini e studi proseguiranno, insieme a nuovi confronti critici, per approfondire l’attribuzione del rilievo Medici-Riccardi al Buonarroti, ma già quanto evidenziato ha di per sé grande fascino e credibilità. “Anche se non fosse opera di Michelangelo ma di un suo seguace – commentano Morolli e Vezzosi – crediamo che l’individuazione di questo rilievo Medici-Riccardi raffigurante Venere e Amore rappresenti la sorprendente riscoperta di un raffinato, piccolo capolavoro”.

La lastrina in marmo - alta 43,5 cm e larga 58 circa - risulta ricomposta con 9 frammenti di differenti dimensioni: ha un bordo rilevato (un liscio nastrino a listello) sia sul lato verticale sinistro che su quello orizzontale superiore, che attualmente in basso e a destra. I personaggi scolpiti sono due. Una donna nuda è adagiata in una morbida posa, posta com’è sul fianco destro, sostenuta dal braccio elasticamente flesso e “puntellata” sul polso ripiegato e sulla mano rivolta verso l’esterno; mentre il braccio sinistro si protende nella porzione superiore del marmo. Il volto si presenta in un tagliente profilo, mentre le due gambe sono scolpite in ardito contrapposto: la destra completamente allungata e la sinistra fortemente ripiegata sin sotto la coscia.

Il fanciullo si avvita teneramente in grembo alla ‘madre’, ponendosi disinvoltamente a cavalcioni della coscia sinistra, stringendola con le gambette piegate e salendo con il piccolo busto lungo il petto della figura femminile, della quale il braccino sinistro cinge dolcemente il capo, in modo che la riccioluta testa del bambino possa giungere all'altezza del volto materno quasi a unire le labbra in un bacio. “Una composizione sapiente - nota Gabriele Morolli - dove ogni gesto è inserito in un contesto generale di accorti bilanciamenti e contrappunti. La superficie marmorea è lavorata in modo variegato: dalla finitura quasi perfetta di alcune parti alla sbozzatura meno definita di altre, fino a porzioni arditamente ‘non finite’, come i volti dei personaggi. Come in una seducente, generale impressione di work in progress, di ‘prova d’artista’”.

martedì 13 marzo 2012

Chi cerca (non) trova - Settis su Vasari e Leonardo

Bocciatura senz’appello dell’operazione mediatica sulla Battaglia d’Anghiari. La Repubblica, ed. Firenze, 13 marzo 2012

Il sindaco di Firenze Renzi ha annunciato magnum cum gaudio che alcuni ricercatori avrebbero dimostrato inoppugnabilmmente che dietro l’affresco del Vasari si nasconde una versione leonardesca della Battaglia d’Anghiari. Tra le riserve scientifiche all’operazione quella di Salvatore Settis 

Si è capovolta la gerarchia naturale dei valori». Salvatore Settis, storico, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa, ha presieduto fino al 2009 il Consiglio superiore dei beni culturali. Sè anche primo firmatario dell´appello di 101 studiosi, intellettuali e storici dell´arte che nei mesi scorsi ha chiesto di interrompere le ricerche della Battaglia di Anghiari, fortemente voluta, invece, da Palazzo Vecchio. E non usa cautele nell´esprimere il suo giudizio su un´operazione che definisce «soltanto mediatica»: «Invece di salvaguardare al massimo un´opera d´arte certa quale è la Battaglia di Scannagallo del Vasari», spiega Settis, «cioè di cercare di non farle correre alcun rischio, si va alla ricerca di un´opera soltanto ipotizzata, con possibilità secondo me minime di trovarla davvero, trattando quella certa come se fosse un incomodo di cui quasi non si vede l´ora di liberarsi. Fino a giungere addirittura ad ipotizzare di poter togliere qualche pezzetto rifatto nell´Ottocento, ammesso che ci sia...». 

Professor Settis, ammetterà che anche la sola ipotesi che si possano trovare delle tracce di un´opera di Leonardo sottostante quella del Vasari, possa valere quantomeno la curiosità di una indagine... 

«Il dramma di questo paese, che si sta replicando in modo esemplare in questo caso, è che occuparsi di beni culturali sembra ormai risolversi in una continua spettacolarizzazione, mirata su singole opere d´arte, o singoli interventi di restauro. Un fatto di costume che io giudico altamente negativo, perché orienta l´attenzione soltanto su operazioni di immagine, che riguardano dieci o venti monumenti di grande richiamo, lasciando che tutto il resto vada in malora». 

D´altra parte esistono dei risultati scientifici, che Comune e Soprintendenza hanno sempre sostenuto di considerare sufficienti a procedere. 

«Ma è mai possibile che in un luogo di straordinaria importanza come il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, e avendo a che fare con opere di un Leonardo e di un Vasari, si considerino sufficienti le analisi di un laboratorio privato di Pontedera? E´ mai possibile che non valesse la pena, in un caso del genere, di ricorrere, prima di qualsiasi dichiarazione e di qualsivoglia annuncio, quantomeno a un controllo incrociato di dati, prodotti da laboratori di altissimo livello, diversi e indipendenti, cioè che non sapessero niente l´uno dell´altro, in modo da essere supercerti di quello che si sarebbe detto? Tutto questo non è stato fatto e mi chiedo perché. Tanto più che almeno una funzionaria dell´Opificio delle pietre dure, da tutti riconosciuta come molto seria, ha chiaramente detto che i dati a disposizione non le sembravano attendibili. E´ ovvio che anche solo questi dubbi avrebbero dovuto obbligare alla massima prudenza». 

Non la convince nemmeno l´ultima novità, e cioè l´accertata «compatibilità» fra i pigmenti rilevati sotto l´affresco del Vasari, e quelli repertati e certificati dal Museo del Louvre nel 2010 e relativi alla Gioconda e al San Giovanni Battista di Leonardo? 

«Ripeto, qui si trattava di fare confronti secondo un metodo ben più rigoroso, come quello, per esempio, che abbiamo adottato in occasione degli studi sulla pendenza della Torre di Pisa. Ogni volta che abbiamo dovuto fare analisi di qualche tipo, geologico, statico, prima di prendere una decisione tecnica le abbiamo ripetute due o tre volte affidandole ogni volta a laboratori diversi, e che laboratori: dall´Università di Harvard al Politecnico di Milano, ad altri ancora sparsi per il mondo. Insisto: un Vasari e un Leonardo non avrebbero meritato altrettanto impegno? Del resto ad ammettere un errore non c´è niente di male, capita a tutti, si guardi il caso dei neutrini che sembravano più veloci della luce, un errore non a caso venuto fuori proprio grazie al controllo incrociato di dati elaborati da laboratori diversi». 

Si può sempre obiettare che l´indagine è partita con lo stimolo di uno sponsor privato, che se ne è accollato tutti gli oneri e ha anzi dotato il Comune di fondi utilissimi al suo disastrato bilancio. 

«Proprio perché si ha avuto la fortuna di trovare uno sponsor del genere, in tempi come questi, mi si deve spiegare perché non lo si sia utilizzato per la priorità delle priorità, e cioè la tutela e la conservazione del patrimonio storico artistico, che come tutti sanno sta andando in malora. E di cui, diciamo la verità, non importa davvero niente a nessuno, perché quel che importa è di fare, ogni tanto, cose spettacolari, anziché, giorno dopo giorno, investire sulla conservazione capillare di tanti beni diffusi su tutto il territorio nazionale. Ma mi meraviglio che da una regione come la Toscana, e da una città come Firenze, non solo non venga questo esempio, ma arrivi quello contrario». 

Carratù, Maria Cristina


Da questo link invece l'articolo di Tomaso Montanari dal Corriere Fiorentino: "La riprova scientifica che ancora manca".

Emerge il nero a Palazzo Vecchio! Ma no, non c’entrano i fondi di Lusi: è il colore della Gioconda. Anzi, vuoi vedere che in quell’intercapedine c’è anche qualche capello di Monna Lisa in persona? Magari ci sono perfino le ossa: e sai come schiatterebbero alla Provincia, che scava inutilmente a Sant’Orsola, se le trovasse il Renzi? E c’è già chi dice che Vasari abbia costruito una intercapedine minore per preservare un torsolo di mela morsicato da Leonardo. Se siamo fortunati, l’analisi del DNA scioglierà l’enigma, anzi il mistero: a Leonardo piacevano le mele? Meglio provare a sorridere, perché a prendere seriamente la conferenza stampa di ieri viene da piangere. Domani l’opinione pubblica globale sarà riportata, come per incanto, ad una dimensione pregalileiana della conoscenza. Tutti i media titolano infatti sulle ‘prove’ della presenza di Leonardo: ma di quali prove parliamo?

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