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lunedì 20 gennaio 2014

Sergio Lombardo - Anni 70 - Conferenza del 16 gennaio 2014 al Palazzo Delle Esposizioni


Sergio Lombardo. Autore di Progetto di morte per avvelenamento del 1970, un'opera che si concretizza nell'offerta allo spettatore di una emblematica scelta tra la vita e la morte, Sergio Lombardo ha dedicato gran parte della sua ricerca all'influenza che la psicologia e l'arbitrio hanno sulla definizione della realtà e della sua rappresentazione attraverso il linguaggio. Il testo si riferisce alla conferenza tenuta da Lombardo presso il Palazzo delle Esposizioni lo scorso 16 gennaio. Il titolo della conferenza è 

ANNI '70
DOPO IL GRANDE SUCCESSO INTERNAZIONALE DEGLI ANNI '60
L'ITALIA RINUNCIA ALL'AVANGUARDIA
IN NOME DELL'ANACRONISMO

Il file in questione riporta, per punti, il discorso affrontato dal maestro mostrando, attraverso la documentazione bibliografica e la cronologia degli eventi come sia stata tradita e affossata l'avanguardia italiana, in particolare l'avanguardia romana degli anni Sessanta. Il testo riporta solamente delle impressioni in forma schematica e non è da intendere come un saggio completo ma solo come uno schema ricco di spunti critici da approfondire.

- See more at: http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/anni-settanta-roma-in-mostra

Sergio Lombardo - Progetto di morte per avvelenamento
Per maggiori testi consultare il seguente link: http://www.sergiolombardo.it/pubblicazioni.html


 

mercoledì 22 aprile 2009

Grande Vetro - Grande Opera



Breton, nel manifesto del Surrealismo del 1924, dichiarò di voler assumere la sapienza Alchemica a modello di un “occultamento” per evitare assolutamente al pubblico di entrare nell’opera, ovvero tenerlo alla porta della provocazione, confuso e sfidato, così le avanguardie, spesso, cercarono dietro astruse e insensate provocazioni, di nascondere un sapere ermetico. Ne fu un anticipatore lo stesso Duchamp, massimo interprete del Dadaismo, il quale, nella sua opera "La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli", opera nota più brevemente come "Il Grande Vetro", cui lavorerà dal '15 al '23 senza portarla mai decisamente a termine, (nel '27 fu danneggiata durante un trasporto - ma Duchamp lasciò intatta la frattura del vetro considerandola un'aggiunta "casuale") nascose, dietro il precetto alchemico del “silenzio” un significato ben più profondo della stessa provocazione visiva. Come dice calvesi lo “spiritoso” nel suo lavoro, oltre a rimandare all’ironia e l’assurdo, che rimangono sempre principi fondanti, rimanda anche all’utopia spiritualista.

Il criptico sottotitolo dell’opera “La Mariée mise à nu par ses célibataires, meme”, "La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli", può essere sottoposto ad una seconda lettura, secondo il principio delle doppie letture omofone largamente usato da Raymond Russell, e suona così “La Marie est mise à nue pas ses céli-batteurs”, ovvero “Maria è messa nella nuvola dai propri trebbiatori celesti o celi-trebbiatori”. Dietro l’apparente gratuità della realizzazione, allora, si cela un complesso sistema di simbologie; qualcuno l’ha definita “macchina autopoietica” la quale, esclusivamente in relazione alla propria autoreferenzialità e sistemi concettuali interni, mantiene una sorta di “autocomportamento”.
Maria “portata nella nuvola” è la Vergine Assunta e, in effetti, come nelle tradizionali iconografie dell’Assunzione, il Grande Vetro (notare il gioco di parole fra Grande vetro e Grande Opera) è diviso in due parti, terrestre e celeste; nella prima vediamo una nuvola con tre quadrati, nella seconda un parallelepipedo in prospettiva, simboleggiante un feretro vuoto; i “trebbiatori celesti”, invece, richiamano la definizione duschampiana dell’opera come “macchina agricola” e come “macchina a vapore” con “base in muratura” (ovvero il fondamento massonico-ermetico-filosofale che la spiega).

Nel linguaggio dell’alchimia la trebbiatura (“celeste”), l’assunzione della Vergine incoronata dalla Trinità e il denudamento della sposa sono tutte metafore, codificate nei trattati (come nell’immagine tratta dal Rosarium Philosophorum), che significano la purificazione della materia e la sua trasformazione in “pietra filosofale”. I dettagli sono molti:

La “macinatrice di cioccolato”, come l’artista chiama il congegno con tre rulli (la macina della Malinconia di Durer) che serve a triturare la materia “al nero” (indicata come cioccolato).

I sette “setacci” o “crivelli” che la sovrastano corrispondono alle sette chiavi delle operazioni e sono strumenti di progressiva raffinazione.

Il “mulino ad acqua” incorporato nel carro-sarcofago e con sopra le “forbici” a croce (secondo i termini di Duchamp) alludono al progressivo dissolvimento della materia la quale, una volta “dissolta”, sale al cielo come vapore.

Nel cielo la nuvola con tre finestre (allusive alla Trinità) ricondenseranno la materia per farla tornare sulla terra in forma di gocce fertilizzanti (rugiada filosofica) e dare nuovo avvio al processo alchemico.
L’opera così in sé è una continua polarizzazione di principi positivi e negativi e credo che la sua essenza risieda proprio in questa sua ineffabilità, in questa mancanza; il Vetro, ovvero l’assenza dell’ elemento che pone una distanza fra l’opera e l’osservatore, inoltre, contribuisce ad aumentare questa partecipazione passiva al processo, questa sorta di ermeneutica infinita che non finirà mai di colpire.
cfr. M. Calvesi, Arte e alchimia; M. Eliade, Il mito dell'alchimia.

Duchamp, Grande Vetro

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