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domenica 20 marzo 2011

L'artista per Picasso

Da Giovanni Papini “Il libro nero” 1951 Vallecchi Editore

VISITA A PICASSO
Antibes, 19 Febbraio

Molti anni fa avevo comprato a Parigi sei quadri di Picasso, non perché mi piacessero ma perché eran di moda ed io potevo servirmene per fare dei regali alle signore che m’invitavano a pranzo. Ma ora, trovandomi solo sulla Côte d’Azur e non sapendo come passar le giornate, m’è venuta la voglia di vedere in viso l’autore di quelle pitture. Vive qua vicino, in una villa sul mare, con una giovanissima e florida moglie. Ha, credo, sessantacinque o sessantasei anni ma è di buon sangue catalano, forte e ben formato, di bel colore e di bell’umore. S’è parlato, sulle prime, di certi comuni conoscenti ma ben presto il discorso s’è fermato sulla pittura. Pablo Picasso non è soltanto un artista felice ma anche un uomo intelligente, che non ha paura di sorridere, a tempo e a lungo, delle teorie dei suoi ammiratori.

-Voi non siete un critico né un esteta, mi ha detto, e con voi posso parlare liberamente. Da giovane, come tutti i giovani, ho avuto anch’io la religione dell’arte, della grande arte. Ma poi, col passar degli anni, mi sono accorto che l’arte, come s’intendeva fino a tutto l’Ottocento, è ormai finita, moribonda, condannata e che la cosiddetta “attività artistica”, con la sua stessa abbondanza, non è che la multiforme manifestazione della sua agonia. Gli uomini vanno sempre più disaffezionandosi di pitture, sculture e poesie, nonostante le contrarie apparenze. Gli uomini di oggi hanno messo il loro cuore in tutt’altre cose: le macchine, le scoperte scientifiche, la ricchezza, il dominio delle forze naturali e delle terre del mondo. Non sentono più l’arte come bisogno vitale, come necessità spirituale, a somiglianza di quel che in altri secoli accadeva. Molti di loro seguitano a fare gli artisti e ad occuparsi d’arte, ma per ragioni che con l’arte vera hanno poco a che vedere, cioè per spirito d’imitazione, per nostalgia della tradizione, per forza d’inerzia, per amore dell’ostentazione, del lusso, della curiosità intellettuale, per moda o per calcolo. Vivono ancora, per abitudine e snobismo, in un recente passato, ma la grande maggioranza, in alto e in basso, non ha più una sincera e calda passione per l’arte, che considera tutt’al più come spasso, svago e ornamento. A poco a poco le nuove generazioni, innamorate di meccanica e di sport, più sincere, più ciniche e più brutali, lasceranno l’arte nei musei e nelle biblioteche, come incomprensibili e inutili relitti del passato.
“ Un artista che vede chiaro in questa fine prossima, come è avvenuto a me, cosa può fare? Troppo duro partito sarebbe quello di cambiar mestiere, e pericoloso dal punto di vista alimentare. Ci sono, per lui, soltanto due strade: cercare di divertirsi e cercare di far quattrini.
“ Dal momento che l’arte non è più il cibo che alimenta i migliori, l’artista può sfogarsi a suo talento in tutti i tentativi di nuove formule, in tutti i capricci della fantasia, in tutti gli espedienti del ciarlatanismo intellettuale. Nell’arte il popolo non cerca più consolazione ed esaltazione; ma i raffinati, i ricchi, gli oziosi, i lambiccatori di quintessenze, cercano il nuovo, lo strano, l’originale, lo stravagante, lo scandaloso. Ed io, dal cubismo in poi, ho contentato questi signori e questi critici con tutte le mutevoli bizzarrie che mi son venute in testa, e meno le capivano e più mi ammiravano. A forza di spassarmela con tutti questi giochi, con queste funambolerie, con i rompicapo, i rebus e gli arabeschi, son diventato celebre abbastanza presto. E la celebrità significa, per un pittore, vendite, guadagni, fortuna, ricchezza.
E ora, come sapete, son celebre, son ricco.
Ma, quando son solo, fra me e me, non ho il coraggio di considerarmi un artista nel senso grande e antico della parola. Veri pittori furono Giotto e Tiziano, Rembrandt e Goya: io sono soltanto un amuseur public, che ha capito il suo tempo e ha sfruttato meglio che ha saputo, l’imbecillità, la vanità e la cupidigia dei suoi contemporanei. E’ un’amara confessione, la mia, più dolorosa di quel che vi possa sembrare, ma ha il merito di essere sincera.
“et après ça, ha concluso Pablo Picasso, allons boire”.

Condividete il pensiero di Picasso? L'intervista però è immaginaria, scritta dallo stesso Papini.

mercoledì 15 dicembre 2010

Novecento sedotto

E proprio oggi che ho scritto un post sul ritorno al figurativo apprendo di questa singolare quanto coraggiosa mostra: Novecento sedotto. Il fascino del Seicento tra le due guerre da Velàzquez a Annigoni, allestita in coincidenza con le celebrazioni del centenario dalla nascita del noto artista toscano, che ha come intento principale il rilancio e la riscoperta del museo monografico di Pietro Annigoni. Si tratta di un percorso innovativo ed affascinante presso il neonato Museo Annigoni (Villa Bardini, Costa San Giorgio 2), dove, fino al 9 gennaio è ancora in corso la mostra su Caravaggio e caravaggeschi. L’allestimento mette insieme 50 opere di autori italiani e internazionali che, a cavallo fra le due guerre, hanno vissuto il fascino della pittura seicentesca. Una sorta di passione che accomunò molti autori attorno alla grande Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento, allestita nel 1922 a Firenze. Un evento unico, che presentò sotto un’altra luce oltre mille opere del diciassettesimo secolo e per la prima volta raccolse sotto lo stesso tetto diverse opere del Caravaggio, al tempo ancora dimenticato. L’interesse verso la pittura del seicento investì artisti come Giorgio De Chirico, Primo Conti, Achille Fucini , Pietro Annigoni, le cui opere in mostra dialogano con i capolavori di Artemisia Gentileschi, Jusepe de Ribera, Diego Velázquez.

Il percorso:

I. Attualità del Seicento negli anni Venti


Declinazioni del gusto tra Firenze, Roma e Milano
Mentre a Firenze si teneva nel 1922 la “Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento”, l’eco degli studi sul Seicento attraversava l’Italia, inserendosi tra i movimenti e gli interessi individuali degli artisti. Alcuni di essi ne furono dichiaratamente affascinati, altri ne accolsero alcuni influssi, mostrandosi molto sensibili a quel gusto. Questo dialogo è esemplificato nel percorso espositivo da confronti tra opere del Novecento e del Seicento, uno per tutti l’accostamento tra Dopo il bagno di Primo Conti e la Susanna di Felice Carena, alla maestosa Betsabea al bagno di Artemisia Gentileschi.

Critici e collezionisti
Allestita come una sorta di “corridoio degli uomini illustri”, la sezione presenta i ritratti di alcuni dei critici che presero parte, nel Novecento, al recupero della pittura del XVII secolo: Matteo Marangoni, Roberto Longhi, Ugo Ojetti e Giorgio de Chirico, il primo a parlare di «mania del Seicento». Accanto a loro, sono rappresentati alcuni dei collezionisti che contribuirono a nutrire la fortuna del secolo, come i coniugi Contini Bonacossi.

II. Il gusto del Seicento attraverso i generi e le tecniche


La natura morta
Allestite come una piccola e preziosa quadreria, le opere di Conti, Socrate, Marussig, Dudreville, Trombadori, De Chirico, Annigoni, testimoniano come gli artisti moderni seppero vivacemente interpretare il genere seicentesco della natura morta.

Il paesaggio
Al tema del paesaggio è dedicato un approfondimento che ancora una
volta prende spunto dalle analogie che i critici del primo Novecento avevano colto tra le opere di artisti noti dell’epoca e quelle di artisti attivi tra Sei e Settecento. In particolare la sezione è dedicata al tema del paesaggio nella pittura di Pietro Annigoni, a confronto con lo stesso genere affrontato da Anton Francesco Peruzzini, artista vissuto a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.

III. Da Caravaggio alla realtà moderna


Interpretazioni dell’arte del Seicento intorno agli anni Quaranta
La sezione ha il suo fulcro nell’opera Bacco all’osteria del pittore armeno Gregorio Sciltian, con i suoi dichiarati riferimenti al Caravaggio e a Velázquez. Le suggestioni della pittura del Seicento sono inoltre documentate in questa sala da opere moderne di Pietro Annigoni e Antonio Bueno che dialogano con quelle seicentesche di Jusepe de Ribera e Diego Velázquez, il cui Acquaiolo, restaurato per l’occasione, risalta per la sua alta qualità pittorica.

Luci e ombre seicentesche nel cinema
L’ispirazione al Seicento transiterà anche nel cinema. Come caso paradigmatico, si presenta il fotogramma finale di Mamma Roma (1962) con la morte di Ettore. La scena, diretta dalla regia di Pier Paolo Pasolini, brillante allievo di Roberto Longhi, evoca i chiaroscuri e la composizione del Compianto sul Cristo morto di Orazio Borgianni.






giovedì 1 aprile 2010

I disegni italiani di Escher

Maurits Cornelis Escher è ricordato per i suoi disegni e le sue incisioni "assurde", trasfigurate da un'irrealtà verosimile e matematica. Meno conosciuti sono i suoi disegni giovanili che rivelano soluzioni e scorci che il grafico olandese attuerà negli anni successivi. In particolare vorrei sottolineare gli splendidi fogli realizzati durante il suo periodo in Italia, dal 1922 al 1935; nel 1922, un anno cruciale nella sua vita, Escher visitò l'Italia (Firenze, San Gimignano, Volterra, Siena, Ravello, Abruzzo e Molise) e la Spagna (Madrid, Toledo, Granada). Fu impressionato dalla campagna italiana e dall'Alhambra di Granada, famoso palazzo moresco del Trecento.

Escher viaggiò regolarmente in Italia anche negli anni seguenti realizzando visioni degne di un viaggiatore del gran tour, immagini fedeli eppur contenenti già temi e tensioni interne degne delle sue realizzazioni più famose. Forti chiaroscuri, scorci particolari, prospettive allucinate, segni incisivi. Splendide le vedute di Roma, dalle quali esce fuori una città quasi noir; per campanilismo, inoltre, vorrei segnalare anche lo splendido disegno del castello di Cerro al Volturno, in Molise.


martedì 26 gennaio 2010

Scarpe: Van Gogh, Magritte, Warhol

Spostamento di senso o svuotamento di concetti; andando verso il postmoderno un tema, quello delle scarpe, viene affrontato con modalità figurative diverse. In Van Gogh la natura morta cela, per traslato, la fatica dell’uomo che ha usato quegli oggetti con una non sottesa vena sociale. Magritte, con vena surrealista, riflette sull’ambivalenza dell’indumento: feticcio e propaggine del corpo umano. In Warhol la bidimensionalità svuota la forma e i contenuti e trasfigura l’immagine in icona pop.

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lunedì 16 novembre 2009

Ricostruzione futurista dell’universo

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Tra i tanti manifesti e scritti del futurismo questo sinceramente mi mancava e lo trovo veramente geniale (cliccate sull’immagini). Il testo è tratto da questo bellissimo sito realizzato dall’architetto Maurizio Castelvetro e dedicato alla concezione architettonica futurista che si può riassumere con due termini espressivi lirismo e dinamismo.

http://www.rebel.net/~futurist/indiceframe.htm

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A riguardo segnalo anche quest’altro sito comprendente tutti i manifesti: http://www.futur-ism.it/home.asp

martedì 10 novembre 2009

Arturo Schwarz, il Dada e il Surrealismo

Arturo Schwarz è uno storico dell’arte, saggista e docente che ha scritto saggi sulla Kabbalah, sul tantrismo, sull'alchimia, sull'arte preistorica e tribale, sull'arte e la filosofia dell'Asia, sull'anarchia. Grande esperto delle avanguardie del Novecento, in particolare del Dadaismo e Surrealismo, aveva una grande collezione di lavori di Marcel Duchamp, André Breton, Man Ray, Jean Arp che, donata allo Stato, oggi forma un nucleo di eccezionale importanza e qualità alla GNAM. Possedeva anche la più importante biblioteca al mondo sulle avanguardie che cercò di donare allo stesso modo allo Stato italiano ma un ministro, ritenendo quella “robaccia” materiale pornografico e anticlericale rifiutò; non accettando l’offerta di 2 milioni di dollari del Getty Museum lo storico regalò quell’immensa mole di testi allo stato d’Israele.

ARTURO SCHWARTZ

Storico dell’arte controcorrente ha maturato negli anni una visione fortemente spirituale e mistica sulle correnti di primo Novecento, con riferimenti al mondo dell’alchimia e delle filosofie orientali; riporto a riguardo una sua frase su Magritte che permette di cogliere le vastità del suo pensiero:

Sconcertava sentirlo sostenere che la conoscenza può dissipare l’ignoranza, ma non può chiarire un mistero. Al contrario, è il mistero che nutre la consapevolezza. Il compito dell’artista, secondo Magritte, doveva essere quello di creare apparizioni che rivelino il mistero assoluto. Senza mistero, nulla davvero esiste. Il mistero è ciò che deve esistere affinché la realtà sia possibile. È il mistero che ci consente di partecipare alla vita dello spirito. Le nostre sensazioni, noi stessi e la pittura, dovrebbero tutti e tre divenire una cosa sola col mistero che ci appartiene”. («Una giornata con Manritte»).

Di seguito segnalo due articoli online:

Il Surrealismo. Una filosofia di vita.

A proposito del Surrealismo e dei suoi detrattori.

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L’interesse sul personaggio è dato dal fatto che questi è il curatore dell’interessantissima mostra aperta al Complesso del Vittoriano a Roma, "La riscoperta di Dada e Surrealismo" (9 ottobre 2009-7 febbraio 2010) che si annuncia come una delle più imponenti e complete mostre mai realizzate sull’argomento. Oltre 500 opere tra olii, sculture, readymade, assemblaggi, collage, disegni automatici ripercorrono nella sua interezza la nascita, il susseguirsi dei Manifesti e delle principali mostre, il cammino figurativo dei tanti protagonisti di questi due movimenti rivoluzionari che tanto potere eversivo hanno avuto tra le avanguardie artistiche del Novecento e tanta influenza hanno esercitato sull’arte successiva alla prima metà del secolo scorso.

Questa mostra ha il grande pregio di offrire una panoramica, probabilmente unica per la completezza e la qualità delle opere esposte, dei soli due movimenti artistici delle avanguardie storiche che, oggi più che mai, hanno conservato la loro attualità e la loro carica eversiva. Arturo Schwarz sottolinea come “Dada e il Surrealismo siano stati gli unici due movimenti dell’avanguardia storica a non limitarsi a una rivoluzione visiva, ma a propugnare invece una rivoluzione culturale, nel senso maoista di “rivoluzione ininterrotta” e di abolizione dell’antinomia tra teoria e pratica… Dada e il Surrealismo suggerivano una nuova filosofia della vita”.

E’ sempre Schwarz a spiegare il titolo della mostra “Dada e Surrealismo riscoperti”. “Riscoperti” perché la maggior parte delle mostre dedicate a questi due movimenti si sono quasi sempre limitate a presentare i protagonisti più conosciuti dimenticando quelli che vi militarono che hanno invece contribuito a precisarne l’etica e l’estetica. L’esposizione al Vittoriano vuole offrire una panoramica la più esaustiva possibile di queste due filosofie di vita uniti dal comune scopo di rinnovamento ma divisi radicalmente sui loro scopi. Dada fu una rivolta per la rivolta partita dalla tabula rasa per negare in modo radicale tutti i valori; il Surrealismo si collocò sin da subito sotto il segno dell’impegno, dell’engagement altrettanto radicale.
Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. Ritagliate l’articolo. Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra disponendole nell’ordine con cui le estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Eccovi diventato ‘uno scrittore infinitamente originale e fornito di sensibilità incantevole…” : ecco cosa consiglia Tristan Tzara nel 1920 ed ecco sempre lui esclamare nel Manifesto Dada del 1918 che “Dada non significa nulla” e che “l’opera d’arte non deve essere la bellezza in se stessa perché la bellezza è morta”.

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Comunicato stampa della mostra.

giovedì 15 ottobre 2009

Aurelio Amendola – Ritratti d’artista

Fa sempre un certo effetto guardare le foto degli artisti che hanno segnato il XXI secolo; se queste immagini, poi, sono state scattate da Aurelio Amendola, uno dei più grandi fotografi italiani, allora assumono significati ulteriori. Fotografo di grandi personalità creative, questi è riuscito a mettere in luce le loro più intime passioni con occhio indiscreto. Gli scatti che mostrano, per esempio, Burri in azione sono più significativi di un manuale di storia dell’arte nel cogliere il fermento creativo e nello spiegare l’essenza delle sue opere fatte di materia, fuoco e rinnovata bellezza. E che dire di Emilio Vedova sporco di colore assorto davanti un suo lavoro, quasi in una posa estatica? Forse sarebbe bene, prima di studiare molti di questi artisti, osservare gli intimi scatti di un fotografo che silenziosamente ha saputo scrutarli dentro. La creazione-creatività, prima di passare sulla tela, è sempre presente nei volti e nei gesti degli artisti. Guardare uno scatto equivale a leggere una loro opera.

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Emilio Vedova

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De Chirico

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Warhol

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Hans Hartung

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Roy Lichtenstein

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giovedì 24 settembre 2009

Paul Gachet. Il “medico” degli impressionisti

 

Una delle più affascinanti figure della storia dell’impressionismo fu Paul Gachet. Fu medico della Compagnia delle Ferrovie del Nord ma fu anche un medico specializzato in omeopatia, uno psichiatra (nel 1852 ricevette un encomio per la sua tesi Étude sur la Mélancolie), un darwiniano, un socialista, uno studioso di chiromanzia, un collezionista e un mecenate sempre  generoso e amico di tutti quegli artisti che gravitavano intorno alla corrente dell’Impressionismo. Nel 1870 aveva partecipato alle riunioni della Nouvelle Athenes, conoscendo Manet e Degas prima di trasferirsi, nel 1872, ad Auvers sur Oise, dove ebbe inizio l' amicizia con Cezanne, Pissarro e Van Gogh.  Vero e sincero compagno dei pittori trascorse molto tempo con Charles Méryon durante la lunga degenza, seguì il recupero di Auguste Renoir dalla polmonite nel 1882, consigliò Édouard Manet contro l'amputazione della gamba.

Si ricorda soprattutto comunque l’amicizia con Van Gogh; il soggiorno di Van Gogh in casa del dottor Gachet avvenne dal maggio al luglio del 1890, quando il pittore, ancora una volta, attraversava un periodo di crisi per il matrimonio del fratello Théo e la nascita di suo nipote. Rendendosi conto della necessità di allontanare il fratello da Parigi, su consiglio di Pissarro Théo si era rivolto al dottor Gachet. Pissarro sapeva che il medico s'interessava di malattie mentali e pensava che avrebbe potuto avere un'influenza benefica su Vincent. Infatti il dottor Gachet con i suoi discorsi e con la sua terapia, che consisteva soprattutto nel consigliare all'ammalato di pensare unicamente alla sua pittura, contribuì a restituire un certo equilibrio allo sventurato. Ma un giorno, il 27 luglio, in assenza del medico, Van Gogh si sparò in pieno petto. Si può pensare che se fosse stato ad Auvers il medico avrebbe saputo dissuaderlo dal darsi la morte, o almeno avrebbe potuto curarlo efficacemente. Ma quando ritornò era troppo tardi.

Da questa amicizia derivò lo splendido ritratto del dottore, tra i suoi capolavori. Il dipinto è estremamente innovativo: Van Gogh abbandonò le pose statiche e convenzionali dei precedenti. Il triste volto del dottore, ebbe modo di affermare Van Gogh in una lettera indirizzata al collega ed amico Paul Gauguin, è  “l'espressione disillusa del nostro tempo” . In un altro messaggio al fratello Theo il pittore scrive “la testa con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto. Le mani sono mani da ostetrico, più chiare del volto”. A ciò si unisce lo splendido trattamento del colore e il ricorso alla classica iconografia della Malinconia (in riferimento sia alla tesi del medico che al suo temperamento saturnino). In un’altra lettera infatti scrive “In questo ritratto il dottor Gachet ha un’espressione malinconica, che talvolta appare come una smorfia quando la osservi. Ed è questo, tuttavia, che si deve dipingere. Perché ci si rende conto che a paragone dei vecchi ritratti, così calmi, c’è espressione e passione nei volti come li dipingiamo ora, un senso di speranza e un lamento. Triste, ma dolce, chiaro, intelligente. Molti ritratti dovrebbero essere così.”

Del quadro esiste un’altra copia conservata all’Orsay nella quale Vincent ha eliminato  il bicchiere e i libri, lasciando risaltare la pianta di digitale (al tempo usata come rimedio fitoterapico per la cura di diverse malattie) sul fondo rosso, trattando in modo più sommario lo sfondo.

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…Eugène Delacroix Tasso nell’ospedale di sant’Anna a Ferrara, citato da Van Gogh in diverse lettere e probabilmente ispiratore della posa del ritratto…

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…la Malinconia o Allegoria della Malinconia (con la classica mano sulla guancia)…

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…il dottor Gachet…

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…la figlia e la moglie (Margherita Gachet) in due quadri di van Gogh…

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…Cezanne La casa del Dottor Gachet a Auvers, 1873 e il suo “giardino” dipinto da Van Gogh…

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…Il medico fu, come visto, artista dilettante e incisore (diede lezioni di acquaforte a Cézanne e più tardi a Van Gogh) e si firmava Paul van Ryssel; ecco alcune sue opere vicine allo stile dell’amico Vincent…

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…e suo il tragico schizzo di Vincent appena deceduto…

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…e per finire il primo e l’ultimo ritratto del medico realizzati rispettivamente da Armand Gautier nel 1859 e da Norbert Goeneutte nel 1891

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Fonti:

 http://www.artnet.com/magazine/features/robinson/robinson5-17-99.asp

http://it.wikipedia.org/wiki/Ritratto_del_dottor_Gachet

http://www.nadar1874.net/Gachet.html

mercoledì 23 settembre 2009

Musée d’Orsay-Le acquisizioni

 

Solo un appunto, nulla più, per mostrare come dovrebbe essere la politica di un museo in materia di acquisizioni. Lungimiranza e completamento delle collezioni. E soprattutto trasparenza. Al Musee d’Orsay il 20% del prezzo del biglietto d'ingresso alle collezioni permanenti viene destinato a questo scopo. Da noi il costo del biglietto non basta neanche per l’ordinaria manutenzione.

Ultime acquisizioni. Modi d’acquisizione.

E questo ciò che si riesce ad acquisire:

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