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martedì 27 maggio 2014

Foto libere nei musei statali


Nel nuovo Decreto cultura sono presenti novità per il mondo della fotografia e della tecnologia in genere. Le nuove "disposizioni urgenti" sono state firmate dal Consiglio dei Ministri lo scorso 22 maggio, e includono la possibilità di effettuare liberamente foto all'interno dei musei con qualsiasi dispositivo elettronico.

Si tratta di novità fortemente volute dai luoghi della cultura e dell'arte italiana, nel tentativo di dissipare le difficoltà dei controlli, divenute progressivamente crescenti con il diffondersi di smartphone e tablet. Le nuove direttive escludono le normative in fatto di legislazione dei beni culturali in vigore fino a ieri, fra cui il divieto di scattare foto all'interno dei luoghi dell'arte.

Le nuove regole del Decreto hanno l'obiettivo di promuovere la "libera manifestazione del pensiero o espressione creativa" o la "conoscenza del patrimonio culturale". Gli scatti effettuati all'interno dei musei possono essere utilizzate, inoltre, per finalità di studio e per ricerca, ma in tutti i casi senza alcuno scopo di lucro.

Viene naturalmente vietato l'uso di qualsiasi tipo di flash o fonte di illuminazione artificiale durante lo scatto, così come qualsiasi strumentazione che richiede il contatto fisico con l'opera d'arte. Vietati anche l'uso di stativi e treppiedi.

Di seguito riportiamo il testo del decreto relativo alla "Semplificazione beni culturali, foto libere nei musei":

"Sono libere, al fine dell’esecuzione dei dovuti controlli, le seguenti attività, purché attuate senza scopo di lucro, neanche indiretto, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, né l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, né l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte dall’utente se non, eventualmente, a bassa risoluzione digitale.”


Il testo completo

DISPOSIZIONI URGENTI PER LA TUTELA DEL PATRIMONIO CULTURALE, LO SVILUPPO DELLA CULTURA E IL RILANCIO DEL TURISMO

domenica 24 novembre 2013

Come nasce un'icona - Il ritratto del Che di Korda


Il 5 marzo del 1960, a L’Avana, si svolgono i funerali per le ottantuno vittime dell’esplosione della nave francese La Coubre nel porto della capitale cubana. Il carico della nave era composto da un arsenale di munizioni provenienti dal Belgio: l’arrivo di tale carico aveva ricevuto una forte opposizione da parte degli Stati Uniti, e per tale ragione Fidel Castro aveva accusato la CIA di responsabilità nell’attentato. Un giovane fotografo di 32 anni si muove sotto la struttura allestita per l’evento e continua a fotografare chi interviene sul palco: si chiama Alberto Díaz Gutiérrez, meglio noto come Alberto Korda.

Quella mattina Korda lavora per conto del quotidiano Revolución e ha al collo una Leica M2 con un obiettivo da 90 mm. Dopo una marcia funebre percorsa sul lungomare, le maggiori rappresentanze si radunano sul palco per commemorare i caduti. Sono presenti, tra gli altri, Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Fidel Castro. Korda fotografa tutti. Sono le 11.20 e mentre il Comandante interviene con un discorso infuocato, Che Guevara, sofferente per un attacco di asma, arriva in ritardo, con il volto rabbuiato.
Due scatti veloci immortalano quel volto e quello sguardo.



Ho sempre ritenuto El Guerrillero Heroico uno scatto casuale e fortunato, una foto che non ritrae realmente Che Guevara ma un personaggio astratto, immaginario, vissuto nella dimensione del mito per opera delle generazioni che l’hanno amato ed esaltato, un idolo creato dalla fantasia, cui Guevara ha soltanto prestato i lineamenti del viso. L’immagine più vera del Che è sicuramente l’intenso ritratto che René Burri realizzò nel 1963, immagine che ci restituisce il personaggio in tutta la sua autentica e contraddittoria dimensione di uomo, fuori dal mito e dalla leggenda.



mercoledì 29 maggio 2013

Biennale Venezia 2013: "Palazzo Enciclopedico" e il nuovo ruolo dell'arte

Il sonno dell'arte in tempo di crisi è capace di rispolverare i mostri del passato, o meglio di quell'inconscio sopito che tante volte, dalla fine dell'Ottocento, si è tentato di liberare per destabilizzare il mondo. Arte elitaria e visione di un paleo-futuro decadente per una certa borghesia già introdotta nelle pieghe di un sapere ermetico e anti-democratico. Inutile dire che tra spiritismo, medium e satanismo di cattolicesimo, col suo ruolo di guida delle arti, non c'è rimasto nulla; neanche nel padiglione del Vaticano.



"In un occidente ossessionato dall'incapacità di trasformare il mondo, colpito processi storici che si abbattono con la violenza e l’irrimediabilità delle catastrofi naturali, il curatore di questa 55ma biennale di Venezia, l’italiano Massimiliano Gioni, propone il ripiegamento nell’antropologico. Lo fa con raffinatezza, stratificando letture decennali di Hans Belting, Paolo Rossi, Maurice Merleau-Ponty, Gilles Deleuze, Walter Benjamin e tanti altri per costruire il ritratto della ricerca artistica contemporanea in un immenso gabinetto delle curiosità, come quelli in voga nell’Europa principesca del Cinquecento.

Il suo Palazzo Enciclopedico – è il titolo della mostra -, sembra un vero e proprio labirinto tassonomico, dove nella crisi della capacità creativa, il ruolo dell’arte diventa quello di raccogliere i relitti lasciati e consumati dalla vita per organizzarli un’inchiesta estetica sulla natura umana. Lo dichiarano da subito le due sale con cui si apre il duplice percorso della Biennale, suddiviso come sempre tra le Corderie dell’Arsenale e il padiglione principale dei Giardini.

Nel primo, c’è il grande plastico dell’artista autodidatta Marino Auriti del 1955, progetto di un immenso grattacielo di 136 piani destinato a Washington e che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto racchiudere «tutto il sapere del genere umano». Appese attorno nella stessa sala, sono le fotografie di J.D. ‘Okhai Ojeikere che, volendo documentare aspetti della cultura nigeriana, negli anni Sessanta finì per creare intere mappature antropologiche come quelle esposte in mostra, dove sono ritratte le principali tipologie di acconciature tradizionali del paese. Varietà e tentativo di mettere ordine, unità e molteplicità rizomatiche che aprono anche la sezione ai Giardini con le tavole illustrate del Libro Rosso di Jung, prodotto di un lunghissimo lavoro di ricerca psicanalitica alla ricerca degli archetipi che si nascondono dietro la varietà naturale dei comportamenti mentali.

L’approccio di Gioni, il suo rifiuto di un’arte poietica e il rifugio nell’universo psichico, nell’ossessione descrittiva, nella nevrosi non creativa non sono cose nuove nel mondo dell’arte. E compaiono regolarmente a ogni passaggio di crisi. Fu così negli anni Ottanta, quando la riscoperta della pittura, di un certo espressionismo e del mondo degli spesso distruttivi nascosto dietro l’apparente perfezione della modernità, sembrò mettere in cantina per sempre movimenti come l’arte concettuale e il minimalismo che avevano puntato all’industria e alle sue capacità produttive per trasformare il mondo. Ed era stato così a inizio secolo, con la grande crisi dell’Europa industriale che apriva alla società di massa e negli anni Cinquanta, con il primo, tragico dopoguerra.

A quanto pare ci risiamo, come dimostra una museografia ispirata alle ricerche, purtroppo prematuramente interrotte di Adalgisa Lugli, che nel 1983 (non a caso) aveva pubblicato un libro (Naturalia et Mirabilia) destinato a fare storia proprio sulla storia delle Wunderkammer, i gabinetti di curiosità rinascimentali e barocchi da cui sarebbero nati i musei. Ricerche ispirate a quelle di Julius von Schlosser che nel 1908 (ancora una volta una data non a caso) aveva pubblicato la prima opera sui gabinetti di curiosità, destinata a fare epoca. Ci risiamo, quindi, come dimostra l’allestimento scelto da Gioni che sembra un vero e proprio labirinto, disordinato ma con una sua via d’uscita, come le leggi infinite, analogiche della scienza barocca a cui si ispira. Rifiuto del’organizzazione razionale del museo moderno.

Le opere in mostra, perciò, non hanno nulla a che vedere con quelle neomoderniste della Biennale di Robert Storr di sei anni fa. Somigliano, piuttosto, a ritrovamenti di un’archeologia fantastica da cui costruire ipotetici orizzonti di senso. È il caso delle istallazioni di Rosemarie Trockel, fatte di relitti di un’infanzia novecentesca – bambole, pupazzi rabberciati di tela, carta e spago – o nella distesa di dagherrotipi e foto antiche anonime, a metà visibili e a metà svanite, esposti assieme a veri ex voto popolari o altri autentici reperti. Un’altra categoria di opere, in special modo video, invece, investigano i limiti della tecnologia moderna, per dirla con le parole del curatore in riferimento al francese Laurent Montaron presente in mostra, investigano i «processi irrazionali e misteriosi delle macchine». È il caso del video di Yuri Ancarani, che racconta il lavoro di un robot chirurgico come se fosse un essere mostruoso e animato, costruito - suggerisce l’autore - secondo paradigmi antropomorfi.

Sono 150 le opere raccolte da Gioni e, che piaccia o meno, sono raccolte ed esposte con una coerenza che tiene dall’inizio alla fine. Dando vita a una mostra piuttosto intellettualistica, a dire la verità, forse lontana dai centri e dai problemi nevralgici del mondo contemporaneo e vicina all’immaginario di una borghesia occidentale che sembra compiacersi del proprio decadimento. Ma di sicuro nevrotica, ossessiva e forse anche un po’ cinica, restituendo un’immagine antropologicamente esatta dell’aria che tira in questa parte del mondo".


lunedì 11 marzo 2013

Mighty Silence

Una bellissima e toccante esperienza visiva quella che ci propone Mighty Silence. Il fotografo giapponese Yasushi Handa a due anni dal terribile evento, in occasione della ricorrenza del terremoto giapponese, ci propone un reportage fotografico di grande forza evocativa. Un'anteprima del libro su questo link.





giovedì 12 luglio 2012

Le architetture impossibili di Jean François Rauzier

Jean François Rauzier è un artista francese nato nel 1952. Dall'esperienza di fotografo, pittore e scultore per 30 anni, Rauzier ha cominciato a sperimentare nuove tecniche di espressione ed ha elaborato quella che viene definita "Hyper-Photo". Tecnica digitale che unisce insieme un numero impressionante di singole immagini. Gli scatti, dalle architettura impossibili e surreali, uniscono la visionarietà di Piranesi e l'assurdo di Escher il tutto con una tecnica impeccabile e molteplici citazioni e riproposizioni di celebri architetture. Provare a navigare, per esempio, in questa veduta di Venezia (o in ogni altro scatto in modalità schermo intero) è un'esperienza estraniante.










domenica 20 maggio 2012

Perchè i morti sono di più

Guardo inerme la distruzione causata dal sisma in Emilia e mi accorgo, come anche per l'Aquila, come i morti siano molti di più. I monumenti crollano e si distruggono. Fino all'Ottocento tutto questo non sarebbe stato percepito come una mancanza. Chiese e palazzi sarebbero stati ricostruiti, sarebbero stati resi forse più belli poichè la grandezza delle città italiane sta nell'accumulo del tempo e degli strati che ogni volta lascia tracce diverse eppur in armonia con le precedenti. Oggi che si è smarrita la bellezza del costruire seguendo la natura e lo spirito dei luoghi, oggi che si costruiscono brutture architettoniche e ogni intervento appare isolato dal contesto, slegato dalla perfezione urbanistica, ogni perdita appare come un addio. Certo, forse verranno restaurati, ma ciò che si è perso rimarrà solo nella memoria e non vivrà, come memoria, nella ricostruzione. Incapaci di produrre più bellezza, edifici civili o religiosi che condensano i valori di una popolazione, percepiamo ogni danno come una ferita non più sanabile. Ogni edificio o opera d'arte è insostituibile, è vero, ma se ci fosse continuità nella storia dell'arte e delle forme ogni mancanza verrebbe sanata con altre opere, come è stato per secoli. Purtroppo oggi il pessimismo e la perdita dominano questi momenti. Un castello che crolla è allora un morto in più sulla nostra coscienza.


P.s. La nostra attuale architettura, ormai, sembra quella che un rassegnato Jay Wolke ha immortalato nel suo ultimo libro «Architettura di rassegnazione. Fotografie dal Mezzogiorno». A riguardo si legga l'articolo di Tomaso Montanari: Il Mezzogiorno rassegnato.


P.s.2 E che dire, per esempio, del Ponte Lucano e del Mausoleo dei Plauzi. Un tempo elemento pittoresco nella campagna romana, raffigurato tante volte per la sua bellezza e amenità, per il suo intimo legame col paesaggio, e oggi divenuto discarica soffocato dal traffico?



lunedì 14 maggio 2012

Dall'opera alla foto. Bansky e Balthus

Due casi di fotografi che reinterpretano opere d'arte. Nel primo caso il  fotografo di Los Angeles Nick Stern ha realizzato degli scatti che vanno a riprodurre le opere d'arte di Banksy trasformando così in scene di vita reale i suoi celebri stencil. Nel secondo caso sondando il labile confine tra luce e oscurità, innocenza e malizia, fantasticherie dell’infanzia e ossessioni adulte, Hisaji Hara ha puntato il suo obiettivo sul Giappone e le lolite in uniforme scolastica, recuperando soggetti, oggetti di scena e le pose morbosamente conturbanti di alcuni quadri di Balthus.









lunedì 23 aprile 2012

Elena Kalis - Fotografare nell'acqua

Veramente suggestive, oltre che tecnicamente perfette, la foto di Elena Kalis dalle serie underwater photography. Magiche e sfuggenti, velatamente surreali, e con un tocco pittorico (accordi di luci e colori) che non cade nel didascalico o nella citazione. A voi il giudizio.










domenica 5 febbraio 2012

Foto di artisti e dei loro studi

Andy Warhol, Self-Portrait

Edvard Munch studio 1938

Pollock nel suo studio
Vi assicuro che questo sito crea dipendenza e lo vorrete scorrere sino all'ultima pagina. Io sono arrivato a metà e posto i basso le foto che mi hanno più colpito. Il blog raccoglie ritratti fotografici di artisti, foto dei loro studi, momenti di vita, immagini di vita quotidiana inaspettate. Tutta l'emozione allora di guardare negli occhi pittori che magari abbiamo solo studiato attraverso le opere e ritrovare in gesti, sguardi, momenti la loro più intima natura che traspare dalla vita reale (Magritte dallo sguardo stralunato, Van Gogh dolce e sofferente, Kandinsky freddo e razionale, ecc.). Se aggiungiamo il fatto che molte foto inserite mi erano del tutto sconosciute e suppongo quindi rare da trovare su internet il gioco è fatto. Il sito in questione è Artist and Studio.

Claude Monet

Monte nel suo studio


Egon Schiele 1918

Gustav Klimt

Henri de Toulouse-Lautrec as Pierrot, 1894

Matisse nel suo studio

Henri Matisse, Nice, France, 1948

Wassily Kandinsky

Maddona and Jean-Michel Basquiat

Marc Chagall, Paris, 1934 -by Horacio Coppola 
Paul Cezanne

Paul Gauguin

Rene Magritte

Pablo Picasso

Vincent Van Gogh

Wassily Kandinsky


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