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martedì 11 gennaio 2011

Iconografia sacra - I santi e gli episodi del Vangelo


Fa sempre bene un ripasso di iconografia sacra, specie se attraverso video fatti come si deve e approfonditi dal punto di vista artistico e dogmatico. Segnalo pertanto questi video dal blog religione 2.0. Si tratta dell'analisi dell'iconografia di alcuni santi e di episodi del Vangelo. In basso l'elenco con i link.







mercoledì 23 giugno 2010

Le più antiche icone degli apostoli


"Sono le più antiche immagini degli apostoli e risalgono alla fine del IV Secolo". Così Fabrizio Bisconti, sovrintendente ai lavori archeologici delle catacombe di Santa Tecla a Roma ha annunciato la scoperta delle icone di Pietro, Paolo, Andrea e Giovanni, le prime raffigurazioni del volto dei quattro apostoli, nascoste per secoli sotto un cubicolo situato sotto un palazzo risalente agli anni '50. "Per Andrea e Giovanni si tratta delle prime rappresentazioni iconografiche in assoluto, mentre per Pietro e Paolo esistevano già delle rappresentazioni ma mai da soli e mai sotto forma di icona"

C’è voluto il laser per scoprirli, a niente erano serviti bisturi, acqua, nebulizzazioni. Il ritrovamento è stato illustrato ieri da monsignor Gianfranco Ravasi, presidente della Pontificia commissione di Archeologia sacra, monsignor Giovanni Carrù, segretario della stessa commissione, il professor Bisconti e Barbara Mazzei, responsabile del restauro. Tutto è iniziato un anno fa, quando in un angolo della volta del cubicolo gli archeologi avevano scoperto un primo volto, quello di San Paolo. Era il giugno del 2009, da quel momento gli studiosi hanno intuito che nella volta del cubicolo si potevano nascondere altre icone. "Dopo vari tentativi falliti il laser ha fatto centro – spiega Bisconti -. Venuta giù la patina calcarea, abbiamo scoperto nei tre angoli della volta gli altri apostoli e al centro l’immagine del Buon Pastore. Sono le prime rappresentazioni degli Apostoli come icone in assoluto. Ora disponiamo delle più antiche immagini degli apostoli risalenti alla fine del IV Secolo".

I quattro dipinti, come detto, si trovavano sotto un cubicolo fatto edificare da una nobildonna del tardo Impero romano, che commissionò la decorazione della tomba basandosi prettamente su temi biblici. Il cubicolo e l'intera struttura delle catacombe sono situate sotto un palazzo risalente agli anni '50, la cui costruzione non ha danneggiato i reperti archeologici. "Come facciamo ad essere sicuri che si tratti proprio dei santi apostoli? Abbiamo confrontato le immagini con alcune rappresentazioni degli apostoli che possiamo ritrovare a Ravenna e risalenti a qualche tempo dopo complete anche di didascalia. Pietro, ad esempio, è rappresentato con un'immagine stereometrica e con una incipiente calvizie".  Le opere come sottolineato da Bisconti, rappresentano un'importante scoperta archeologica "chi le ha disegnate non era certamente un pittore raffinato, anzi, direi, estremamente corrivo". Nella volta del cubicolo ci sono anche le immagini di una matrona romana e di "un fitto cassettonato che forse imitava la Basilica di San Paolo sappiamo che alla fine del IV secolo era stato ricostruito un "martyrium paolino" e diverse fonti ci dicono che il soffitto era tutti travi e lamine d'oro".  "Il cubiculo - prosegue il sovrintendente Bisconti - emula un mausoleo o una basilica. Vicino c'è l'immagine di un collegio apostolico con cristo al centro tra gli apostoli, come di solito era raffigurato negli absidi delle basiliche romane. La matrona appare ingioiellata insieme alla figlia in atteggiamento orante". "Alla fine di IV secolo a Roma vive San Girolamo, che dà avvio a una sorta di ascetismo quasi monacale, coinvolgendo diverse matrone della città. E la donna sepolta in quel cubicolo poteva essere una di queste aristocratiche che, convertita al Cristianesimo, viaggia poi in Terra Santa per vedere i luoghi degli apostoli. Poi, al ritorno, fa riprodurre le loro immagini sulla tomba. In ogni caso, sono le icone più antiche a figura intera di Pietro e Paolo e, in assoluto, quelle più antiche di Andrea e Giovanni".

Dal link un articolo di Bisconti e Ravasi, tratti dall'Osservatore romano, sulla scoperta del 2009 dell'icona di San Paolo. Anche da RadioVaticana su quest'ultima scoperta. In basso le icone di San Paolo e San Pietro.



giovedì 17 settembre 2009

San Sebastiano icona gay?

"Considerato terzo fra i sette difensori della Chiesa nella catalogazione di Gregorio Magno, compatrono di Roma dopo Pietro e Paolo, Sebastiano, soldato e martire di Cristo, figura affascinante nella storia e nella leggenda, ritorna nell’arte con incredibile frequenza. La copiosità delle immagini è alimentata dal terrore per la peste, contro cui viene invocato quale protettore. Il timore del male contagioso, flagello che in antico ricorre con incredibile periodicità, determina la scelta di un intercessore che quale avvocato implori l’immunità o la cessazione del male, ritenuto dalla credenza popolare un segno della collera celeste oppure un castigo imposto al mondo per le sue colpe… Sebastiano pertanto viene rappresentato giovane o vecchio, imberbe o barbuto, gracile od atletico; le sue vesti sono quelle di un gentile cavaliere o di un rude soldato, di un garbato paggio o di un aristocratico ufficiale; nella persecuzione si rivela come un martire paziente o sconvolto dal dolore, astratto o terribile, suadente o minaccioso" (in "Bibliotheca Sanctorum").

Questa è la lettura ufficiale della Chiesa; chiedendomi però da dove venisse la sua relazione col mondo gay, evidente nell’iconografia di molte opere contemporanee, ho scoperto questo link.

Se ne deriva che nell’agiografia non vi sono motivi per avvalorare questo legame, nato probabilmente circa un secolo fa in relazione al Martyre de saint Sébastien (parole di Gabriele D'Annunzio, musiche di Debussy) che dipinge Sebastiano come un "favorito" dell'imperatore; da qui il celebre film Sebastiane di Derek Jarman). Di certo vi sono rimandi nell’iconografia rinascimentale del santo: è il Rinascimento infatti che lo "inventa" come santo nudo, scegliendo il momento in cui è già stato spogliato e legato a far da bersaglio. Se a ciò uniamo l’inconscio legame tra frecce e penetrazione il gioco è fatto. L’esempio più clamoroso, ma anche quello artisticamente più bello, è la tela del Sodoma; volendo però di esempi se ne trovano molti, giungendo fino all’arte contemporanea.

sodoma-sebastiano guido reni.san sebastiano

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In questo utilissimo sito l’iconografia di San Sebastiano nell’arte italiana, con più di 7000 opere catalogate. (link). Qui il contraddittorio.

sabato 16 maggio 2009

Tracce del Sacro

Oltre a Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto Fra Angelico, il quale fu beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1984 diventando protettore degli artisti, esiste un altro santo che fu, anche se meno famoso, un valente pittore.

Adam Chmielowski nasce ad Igołomia nel 1845 in Polonia; dopo aver partecipato all’insurrezione della Polonia contro lo zar nel 1863 e aver perso una gamba in battaglia, si trasferisce a Parigi dove inizia a frequentare la scuola delle Belle Arti; passerà in seguito per Gand, Monaco, fino a tornare a Varsavia dove, spinto da una profonda crisi mistica, nel 1880 entrerà nella Compagnia di Gesù come fratello laico, presso il monastero di Tarnopol. Dopo soli sei mesi, però, precipita in un profondo sconforto spirituale che sconfina nella follia obbligandolo ad abbandonare la tonaca e a farsi ricoverare. Guarito, nel 1882 entrerà in contatto con il III Ordine Francescano cominciando a diffonderne la spiritualità e dedicandosi ai più derelitti, non dimenticandosi mai però della pittura e del restauro. Muore a Cracovia nel 1916.

Seguace del naturalismo russo, quella fase che segue il Realìzm e che prende avvio nel 1863 quando tredici studenti dell’ Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo, riuniti intorno ad Ivan Kramskoj, si rifiutarono di partecipare al concorso conclusivo dei loro studi, che prevedeva l’esecuzione di un dipinto mitologico, organizzandosi nell’Artel, una corporazione artigianale, per poi entrare nel 1870 negli Peredvizniki (Itineranti o Ambulanti), ricerca una diversa plasticità, un modo nuovo e differente di affrontare e realizzare i soggetti e la voglia di una spiritualità più intima, non veicolata dall’accademismo, ma trovata nella natura e nel popolo. La nuova arte francese, che tanto influsso aveva nei paesi dell’est, contribuì inoltre a formare il suo stile.

Passando per una fase tra il romantico e il decadente, che ha il suo capolavoro nella singolare e tetra bellezza del “Cimitero italiano” del 1880

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giunge nella sua opera ad una spiritualità non retorica, ad un senso dell’umano che profondamente si scontra e si incontra con la sua parabola di vita

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fino al suo capolavoro, risultato di una profonda esperienza sull'amore misericordioso di Cristo verso l'uomo (esperienza che lo condusse ad una metamorfosi spirituale che lo riavvicinò alla religione), tela dal forte impatto visivo, dalla profonda e tragica umanità, e dallo splendido trattamento della luce e del colore

ChmielowskiAdam_1881_EcceHomo

opera che si può definire concettualmente l’antitesi di un altro grande capolavoro dell’arte di influenza russa di quel periodo, Il Demone Seduto di Michail Aleksandrovič Vrubel' del 1890, opera dal selvaggio splendore che raffigura il protagonista de il Demone, il lungo romantico poema di Lermontov che descrive la passione carnale tra un eterno spirito nichilistico ed una ragazza Georgiana, Tamara.

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L’Ecce Homo, tanto ammirato e venerato da Papa Giovanni Paolo II per il suo profondo senso di sofferenza, in quanto anche immagine della misericordia del Cristo quale uomo dei dolori, sarà la fonte di ispirazione per un altro artista polacco, Eugeniusz Kazimirowski il quale realizzerà un’immagine di stampo devozionale che tanta importanza ha avuto per la Polonia, per essere poi venerata dal mondo intero.

Nel 1934, sotto la supervisione di suor Faustina Kowalska la quale si basava sulle proprie visioni, il pittore realizza la tela della “Divina Misericordia” nella quale dal petto di un Cristo dal volto rassicurante ed insondabile allo stesso tempo, escono due raggi: “I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua. Il raggio pallido rappresenta l''Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime”.

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L’opera, dal 1948 rimasta celata in seguito all’invasione comunista della Polonia, e rimaneggiata con molti ritocchi, fu finalmente riesposta recentemente ed oggi è conservata a Vilnius in Lituania.

L’altra immagine più famosa però, e che è entrata di fatto nell’iconografia cristiana moderna, fu realizzata da Adolf Hyla seguendo la propria ispirazione e basandosi grossolanamente sulla precedente; questa tela senz' altro contribuì alla diffusione del culto della Divina Misericordia nel suo allontanarsi da una dimensione psicologica verso una resa esclusivamente devozionale e “paratattica” rispetto al dogma; se la tela di Kazimirowski scava molto più in profondità nella raffigurazione, quella di Hyla vira invece verso un patetismo di maniera, come poteva fare nel ‘700 un Carlo Dolci.

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Naturalmente l’immagine non è diventata famosa grazie a pregi artistici ma al suo legame con la storia di suor Faustina e alla promessa fattale dal Cristo di elargire particolari grazie alle persone che venereranno questa figura; ho ritenuto però significativa la storia di questa iconografia sia perché, credenti o meno, nella storia delle rivelazioni è noto soltanto quest’unico caso in cui il Signore Gesù ordina di dipingere un quadro che rappresenti la Sua effigie, trasmettendone plasticamente l’aspetto, sia perchè, nell’arte religiosa del ‘900, penso sia l’unico esempio di genesi di un’immagine sacra che precede e prescinde dall’icona, in senso popolare; immagine tanto più significativa anche perchè, figurativamente, ha dimostrato solidi legami con la tradizione e col concetto di arte sacra che sempre più si sta perdendo.

Anche se noi guardiamo con tanta ammirazione all’arte del passato la quale, almeno fino all’800, è stata in gran parte arte religiosa, non dobbiamo mai dimenticare come, a differenza di oggi, nel passato l’opera era ammirata dal popolo in quanto veicolo di storie sacre e dogmi, e solo in minima parte per la sua valenza estetica; a parte l’ovvia fondamentale attenzione all’inventio, alla topica, alla scelta dei soggetti e al loro uso corretto, dunque al decorum, l’esigenza devozionale si affida soprattutto alla gestualità, agli sguardi, agli “affetti” e in generale alla resa delle espressioni umane. Altrettanto fondamentale, soprattutto nel caso della necessità didascalica, è la claritas, la chiarezza dell’espressione. La forma deve essere funzionale; il fine dell’immagine religiosa è infatti quello di coinvolgere il fedele, di colpire i suoi sensi, di renderlo partecipe del divino. La pala d’altare, associata all’abside, si presenta spesso come un’“epifania religiosa”, visione o rivelazione di una realtà ultraterrena. Oppure essa deve rispondere a necessità prettamente didascaliche, deve visualizzare e comunicare un dogma, un precetto o in generale un aspetto della Chiesa. In questo senso le due pale della “Divina Misericordia” si possono considerare singolari e affascinanti esempi comunicativi di religiosità vissuta e veicolata.

Per chi volesse approfondire la storia dal punto di vista religioso e dogmatico: clicca qui.

giovedì 26 marzo 2009

"Il fin la meraviglia"

cappella di sant'Ignazio al Gesù (la tela e la statua)

Per chi dovesse trovarsi in centro a Roma verso il tardo pomeriggio non può perdersi lo spettacolo di una delle più suggestive macchine barocche ideate nel '600. Ogni giorno infatti alle 17:30, tra suoni e luci, nalla splendida chiesa del Gesù, nei pressi di Largo Argentina, viene attivata la macchina dell'altare di sant'Ignazio di Loyola, nella cappella omonima disegnata e completata dal padre gesuita Andrea Pozzo.

Dopo molti anni nei quali era possibile vedere solo la grande pala d'altare attribuita allo stesso Pozzo, e che rappresenta il Santo che riceve da Cristo risorto il vessillo con il monogramma del nome di Gesù, simbolo della compagnia, in realtà oggi si scopre che la tela fa solo da sipario alla momumentale statua di Ignazio, fondatore della Compagnia, (opera di Pierre II Le Gros, ricostruita da Adamo Tadolini), il quale, in un trionfo di argenti ed ori, angeli e pietre preziose, si proietta in avanti verso la sua glorificazione.


Grazie ad una grande campagna di restauro infatti, e alla risistemazione del sistema di carrucole della macchina per la movimentazione della tela, è stato possibile riproporre quel meccanismo che tanto dovette suscitare emozioni e sorpresa un tempo tra i fedeli: la macchina è una specie di "cinematografo" dell'epoca, o meglio, un teatro, e quindi c’è la tela del Pozzo che fa vedere la missione che riceve Sant’Ignazio e poi, quando si scopre la statua, Sant’Ignazio che ha compiuto il suo servizio ed entra nella gloria, materializzato e sfavillante nello sfarzo della preziosa matericità della sua statua; un miracolo ricostruito.

Un artificio barocco, la ricerca della sorpresa e del consenso tramite lo stupore, una cappella che si fa didattica per immagini, che cerca la meraviglia e il consenso in uno dei luoghi cardine della lotta controriformistica delle Chiesa, un gioiello del Barocco romano, un miracolo di artificio e di materializzazione di un concetto, teatralità e suggestione. Semplicemente "meraviglia".

Le Gros-Tadolini-Statua di san'Ignazio

mercoledì 25 marzo 2009

La bocca del ventre

Raffaello-santa margherita
Santa Margherita d'Antiochia fu una santa importante, in particolare nel medioevo, quando fu inserita tra i "quattordici Santi Ausiliatori", nome col quale venivano designati un gruppo di 14 santi alla cui intercessione il popolo cristiano soleva far ricorso nei momenti difficili dell'esistenza. Essi sono: Acacio, Egidio, Barbara, Biagio, Cristoforo, Ciriaco, Dionigi, Erasmo, Eustachio, Giorgio, Caterina, Margherita, Pantaleone e Vito.

Secondo la Passio un giorno, mentre conduceva le pecore al pascolo, Margherita, venne notata da Oliario, nuovo governatore della provincia che, rimasto colpito dalla sua bellezza, ordinò che gli fosse condotta dinnanzi. Dopo un lungo colloquio il governatore non riuscì nell'intento di convincere Margherita a diventare sua sposa, essa si dichiarò subito cristiana e fu irremovibile nel professare la sua fede e difendere la sua verginità. Il governatore, dopo un lungo interrogatorio, alle risposte di Margherita, controbatte con la flagellazione e l'incarcerazione. Secondo la tradizione, in carcere a Margherita appare il demonio sotto forma di un terribile drago, che la inghiotte, ma lei armata da una croce che teneva tra le mani, squarcia il ventre del mostro sconfiggendolo.

Da questo fantastico episodio nacque nella devozione popolare quella virtù riconosciuta a Margherita di ottenere, per la sua intercessione, un parto facile alle donne che la invocano prima dell'inizio delle doglie, diventando così protettrice delle partorienti.

In questa stupenda opera di Raffaello del 1518, presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna, vediamo la santa, in una posa classica a chiasmo, reggere il crocefisso, impassibile dopo l'uscita dal ventre del mostro; quello che mi colpisce però è l'orrenda bocca del drago così orribilmente spalancata ed innaturale, un vuoto e un grido rosa che calamita subito l'occhio dell'osservatore. In questa bocca allora, considerando il ruolo di Margherita quale protettrice delle partorienti e le modalità della sua uscita dal ventre della bestia, non è assurdo vedervi la rappresentazione (non so quanto inconscia) di una enorme vagina.

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