venerdì 30 aprile 2010

Ossessione Las Meninas

Las Meninas è un dipinto ad olio su tela realizzato nel 1656 dal pittore Diego Velázquez e conservato al Museo del Prado di Madrid. Raffigura l'infanta Margherita e la sua corte di damigelle mentre il pittore sta dipingendo la famiglia reale? Il dipinto, capolavoro della pittura spagnola, ha da sempre suscitato ammirazione e domande proprio per il posizionamento spaziale delle figure e i limiti della raffigurazione. Foucault per esempio inizia Le parole e le cose con una densa descrizione del celebre quadro. La sua spiegazione del dipinto serve a tematizzare la struttura del sapere nell'età classica; l'analisi mostra come vi siano raffigurati tutti i temi della concezione classica della rappresentazione: il pittore, che ha smesso per un attimo di dipingere, sta fissando uno spazio nel quale siamo collocati noi, in quanto spettatori. Non possiamo vedere cosa stia dipingendo, perché la tela ci volge il retro. Tuttavia, proprio per la composizione del quadro, noi siamo assoggettati allo sguardo del pittore, siamo uniti al dipinto in quanto sembra che il pittore stia guardando proprio noi. Invece "il pittore dirige gli occhi verso di noi solo nella misura in cui ci troviamo nel luogo del suo modello. Noialtri spettatori siamo in sovrappiù". E' evidente che noi occupiamo lo stesso spazio che è occupato anche dal modello del pittore. Sulla parete in fondo alla sala possiamo vedere una serie di quadri quasi interamente oscurati dalla penombra. C'è tuttavia un'eccezione che risalta con evidenza: si tratta di uno specchio. Ciò che vediamo nello specchio è l'immagine di due personaggi, il re Filippo IV e sua moglie Marianna. Essi costituiscono il modello reale che il pittore sta dipingendo; nel quadro, accanto allo specchio, è situato il vano di una porta, nel quale è racchiusa l'immagine di un uomo, colto nell'atto di osservare la scena del dipinto, sia le figure che sono in esso rappresentate, sia i modelli che il pittore sta ritraendo. Chiaramente, questo personaggio è una rappresentazione dello spettatore.
L'opera è stata più volte fonte di ispirazione, specialmente nel '900 a cominciare da Picasso.




Di seguito alcuni esempi di altri artisti contemporanei, tratti dal blog http://segniesogni-prova.blogspot.com/






giovedì 29 aprile 2010

Bill Viola e Michelangelo nella Galleria dell'Accademia


La suggestione del silenzio e della lentezza esalta il dolore persistente e profondo delle immagini che scandiscono i secondi. Non un respiro, lo sguardo teso all’evento. Sensi e spiritualità all’unisono aspettano. Un tempo sospeso, che raggiunge il culmine nel momento in cui la salma bianca fuoriesce dalla cisterna/sepolcro. Il video Emergence di Bill Viola (New York, 1951) propone attimi di stupefacente emozione. Proiettato su un grande schermo che per la prima volta pone fuori dalla vista la statua del David, è mostrato - nei giorni seguenti l’evento inaugurale -in una stanza a lato del grande salone dei Prigioni nella Galleria dell’Accademia fino al 9 maggio.
Il gruppo marmoreo della Pietà restaurata adesso è dialogante e perfettamente consono agli altri marmi che idealmente accompagnano il visitatore al David. E dialoga anche con il video dell’artista contemporaneo, esaltando un percorso e una meta di bellezza.
Bill Viola parafrasa la deposizione e filtra le immagini attraverso la sua pratica contemplativa di vita e di arte. (Fonte: exibart)

Nelle opere di Bill Viola la prassi iconografica risente di importanti modelli della pittura rinascimentale italiana ed europea, anche il repertorio gestuale e musicale, che segna le diverse esperienze dei passaggi nel tempo, pare rievocare un teatro di Pathosformeln della memoria – una lezione warburghiana di cui l’artista risente come da lontano, forse ereditata dalle sue frequentazioni con Frances Yates, come la sua video-installazione Teatro della Memoria (1985) palesemente ricorda. (Fonte: engramma)
In emergence è chiaro il riferimento all'iconografia rinascimentale della pietà; si pensi a quella di Piero della Francesca o a quella di Masolino.






Tanti volti per Marina



C'è chi piange e chi ride, chi resiste pochi minuti e chi diverse ore e poi c'è lei, Marina Abramivic, che ogni giorno resta seduta al Moma per 420 minuti, nella performance più lunga che sia mai stata realizzata: The artist is present (dal 14 marzo al 31 maggio). La pagina Flickr del Moma mostra ogni giorno i ritratti delle persone che si sono seduti davanti l'artista, indicando il giorno, l'ordine e i minuti che hanno resistito. Una carrellata di volti, espressioni e emozioni.


mercoledì 28 aprile 2010

Charles Moulin

Charles Moulin (Lille, 6 gennaio 1869 – Isernia, 21 marzo 1960).

Charles Moulin venne per la prima volta in Italia nel 1896 con la borsa di studio dell’Accademia di Francia, il famoso “Prix de Rome”, il più ambito riconoscimento per un artista dell’epoca che dava diritto ad un soggiorno gratuito nell’Urbe presso la sede dell’accademia, Villa Medici, per perfezionare gli studi pittorici. Vi aveva partecipato col suo amico Henri Matisse ma quest’ultimo, poco accademico, non aveva ricevuto neanche una menzione. Moulin si trasferì a Roma l’anno successivo e rimase catturato dalla luce e dal sole mediterraneo, ossessionato dalla possibilità di tradurre la luce in pastello. Nel 1901 tornò a Parigi e qui dipinse Orfeo ed Euridice. Conobbe una ragazza di nome Emilia e se ne innamorò, ma non la poté sposare perché già promessa a un ricco signore. Nel 1904 il pittore tornò in Italia e si fermò per alcuni mesi ad Anticoli Corrado, il paese delle modelle, nei pressi di Roma. In seguito giunse a Castelnuovo al Volturno, nel 1911 con l’intenzione di rimanerci solo alcuni giorni, per far visita ad uno zampognaro, tal Vincenzo Tommasone, che a Parigi era stato suo modello e che, durante le sedute di posa, soleva raccontare con toni poetici le bellezze dei suoi monti d’origine.
L’artista rimase così incantato dai paesaggi del luogo che decise di stabilirsi nel piccolo paese molisano per il resto della sua vita, rapito dal paesaggio e dalla natura prorompente dei monti e dei boschi delle Mainarde. Si allontanò dal paese solamente per brevi periodi: durante la prima guerra mondiale e in occasione di esposizioni a New York e alla Mostra del Salone di Parigi. Visse da eremita in una capanna sul Monte Marrone detestando il denaro (rifiutò persino un assegno vitalizio accordatogli dall’Accademia di Francia) e regalava i suoi pastelli ai pastori e ai contadini in cambio di una minestra o di una fascina di legna da ardere. Condusse un’esistenza libera, a contatto con la natura primitiva che egli cercò di comprendere e interpretare in ogni espressione. Affermava che “per fare il bello occorre vederlo” ma che per vederlo occorre conoscerlo (diceva ancora “Vorrei rendere il pensiero attraverso la natura, esprimermi secondo quanto mi detta, dentro lo scenario meraviglioso che mi circonda e nel quale io trovo la pace dello spirito”).
Viveva di decotti (corteccia d’alberi, foglie, erbe) che cucinava nella capanna che aveva costruito con le sue mani e che fungeva anche da suo studio. Solo rare volte scendeva in paese per un piatto caldo e in cambio donava i suoi quadri. Era gioviale e spiritoso e dalla vita estremamente frugale, per non dire eremitica: nella sua capanna possedeva poche cose tra cui una bambola di pezza che egli presentava come “la sua signora”. La gente del posto conserva di lui un’immagine leggendaria che lo vuole intento ad impastare erbe per procurarsi i colori o in atteggiamenti di familiarità con gli orsi. Nella bocca di chi lo ha conosciuto, Moulin (o meglio Mussiè Mulà, come soleva chiamarlo la gente del posto) era un mago che abitava tra i monti, parlava con gli orsi, realizzava pozioni miracolose e viveva con un serpente.
Non seguì per la forma alcuna corrente artistica, né per il contenuto sposò correnti di pensiero ma tradusse in pittura quello che in piena libertà vedeva e sentiva: l’arte, per lui, era la traduzione, con forme materiali, dell’immateriale, “il suo scopo è di commuovere e di incantare”. “Un neoclassico, un romantico, un purista, un impressionista? Né l’una né le altre di queste cose o tutte insieme, forse. Una creatura solare, certamente, che nella luce del meraviglioso paesaggio molisano trovò motivi sublimi per la sua vita e per la sua arte” (Sabino d’Acunto).
Alcuni dei suoi lavori sono oggi conservati nei musei di Versailles e di Lille ma la maggior parte appartengono a collezioni private; a Rocchetta a Volturno se ne possono ammirare diversi tra cui gli splendidi paesaggi presentati in questa sede e raffiguranti Castelnuovo bombardata dagli americani nel 1944. Ci piace immaginare che le vite di questi due singolari personaggi, Charles e Giaime, si siano incontrate tra i sentieri di Monte Marrone; in questo senso abbiamo riservato il giusto spazio a questi tre significativi dipinti.

Il rifugio su monte Marrone


Castelnuovo dopo il bombardamento conservata presso il comune di Rocchetta


domenica 18 aprile 2010

Danto on art - Una lezione in podcast


Arthur Coleman Danto è un critico d'arte statunitense; i suoi scritti hanno aperto significativi dibattiti circa lo statuto ontologico dell'opera d'arte e l'esperienza della bellezza. Le sue teorie estetiche e l'idea di teorizzare una sorta di filosofia dell'arte sono a tutt'oggi in discussione quali punti di riferimento imprescindibili per la critica d'arte contemporanea. Segnalo naturalmente il suo testo più famoso La trasfigurazione del banale e questa lezione in podcast, dal titolo Danto on Art, fruibile e scaricabile dal sito http://www.partiallyexaminedlife.com/ oppure da questo link. Interessanti, a riguardo, anche i commenti dello stesso Danto apparsi sulla sua pagina su facebook. Per concludere una recensione all'Abuso della Bellezza.

martedì 13 aprile 2010

Andrea pozzo - Mirabili disinganni


In occasione del III centenario della morte, Andrea Pozzo (Trento, 1642–Vienna, 1709), religioso della Compagnia di Gesù, figura-chiave dell’arte del XVII secolo, torna protagonista a Roma (a pochi passi da alcuni dei suoi massimi capolavori, nelle chiese di S. Ignazio e del Gesù), grazie alla mostra “Mirabili Disinganni”, che fa il punto su un artista capace di misurarsi con uguale maestria in discipline diverse come pittura, architettura e scenografia (fino ad imporsi come un modello di ‘multimedialità’ oggi più che mai attuale), sempre nel segno di un’attenzione del tutto inedita per le tecniche prospettiche e l’inganno visivo.
Allestita presso l’Istituto Nazionale per la Grafica, che ha di recente acquisito le circa 200 matrici originali per la stampa delle illustrazioni della Perspectiva Pictorum et Architectorum (il trattato di Pozzo che tanta influenza avrà sull’arte dei decenni successivi), l’esposizione ospita – tra le altre opere che arricchiscono le 15 sezioni – bozzetti (straordinari quelli della volta e della finta cupola nella chiesa romana di S. Ignazio), incisioni e schizzi preparatori che testimoniano l’attività dell’artista come pittore di figura e quadraturista; raffinati disegni, provenienti dagli Uffizi, degli scenografici apparati delle “Quarantore”, teatri sacri allestiti nelle chiese dei gesuiti, spettacolari creazioni “effimere” che sono tra le vette dell’inventiva geniale dell’artista; il modello ligneo, di straordinario impatto visivo, eseguito per l’altare di san Luigi Gonzaga sempre a S. Ignazio; senza dimenticare i disegni di architettura, provenienti da una collezione privata e mostrati per la prima volta, che – attribuibili ad un allievo o stretto collaboratore del Pozzo – permettono di sondare la dimensione didattica dell’artista, fondamentale per valutarne l’influenza presso i suoi contemporanei ed oltre.
Un’influenza, quella di Andrea Pozzo, che è possibile riscontrare sia in Italia che nel vecchio continente (con particolare fortuna in Austria e – più in generale – nell’Europa centrale), oltre che in luoghi a prima vista “remoti” come l’America Latina e persino la Cina. Merito della già citata Perspectiva Pictorum et Architectorum, prototipo ante litteram di “globalizzazione culturale”: pubblicata per la prima volta a Roma, tra il 1693 e il 1700, grazie al suo valore didattico e allo splendido corredo iconografico darà i suoi frutti in tutto il mondo, e nei decenni successivi sarà tradotta nelle lingue più importanti della cultura dell’epoca. Non ultimo il cinese, tanto che anche a Pechino, su impulso della corte imperiale, sarà attivo un laboratorio di arte prospettica.
Tema portante della mostra, come di tutta l’opera dell’artista, è naturalmente la prospettiva, che «con ammirabile diletto inganna il più accorto de’ nostri sensi esteriori, ch’è l’occhio». Pozzo la declina in pittura e architettura, raggiungendo con le proprie opere l’apice di una raffinata cultura visiva del barocco, nutrita di uno sperimentalismo che coglie gli impulsi di un rinnovato fervore religioso. L’intento, lungi da una mera volontà di stupire, è di rendere il più possibile verosimile la rappresentazione dell’infinito e del trascendente: l’inganno visivo, acquistando la significanza di metafora, diviene strumento privilegiato di un’arte spiritualmente edificante. Un’arte nella quale l’attenzione per la tecnica prospettica dialoga con le conquiste scientifiche del XVII secolo, specie nel campo delle ‘matematiche miste’ e soprattutto dell’ottica, dove gli scienziati gesuiti offrirono un contributo determinante. Ai visitatori la mostra offre un approccio insolito a questo affascinante mondo del sapere, attraverso la ricostruzione di un vero e proprio laboratorio (con tanto di strumenti matematici e di disegno realizzati sulla base degli originali), sul modello della ‘scuola’ o ‘accademia’ a cui lo stesso Andrea Pozzo diede vita, all’interno del Collegio Romano, istruendo una schiera di confratelli e giovani artisti provenienti da tutta Europa.
La novità di questa mostra dedicata a Pozzo consiste quindi nell’evidenziare attraverso le opere esposte il fruttuoso intreccio tra gli aspetti apparentemente più divergenti della sua personalità: dalla conoscenza scientifica alla perizia pratica efficacemente esplicata nel trattato, fino alla brillante creatività artistica, controbilanciata comunque dalla profonda modestia religiosa propria di un semplice fratello laico della Compagnia di Gesù. la mostra è fruibile fino al 2 maggio. (Fonte).

Dal sito dell'Istituto Nazionale per la Grafica segnalo inoltre questo link dal quale consultare un piccolo ma interessantissimo catalogo sull'artista e le opere esposte in mostra. 


E per chi voglia avventurarsi nei minimi particolari della sua maggiore impresa, la Gloria di Sant'Ignazio rimando a questo sito: www.haltadefinizione.com

Restando in tema di grafica segnalo alla Casa di Goethe la mostra: Piranesi, Rembrandt delle rovine, fino al 17 aprile.

Questione di cornici


Horizont from Stas Chepurnov on Vimeo.

Segnalo inoltre questo interessante articolo: Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice di
Maurizio Forte

domenica 11 aprile 2010

I colori di Giotto

Nell'VIII Centenario della fondazione dell'Ordine Francescano, la città di Assisi promuove uno straordinario evento dedicato a Giotto e agli affreschi della Basilica di San Francesco. Aspetti finora ignoti della sua pittura, sono messi in evidenza, anche grazie alle più moderne tecnologie, che ci consentono di recuperare con il restauro le opere originali e, dove non è possibile, di restituirle in forma virtuale. Curatore dell'iniziativa è Giuseppe Basile, a cui si deve uno straordinario lavoro di restauro e di ricerca, grazie al quale è oggi possibile realizzare questo grande evento (intervista a Sergio Fusetti).
Il progetto comprende innanzitutto il restauro dei dipinti murali di Giotto nella Cappella di San Nicola nella Basilica Inferiore; poi, nel trecentesco Palazzo del Monte Frumentario, sarà possibile approfondire la conoscenza delle 28 scene della vita di San Francesco, nella Basilica Superiore, che compongono uno dei cicli pittorici più importanti di tutta la storia dell'arte. Nelle sue suggestive sale è allestita una mostra virtuale su "Giotto com'era", che offre la possibilità di conoscere l'aspetto originale delle Storie di San Francesco della BasilicaSuperiore, ricostruite grazie agli studi di un'equipe dell'Istituto Centrale del Restauro diretta da Giuseppe Basile ed alla maestria di Fabio Fernetti. In un unico spazio che ricorda, seppure in dimensioni ridotte, la navata unica della Basilica, gli affreschi sono presentati nel loro aspetto originario prima delle alterazioni che il tempo e le vicende storiche hanno fatalmente favorito; sarà possibile osservarli nei colori originari in un percorso dal fascino unico.




All'interno degli spazi espositivi del palazzo del Monte Frumentario il CNR ha realizzato due installazioni di realtà virtuale che consentono un'immersione sensoriale nella scena "La Conferma della Regola".

Sul sito dell'evento http://www.icoloridigiotto.it/index.html, nella sezione multimedia, è possibile scorrere le varie scene nel loro aspetto odierno e originale.

Hirst tra Venezia e Napoli


Damien Hirst torna a lavorare con la Galleria Michela Rizzo, realizzando una serie speciale di lavori sul tema della morte: Original the dead, novità assoluta e omaggio personale alla città di Venezia. 

In mostra, inoltre, oltre venti opere recenti: una serie di sei teschi intitolati Dead, due grandi grafiche Sceptic e Faithless, dove composizioni di farfalle richiamano l’iconografia delle vetrate delle cattedrali europee in un’immagine sospesa tra laicità e fede, un dipinto di grandi dimensioni Beatiful Primal Urges Painting, opera circolare della serie degli spin painting (tele dipinte durante un movimento rotatorio) e ancora, teschi coperti di polvere di diamante. 



Novità anche da Napoli dove Hirst, oltre a presentare opere all'esposizione al Madre, ha deciso di proporre al più presto una sua installazione site specific per la Chiesa di Donnaregina Vecchia. “Il Madre è il più bel museo del mondo. Io amo Napoli non soltanto per l’arte ma perché il direttore e il capo curatore del museo sono bravi a letto. Io sono di Napoli” ha dichiarato Hirst con la consueta e frivola ironia a cui ormai siamo abituati. In questi giorni una nuova opera di Hirst ha generato grande curiosità fra i cittadini del Principato di Monaco. Si tratta di una gigantesca donna incinta che troverà posto nel porto del Principato. In attesa della sua sistemazione definitiva l’opera è ancorata su una delle banchine del porto di De Fontvieille. La statua rivela il teschio, i muscoli ed i tessuti della donna oltre che un bimbo nel grembo. L’ennesima trovata in perfetto stile Hirst che non ha mancato di raccapricciare molte persone. A questo punto ci chiediamo per quanto tempo ancora Damien Hirst ha intenzione di tirare a campare con questa sua indagine bolsa e fritta sulla caducità della vita umana. (Fonte)

mercoledì 7 aprile 2010

La Sistina e le Storie della Vera Croce a 3D e in altissima definizione

In questo post vorrei segnalare qualche sito che si può rivelare ottimo supporto per lo studio e la visualizzazione di importanti opere d'arte; i primi due, tramite splendide ricostruzioni in 3D, permettono di osservare e analizzare a fondo la Cappella Sistina in Vaticano e il ciclo degli affreschi di Piero della Francesca con le Storie della Vera Croce a san Francesco, ad Arezzo. L'ultimo link, invece, permette di osservare ad altissima definizione importanti cicli di affreschi con una risoluzione che permette di cogliere anche le crepe o le crettature sulle opere.


Il primo link riguarda le Storie della Vera Croce osservabili da diverse angolazioni e punti di vista; permette di inquadrare ogni singolo episodio o avere una visione di insieme della cappella.


Il secondo permette di avere una splendida visione a 360° della cappella Sistina; sarà come essere all'interno e si potranno osservare con comodità tutti i particolari e gli affreschi della volta.
http://www.vatican.va/various/cappelle/index_en.htm

Il terzo, infine, permette di osservare ad altissima definizione il Cenacolo di Leonardo, la Gloria di sant'Ignazio di Pozzo, la Figlia di Iorio di Michetti, la Deposizione del Pontormo, le Storie di Cristo di Gaudenzio Ferrari e il Ciclo dell'Ariosto di Palazzo Besta. Certo, poter osservare le crepe e ogni minuto particolare degli affreschi di Pozzo è veramente un'esperienza unica. Questo, per esempio, il viso del Cristo che si dvede trasfigurato in gloria, appena accennato.


venerdì 2 aprile 2010

Digital Life - Video e catalogo

A quasi un mese dall'innaugurazione la mostra DigitalLife all'ex-mattatoio sta ricevendo consensi unanimi, forse per la ventata di novità che ha portato nell'ambiente artistico romano. Come si legge dal catalogo infatti:

L’esperienza della digital life ha del resto radici profonde che si innervano coerentemente nel pensiero contemporaneo. Essa risale infatti a quel cosiddetto “sentire artificiale” che il filosofo Mario Perniola, già quindici anni orsono, riuscì a cogliere nei suoi tre aspetti fondamentali: in primo luogo, nella virtualizzazione della materialità e nell’animazione degli oggetti e delle immagini. L’una e l’altra causate da quella inversione per cui, da un lato gli esseri umani diventano sempre più capaci di espandere la loro potenzialità espressiva, dall’altro il mondo inorganico sembra coadiuvare l’uomo nella sua percezione degli eventi. Perniola definì questo fenomeno “effetto egizio”, riferendosi alla compiuta reificazione dell’umanità e alla conseguente sensibilizzazione dell’ambiente. In secondo luogo assistiamo a un allargamento e a una dilatazione dello spazio. È il fenomeno dell’esteriorizzazione, per cui tutto è superficie, tutto è abito, tutto è esterno. Nell’impossibilità di penetrare in un interno, continuiamo a trovare paesaggi, superfici, tessuti. In questo senso la digital life avrebbe origine da quella sensibilità barocca che Gilles Deleuze descrisse molto bene nel saggio “La piega”, che era appunto dedicato allo studio del barocco. Ma il momento più importante è il terzo, ossia quello di un sovrainteressamento di tipo emozionale che non appare utilitario, bensì legato al raggiungimento di uno scopo o alla realizzazione di un progetto. Il filosofo Wittgenstein parlava di una epoché colorata ed intensa, allorché qualcosa viene percepito sotto un nuovo aspetto che non si era colto prima: vedere cioè in modo differente.
 
Posto un bel video-documentario realizzato da Dillinger.it mentre, cliccando sulla locandina, è possibile scaricare il catalogo ufficiale.
 


giovedì 1 aprile 2010

Boogie Woogie - La Londra di Hirst in un film


Boogie Woogie è un film di Duncan Ward del 2010 su soggetto di Danny Moynihan, con Amanda Seyfried, Gillian Anderson, Stellan Skarsgård, Heather Graham, Christopher Lee, Joanna Lumley, Alan Cumming, Danny Huston, Charlotte Rampling, Gemma Atkinson. Prodotto in Gran Bretagna. Nella Londra contemporanea (quella di Hirst e del gruppo YBAs) si intrecciano le storie di collezionisti, artisti, imprenditori e commercianti tutti con un unico scopo nella vita: ottenere fama, sesso, denaro e salire rapidamente la scala sociale. La storia è incentrata intorno all'acquisto di un'opera di Mondrians dal titolo Broadway Boogie Woogie. Il film narra le vicende dei mercanti d'arte, collezionisti, artisti e wannabees tutti disposti a usare ogni mezzo necessario per realizzare le loro ambizioni personali. Ogni storia parallela precipita verso la sua conclusione depravata ed egoista; un finale tragico riorganizzerà tutte le storie. Damien Hirst ha agito come consulente artistico del film, che include alcune delle sue opere, tra cui il dipinto Spin. Uscirà nelle sale il 16 aprile e speriamo di vederlo presto in Italia.





Andy, Damien e la vanitas


Vanitas

Dal 28 giugno al Musée Maillol di Parigi la mostra La vanità da Caravaggio a Damien Hirst, curata da Strinati.

I disegni italiani di Escher

Maurits Cornelis Escher è ricordato per i suoi disegni e le sue incisioni "assurde", trasfigurate da un'irrealtà verosimile e matematica. Meno conosciuti sono i suoi disegni giovanili che rivelano soluzioni e scorci che il grafico olandese attuerà negli anni successivi. In particolare vorrei sottolineare gli splendidi fogli realizzati durante il suo periodo in Italia, dal 1922 al 1935; nel 1922, un anno cruciale nella sua vita, Escher visitò l'Italia (Firenze, San Gimignano, Volterra, Siena, Ravello, Abruzzo e Molise) e la Spagna (Madrid, Toledo, Granada). Fu impressionato dalla campagna italiana e dall'Alhambra di Granada, famoso palazzo moresco del Trecento.

Escher viaggiò regolarmente in Italia anche negli anni seguenti realizzando visioni degne di un viaggiatore del gran tour, immagini fedeli eppur contenenti già temi e tensioni interne degne delle sue realizzazioni più famose. Forti chiaroscuri, scorci particolari, prospettive allucinate, segni incisivi. Splendide le vedute di Roma, dalle quali esce fuori una città quasi noir; per campanilismo, inoltre, vorrei segnalare anche lo splendido disegno del castello di Cerro al Volturno, in Molise.


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