martedì 11 gennaio 2011
Iconografia sacra - I santi e gli episodi del Vangelo
mercoledì 23 giugno 2010
Le più antiche icone degli apostoli
giovedì 17 settembre 2009
San Sebastiano icona gay?
"Considerato terzo fra i sette difensori della Chiesa nella catalogazione di Gregorio Magno, compatrono di Roma dopo Pietro e Paolo, Sebastiano, soldato e martire di Cristo, figura affascinante nella storia e nella leggenda, ritorna nell’arte con incredibile frequenza. La copiosità delle immagini è alimentata dal terrore per la peste, contro cui viene invocato quale protettore. Il timore del male contagioso, flagello che in antico ricorre con incredibile periodicità, determina la scelta di un intercessore che quale avvocato implori l’immunità o la cessazione del male, ritenuto dalla credenza popolare un segno della collera celeste oppure un castigo imposto al mondo per le sue colpe… Sebastiano pertanto viene rappresentato giovane o vecchio, imberbe o barbuto, gracile od atletico; le sue vesti sono quelle di un gentile cavaliere o di un rude soldato, di un garbato paggio o di un aristocratico ufficiale; nella persecuzione si rivela come un martire paziente o sconvolto dal dolore, astratto o terribile, suadente o minaccioso" (in "Bibliotheca Sanctorum").
Questa è la lettura ufficiale della Chiesa; chiedendomi però da dove venisse la sua relazione col mondo gay, evidente nell’iconografia di molte opere contemporanee, ho scoperto questo link.
Se ne deriva che nell’agiografia non vi sono motivi per avvalorare questo legame, nato probabilmente circa un secolo fa in relazione al Martyre de saint Sébastien (parole di Gabriele D'Annunzio, musiche di Debussy) che dipinge Sebastiano come un "favorito" dell'imperatore; da qui il celebre film Sebastiane di Derek Jarman). Di certo vi sono rimandi nell’iconografia rinascimentale del santo: è il Rinascimento infatti che lo "inventa" come santo nudo, scegliendo il momento in cui è già stato spogliato e legato a far da bersaglio. Se a ciò uniamo l’inconscio legame tra frecce e penetrazione il gioco è fatto. L’esempio più clamoroso, ma anche quello artisticamente più bello, è la tela del Sodoma; volendo però di esempi se ne trovano molti, giungendo fino all’arte contemporanea.
In questo utilissimo sito l’iconografia di San Sebastiano nell’arte italiana, con più di 7000 opere catalogate. (link). Qui il contraddittorio.
sabato 16 maggio 2009
Tracce del Sacro
Oltre a Giovanni da Fiesole, al secolo Guido di Pietro, detto Fra Angelico, il quale fu beatificato da papa Giovanni Paolo II nel 1984 diventando protettore degli artisti, esiste un altro santo che fu, anche se meno famoso, un valente pittore.
Adam Chmielowski nasce ad Igołomia nel 1845 in Polonia; dopo aver partecipato all’insurrezione della Polonia contro lo zar nel 1863 e aver perso una gamba in battaglia, si trasferisce a Parigi dove inizia a frequentare la scuola delle Belle Arti; passerà in seguito per Gand, Monaco, fino a tornare a Varsavia dove, spinto da una profonda crisi mistica, nel 1880 entrerà nella Compagnia di Gesù come fratello laico, presso il monastero di Tarnopol. Dopo soli sei mesi, però, precipita in un profondo sconforto spirituale che sconfina nella follia obbligandolo ad abbandonare la tonaca e a farsi ricoverare. Guarito, nel 1882 entrerà in contatto con il III Ordine Francescano cominciando a diffonderne la spiritualità e dedicandosi ai più derelitti, non dimenticandosi mai però della pittura e del restauro. Muore a Cracovia nel 1916.
Seguace del naturalismo russo, quella fase che segue il Realìzm e che prende avvio nel 1863 quando tredici studenti dell’ Accademia Imperiale delle Arti di San Pietroburgo, riuniti intorno ad Ivan Kramskoj, si rifiutarono di partecipare al concorso conclusivo dei loro studi, che prevedeva l’esecuzione di un dipinto mitologico, organizzandosi nell’Artel, una corporazione artigianale, per poi entrare nel 1870 negli Peredvizniki (Itineranti o Ambulanti), ricerca una diversa plasticità, un modo nuovo e differente di affrontare e realizzare i soggetti e la voglia di una spiritualità più intima, non veicolata dall’accademismo, ma trovata nella natura e nel popolo. La nuova arte francese, che tanto influsso aveva nei paesi dell’est, contribuì inoltre a formare il suo stile.
Passando per una fase tra il romantico e il decadente, che ha il suo capolavoro nella singolare e tetra bellezza del “Cimitero italiano” del 1880
giunge nella sua opera ad una spiritualità non retorica, ad un senso dell’umano che profondamente si scontra e si incontra con la sua parabola di vita
fino al suo capolavoro, risultato di una profonda esperienza sull'amore misericordioso di Cristo verso l'uomo (esperienza che lo condusse ad una metamorfosi spirituale che lo riavvicinò alla religione), tela dal forte impatto visivo, dalla profonda e tragica umanità, e dallo splendido trattamento della luce e del colore
opera che si può definire concettualmente l’antitesi di un altro grande capolavoro dell’arte di influenza russa di quel periodo, Il Demone Seduto di Michail Aleksandrovič Vrubel' del 1890, opera dal selvaggio splendore che raffigura il protagonista de il Demone, il lungo romantico poema di Lermontov che descrive la passione carnale tra un eterno spirito nichilistico ed una ragazza Georgiana, Tamara.
L’Ecce Homo, tanto ammirato e venerato da Papa Giovanni Paolo II per il suo profondo senso di sofferenza, in quanto anche immagine della misericordia del Cristo quale uomo dei dolori, sarà la fonte di ispirazione per un altro artista polacco, Eugeniusz Kazimirowski il quale realizzerà un’immagine di stampo devozionale che tanta importanza ha avuto per la Polonia, per essere poi venerata dal mondo intero.
Nel 1934, sotto la supervisione di suor Faustina Kowalska la quale si basava sulle proprie visioni, il pittore realizza la tela della “Divina Misericordia” nella quale dal petto di un Cristo dal volto rassicurante ed insondabile allo stesso tempo, escono due raggi: “I due raggi rappresentano il Sangue e l'Acqua. Il raggio pallido rappresenta l''Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime”.
L’opera, dal 1948 rimasta celata in seguito all’invasione comunista della Polonia, e rimaneggiata con molti ritocchi, fu finalmente riesposta recentemente ed oggi è conservata a Vilnius in Lituania.
L’altra immagine più famosa però, e che è entrata di fatto nell’iconografia cristiana moderna, fu realizzata da Adolf Hyla seguendo la propria ispirazione e basandosi grossolanamente sulla precedente; questa tela senz' altro contribuì alla diffusione del culto della Divina Misericordia nel suo allontanarsi da una dimensione psicologica verso una resa esclusivamente devozionale e “paratattica” rispetto al dogma; se la tela di Kazimirowski scava molto più in profondità nella raffigurazione, quella di Hyla vira invece verso un patetismo di maniera, come poteva fare nel ‘700 un Carlo Dolci.
Naturalmente l’immagine non è diventata famosa grazie a pregi artistici ma al suo legame con la storia di suor Faustina e alla promessa fattale dal Cristo di elargire particolari grazie alle persone che venereranno questa figura; ho ritenuto però significativa la storia di questa iconografia sia perché, credenti o meno, nella storia delle rivelazioni è noto soltanto quest’unico caso in cui il Signore Gesù ordina di dipingere un quadro che rappresenti la Sua effigie, trasmettendone plasticamente l’aspetto, sia perchè, nell’arte religiosa del ‘900, penso sia l’unico esempio di genesi di un’immagine sacra che precede e prescinde dall’icona, in senso popolare; immagine tanto più significativa anche perchè, figurativamente, ha dimostrato solidi legami con la tradizione e col concetto di arte sacra che sempre più si sta perdendo.
Anche se noi guardiamo con tanta ammirazione all’arte del passato la quale, almeno fino all’800, è stata in gran parte arte religiosa, non dobbiamo mai dimenticare come, a differenza di oggi, nel passato l’opera era ammirata dal popolo in quanto veicolo di storie sacre e dogmi, e solo in minima parte per la sua valenza estetica; a parte l’ovvia fondamentale attenzione all’inventio, alla topica, alla scelta dei soggetti e al loro uso corretto, dunque al decorum, l’esigenza devozionale si affida soprattutto alla gestualità, agli sguardi, agli “affetti” e in generale alla resa delle espressioni umane. Altrettanto fondamentale, soprattutto nel caso della necessità didascalica, è la claritas, la chiarezza dell’espressione. La forma deve essere funzionale; il fine dell’immagine religiosa è infatti quello di coinvolgere il fedele, di colpire i suoi sensi, di renderlo partecipe del divino. La pala d’altare, associata all’abside, si presenta spesso come un’“epifania religiosa”, visione o rivelazione di una realtà ultraterrena. Oppure essa deve rispondere a necessità prettamente didascaliche, deve visualizzare e comunicare un dogma, un precetto o in generale un aspetto della Chiesa. In questo senso le due pale della “Divina Misericordia” si possono considerare singolari e affascinanti esempi comunicativi di religiosità vissuta e veicolata.
Per chi volesse approfondire la storia dal punto di vista religioso e dogmatico: clicca qui.
giovedì 26 marzo 2009
"Il fin la meraviglia"

Per chi dovesse trovarsi in centro a Roma verso il tardo pomeriggio non può perdersi lo spettacolo di una delle più suggestive macchine barocche ideate nel '600. Ogni giorno infatti alle 17:30, tra suoni e luci, nalla splendida chiesa del Gesù, nei pressi di Largo Argentina, viene attivata la macchina dell'altare di sant'Ignazio di Loyola, nella cappella omonima disegnata e completata dal padre gesuita Andrea Pozzo.
Dopo molti anni nei quali era possibile vedere solo la grande pala d'altare attribuita allo stesso Pozzo, e che rappresenta il Santo che riceve da Cristo risorto il vessillo con il monogramma del nome di Gesù, simbolo della compagnia, in realtà oggi si scopre che la tela fa solo da sipario alla momumentale statua di Ignazio, fondatore della Compagnia, (opera di Pierre II Le Gros, ricostruita da Adamo Tadolini), il quale, in un trionfo di argenti ed ori, angeli e pietre preziose, si proietta in avanti verso la sua glorificazione.
Grazie ad una grande campagna di restauro infatti, e alla risistemazione del sistema di carrucole della macchina per la movimentazione della tela, è stato possibile riproporre quel meccanismo che tanto dovette suscitare emozioni e sorpresa un tempo tra i fedeli: la macchina è una specie di "cinematografo" dell'epoca, o meglio, un teatro, e quindi c’è la tela del Pozzo che fa vedere la missione che riceve Sant’Ignazio e poi, quando si scopre la statua, Sant’Ignazio che ha compiuto il suo servizio ed entra nella gloria, materializzato e sfavillante nello sfarzo della preziosa matericità della sua statua; un miracolo ricostruito.
Un artificio barocco, la ricerca della sorpresa e del consenso tramite lo stupore, una cappella che si fa didattica per immagini, che cerca la meraviglia e il consenso in uno dei luoghi cardine della lotta controriformistica delle Chiesa, un gioiello del Barocco romano, un miracolo di artificio e di materializzazione di un concetto, teatralità e suggestione. Semplicemente "meraviglia".