venerdì 29 maggio 2009

La cripta dei Cappuccini e la Dolce Morte a Via Veneto

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Tra i luoghi più singolari e “affascinanti” di Roma di sicuro è compresa la cripta dei Cappuccini a Via Veneto. Sotto la chiesa dell’Immacolata Concezione, edificata intorno al 1620 a cura del Cardinale Antonio Barberini, cappuccino, fratello di Papa Urbano VIII° Barberini, si apre un lungo corridoio dove, fino al 1870, furono sepolti i confratelli dell’attiguo convento, molto simile alla cripta di Palermo.

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Il termine cripta proviene dal latino crypta, sotterraneo, che è a sua volta derivato dal verbo greco che significa nascondere e anche seppellire; indica uno o più ambienti sotterranei che, in un edificio di culto, sono generalmente situati al di sotto dell'area presbiteriale; in questo caso l’accesso, situato a lato del portale di ingresso, conduce in un angusto ambiente, un breve corridoio dalle volte a botte completamente decorato di ossa. Data la ristrettezza del luogo e l'elevato numero dei frati seppelliti nel sepolcreto, intorno al 1770 un architetto locale ebbe il compito, per creare più spazio, di trasformare il luogo in una singolare opera d’arte usando come stucchi le stesse ossa dei frati (secondo la leggenda invece fu opera di religiosi fuggiti dalla Francia del terrore e quivi rinchiusi come “fuggitivi”). Anche se siamo in piena epoca rococò, viene ripresa quella concezione della morte cara, oltre che alla stessa confraternita dei cappuccini i quali spesso usavano tali luoghi per meditare sull’esistenza e sulla vanità del mondo, a tutto il periodo barocco.

Il culto delle reliquie è caratteristico del mondo cristiano; se nei sepolcri del primo ‘500 la tomba è ancora un sipario gelido e distaccato tra la vita e la morte, è con il Barocco (e Bernini) che la Morte, quale personificazione, recita una parte solidamente fisica, diventando elemento vitale dei catafalchi effimeri e delle decorazioni, presenza attiva e prepotente; qui così, oltre a quel sottile gusto per il macabro (sempre presente nell’arte, in particolare del sud Italia) assistiamo ad una glorificazione della Morte intesa quale chiave di meditazione sulla vita ed in una forma che, pur nei capricci dell’artista e nel suo senso di horror vacui, conserva una struttura di fondo ed una forte senso dell’ordine nel quale tutti i defunti appaiono sullo stesso piano poiché le loro ossa, sganciate dalla singola persona, si offrono alla decorazione complessiva formando quasi, per traslato, un unico grande scheletro. Ed in effetti il breve corridoio decorato di scheletri ricorda proprio la sagoma scarnificata di un’unica grande persona. Gli unici scheletri interi che compaiono quasi mummificati appartengono invece a confratelli particolarmente importanti per la congregazione.

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Il lungo corridoio è formato da cripte più piccole infilate le une dopo le altre; il programma iconografico è abbastanza semplice: si tratta di una riflessione sulla morte attraverso riferimenti alla Passione di Cristo ed a simboli temporali, quali la clessidra e l’orologio; la fede cristiana nella resurrezione infatti è il messaggio che ha voluto trasmettere chi ha strutturato quest'opera d'arte ornamentale con questo materiale veramente povero.

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La prima cripta, detta della Resurrezione, vede nella parete di fondo le varie componenti dello scheletro umano formano la cornice entro cui è incastonata la tela che rappresenta Gesù che risuscita l'amico Lazzaro. All’ingresso una targa recita, in riferimento al racconto medievale dei tre Principi che, tornando da una battuta di caccia, incontrano tre scheletri che li ammoniscono, “Noi eravamo quello che voi siete, e quello che noi siamo voi sarete”, ripreso anche nell’epitaffio lasciato da Antonio Barberini sulla sua lapide nella chiesa superiore “Hic iacet pulvis cinis et nihil” (qui giace polvere, cenere e niente).

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Nella seconda cripta, l’unica senza ossa, vi è una cappella per la messa ed una pala d’altare con Maria in trono e santi francescani che liberano le anime dalle fiamme del Purgatorio, altro compito dei cappuccini.

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Nella terza cripta, detta dei Teschi, nel timpano della nicchia centrale campeggia una clessidra alata con scapole ad indicare il tempo che vola via. Nella parete di fondo tre cappuccini in piedi, quasi in cammino. Le pareti laterali contengono due cappuccini sdraiati in atteggiamento di riposo dentro nicchie curvilinee. Nel mezzo della volta tre elementi decorativi vistosi, in cui prevale la sfera ornata di fiori. Dalla volta del corridoio un lampadario, sempre di ossa, scende da una stella ad otto punte. La volta di passaggio arricchisce la chiave di lettura di un elemento nuovo: il cranio con le scapole che gli fanno da ali.

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Nella quarta cripta, detta dei Bacini, nelle pareti laterali due cappuccini riposano adagiati sotto un arcosolio. La parete di fondo accenna a tre nicchie con dei cappuccini chini in avanti: i due ai lati sotto un arco rovesciato; quello al centro sotto un grande baldacchino di bacini, dai quali pende un fregio di vertebre. Il rosone centrale nella volta è formato da sette scapole con pendagli di vertebre. L'ornato termina ai lati con croci appese che portano la lancia e la spugna in cima ad un'asta: sono gli strumenti della Passione di Cristo: questa è una devozione cara ai francescani, che sentono Gesù come fratello, anche perché ha voluto subire la morte come noi.

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Nella quinto loculo, detto delle Tibie e dei Femori, le pareti laterali presentano quattro nicchie per parte con dei cappuccini in piedi e vestiti con il saio. Nella parete di fondo, il blocco centrale è una composizione ricca ed estrosa: sulla parete in alto una croce racchiusa in un tondo; sotto, lo stemma francescano (il braccio nudo di Cristo e quello vestito di san Francesco d'Assisi), sormontato da una corona. Sul pavimento sono disseminate 18 croci ad indicare altrettante sepolture; la terra proviene da Gerusalemme. La cornice ovale centrale della volta, racchiude un tondo di mandibole ornato di vertebre e due grandi fiori laterali formati da scapole con pendagli di vertebre. La volta del corridoio ha tre stelle ad otto punte, segno che sopra c'è una chiesa dedicata alla Madonna, stella del mattino: infatti c'è la prima chiesa dedicata all'Immacolata.

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orologio, cripta cappuccini

L’ultima cripta, definita dei Tre Scheletri, presenta due piccoli scheletri (della famiglia Barberini) sulla parete di fondo mentre sorreggono con una mano un cranio alato. Al centro della volta si impone uno scheletro sottile (la "principessa Barberini") compreso in una mandorla, simbolo della vita nascente. Con la destra sorregge una falce, simbolo della morte, e con la sinistra sostiene una bilancia, simbolo delle opere buone e cattive valutate da Dio nel giudicare l'anima. La volta del corridoio è molto ricca e varia: quattro piccole stelle a cinque punte contornano la grande stella ad otto punte dalla quale scende il lampadario. Nella vela sopra la porta è ornata con i motivi floreali ricorrenti composti con una costola e una vertebra. Nella parte opposta spicca un orologio, ad una sola sfera, per indicare che la vita continua nell'eternità, mentre in un sacello è custodito, avvolto in piombo, il cuore di Maria Felicetti Peretti morta nel 1656, colei che si considerava "madre" dei cappuccini, la pronipote di Papa Sisto V.

Se la scelta di decorare la cripta con le ossa ci può apparire lugubre e macabra, è in realtà un modo di esorcizzare la morte e di sottolineare come il corpo non sia che un contenitore dell’anima, e in quanto tale, una volta che essa l’ha abbandonato, si può riutilizzare in altro modo (vedi l’iconografia della Danza Macabra e del Trionfo della Morte); del resto lo stesso san Francesco, fondatore dell’ordine, scriveva nel suo Cantico:

"Laudato sii, mi' Signore, per sorella nostra morte corporale, dalla quale nessun uomo vivente può scappare. Guai a quelli che morranno nei peccati mortali. Beati quelli che morranno nella tua santissima volontà, perché da te, Altissimo, saranno incoronati."

In particolare proprio i cappuccini, che ebbero le loro origini da un gruppo di francescani che nelle Marche e nelle Calabrie si separarono dagli altri per osservare la Regola di san Francesco in modo più conforme alle origini, sono stati sempre legati alla meditazione sulla Morte e, in quanto "i frati del popolo", specie durante le varie epidemie che hanno colpito Roma, sono stati spesso anche materialmente in contatto con questa realtà.

Tra le varie curiosità le ossa, trasportate dai frati con 300 viaggi di carrette tra il 1627 e il 1631 dal precedente cimitero posto nel convento della chiesa di san Niccolò de Portis, furono "chimicamente trattate" per essere applicate come stucchi, mentre la mummificazione dei corpi, stando a Domenico da Isnello, fu ottenuta grazie al potere disseccante della rena usata per il pavimento. Igino da Alatri aggiunge che la terra che ricopre il sacro suolo fu portata direttamente da Gerusalemme per volere di Urbano VIII. Non è da escludere, anche se lo vedo molto improbabile, come i disegni ed arabeschi formati dalle ossa possano far riferimento alla cultura cabalistico-ermetica in voga nel ‘700 a Roma. Nel 1775 il Marchese de Sade visitò la cripta e ne lasciò una suggestiva descrizione, affascinato notevolmente dall’architettura, come fecero, poi, altri scrittori stranieri.

Bataille, in uno dei suoi articoli per la rivista Document, “Lo spirito moderno e il gioco delle trasposizioni”, inseriva un’immagine della Cripta nella sua dissertazione circa l’odierno status dell’informe e dell’immondo-morte verso il quale l’uomo moderno è incapace di porre un’azione organizzatrice, celando nel suo inconscio ciò che non riesce a manipolare.

Per concludere questo lungo excursus mi ha sempre colpito il fatto di come questo luogo singolare legato alla Morte, ma intesa dai monaci come dolce e sorella, si apra poi su via Veneto, quella strada che negli anni ‘50-‘60 divenne celeberrima in tutto il mondo come centro mondano di Roma e simbolo della "dolce vita”. Morte e Vita l’una davanti all’altra.

Fonte per le cripte (Rinaldo Cordovani)

Immagini grandi

Sito della chiesa

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