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lunedì 23 settembre 2013

Tableaux Vivants da Caravaggio


21 Tableaux Vivants dall'opera di Michelangelo Merisi. 7 attori mettono in scena i capolavori del grande Maestro. Un lavoro di estrema semplicità e insieme di grande impatto emotivo: sotto gli occhi degli spettatori si comporranno 21 tele di Caravaggio realizzate con i corpi degli attori e l'ausilio di oggetti di uso comune e stoffe drappeggiate. Un solo taglio di luce illuminerà la scena che sarà come riquadrata in una immaginaria cornice. La performance sarà scandita ritmicamente dalle musiche di Mozart, Vivaldi, Bach e Sibelius. In scena senza interruzioni al Museo Diocesano di Napoli dalle 9,30 alle 13,30 di domenica 29 settembre, 20 ottobre, 24 novembre, 22 dicembre - Biglietto cumulativo per l’ingresso al percorso museale e la visione dello spettacolo: € 8.00. Gratis fino ai 6 anni. Dai 7 ai 18 anni: € 4.00 (Fonte: Caravaggio400)

lunedì 1 luglio 2013

Caravaggio - L'incredulità di San Tommaso


La tela fu dipinta da Caravaggio intorno al 1601 per il Marchese Vincenzo Giustiniani per la galleria di dipinti del suo Palazzo, secondo quanto si può desumere da Le vite de’pittori scultori et architetti moderni di Giovan Pietro Bellori pubblicato nel 1672 a Roma, e dai numerosi documenti d’inventario che la riguardano. Nell’inventario della collezione Giustiniani del 1638 si legge «Nella stanza grande de quadri antichi. Un quadro sopra porta di mezze figure con l’historia di S. Tommaso che tocca il costato di Christo col dito dipinto in tela alta palmi 5. Larga 6,5 incirca, di mano di Michelangelo da Caravaggio con cornice nera profilata e rabescata d’oro».

La tela, dunque, fa parte della collezione Giustiniani ed è unsopraporta, dipinto cioé in orizzontale a mezze figure di circa cm 150 di larghezza e cm 100 di altezza. La tela poi fu venduta varie volte nel corso dei secoli, ed infine, dopo ulteriori vicissitudini legate agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, pervenne nell’attuale collezione della Bildergalerie von Sanssouci di Potsdam. Nel 2001 a Roma è stata proposta al pubblico italiano in una bellissima mostra dedicata alla ricostruzione dell’antica collezione Giustiniani.

Caravaggio costruisce il dipinto attraverso una struttura semplice che nell’essenzialità della scena punta diritto verso il cuore della narrazione evangelica. Cristo è attorniato da tre apostoli, tra i quali riconosciamo Pietro, dietro agli altri due in posizione più alta, e Tommaso, che sbigottito si vede prendere la mano dallo stesso Cristo e inserirla nella ferita del costato. Gesù è rappresentato con un incarnato più chiaro rispetto al gruppo degli apostoli, creando così una forte contrapposizione cromatica tale da determinare un doppio risultato narrativo; quello di portare il fedele ad un coinvolgimento diretto nell’azione, rendendolo presente e partecipe di quanto accade sotto i suoi occhi, e di evidenziare la corporeità del Risorto come il testo evangelico la descrive.

I tre apostoli hanno le fronti aggrottate, sono curvi in un inchino spontaneo di fronte al mistero della Risurrezione, i loro occhi sono attenti e le bocche aperte senza proferire parola, sono impietriti, ritratti nel momento che li vede colti da stupore; si differenzia l’atteggiamento psicologico di Tommaso che ha gli occhi sbarrati e si perde con lo sguardo attonito nell’abisso di ciò che gli si manifesta di fronte. Gesù, reclinando il capo, con la mano destra delicatamente scosta il mantello, mostrando la ferita sul costato ancora aperta e con la sinistra guida quella dell’apostolo, introducendo il dito tremante di Tommaso nella ferita del costato; il suo volto sembra accennare una impercettibile smorfia di dolore mentre accompagna con lo sguardo il gesto che compie con la mano di Tommaso. In questo dipinto non c’è altro, tutto è avvolto dalla penombra della stanza nel quale accade il fatto, davanti ai nostri occhi ci sono solo quattro figure colpite dalla luce che giunge dall’alto, tutto è reso attraverso un’abile descrizione psicologica degli apostoli, e poi null’altro.

Nel Vangelo di Giovanni leggiamo: «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il costato e i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20, 19-20) «Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel costato, non crederò. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettile nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 24-29)

Giovanni descrive minuziosamente quanto accaduto e pone in evidenza l’atteggiamento umano di Tommaso, che si dichiara scettico su quanto gli viene raccontato dagli altri e pone delle condizioni alla Fede, come facciamo noi ogni giorno della nostra vita posti di fronte alle difficoltà del mondo. Caravaggio dipinge questo turbamento, che anche è il nostro, e in modo sapiente traspone l’incredulo per eccellenza non soltanto nella ovvia figura di Tommaso, ma anche in quella degli altri due apostoli presenti nel dipinto.

Infatti lo scopo del dipinto non è solo quello di narrare i fatti così come ci vengono descritti da Giovanni, quanto piuttosto di porci di fronte al mistero della Risurrezione nella sua evidente corporeità. Cristo è risorto, è vivo; il dipinto di Caravaggio ci pone di fronte alla domanda dell’angelo alle donne: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? » (Lc. 24,5). Il dito di Tommaso affonda nella carne di Gesù; quella mano rozza, con le unghie sporche del proprio lavoro quotidiano, è la mano di tutti coloro che sono chiamati nella Fede a credere in Cristo. Lo scetticismo si scioglie nello stupore; gli occhi si spalancano davanti a quelle ferite, e la bocca tremante si apre balbettando, con un filo di voce « Mio Signore e mio Dio!».

L’arte di Caravaggio, come quella di moltissimi altri nel corso dei secoli, ha teso a rappresentare, attraverso la tecnica e gli strumenti propri della pittura, la corporeità del mistero dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Cristo, il mistero di Gesù, che è totalmente uomo e totalmente Dio, per fugare quei dubbi che persino gli apostoli, secondo la narrazione di Luca, ebbero: «Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma» ( Lc. 23,37). L’arte ci invita a vedere con gli occhi e a meditare nel cuore le parole di Cristo: «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Lc 23, 38-39).

Al riguardo sant’Agostino dice: «Cristo avrebbe potuto risanare le ferite della sua carne al punto da non fare apparire neppure le impronte delle cicatrici. Aveva il potere di non mantenere nelle sue membra il segno dei chiodi, di non mantenere la ferita del costato.(...) Lui, che lasciò fissi sul suo corpo i segni dei chiodi e della lancia, sapeva che in futuro ci sarebbero stati eretici tanto empi e distorti da affermare che il Signore Nostro Gesù Cristo simulò di avere carne e che avrebbe detto menzogne ai suoi discepoli e ai nostri Evangelisti quando disse: Tocca e vedi.(...) Supponiamo che ci sia qui un manicheo. Che cosa direbbe? Che Tommaso vide, toccò, palpò le impronte dei chiodi, ma che era una carne falsa.» Si comprende qual’è stato –è quale è tuttora- il compito dell’arte, e cioè affermare che Cristo è veramente risorto, vero uomo e vero Dio. Come scrive ancora sant’Agostino:« La Verità risuscitò carne vera. La Verità mostrò ai discepoli carne vera dopo la risurrezione. La Verità mostrò cicatrici di carne vera alle mani che le palpavano. Arrossisca dunque la falsità, poiché ha vinto la Verità».

*
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it  Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com  e.mail: rodolfo_papa@infinito.it  

domenica 10 febbraio 2013

Caravaggio, novità sul periodo romano


Interessanti novità d'archivio che gettano luce sul periodo romano di Caravaggio sono sintetizzate in quest'articolo da Fabio Isman, mentre presto saranno pubblicate in un libro.

Caravaggio è arrivato davvero a Roma nel 1596, quando aveva 25 anni: le testimonianze concordano; e cosa abbia fatto dopo il 1592, data dell’ultimo documento che lo attesta in Lombardia, resta un mistero: un viaggio a Venezia, come scrive Giovan Pietro Bellori nella sua biografia? Non c’è nessuna traccia. Scoperte, poi, sul suo grande nemico, il pittore Giovanni Baglione: diceva d’essere nobile, ma era figlio di un macellaio. E ancora: la Natività di Merisi, il quadro rubato dalla mafia nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, non è del 1609, ma dipinto nel 1600, a Roma: se ne sono trovate le tracce.

I MECENATI
E si è capito anche che l’intera fase romana dell’artista, a parte due soggiorni a Borgo, da Pandolfo Pucci, e a piazza delle Tartarughe dai Mattei, si svolge in un chilometro quadrato: un fazzoletto della città, tutt’attorno a San Luigi dei Francesi. Queste, e svariate altre, sono le importanti novità che tre ricercatori, Francesca Curti, Michele Di Sivo e Orietta Verdi dell’Archivio di Stato di Roma, hanno scoperto tra i documenti, appunto, dell’Archivio. Li avevano già studiati per «Caravaggio a Roma, una vita dal vero», mostra ideata da Eugenio Lo Sardo nel 2011; ma adesso, hanno trovato altre piste di indagine.

Ad esempio, si sapeva assai poco su Costantino Spada, un mercante di quadri da cui l’artista metteva in vendita le sue prime opere: «Il suo negozio era attiguo a Palazzo Madama, nel quale abitava il cardinal Del Monte», il primo protettore dell’artista; «e probabilmente, da lui comperavano i Giustiniani e gli Aldobrandini, che pure vivevano lì: attorno a lui, insomma, ruotano tutti i primi mecenati dell’artista; è assai più persona-chiave che non si sapesse finora». Il suo negozio è stato individuato grazie a un’edicola sacra, una «Madonnella», che era sulla casa. E lui è risultato in contatto anche con i Patrizi, i proprietari della Cena in Emmaus ora a Brera. Caravaggio lo frequenta assiduamente: è a casa sua, come testimone di un atto con cui Spada compera una casa a via della Frezza, nel 1599. 

Si sapeva assai poco anche di Francesco Morelli, maestro di Baglione quando (si è appurato) aveva 11 e non 15 anni: si scopre che da lui lavorano vari artisti, amici o nemici di Caravaggio; come Tommaso Salini, Ventura Salimbeni e Antiveduto Gramatica, da cui Merisi sarà a bottega, dopo Lorenzo Carli e prima di Giuseppe Cesari, il Cavaliere. E siamo sempre lì: attorno a San Luigi dei Francesi, che era allora il quartiere romano più alla moda. E Carli, da cui Caravaggio ha la sua prima abitazione in città, stava a via della Scrofa, di fronte alla bottega di Antiveduto.

IL CAPOLAVORO
Grandi novità ci sono anche sul quadro rubato a Palermo, in un testo del volume presto in vendita («L’essercitio mio è il pittore», Caravaggio e l’ambiente artistico romano: 576 pagg, 40 euro, nella collana della rivista Roma moderna e contemporanea, dell’Università Roma Tre), con saggi di 16 studiosi. La Natività si è sempre ritenuta opera siciliana, compiuta verso il 1609. Invece, no. L’iconografia la lega al Miracolo di San Matteo del Cavalier d’Arpino, nella stessa cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, dove Merisi produce la prima pubblica committenza: due figure sono esattamente uguali. Anche Maurizio Calvesi trovava la Natività stilisticamente assai prossima al periodo romano dell’artista.

IL MERCANTE DI STOFFE
È pure dipinta su un’unica tela; mentre nel periodo successivo, poiché non ne trovava, Caravaggio le ha sempre assemblate. Ma allora, quel quadro come è arrivato fino al lontano capoluogo siciliano? «C’è un contratto di Caravaggio del 1600», raccontano i tre studiosi, «con un mercante di stoffe, Fabio Nuti di Siena: per un quadro, è scritto, cum figuris, di cui sappiamo le misure e basta». Legami di Nuti con l’oratorio palermitano li ha trovati da uno studioso siciliano; e il suo quadro doveva essere pronto per la festa di San Lorenzo, il 10 agosto. Che sia proprio quello? 

Infine, la faccenda di Caravaggio colpito dal calcio di un cavallo, a fine 1596: è la ragione della sua lite con il Cavalier d’Arpino. Per risparmiare, questi non chiama un chirurgo a casa, e Merisi sarà aiutato da Carli: perché gli curino la ferita a una gamba, abbastanza grave, lo accompagna all’ospedale della Consolazione. Cioè quello dei poveri. E i due non faranno mai più pace.

mercoledì 2 gennaio 2013

Caravaggio a Roma

Attraverso un viaggio onirico, storico, emozionale, il più grande pittore del ‘600 percorre i saloni della mostra rivisitando se stesso, la sua opera, i suoi ricordi, la sua vicenda di artista e di uomo.

Un documentario ad altissima definizione ci porta nelle fibre di ogni singolo dipinto del grande maestro, mentre ci porta in un viaggio unico e irripetibile dentro le fibre di un’anima sconosciuta a molti.

Nella prima parte della docufiction Ivan Franek interpreta Caravaggio.


La docu-fiction “Caravaggio a Roma” prende le mosse dalla mostra organizzata alle Scuderie del Quirinale nel 2010 sulle opere diMichelangelo Merisi in arte "Caravaggio", pittore italiano nato a Milano il 29 settembre 1571 e morto a Porto Ercole il 18 luglio 1610. Il film è stato realizzato in occasione dei quattrocento anni dalla morte di Michelangelo Merisi.

lunedì 12 novembre 2012

La madre dei Caravaggio è sempre incinta

Sensazionalismo, il male dell'arte
Da Michelangelo a Caravaggio: la filologia è ridotta a burla 

E le ossa di Monna Lisa? Dove saranno, le ossa di Monna Lisa? Quando salteranno fuori, in un tripudio di titoloni, le ossa di Monna Lisa? Sono queste le domande provocatorie poste dal libro che lo storico dell'arte Tomaso Montanari ha dedicato alle «scoperte sensazionali» che periodicamente irrompono sulle prime pagine guadagnandosi uno spazio enorme. E relegando nella pressoché totale disattenzione le opere che stanno andando a ramengo, dal crocifisso di Vasari nella chiesa napoletana di San Giovanni a Carbonara agli affreschi quattrocenteschi della novarese Santa Maria Nova di Sillavengo fino all'agonia della reggia di Carditello.

Tomaso Montanari, «La madre dei Caravaggio è sempre incinta» (Skira, pp. 75, € 9) Il pamphlet ha un titolo sbarazzino, La madre dei Caravaggio è sempre incinta  ma è un'invettiva micidiale contro il modo in cui è trattato il tema delle ricorrenti «scoperte» di un nuovo capolavoro ritrovato negli scantinati, tra le macerie di una chiesa, nella soffitta di una vecchia zia defunta o, caso più probabile, nel magazzino di un mercante d'arte che un bel giorno scova dietro una crosta un «pezzo meraviglioso» da milioni di euro.

L'idea di confermare se Montanari abbia o meno ragione, nello svergognare l'attribuzione a Michelangelo del Cristo ligneo comprato a caro prezzo dal governo italiano ai tempi di Sandro Bondi o a Caravaggio dei «cento disegni mai visti» dal valore folle di «circa 700 milioni di euro» scovati là dove erano sempre stati da «due perfetti ignoti agli studi caravaggeschi», non ci passa per la testa. Cadremmo nello stesso tranello: è bene che della valutazione dei Caravaggio si occupino quelli che per una vita hanno studiato Caravaggio.

Ma è difficile non essere d'accordo con Montanari quando scrive: «Se vogliamo un brivido anticonformista e un potente antidoto contro la superficialità e la cialtronaggine abbiamo bisogno di coltivare i dubbi». Altrimenti, il rischio è di cadere nel pasticcio misterioso della seconda Medusa attribuita (lo storico non è d'accordo: «Basta guardarla per capire che è una copia...») a Caravaggio e lanciata dalla società «Once - Extraordinay Events»: «In una puntata di Chi vuol esser milionario, Gerry Scotti ha chiesto quale soggetto fosse stato dipinto da Caravaggio una sola volta: la concorrente ha indicato la Medusa degli Uffizi. E aveva perfettamente ragione: ma il pubblico da casa è insorto, perché la campagna promozionale era stata tanto pervasiva che tutti sapevano che esisteva un'altra Medusa. Il finale comico è stato che, nella puntata successiva, Scotti si è dovuto scusare».

Così come è difficile dar torto a Montanari quando se la prende con un eccesso di sensazionalismo e una caccia all'«evento» che rimuove il degrado del patrimonio artistico italiano (nessuno fa manutenzione sul mosaico del «cave canem» di Pompei in attesa chissà della sua «riscoperta») e assorbe tutto nell'ottica del marketing, fino a produrre una corsa allo scambio di opere d'arte (di per sé, ovvio, legittima e spesso giusta) così ossessiva da far pensare a certi annunci peccaminosi dei club di «scambisti»: «Tiziano giovane, amante natura, cerca Giotto maturo per caldo scambio volumi-colore»; «Leonardo sacro, ma ambiguo, cerca Mantegna litico per scambio morbido-duro; valuta anche Caravaggio, max 1605...».

C'è chi contesterà lo studioso fiorentino accusandolo di essere lui pure pieno di certezze che manifesta con ironia tranchant, come quando liquida un secondo Cristo ligneo «di Michelangelo» trovato secondo monsignor Rino Fisichella nel Patriarcato melchita del Libano: «Qui non si tratta di opinioni scientifiche, ma di un problema di minima alfabetizzazione: se attribuire a Michelangelo il Cristo comprato da Bondi è come confondere un leone con un gatto, attribuirgli il Cristo di San Marino è come scambiare un leone e un merluzzo».

Ma è difficile dissentire quando, sorridendo del sindaco dell'Argentario che vuole costruire un mausoleo per ospitare le presunte ossa di Caravaggio oggi custodite in banca (sic...) perché «inaugurare la tomba "di Caravaggio" è più semplice che tenere pulite le meravigliose spiagge», contesta che «mentre l'esercizio abusivo della professione medica è un reato, chiunque può provare a proporsi come storico dell'arte». Assurdo: «La capacità di riconoscere gli autori delle opere d'arte non è una dote innata, una rabdomanzia, un fiuto. È invece il frutto di un lungo e faticoso esercizio, una tecnica che si impara e che si insegna...». Certo, spiega, «le attribuzioni sbagliate sono sempre esistite» ma «le bufale sono un'altra cosa: non sono errori scientifici (legittimi, e inevitabili), ma creature extrascientifiche nate al di fuori di ogni serio protocollo di ricerca, a uso e consumo dei media».

Cosa fare? Vale la pena di dare vita, per Montanari, a un Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulla storia dell'arte che «potrebbe facilmente verificare i singoli casi, contattare i migliori esperti dei singoli campi e fornire in tempi rapidi una risposta» prima che «il Caravaggio di turno fosse sbattuto in prima pagina». Il tutto nella scia del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sul paranormale, presieduto da Piero Angela e composto da Rita Levi Montalcini, Carlo Rubbia, Silvio Garattini, Margherita Hack, Tullio Regge, Giuliano Toraldo di Francia, Aldo Visalberghi e Umberto Eco. Il quale arrivò a inventarsi, contro i ciarlatani, il premio «Bufala d'oro».


Compare invece nella discussa mostra Caravaggio e sues seguidores, realizzata in Brasile, a Belo Horizonte (Casa Fiat de Cultura, 22 maggio/15 luglio 2012) e San Paolo (Pinacoteca, 25 luglio/ 30 settembre 2012), e poi in Argentina, a Buenos Aires (Museo Nacional, 22 ottobre/15 dicembre 2012), nell'ambito dell'evento 'Caravaggio e i suoi seguaci: conferme e problemi' curato dalla soprintendente per il Polo museale della città di Roma Rossella Vodret, l'ennesimo Battista attribuito al Maestro, un San Giovanni Battista che nutre l'agnello di collezione privata . La mostra, tra l'altro, presenta come autografo anche l'improbabile San Gennaro decollato.


Il catalogo completo della mostra è scaricabile da questo link: http://www.casafiatdecultura.com.br/admin/catalogos/carava.pdf

venerdì 6 luglio 2012

I disegni del Caravaggio scoperti - rassegna stampa - cosa dicono i giornali?

Come leggo giustamente sul blog Robe da Chiodi riguardo ai presunti disegni del Caravaggio ritrovati c'è una disparità di trattamento tra ciò che si legge su internet e ciò che riportano i giornali

Se cercate notizie sul web rispetto al caso dei 100 disegni del Fondo Peterzano in cui due studiosi hanno riconosciuto la mano di Caravaggio, vi troverete davanti ad un elenco infinito di link in cui tutto viene dato per certo e per acquisito. Per una valutazione sul bizzarro ritrovamento vi rimando a questa intervista di Cristina Terzaghi, che a Caravaggio ha dedicato un libro di grande importanza e con tantes coperte documentarie. Oggi tutti i giornali si occupano ovviamente della cosa, dedicando anche grande spazio. Pierluigi Panza sul Corriere ha sentito Francesca Rossi, responsabile del Gabinetto dei Disegni del Castello (dove è custodito il Fondo Peterzano, di cui fanno parte i 100 disegni) che rivela di non aver mai conosciuto i due studiosi e di non averli mai visti in sala studio. La Stampa esagera con ben due pagine senza nessun accenno dubitativo nel titolo, ma almeno con la salutare doccia fredda di un commento di Marco Vallora. Repubblica che ieri aveva seguito a ruota l’Ansa nel lancio sul sito, oggi in prima pagina almeno prende un minimo di distanza mettendo le virgolette al titolo (nel senso che attribuisce l’affermazione del ritrovamento alla voce dei due studiosi). L’articolo di Armando Besio e Carlo Alberto Bucci mette mille dubbi (rivelando che i disgeni erano stati studiati persino da Costantino Baroni e da Maurizio Calvesi). Claudio Strinati, con un commento un po’ imbarazzato salva il profilo dei due ricercatori (“egregi studiosi”) e finisce con il dire che se anche fossero di Caravaggio non dicono nulla che non sapessimo già…
Se invece andate su internet non troverete né punti interrogativi, né virgolette per i titoli, né pareri minimamente dubitanti.
Questo per dire che la carta (dei giornali) è preziosa, con tutti i limiti e la fatica che si porta dietro. Speriamo che non ci abbandoni 

Mi sono andato a spulciare allora la rassegna stampa che il MiBac pubblica giornalmente selezionando gli articoli sulla scoperta che inserisco, scaricabili, in pdf. I giudizi di storici dell'arte e non solo, come vedrete, non sono naturalmente dei più positivi e gettano pesanti ombre sulle attribuzioni. E c'è già chi parla di bufala o di falsi.


Rassegna Stampa - Disegni giovanili Caravaggio

Giovane Caravaggio - Le cento opere ritrovate - I volumi su Amazon

Segnalo il link delle due pubblicazioni, appena uscite su Amazon, che spiegheranno le motivazioni dell'attribuzione dei disegni del fondo Peterzano al giovane Caravaggio, attribuzione che ha portato subbuglio nel mondo dell'arte dato che del Merisi, sino ad oggi, non c'è pervenuto neanche uno schizzo e i suoi unici disegni si possono leggere guardando le radiografie delle opere. Il comune di Milano, tramite l'assessore alla cultura Stefano Boeri, ha invitato comunque alla prudenza (link). Gli autori sono Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli. 

Sinossi

Più di quattrocento anni di oscurità impenetrabile nascondevano uno dei maggiori tesori della cultura mondiale: le opere realizzate da Michelangelo Merisi detto il Caravaggio nel periodo giovanile, prima dell’arrivo a Roma. Nel 2012, i due studiosi italiani, dopo una lunga ricerca, hanno individuato e aperto, a Milano, la porta concettuale nascosta che ha permesso il recupero di cento disegni del giovane Caravaggio - dei quali ottanta saranno ripresi nelle opere della maturità - una decina di ritratti a olio, un biglietto di protesta steso da Merisi. E’ così possibile conoscere il motore segreto di uno dei più grandi pittori di tutti i tempi, smentendo, tra l’altro l’ipotesi diffusa, in base alla quale Caravaggio non avrebbe mai disegnato. La scoperta è illustrata - anche per un pubblico ampio, attraverso un linguaggio accessibile e numerose immagini - in due e-book con più di mille fotografie, in grandissima parte inedite. Nel primo volume (438 immagini): la vita dell’artista alla luce della nuova scoperta, i ritratti ritrovati, il biglietto di Caravaggio, il presunto primo autoritratto di Merisi. E, ancora, in prima assoluta mondiale, il volto di Costanza Colonna, la marchesa protettrice di Caravaggio. "Nulla di tutto quello che Merisi poté dipingere in questa primissima fase è stato mai individuato."Claudio Strinati, Caravaggio, la luce nella pittura lombarda. (Link Vol I su Amazon)



In questo volume, secondo tomo dedicato alla scoperta delle opere perdute del giovane Caravaggio, i cento disegni del pittore trovati a Milano, letti nel confronto con i dipinti noti che rivelano gli straordinari, continui, fitti rinvii tra le prove svolte nel suo periodo di formazione, fino ad oggi sconosciute, e gli oli che Merisi realizzerà, a partire dal primo soggiorno romano. Volti, personaggi, posture che egli combinerà in molti modi, come in un puzzle, per ottenere tutti i capolavori che noi conosciamo. Una convergenza sconvolgente, in grado di dimostrare che Caravaggio partì da Milano, alla volta di Roma, con un bagaglio ricchissimo. Lo studio, oltre ai disegni, recupera dipinti inediti e ricostruisce anche il percorso stilistico compiuto dal pittore, in previsione del trasferimento nella città dei Papi. L’ebook – 658 immagini commentate - presenta, sempre per la prima volta al mondo, anche il volto di Caravaggio fissato dal suo maestro in quattro disegni, in una sequenza cha va dalla fanciullezza alla giovinezza, e quello che parrebbe il ritratto della madre dell’artista, Lucia Aratori. Un viso, legato al concetto di maternità, che egli disegna a Milano e che ripeterà nei più commoventi, dolci, drammatici dipinti in cui è rappresentata la Madonna. (Link vol. II su Amazon)


In concomitanza è uscito anche un sito http://www.giovanecaravaggio.it/ attraverso il quale prendere contatti con gli autori.


giovedì 5 luglio 2012

Caravaggio, scoperti 100 disegni giovanili

E' di quelle scoperte che tutti aspettano ma che proprio per questo motivo è da prendere letteralmente con le molle. Da circa un'ora una breve nota dell'Ansa sta portando subbuglio tra tutti gli esperti del Caravaggio del quale sembrano essere finalmente tornati alla luce dei disegni giovanili, circa un centinaio, dal fondo Peterzano. Suggestivi i confronti proposti con opere, però, ben più tarde. E se di ascendenze vogliamo parlare quella leonardesca è quella che spicca di più. Da domani, su due ebook che usciranno su Amazon, le novità e le scoperte che seguiremo da questo blog.

"Per la storia dell'arte potrebbe essere una svolta storica. Si tratta di un centinaio di opere assolutamente inedite - disegni e alcuni dipinti - attribuite da un'equipe di studiosi ai 'primi passi' di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio quando, appena adolescente, era allievo nella bottega del pittore manierista Simone Peterzano, dal 1584 al 1588.

Le opere, il cui valore stimato e' di circa 700 milioni di euro, sono venute alla luce grazie ad una lunga ed accurata ricerca svolta da un gruppo di esperti, guidato da Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, da domani pubblicata da Amazon in due e-book di 600 pagine dal titolo 'Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate'.

Attraverso un migliaio di immagini e puntuali confronti con i capolavori romani e napoletani del Merisi, le due pubblicazioni illustrano e ricostruiscono, in quattro lingue, la prima produzione artistica del genio lombardo, fino a oggi rimasta sconosciuta. Per due anni, gli studiosi hanno compiuto frequenti sopralluoghi nell'area di Caravaggio e nelle chiese milanesi ed hanno letteralmente setacciato il Fondo Peterzano, custodito nel Castello Sforzesco (di proprieta' del comune di Milano) e contenente 1.378 disegni del maestro e degli allievi che lavoravano con lui.

''Era impossibile che Caravaggio non avesse lasciato nessuna testimonianza della sua attivita' durata dal 1584 al 1588 presso la bottega di un pittore all'epoca famoso e ricercato'' sostiene Bernardelli Curuz, direttore artistico della Fondazione Brescia Musei. E infatti ha messo a punto una rigorosa metodologia di indagine che ha permesso in primo luogo di individuare il canone geometrico che sottende le raffigurazioni del primo periodo romano, i volti di efebo fino al 'Ragazzo morso dal ramarro'.

''Ogni pittore ne ha uno, come fosse una matrice stilistica'', sottolineano i due studiosi che quindi hanno proceduto a rintracciare quelle stesse proporzioni nei disegni di studio che ogni allievo aveva il compito di realizzare fino a impararli a memoria, declinandoli nelle piu' diverse fisionomie e posture. Dei circa cento disegni rinvenuti nel Fondo della Bottega di Peterzano, ben 83 ''saranno ripresi piu' volte nelle opere della maturita' - sottolineano - a dimostrazione che il giovane pittore parti' da Milano con canoni, modelli, teste di carattere e alcune possibili varianti stilistiche, pronti per essere utilizzati nei dipinti romani''. I due ricercatori hanno individuato il ''canone geometrico'' dei volti anche in un dipinto di Simone Peterzano, il ''quadrone'' nella chiesa milanese dei Santi Paolo e Barnaba in cui viene raffigurato 'Il Miracolo dei santi Paolo e Barnaba a Listri'', eseguito dal maestro manierista nel 1573, ma considerato da Roberto Longhi ''fortemente precaravaggesco''. Qui un sospetto gruppo di ritratti giustificherebbe l'intuizione di Longhi, in quanto quei personaggi sarebbero stati, come lo stesso Caravaggio, ancora troppo giovani per apparire in tali ruoli e fogge.

Le evidenti incongruenze temporali, e le diversita' di stile, hanno portato gli studiosi a indagare quello che ritengono un rifacimento eseguito nel 1590 dal Merisi, probabilmente proposto dalla sua storica protettrice Costanza Sforza Colonna, benefattrice dei Barnabiti. In quello che potrebbe essere stato il suo primo lavoro in autonomia, emerge ''una cifra di assoluta originalita''', senza contare, sottolinea Bernardelli Curuz, che almeno nove di quei ritratti tornano nella sua successiva produzione. ''Come la raffigurazione di Carlo Bascape', superiore generale dei Barnabiti e direttore spirituale di Costanza, che ha lo stesso volto di un personaggio dell''Ecce Homo' o quello di Alessandro Sauli che riappare nell''Incredulita' di San Tommaso'''.

Quella ''rapida e violenta modalita' di stesura del segno'' potrebbe infine essere la stessa che il giovane allievo infonde nelle brevi righe di un biglietto di protesta, anch'esso rinvenuto nel Fondo Peterzano, che ''mette in luce attriti e incomprensioni tra due temperamenti agli antipodi''. Il breve scritto e' stato sottoposto (ma solo in foto) a perizia grafologica in un confronto con ricevute vergate da Caravaggio nel 1605-1606. Per l'esperta grafologa Anna Grasso Rossetti, perita del tribunale di Brescia, i diversi biglietti sarebbero della stessa mano, quindi tutti autografi di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio".


Nei disegni una mano forte e sporca

''Forte, veloce, ma sporca'', questa la mano del giovane Caravaggio secondo gli studiosi Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli che a Milano, nel Fondo del pittore manierista Simone Peterzano, hanno individuato un centinaio di disegni da loro attribuiti al Merisi.

Le 1.378 opere trovate nella bottega di quello che fu il maestro di Caravaggio dal 1584 al 1588 (dai 13 ai 18 anni di eta') sono state esaminate dai due storici dell'arte e dai loro collaboratori e quindi suddivise in tre blocchi, sulla base dell'unita' stilistica.

Oltre ai fogli di Peterzano, definito dalla Conconi ''disegnatore eccelso, capace pero' di appiattire con il colore ogni sua creazione'', gli studiosi hanno rinvenuto un nucleo in cui hanno iniziato ''a vedere i volti, i corpi, le scene che il giovane Merisi avrebbe applicato durante la maturita'''. Famoso proprio per aver sostituito nei suoi capolavori il disegno con ''incisioni sommarie'', Caravaggio avrebbe dunque impiegato gli anni del suo apprendistato proprio in questa attivita', che all'epoca era indispensabile per intraprendere il mestiere di pittore.

Ecco dunque volti, studi di mani, di piedi, toraci possenti o di fanciullo, musi di animali (cani, cavalli, asini, mucche), in un crescendo di padronanza tecnica che contrapporrebbe questo giovane allievo proprio a Peterzano. ''Le due mani non possono essere confuse - spiega la Conconi - quella del maestro e' estremamente pignola, precisa, mentre quella del Merisi adolescente e', come nei dipinti della maturita', potente, di grande resa realistica, ma qui ancora pasticciata''.

E infatti, nella fase di apprendimento, sottolinea, ''sbaglia e anche spesso, con alcuni errori che si radicano al punto di riapparire dopo anni nei dipinti piu' celebrati, come i musi delle mucche o i calcagni, di cui non diventera' mai padrone''. Dunque a fronte delle ''linee secche e geometriche, di grande perizia del maestro'', si evidenzia ''un tratto irruento, attento a rendere il dinamismo della figura grazie a linee a serpentina affiancate alle membra''. Una sorta di vibrazione del corpo, conclude la Conconi, che il Caravaggio maturo usera' spesso nei suoi capolavori.


La scoperta riscrive anche la biografia

Riscrive anche la biografia di Caravaggio la complessa indagine compiuta da Maurizio Bernardelli Curuz e Adriana Conconi Fedrigolli, che presenta per la prima volta un centinaio di disegni attribuiti dai due studiosi al giovane Michelangelo Merisi, quando era allievo del maestro manierista Simone Peterzano. Non solo i risultati della ricerca incrinerebbero la figura romantica del pittore maledetto, tutto genio e istinto, a favore di una visione piu' aderente al lavoro di bottega, con l'artista che costruisce in modo meticoloso i personaggi, le teste di carattere, in disegni e fogli che portera' con se' a Roma, un viaggio a lungo preparato (forse persino con un precedente soggiorno).

Si rivoluzionerebbero secondo l'indagine anche le note biografiche relative ai primi anni di vita e alla giovinezza, in particolare per l'appartenenza della madre Lucia Aratori al patriziato (con tanto di stemma) di Caravaggio, feudo degli Sforza. Proprio la vicinanza alla famiglia Sforza Colonna darebbe nuova luce all'infanzia e adolescenza del Merisi. Il nonno materno, Gian Giacomo, era agrimensore del paese e fiduciario dei marchesi. Uomo di cultura, a lui fu affidato Michelangelo mentre i genitori erano a Milano e forse, dice la Conconi, in quel periodo imparo' i rudimenti del disegno e conobbe la produzione caravaggina di Fermo Stella o del Moietta, e conobbe ''le sconvolgenti scene dei Sacri Monti'', piu' tardi entrate nel suo bagaglio figurativo. Di fondamentale importanza, la vicinanza con Costanza Sforza Colonna, il cui palazzo ospitava anche la residenza di Gian Giacomo Aratori.

La donna, spiega la Conconi, seguira' il Merisi per tutta la vita. Nella sua pinacoteca Michelangelo scoprira' i ritratti del Pulzone, che gli ispireranno, secondo la ricerca, il canone geometrico dei volti, mentre a Milano, dove si sposta anche Costanza quando Caravaggio inizia l'apprendistato da Peterzano, tramite la nobildonna si avvicina al potente ordine dei Barnabiti, presso i quali, dice la Conconi, avra' nel 1590 la prima commessa per un rifacimento dei un dipinto del maestro. Con Costanza, Caravaggio prepara lungamente la sua discesa a Roma.

''Con tutta probabilita' - racconta la studiosa - nella citta' dei papi il Merisi viveva nel palazzo della sua benefattrice e usava la dimora documentata dalle recenti scoperte archivistiche soltanto come studio''. La presenza della donna lo protegge sempre. Dopo la condanna a morte per l'uccisione di Ranuccio Tomassoni, trovera' riparo dai Colonna nei feudi laziali e a Napoli. Con l'intercessione del casato a Malta entra quindi in contatto con il gran maestro dell'ordine dei cavalieri di san Giovanni, Alof de Wignacourt, per riuscire a ottenere l'immunita'. Sempre da Costanza si rifugera' nell'ultimo soggiorno napoletano, prima delle vicende che porteranno alla sua morte, ancora oggi avvolta nel mistero. Fatto sta, conclude la Conconi, che fu sempre Costanza che ando' a riprendersi i suoi beni e a lei fu spedito il condono papale ormai inutile.


Gli studiosi: ecco la chiave della scoperta

''La madre di Caravaggio, Lucia Aratori, aveva speso una fortuna per pagargli la salata retta di allievo per quattro anni nella bottega di Simone Peterzano. Impossibile che non avesse voluto vedere i risultati, che non ci fossero i disegni''. Con questa certezza gli storici dell'arte Maurizio Bernardelli Curuz Guerrieri e Adriana Conconi Fedrigolli, autori di due e-book 'Giovane Caravaggio. Le cento opere ritrovate' in uscita domani, hanno avviato due anni fa una complessa e ponderosa indagine sfociata nel ritrovamento di un centinaio di opere da loro attribuite al giovane Merisi.

I primi decenni della vita del grande pittore lombardo, tra Caravaggio (Bergamo) e Milano, sono rimasti per secoli avvolti nella nebbia, con indizi sommari e confusi, poco indagati a confronto degli anni romani e successivi. ''Armati di follia, gusto per la sfida e passione - aggiunge la Conconi - abbiamo deciso di partire, anche se non sapevamo dove saremmo arrivati. Pero' una quindicina di disegni eravamo certi di trovarli''.

Il passo successivo, sottolinea Bernardelli Curuz, ''e' stato mettere a punto uno strumento metodologico. Abbiamo cominciato ad analizzare le prime opere che il Merisi ha realizzato a Roma, i volti di efebi che culminano con il 'Ragazzo morso dal ramarro' e da li' sono partito per individuare il 'canone geometrico' ideato dal pittore quando era allievo di Peterzano e che non ha mai abbandonato nella vita''.

Tutti gli artisti seguono questo percorso stilistico, ''una sorta di Dna strutturale''. Caravaggio avrebbe ricavato il suo dai ritratti del Pulzone, le cui opere poteva aver ammirato dalla sua protettrice Costanza Sforza Colonna: sei quadrati giustapposti, con cui l'artista avrebbe poi costruito i volti, facendoli ruotare per seguire le piu' svariate posture ed espressioni. Una volta trovato il 'canone geometrico', i due ricercatori hanno scelto di azzerare tutte le ipotesi su Peterzano pittore e sul suo rapporto con Caravaggio (1584-1588).

''Sedicente allievo di Tiziano, era un gran disegnatore e a Milano, all'epoca, rappresentava il nuovo - dice la Conconi -: per questo Lucia Aratori gli affida il figlio promettente''. Nel 'quadrone' dipinto nel 1573 per la chiesa milanese dei Santi Paolo e Barnaba e che raffigura 'Il Miracolo dei santi Paolo e Barnaba a Listri'', definito gia' da Roberto Longhi ''fortemente precaravaggesco'', hanno ritrovato, in un gruppo di ritratti eseguiti con un sorprendente realismo, in mezzo a una composizione tardo-manieristica, il 'canone geometrico' che contraddistinguerebbe Caravaggio.

E' stato risolto anche il problema della data, poiche' quegli stessi personaggi nel 1573 erano troppo giovani per ricoprire quei ruoli. Bernardelli Curuz e la Conconi hanno cosi' ipotizzato che nel 1590, forse con l'appoggio di Costanza Colonna, benefattrice dell'ordine, Caravaggio fu chiamato a integrare il dipinto del maestro. ''Forse e' stato il suo primo lavoro in autonomia'', dice Bernardelli Curuz. A ritroso, analizzata la pittura del Peterzano, i due studiosi hanno affrontato il Fondo con i disegni di maestro e allievi del Castello Sforzesco.

''Li abbiamo divisi in tre blocchi, in base dell'unita' stilistica - spiega Bernardelli Curuz - e nel secondo abbiamo iniziato a vedere i volti, i corpi, le scene che Caravaggio avrebbe applicato durante la maturita'''. Sono cosi' iniziati i confronti sul computer. ''Ottantatre' disegni dei cento da noi scoperti furono applicati dal Merisi nelle prove romane e post-romane. Cio' dimostra che Caravaggio era partito dalla Lombardia con un bagaglio figurativo molto ricco''.

L'ultimo atto e' stato il ritrovamento, sempre nel Fondo, di un biglietto con parole di protesta che, secondo gli studiosi, ''presentava nella grafia elementi di continuita' con il fare disegnativo di Caravaggio''. Il materiale e' stato esaminato da Anna Grasso Rossetti, perita grafologa del tribunale di Brescia che, dopo un confronto fotografico con due scritti del Merisi del 1605-1606, ha confermato l'ipotesi che anche il biglietto sia autografo di Caravaggio.



Qualche confronto



martedì 12 giugno 2012

La resurrezione di Lazzaro del Caravaggio restaurata






La Resurrezione
splendori e segreti

di FABIO ISMAN

DOPO 60 anni esatti, Caravaggio è tornato dal medico e si è fatto curare: la Resurrezione di Lazzaro, tarda meraviglia eseguita nel 1609 a Messina dove è, sarà mostrata a Palazzo Braschi, da venerdì al 15 luglio, dopo sette mesi di lavori all’Istituto centrale del Restauro che ha restituito colori e leggibilità all’opera, assolutamente ossidata e spenta, regalando anche tante sorprese. Il Messaggero ha ammirato in anteprima il risultato, e discusso con i medici che hanno guarito l’immensa tela, tre metri e 80 per due e 75, pagata, per Francesco Susinno, lo sproposito di mille scudi dal genovese Giovanni Battista de’ Lazzari (e per Lazzari, Caravaggio dipinge Lazzaro), amico d’un committente ligure dell’artista, Ottavio Costa. A Messina, Lazzari aveva una banca, il porto era allora tra i più rilevanti nell’intero Mediterraneo e non solo; la tela era per una sua cappella.
«Abbiamo scoperto che Merisi usa solo prodotti locali: la calce della preparazione contiene perfino resti fossili di conchiglie», racconta Anna Maria Marcone, che all’Istituto dirige i laboratori ed ha capeggiato l’intervento; «nella preparazione scura, ci sono le sue tipiche incisioni: per delimitare le figure, o indicarne l’inclinazione. E ancora, abbiamo scoperto che il quadro è costituito da cinque teli verticali e uno orizzontale; la cucitura orizzontale è più grossolana; la banda in basso, senza figure, è certamente successiva: l’opera era già stata inchiodata, ed abbiamo trovato i fori, prima che venisse aggiunta. Probabilmente, Caravaggio ha dipinto senza conoscere le misure dell’altare al quale la pala era destinata».
Il Genio aveva una gran fretta. «Ci sono mani dipinte per metà: il resto è preparazione; anche dei volti. Risaltano ancor meglio le lame di luce da cui cava le figure, come diceva Cesare Brandi, che nel 1951 restaurò l’opera per la prima volta. Sull’osso al bordo inferiore, l’artista crea la luce dipingendovi sopra una semplice serpentina». Occupa solo metà dell’immensa tela: la parte superiore è priva di figure. Accenna appena le pennellate sul corpo di Lazzaro: «Sembra arte moderna; ricorda l’ultimo Tiziano, il suo non finito», spiega Daila Radeglia, funzionaria che ha diretto l’operazione. «La luminosità del dipinto era perduta al 70 per cento», dice Fabio Aramini, del laboratorio di Fisica dell’Istituto, compiendo le misurazioni: finalmente, ora le figure risaltano. Nel 1951, i mezzi erano quelli che erano: si usò una resina naturale ormai caduta in disuso, che, nel tempo, ha creato problemi; gialla, poco trasparente, aveva causato quasi un cretto, tante crepe. «Il quadro è fragile; abbiamo usato un gel speciale, per non far penetrare negli strati di pittura i solventi», spiega Anna Maria Marcone. E il risultato è del tutto imprevisto, superiore a qualsiasi attesa; un capolavoro oggi ritrovato, che da sempre aveva dato grandi problemi. Andrea Suppa, che lo restaurò quando il quadro aveva appena 60 anni, morì d’infarto credendolo perduto nel tentativo di dargli luce. Gisella Capponi, la direttrice dell’Istituto, ricorda quello che, oggi, pare un paradosso: la Resurrezione era nella chiesa dei Crociferi (e si ignora come fosse la sua cappella), demanializzata e distrutta nel 1879 per creare la Camera di Commercio. E per fortuna non era più lì, ma in deposito, quando arriva nel 1908 il terremoto: distrutto l’edificio, ma salva la tela.
A guardarla, ci si ritrovano numerosi soggetti tipici di Caravaggio: una mano è analoga a quella della Cattura di Cristo di Dublino; la Maddalena, all’Annunciazione di Nancy; e su tutto, vicino al Cristo, l’autoritratto di lui: le mani giunte, quasi a supplicare il perdono. Il documento siciliano di questo quadro lo definisce ancora «cavaliere gerosolimitano»: non lo era più; a Malta lo avevano buttato fuori (e in carcere); era fuggito dall’isola come già da Roma nel 1606, per l’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Gli restavano un anno da vivere, la fuga a Napoli, quella vana verso la capitale dei papi e la grazia. Chissà perfino se è passato da Palermo: la Natività, rubata dalla mafia nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo, magari l’ha spedita.
Resta da dire chi ha compiuto questo miracolo, e chi lo ha reso possibile. Con Anna Maria Marcone, altri due docenti dell’Istituto, Carla Zaccheo e Emanuela Ozino Caligaris, «aiutati da cinque bravissimi allievi», dice la Marcone, «pagati duemila euro per sei mesi di lavoro; devo citarli: Mauro Stallone, Giorgia Pinto, Federica Cerasi, Alessandra Ferlito, Elena Santoro». Questi e altri fondi li ha forniti Metamorfosi, un’associazione culturale romana che realizza esposizioni (soprattutto con Casa Buonarroti a Firenze e la Biblioteca Ambrosiana a Milano), di cui è presidente Pietro Folena, un passato politico nei Ds. Spiega: «Più che essere mecenati, proviamo a risolvere problemi. In mostra, grazie alla Rai, ci sarà un video del 1974 di Giorgio Bassani, con la storia del restauro del 1951 e dell’Istituto, che poi accompagneranno la tela a Messina». Il resto è organizzato da Zetema, che gestisce il Palazzo e i musei romani.
Un ultimo codicillo: adesso che la Resurrezione è stata restaurata come si deve, non la si faccia viaggiare, per favore, di continuo. Ai quadri, fa male. Sei Caravaggio, dopo essere andati a Mosca, sono ora a Belo Horizonte, in Brasile, alla Casa Fiat della Cultura. Saranno ambasciatori d’italianità; ma per loro, ogni viaggio è uno stress grave.

dal Messaggero

La "Resurrezione", dal 15 giugno al 15 luglio, sarà mostrata a Palazzo Braschi, nella capitale, e farà ritorno al Museo Regionale di Messina non prima del 22 luglio.

 

mercoledì 14 marzo 2012

Caravaggio e il paesaggio

E' cosa nota che Caravaggio non dipingesse paesaggi, preso esclusivamente dal corpo umano e dai rapporti di luce ed ombra dai quali far percepire l'irrompere del divino nella realtà. Ciononostante in alcune tele inserisce brani paesaggistici che ci raccontano di un pittore attento anche al dato naturalistico e atmosferico. Sono piccoli brani, scorci di luoghi catturati al tramonto o di notte,  paesaggi “alla veneta”, con evidenti ascendenze giorgionesche di indubbia poeticità. Del resto nella famosa lettera del marchese Giustiniani sui generi della pittura, Discorso sulla pittura, il paesaggio, "Saper ritrarre una cosa grande, come una facciata, un'anticaglia, o paese vicino o lontano" sta al settimo posto su dodici. Di seguito ho estratto dalle opere questi brani per mostrarli in sequenza.

dal Riposo durante la fuga in Egitto

da Il sacrificio di Isacco



da La conversione di Saulo (Odelscalchi)

da L'estasi di San Francesco

sabato 11 febbraio 2012

Caravaggio, ancora due asterischi: La veste di Cappuccino e l’Humilitas

Dal nuovo sito della celebre e gloriosa rivista Storia dell'arte due asterischi di Maurizio Calvesi su Caravaggio, in ricordo dell'amico Maurizio Marini.


Come ben noto Orazio Gentileschi riferì il 14 settembre del 1603, nel processo Baglione, di aver dato in prestito al Caravaggio una «veste da capppuccino» che il Merisi trattenne presso di sé diverso tempo, per restituirla ai primi del mese in corso. La notizia ha indotto alcuni a datare in quell’anno il San Francesco di Cremona, che è indubbiamente più tardo di almeno quattro anni. L’ipotesi che l’indumento non servisse per ritrarre un modello vestito da frate, ma fosse una sorta di amuleto contro qualche malanno (proprio in quell’anno, come ho più volte supposto, il Caravaggio dovette imbattersi in qualche infermità o disgrazia) fu da me avanzata, considerato anche che Federico Borromeo spedì da Roma al fratello Renato, malato, una veste di cappuccino «morto molto santamente quest’ano», perché «si dice che il suo habito abbia fatto molte operazioni et è richiesto da ogni banda benché lontanissima, e il Padre Superiore de Capucini qua in Roma havendo inteso l’infermità del Signor Conte Renato me l’ha mandato»; e visto che lo stesso Gentileschi aveva chiesto in dono al Baglione delle “Madonnelle” di Loreto da portare attaccate al cappello, di valore devozionale e apotropaico. A molti questa può essere sembrata una forzatura male adattabile a un temperamento sprezzante e presunto “laico” come il Nostro, anche se qualcuno (un conoscitore del livello di Zuccari) l’ha trovata accettabile ed ha aggiunto validi argomenti in favore (1). Una conferma molto chiara sembra ora venire da una delle lettere di Artemisia Gentileschi e parenti o amici (e restiamo in famiglia) ritrovate da Francesco Solinas e pubblicate nello straordinario libretto e più avanti recensito (2). Pierantonio Stiattesi, il compiacente marito di Artemisia, scrive da Roma l’11 aprile 1620 a Francesco Maria Maringhi, che si trovava a Firenze: «In quanto alla vesta da Cappuccino, l’auta Lesandro Bardelli, però Vostra Signoria poterà dire al signore Neri Alberti che l’auta lui e se la potrà far rendere, e in parte dirgli della morte di Cristofano». Cristofano era il figlio di Artemisia, colpito da malattia a cinque anni e defunto. Evidentemente la veste da Cappuccino era stata richiesta al possessore, il poeta Neri Alberti, come talismano per esorcizzare la mortale malattia del povero ragazzo. Chiarito l’equivoco cadono le del resto già discusse datazioni al 1603 del San Francesco di Cremona, che era stato da alcuni collegato alla notizia del prestito della veste, mentre è di almeno quattro anni più tardo, o del forse ancor più tardo S. Francesco di Carpineto, o della copia romana, pur sempre in collegamento con la sudddetta notizia.

II

Spetta a Maurizio Marini una osservazione particolarmente acuta a proposito delle lettere vergate sulla lama che David brandisce con la destra, mentre con la sinistra regge per i capelli il capo reciso di Golia. Mi riferisco come ovvio al capolavoro della Galleria Borghese: le lettere sono H-AS-OS e non nascondono il nome dell’autore, come improbabilmente era stato supposto, ma il motto agostiniano: «Humilitas occidit Superbiam». Queste parole fanno parte di un brano dalle Enarrationes in Psalmos ( XXXIII, 4) che spiega anche il significato dato dal Santo all’evento: «In figura Christi David, sicut Goliath in figura diaboli: et quod David prostravit Goliam, Christus est qui occidit diabolum. Quid est autem Christus qui diabolum occidit? Humilitas occidit superbiam». Anche se già chi scrive (e dopo di me Hibbard) aveva richiamato il riferimento agostiniano a Cristo e al diavolo, la decrittazione cui è giunto il Marini resta una delle più affascinanti che io ricordi. Conferma la lettura iconologica, nonché l’importanza che Caravaggio (come del resto i pittori più impegnati) attribuiva alle Sacre Scritture e in particolare ai testi di Agostino. La critica ha cercato precedenti del gesto di David e della testa decapitata nella tradizione lombarda (Solario, Lotto). Secondo A. Moir (1982, p.555) «il Davide di Caravaggio assume la posa caratteristica delle allegorie della Giustizia, rappresentate sempre con la mano destra che impugna una spada, e la sinistra che regge, invece della testa, una bilancia». Un più preciso riscontro può essere fatto con un foglio dello Speculum Virginum della Stiftsbibliothek (HS 180) dell’abbazia di Zwettl (f. 45v) che raffigura il Trionfo dell’Humilitas e mostra una figura femminile in piedi, connotata dalla scritta Humilitas, che alza la spada contro la testa già in parte mozzata e sanguinante, testa connotata dalla scritta Superbia e tenuta per i capelli dall’ Umiltà. Sulla destra Giuditta decapita Oloferne, a sinistra Giaele uccide Sisara. Dunque la Humilitas che occidit Superbiam è il prototipo allegorico di ogni impresa che veda una vergine (o come nel caso di David uno sbarbatello) abbattere un tiranno. Un Ordine soppresso dopo il noto attentato a Carlo Borromeo, era da lui presieduto a Milano, l’Ordine degli Umiliati, che facevano voto di Umiltà e Carità. Forse il Merisi voleva anche mettere l’accento su un tema notoriamente caro ai Borromeo.

1) Alessandro Zuccari, Caravaggio controluce, Milano, 2011, p. 134 a proposito delle vesti miracolose di Fra’ Felice da Cantalice
2) Francesco Solinas (a cura di), Lettere di Artemisia, in collaborazione con Michele Nicolaci e Yuri Primarosa, De Luca Editore, Roma, 2011


(estratto da M. Calvesi, Caravaggio, ancora due asterischi: la veste di cappuccino e l’Humilitas, pubblicato nel volume n. 130, n.s. 30, settembre-dicembre 2011, pp. 39-40)

lunedì 5 dicembre 2011

In giro per mostre a Roma - da Raffaello e Michelangelo a Caravaggio

Torno a scrivere dopo diverso tempo e vorrei riprendere con alcune impressioni derivate dalle ultime frequentazioni romane. Si parla di mostre e si deve allora subito distinguere tra due prospettive: la visita per ammirare dal vivo capolavori e opere studiate solo sui libri, in un percorso esclusivamente di fruizione estetica, e la visita che dovrebbe lasciare una traccia anche livello formativo, ovvero dovrebbe accrescere le nozioni su un determinato periodo storico seguendo un'ottica scientifica e non esclusivamente didattico-manualistica. Il problema principale è la degradazione della mostra a semplice e basso evento di consumo turistico-propagandistico. Lo spiega bene Montanari nell'articolo Il sonno della ragione genera mostre quando scrive "Per rendere vero il luogo comune consolatorio per cui ‘le mostre avvicinano al patrimonio artistico e alla cultura il grande pubblico’, esse dovrebbero, al contrario, stimolare il senso critico ed il pensiero, non l’evasione e la distrazione. Una mostra potrebbe definirsi educativa se il pubblico uscisse dall’ultima sala persuaso a recarsi in un museo, in una chiesa o in una libreria per colmare alcune delle lacune intellettuali o culturali emerse durante la visita. E invece accade tutto il contrario". Per secondo spesse volte ci si trova con allestimenti completamente finti e spaesanti che alterano la percezione dell'opera spingendo più verso un'atmosfera di maniera che verso una lettura pulita e funzionale. Primo imputato è la mostra Il rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello. Ambiente inadeguato, allestimento pessimo e claustrofobico, tentativo di definizione di un periodo di per se complesso e articolato (la prima metà del 500), scelta di opere prese in larga parte da musei romani (e quindi fruibili nel loro contesto in un raggio di poche miglia), inserimento di opere non legate al contesto romano (come la scelta dei Raffaello, di certo i primi che hanno avuto a disposizione, tanto per inserire il gettone di presenza). Tra le poche cose che si salvano, oltre ribadisco la valenza estetica delle singole opere, il commovente originale della celebre lettera di Raffaello a Leone X, lo splendido disegno di Raffaello del Pantheon (tra le prime vedute esatte di monumenti romani), la produzione privata dell'ultimo Michelangelo con il confronto delle tavole (autografe?) della crocifissione e della pietà. 



La mostra Roma al tempo di Caravaggio appare ancor più un disastro. Le chiese romane sono state completamente depredate di pale d'altare (ben 40 in mostra) esposte poi su falsi e stucchevoli altari in finto marmo che rimandano un'atmosfera cupa e cimiteriale, da film dell'orrore. Se lo scopo era una ricognizione scientifica, infatti, niente di meglio sarebbe derivato da un allestimento pulito e minimale, anche asettico, che mettesse in evidenza l'opera prima di tutto e non la relegasse a pura immagine di se stessa. La Madonna dei Pellegrini, all'ingresso, in una posizione per nulla meritevole messa a confronto con non notevole tela dalla scuola dei Carracci. Percorso con poco filo logico, se si esclude una divisione prettamente cronologica. Troppe tavole didattiche sotto le opere che rischiano di smarrire lo sprovveduto visitatore Errore nelle iconografie con l'Allegoria di Roma di Valentin de Boulogne che diventa una retorica Allegoria dell'Italia. Ennesimo tentativo di far passare per originale di Caravaggio una tela privata (il sant'Agostino) recentemente scoperta. Quindi poca scientificità. Si spera che contributi interessanti vengano dalla seconda parte del catalogo, con nuovi saggi (ma anche il catalogo generale risulta interessante), e dal ciclo di conferenze: da non perdere quella della Macioce sul Caravaggio attraverso le incisioni (tema pochissimo affrontato), quella sulla pittura di paesaggio a Roma e su Roma vista da Milano. Tra le cose interessanti in mostra, invece, lo splendido lacerto della grande tela di Sezze di quel geniale caravaggista che fu Orazio Borgianni (dal quale questo blog, finalmente lo sveliamo, ha preso l'immagine di copertina), il poetico confronto tra le due Madonne con bambino di Orazio e Artemisia Gentileschi, l'altro confronto tra l'Angelo custode di Antiveduto Grammatica e il Tobiolo e l'angelo dello Spadarino, la bellissima Sacra Famiglia di Cavarozzi, il Martirio di Santa Caterina di Reni, lo sfondo neutro della sepoltura di Cristo di van Baburen da San Pietro in Montorio. Un recente articolo di Tomaso Montanari sulla mostra Roma e Caravaggio, scopriamo gli altarini, sintetizza bene tutti i punti negativi dell'esposizione.


Infine, girando nei pressi di Piazza Navona, non ho potuto non notare il Pasquino restaurato. Incredibilmente, ignorando del tutto la sua gloriosa storia, non è più possibile affiggere invettive e satire sul basamento poichè è stato posto a fianco un'anonimo totem di ferro che dovrebbe accogliere i versi.


Il Fatto Quotidiano, Tommaso Montanari, 2 dicembre

ALTO TRADIMENTO. Roma al tempo di Caravaggio non è solo l’ennesima kermesse caravaggesca promossa da Rossella Vodret nei due anni che sono passati dalla sua nomina a soprintendente di Roma: è letteralmente un atto di alto tradimento, culturale e professionale. La frenesia caravaggesca della dottoressa Vodret è tale che, al posto del Bacco di Bartolomeo Manfredi, a Palazzo Venezia c’è un cartello che informa che l’opera arriverà solo il 1 dicembre, al ritorno dalla inconsistente mostra su «Caravaggio en Cuba», sempre realizzata su progetto della Vodret.

Insomma, per disciplinare il traffico aereo dei Caravaggio movimentati dalla soprintendenza di Roma ormai ci vuole una torre di controllo dedicata. Ma la cosa più grave di Roma al tempo di Caravaggio è che quasi quaranta opere sacre sono state strappate dagli altari veri che ancora le accolgono nelle chiese per essere esibite a Palazzo Venezia, rimontate su finti altari di finto marmo, in una specie di galleria cimiteriale per cui davvero non c’era bisogno di scomodare Pier Luigi Pizzi. In questo momento le chiese di Roma sono dunque ridotte ad un colabrodo, anche perché quello di Palazzo Venezia non è l’unico luna park in attività: la stessa Vodret ha, per esempio, autorizzato l’espianto dalla Cappella Cerasi (in Santa Maria del Popolo) e la spedizione a Mosca della Conversione di Paolo di Caravaggio, un atto che distrugge (pro tempore, salvo incidenti) uno dei pochi ecosistemi artistici del tempo di Caravaggio che ci sia arrivato intatto.

E ai musei non va molto meglio: i pochi caravaggeschi dell’appena inaugurato Palazzo Barberini che non sono a Cuba sono stati deportati in Piazza Venezia, e anche la Galleria Borghese e la Corsini hanno pagato un alto prezzo all’ambizione della soprintendente. D’altra parte, quale sia la considerazione della soprintendenza per i musei, lo dice lo stato del disgraziatissimo Museo Nazionale di Palazzo Venezia, che sembra sempre il parente povero della mostra di turno nello stesso palazzo un degrado espresso perfettamente dal busto quattrocentesco di Paolo II ridotto a decorazione del guardaroba della mostra. E sta proprio qua l’alto tradimento: è la soprintendente stessa a lacerare il fragile e unico tessuto artistico romano che è pagata per difendere. In un conflitto di interessi intollerabile, la Rossella Vodret curatrice della mostra chiede i prestiti alla Rossella Vodret soprintendente: e, non sorprendentemente, li ottiene tutti. Tutto questo per una mostra che non ha nulla - ma davvero nulla - a che fare, non dico con la ricerca scientifica degli storici dell’arte seri, ma nemmeno con un buon progetto di divulgazione. Il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele E. M. Emanuele, scrive in catalogo che l’«assunto scientifico dell’esposizione è il confronto tra le due correnti del naturalismo e del caravaggismo»: che, invece, sono la stessa cosa.

Ma non bisogna fargliene troppo carico, perché è davvero difficile capire quale sia, quel famoso assunto: il “tempo di Caravaggio” (morto nel 1610) viene infatti dilatato fino al 1630, dimenticando un secolo di distinzioni storico-critiche e ammannendo al pubblico un polpettone indigeribile. Fin dalla prima sala (dove tiene banco un confronto, malissimo impostato, tra un capolavoro di Caravaggio e una tela della bottega di Annibale Carracci), la mostra appare dilettantesca, slabbrata, disinformata: una mostra come la si sarebbe potuta fare nel 1922. E nel 2011, con un tavolo pieno di monografie, tre milioni di euro in tasca e una buona ditta di traslochi a disposizione, l’avrebbe fatta meglio un laureando qualunque dei (pessimi) corsi triennali in Valorizzazione dei Beni culturali.

Ciliegina sulla torta, ecco la strizzatina d’occhio al mercato dell’arte. Finalmente tutti possono vedere il quadro lanciato a giugno come un Caravaggio a prova di bomba. L’esame diretto conferma che il SantAgostino è un gran bel quadro: ma dipinto trent’anni almeno dopo la morte del Merisi. A parte la curatrice della mostra, il proprietario e la professoressa Danesi Squarzina (che lo ha pubblicato), nessuno crede all’attribuzione a Caravaggio. Una pattuglia di specialisti autorevoli (tra cui Ursula Fischer Pace) pensa che sia un’opera del cortonesco Giacinto Gimignani, mentre a me ricorda addirittura le primissime prove di Carlo Maratti nella bottega di Andrea Sacchi (1640 circa).

Comunque sia, siamo lontani anni luce da Caravaggio: e ora c’è solo da sperare che non si provi a rifilarlo allo Stato italiano per qualche milione di euro. Non molti sanno che in Senato giace da mesi un’interrogazione in cui il senatore Elio Ianutti (IDV) chiede al ministro per i Beni culturali perché Rossella Vodret ricopra il posto di Soprintendente di Roma senza esser mai riuscita a superare un concorso da dirigente. Ebbene, dopo il colossale disastro di «Roma al tempo di Caravaggio», la soprintendente di Roma potrebbe prendere in considerazione una soluzione che farebbe risparmiare tempo al Senato e al suo ministro: dimettersi.


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