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lunedì 20 gennaio 2014

Sergio Lombardo - Anni 70 - Conferenza del 16 gennaio 2014 al Palazzo Delle Esposizioni


Sergio Lombardo. Autore di Progetto di morte per avvelenamento del 1970, un'opera che si concretizza nell'offerta allo spettatore di una emblematica scelta tra la vita e la morte, Sergio Lombardo ha dedicato gran parte della sua ricerca all'influenza che la psicologia e l'arbitrio hanno sulla definizione della realtà e della sua rappresentazione attraverso il linguaggio. Il testo si riferisce alla conferenza tenuta da Lombardo presso il Palazzo delle Esposizioni lo scorso 16 gennaio. Il titolo della conferenza è 

ANNI '70
DOPO IL GRANDE SUCCESSO INTERNAZIONALE DEGLI ANNI '60
L'ITALIA RINUNCIA ALL'AVANGUARDIA
IN NOME DELL'ANACRONISMO

Il file in questione riporta, per punti, il discorso affrontato dal maestro mostrando, attraverso la documentazione bibliografica e la cronologia degli eventi come sia stata tradita e affossata l'avanguardia italiana, in particolare l'avanguardia romana degli anni Sessanta. Il testo riporta solamente delle impressioni in forma schematica e non è da intendere come un saggio completo ma solo come uno schema ricco di spunti critici da approfondire.

- See more at: http://www.palazzoesposizioni.it/categorie/anni-settanta-roma-in-mostra

Sergio Lombardo - Progetto di morte per avvelenamento
Per maggiori testi consultare il seguente link: http://www.sergiolombardo.it/pubblicazioni.html


 

venerdì 20 settembre 2013

Immagine del Vespro - Arte sacra al Santuario dell'Addolorata

La mostra Immagine del Vespro, organizzata da Don Massimo Muccillo, Vicario Espiscopale per il Santuario, e curata dallo storico dell’arte Tommaso Evangelista, prende il titolo dalle cosiddette Vesperbild, le piccole sculture in legno, nate in area tedesca nel 1300, che rappresentano la Pietà e il cui nome si riferisce all’uso, all’ora dei Vespri del Venerdì Santo, di meditare sulle cinque piaghe di Cristo morto che giace sulle ginocchia della Madre. Il legame, naturalmente, è con l’immagine dell’Addolorata come si è mostrata tante volte durante le apparizioni promuovendo anche un’iconografia del tutto nuova nell’emblematico gesto “sacerdotale” di offerta. Tale rappresentazione fu fissata sulla tela, per la prima volta, nel 1889 dal pittore romano Giovanni Battista Gagliardi e questa immagine, oggi in mostra, è diventata la riproduzione canonica degli eventi di Castelpetroso. Nell’esposizione si è voluto affrontare, allora, proprio il problema legato all’origine della prima immagine presentando tutte le opere presenti in Santuario che potessero ricostruire il percorso dell’icona. Parimenti si è voluto dare all’evento un taglio storico allestendo, per la prima volta, un percorso documentario sull’arte nel Santuario. Le opere di Amedeo Trivisonno (verrà presentata anche una pala d’altare, la Deposizione, tolta da una cappella per essere fruita in maniera più ravvicinata), di Marcello Scarano, di Alessandro Caetani (bozzetti della via Matris), della Famiglia Marinelli (calchi delle formelle del portale di sinistra), spesso bozzetti o studi preparatori o lavori fruiti per la prima volta lontano dal contesto liturgico, ci aiutano a ricostruire l’intera vicenda artistica del complesso monumentale che è stato l’ultima costruzione in stile neo-gotico ad essere completata in Italia. Anche i bozzetti della famiglia Chiocchio, di Oratino, che si occupò della lavorazione di tutte le decorazioni in pietra della chiesa, ci aiutano a focalizzare l’attenzione sull’importanza e la difficoltà dell’impresa, aprendo una parentesi su un settore, quello artigianale, spesse volte ignorato dalla critica. Unitamente alle opere legate al Santuario si è voluta arricchire l’esposizione presentando altri lavori dei maggiori artisti che vi hanno lavorato. Di Scarano, autore della Via Crucis del Santuario (in esposizione anch’essa), è stato esposto un inedito polittico con le storie di Cristo e altri soggetti sacri, tra i quali una splendida Deposizione; di Trivisonno, autore delle otto pale d’altare, è presentato invece un pregevole quadro sulla Sacra Famiglia e un’inedita opera giovanile, proveniente dalla chiesa di San Rocco di Carpinone, del 1927, probabilmente tra i primi lavori a tema sacro su tela e recentemente attribuita al pittore da Evangelista. Le opere di Rodolfo Papa, infine, oltre a testimoniare la continuità, in territorio molisano, della linea figurativa a soggetto sacro portata avanti prima da Trivisonno e poi dal suo allievo Leo Paglione, anch’egli in mostra, segnano un’apertura al futuro sia nell’iconografia (si veda la tela con l’Addolorata) sia nel patrimonio artistico della chiesa dato che lo splendido bozzetto per la decorazione della cupola va proprio nella direzione di un arricchimento, di bellezza e di teologia, del complesso. Infine, poiché deve rimanere sempre forte il legame tra la storia e il presente, si è dedicata una sezione alla collettiva d’arte. Una selezione dei migliori artisti molisani, pittori, scultori, ebanisti, che si sono confrontati con tematiche religiose o con la stessa immagine dell’Addolorata, ci aiuta a comprendere come il legame con le forme e la rappresentazione non deve essere mai smarrito se si vuol comunicare i messaggi dell’arte sacra autentica. Proprio la presenza di opere di grandi maestri locali, favorendo un interessante confronto di carattere storico e formale, conferisce autorevolezza e senso alle opere presenti in collettiva. I lavori selezionati, degni per l’indagine di un senso intimo che coinvolge la stessa idea del ruolo dell’artista nella società, ci raccontano del tentativo, con tutte le difficoltà legate al collasso del sistema artistico, di riappropriazione della struttura e del senso e, in linea generale, del “corpo” della pittura e dell’arte. L’esposizione di fotografie delle Officine Cromatiche, inoltre, dimostra come l’immagine del Santuario non perda mai il suo fascino e continui sempre, con la sua forma significante e le sue bellezze artistiche, a ispirare chi, per propria inclinazione, è alla perenne ricerca dell’aspetto, della luce e del colore. Lo studio nato in preparazione della mostra ha tentato di legare gli eventi delle apparizioni all’idea stessa di forma, analizzando l’iconografia (con i suoi modelli) e la fortuna critica dell’immagine dell’Addolorata; parimenti è stata fatta una ricerca mirata di fonti e documenti per ricostruire la storia artistica del Santuario, le tante testimonianze presenti nella chiesa e i diversi artisti che vi hanno operato, per dare una visione quanto più possibile organica dell’arte sacra in Molise come sintetizzata in questo luogo di fede. A conclusione l’idea di fondo dell’intera mostra, e degli studi, è stata quella di aver voluto creare, visivamente e concettualmente, una linea di continuità tra tutte le esperienze artistiche legate al Santuario per restituire una volta per tutte, alla critica e al fruitore, un fondamentale e purtroppo poco conosciuto frammento di storia artistica molisana.






domenica 9 giugno 2013

Il sogno nel Rinascimento - La mostra a Palazzo Pitti

“Se il sogno è di per sé fenomeno notturno e spesso inquietante, coincidente con una vacatio dell’anima cosciente che spalanca le porte della più abissale interiorità umana (ma anche, secondo radicate credenze, apre varchi al Divino), la rappresentazione del sogno è per gli artisti d’ogni tempo una sfida giocata sul duplice terreno della convenzione e della fantasia. 
E nel Rinascimento, le risposte artistiche a questa sfida furono – lo vedrà chi visita la mostra o sfoglia il catalogo – quanto mai varie e illuminanti” (Cristina Acidini).

Michele di Ridolfo del Ghirlandaio (Firenze 1503-1577) da Michelangelo
Allegoria della Notte
1553-1555 ca
Le parole della Soprintendente Cristina Acidini introducono con efficacia alla mostra che offrirà al visitatore la possibilità di addentrarsi per la prima volta in un argomento così coinvolgente e affascinante come il Sogno nel Rinascimento, cercando di metterne in luce la ricchezza e varietà.

Il tema del sogno assume infatti un rilievo particolare nella mitologia antica e nella cultura del Rinascimento, come dimostra il suo diffondersi nelle arti figurative ed in particolar modo in opere di soggetto religioso o legate alla riscoperta dei miti antichi.

Profetico o premonitore, illustrato da episodi celebri dell’Antico Testamento (i sogni del Faraone spiegati da Giuseppe ebreo, il sogno di Giacobbe, etc.) o dall’agiografia visionaria (sogni di Costantino, di san Francesco, di santa Orsola, etc.), il sogno si offre anzitutto come manifestazione e rivelazione di un altro mondo. Esso manifesta altresì, in senso profano, le possibilità induttive e speculative offerte all’animo umano; trasfigura il vissuto quotidiano e rivela la sua dimensione erotica; viene ad occupare un ruolo prezioso nella teoria e pratica dell’arte, non meno attente all’attività onirica che la letteratura, la filosofia o la medicina.

“Il taglio iconografico e iconologico scelto, inconsueto per le esposizioni italiane, consentirà al pubblico di guardare con occhi diversi ad opere celebri come, ad esempio, il Sogno del Cavaliere di Raffaello della National Gallery di Londra, cui, per la prima volta, sarà accostata la fonte principale fornita al Sanzio, il poema latino dei Punica di Silio Italico, stampato a Roma fra il 1471 e il 1472” (Alessandro Cecchi).

Lorenzo Lotto (Venezia 1480-Loreto 1556)
Apollo addormentato
1530 ca
Varie sezioni articoleranno la mostra, cominciando da quelle che definiscono e precisano il contesto nel quale il sogno si manifesta: la notte, il sonno. La Notte, che inaugura il percorso espositivo, vi sarà rappresentata con tutta la sua complessa simbologia ed in particolare attraverso alcune delle tante derivazioni plastiche e pittoriche tratte dalla Notte che Michelangelo scolpì nella Sagrestia Nuova, per il monumento funebre in memoria a Giuliano de’ Medici. La sezione successiva, intitolata La Vacanza dell’anima, metterà in primo luogo in risalto le opere legate al sonno, ne presenterà poi altre inerenti ai miti della classicità come il Fregio della Villa Medicea di Poggio a Caiano di Bertoldo, ma anche opere letterarie come la celebreHypnerotomachia Poliphili di Francesco Colonna, in cui il sogno svolge un ruolo fondamentale. Li affiancano dipinti e incisioni di soggetto mitologico e allegorico, alcuni per la prima volta esposti a Firenze come il Sogno del cavaliere di Raffaello della National Gallery di Londra e il dipinto con Venere e Amore addormentati e spiati da un satiro del Correggio proveniente dal Museo del Louvre.

Visioni dell’Aldilà tratterà il tema del sogno nella tradizione biblica e religiosa, con esempi grafici e pittorici dei secoli XV e XVI, dal Sogno di Giacobbe all’Interpretazione dei sogni da parte di Giuseppe, ai Sogni e Visioni di sante e santi come Elena, Orsola, Caterina d’Alessandria, Agostino, Girolamo.

Anonimo fiammingo
Il sogno di Raffaello
tavola
Di importanza fondamentale è la sezione intitolata La vita è sogno, che trae origine dall’eccezionale fortuna iconografica di un disegno di Michelangelo, Il Sogno o la Vanità dei desideri umani, come dimostra il gran numero di riprese e copie che ne sono state eseguite, fra le quali quelle di Giulio Clovio, Francesco del Brina, Battista Franco, etc. Nella stessa sezione I sogni del principe, presentano la figura di Francesco de’ Medici ed il suo particolare e fecondo rapporto con il sogno, di cui ci sono pervenute varie testimonianze, spesso impregnate di fantastica teatralità (come L’Allegoria dei Sogni del Naldini che si trova nello Studiolo), in questo simbolicamente rivelatrici di quanto e come il Sogno fosse al centro del dibattito culturale della fine del Rinascimento. Sono, in questo ambito, presentati disegni, documenti, dipinti fra i quali il Ritratto di Bianca Cappello di Alessandro Allori con al verso l’iconografia del celebre Sogno di Michelangelo e, sempre dell’Allori la rara Spalliera di letto dai motivi onirici, conservata nel Museo Nazionale del Bargello.

La penultima sezione Sogni enigmatici e visioni da incubo presenterà opere inquietanti e di difficile interpretazione come la stampa raffigurante Il sogno del dottore di Albrecht Dürer dove è difficile comprendere se l’artista abbia rappresentato un sognatore tentato da Venere oppure i pericoli dell’accidia, o Cibele che si prende gioco di un alchimista addormentato davanti al suo forno. Ancora opere da incubo, abitate dal Diavolo inteso come Separatore, il grande Trasgressore e provocatore di incubi, che si affaccia quando la sovranità del giorno si arrende e appare il lato oscuro delle cose: ed ecco le visioni dell’Inferno
o le Tentazioni di Sant’Antonio, di Bosch, Brueghel, Jan Mandijn e Met de Bles.

Battista Dossi (Ferrara 1490 ca-1548)
Allegoria della Notte
1543-1544
La mostra si conclude con un richiamo all’Aurora considerata nel Rinascimento come lo spazio - tempo dei sogni veri (rappresentata da un dipinto di Battista Dossi) per aprirsi, infine, al Risveglio (con il Risveglio di Venere di Dosso Dossi, Bologna, Collezione Unicredit Banca) come espressione della ciclicità paradigmatica e complementare del tempo.

La mostra - promossa dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Toscana, la Soprintendenza Speciale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze, la Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Firenze Musei e l’ Ente Cassa di Risparmio di Firenze - è stata organizzata dalla stessa Soprintendenza del Polo Museale di Firenze e dalla Réuniones Musées Natoniaux Grand Palais di Parigi dove avrà una seconda sede al Musée du Luxembourg (9 ottobre 2013 - 26 gennaio 2014 - con la cura di Chiara Rabbi Bernard, Alessandro Cecchi e Yves Hersant, che hanno curato anche il catalogo edito da Sillabe.
Sito: http://www.unannoadarte.it/ilsognonelrinascimento/index.html

Mi permetto di rimandare, poichè in mostra, a questa mia breve ricerca Raimondi e il "Sogno di Raffaello" dedicata alla celebre e enigmatica stampa dell'artista

Marcantonio Raimondi (S. Andrea in Argine?, Bo, 1480 ca-Bologna)
Il sogno di Raffaello
1508 ca

venerdì 1 febbraio 2013

L'Inferno di Rodin

La Real Academia de España a Roma (Piazza San Pietro in Montorio, 3) inaugura il 29 gennaio nelle proprie sale la mostra dello scultore francese “Auguste Rodin. L’inferno di Dante”. L’esposizione presenta l’importante opera grafica, quasi sconosciuta, dello scultore Auguste Rodin (1840- 1917), che fu stampata nel 1897 dalla Maison Goupil, pioniere delle nuove tecniche di riproduzione dell’ immagine e della diffusione delle opere artistiche. Questa mostra ha un interesse doppio non solo perche ci permette di ammirare lo straordinario potenziale grafico dell’opera di Rodin, bensì anche l’inizio delle nuove forme di democratizzare l’arte attraverso la moltiplicazione e commercializzazione intrapresa dalla Goupil and Cia con un ampio e diversificato programma editoriale. Questo “monumento alla bibliofilia” fu anche denominato l’album Fenaille, in quanto ottenne il patrocinio di Maurice Fenaille, membro dell’Academie des beaux-arts di Francia, nonché grande collezionista e mecenate. Grazie a Lui, possiamo osservare i disegni che erano andati perduti di Rodin, perche furono realizzati come stampe grazie alla nuova tecnica della fotoincisione. Qui si mostrano le prove “bon a tirer”, alcune con le annotazioni originali dello stesso Rodin, poiché il procedimento dell’intera edizione fu seguita molto da vicino dallo stesso artista. Questi Disegni Neri di Rodin, sono ispirati all’Inferno di Dante Alighieri, e furono realizzati mentre lavorava nella sua famosa e non conclusa opera “ le Porte dell’inferno” (1880-1917), e benché non si tratti degli studi diretti per questo grande complesso di sculture, ne hanno la stessa ispirazione. Le 129 stampe vengono suddivise in tre gruppi: 82 appartengono all’inferno, 31 al limbo, e le altre 16 sono studi che seppur non riguardano l’opera di Dante, condividono lo stesso argomento d’ispirazione biblica ed evocazione delle opere di Michelangelo. Le dissacranti tecniche grafiche di Rodin evocano le opere di Goya, di Rembrandt, ma anche i disegni di Victor Hugo, molto conosciuti dallo scultore, poiché il suo rappresentante George Petit organizzò nel 1888 una mostra a Parigi sugli enigmatici disegni dello scrittore, dove lo schizzo d’inchiostro diventa protagonista.



Scarica l’Omaggio a Auguste Rodin di Octave Mirbeau : Omaggio a auguste rodin

giovedì 27 settembre 2012

Vermeer. Il secolo d'oro dell'arte olandese da oggi a Roma


Si è inaugurata oggi la mostra Vermeer. Il secolo d'oro dell'arte olandese presso le Scuderie del Quirinale a Roma (27 settembre – 20 gennaio 2013)Rara e preziosa occasione di vedere insieme capolavori assoluti dell'artista e un’accurata selezione di opere della pittura olandese del XVII secolo. Sono esposti otto capolavori del Maestro, ma il numero esiguo non deve trarre in inganno: Vermeer infatti dipinse non più di 50 quadri nella sua vita, e oggi se ne conoscono solo 37. Nessuna di queste appartiene ad una collezione italianae solo 26 possono essere movimentate. Negli ultimi cento anni solo 3 mostre su Vermeer hanno ottenuto in prestito più di 4 capolavori dell’artista: qui ce ne sono otto, numero superato solo dal Museo del Prado nel 2003, che riuscì a riunirne 9. Tra i tanti articoli di encomio allego quello realizzato da Simone Verde, puntuale, preciso, molto competente e con alcune interessanti osservazioni fuori dal coro poichè ciò che manca nelle analisi critiche sui giornali delle mostre che si svolgono in Italia è un giudizio sereno e non celebrativo a tutti i costi. Se volete questo basterà sfogliare la rassegna stampa fornita giornalmente dal Mibac.



Lo strapotere delle immagini
Vermeer e il Secolo d'oro alle Scuderie del Quirinale


Di Johannes, Jan o Johan Vermeer si sa molto poco. Anzi, oltre qualche aneddoto familiare, della sua storia di pittore, degli anni della formazione non si sa quasi niente. Per questa ragione, e come avvenuto per pochi altri come lui avvolti in un una certa oscurità storiografica – Giorgione, Caravaggio o La Tour–, è diventato la celebrità che è. Il motivo sembra dar ragione a Benedetto Croce. Difficile da sottoporre ai riduzionismi della critica che non può appoggiarsi a fatti certi, le sue opere sono diventate uno specchio del tempo, parlano per sé e accusano uno scarto con le giustificazioni che si vogliono addurre a loro riguardo. In questo senso, cioè, e come si torna a constatare con Vermeer e Il secolo d’oro olandese da oggi e fino al 20 gennaio 2013 alle Scuderie del Quirinale, le immagini si esprimono con un linguaggio dall’autonomia irriducibile, sovrastano la babele delle interpretazioni e la letteratura secondaria che si accumula negli anni alla fine sembra parlare più di se stessa che del suo oggetto.

La mitica riscoperta è dovuta al giornalista e critico Jean Theophile Thoré (anche se si firmava William Bürger) ed è rivelatrice degli orientamenti “realisti” della pittura di metà Ottocento. Non è un caso che l’intellettuale francese era amico di Courbert e di Millet, si batté per la repubblica democratica contro il dispotismo di Charles Louis-Napoléon Bonaparte e condusse le sue ricerche sul pittore olandese durante l’esilio politico nei Paesi Bassi. Sfuggiva, o forse non interessava al gusto impegnato per il “realismo” in voga in quel momento la vicenda spirituale del pittore, la conversione alla Chiesa di Roma nell’aprile del 1653 per sposare la moglie, Catherine Bolnes, la casa familiare nel piccolo quartiere cattolico della città e vicino alla chiesa “nascosta” dei gesuiti. Avrebbe incuriosito il Novecento, invece, la storia spirituale del pittore, le sue vicissitudini tormentate nell’ambito delle tensioni politiche e civili dell’Europa barocca.

Quanto alla mostra delle Scuderie, vuole ora inserire l’opera nel suo contesto artistico. Lo fa come al solito in maniera esageratamente light, con grande trionfalismo autocelebrativo abituato al consenso acritico della stampa italiana e con troppe opere da collezioni private, per ciò che in termini di mercato ne consegue, e quasi tutte da musei e case americane, pochi in realtà i capolavori (due dei tre curatori sono a capo delle collezioni europee e olandesi del MET di New York e della NGA di Washington). Nella costruzione del percorso viene persegue la giusta scelta di suddividere quelle di Vermeer portate a Roma – 6 su 36 in tutto – a seconda dei generi e dei sottogeneri che la pittura olandese andava codificando, accompagnandola, sezione per sezione, con esempi analoghi di artisti coevi tra cui gli immancabili Gabriel Metsu, Pieter de Hooch, Jan Van Der Weyden, Gerrit Dou. Scelta curatoriale che scegliendo Vermeer come punto di partenza per ricostruire il contesto artistico di quegli anni, tuttavia, tralascia tutto ciò che è a lui più distante e restituisce un panorama parziale che non viene giustificato.

Tra le date da ricordare c’è il 1566 e la rivolta iconoclasta fomentata dal clero protestante con enorme distruzione di immagini sacre; il 1618, quando gli Orange iniziarono la loro signoria sui Paesi Bassi; e il 1650, che portò la morte prematura e tragica del giovane Guglielmo II, da pochi anni succeduto a Federico Enrico. Progressivamente, cioè, dalla fine della grande committenza cattolica e con la scomparsa dei due sovrani più dediti di tutti al mecenatismo, gli artisti si trovarono senza padroni, drammaticamente liberi di cercare nuovi referenti e di inventarsi un mercato. Una serie di accidenti provvidenziali che segna la storia dell’arte e scandisce le svolte professionali ed estetiche di Vermeer.

Il passaggio quasi meccanico, nel giro di appena un ventennio da un barocco allegorico imposto dalla gerarchia accademica dei generi pittorici, alla metafisica della luce piena del simbolismo delle ultime opere. Una parabola che la mostra fa partire dalla Santa Prassede della collezione privata Barbara Piasecka Johnson, opera di discutissima attribuzione datata 1655, copia di una tela dell’italiano Felice Ficherelli, e conclude con le due Giovane donna seduta e/o in piedi al virginale del 1670-72, registrando nel mezzo tutta la rivoluzione culturale, scientifica, politica del secolo d’oro. Immensa, in effetti, è la differenza tra la pompa classicista o caravaggesca di un cattolicesimo per il quale la vita è fatta di materia corruttibile poiché intrisa di peccato che pone Dio in alto, al di fuori dal mondo, e il pacato ordine razionalista dove ogni cosa è al suo posto, dove il creatore è energia visibile, sta nella luce immanente che proviene dalle cose.

Il Novecento, intellettualistico per natura, avrebbe visto in questa svolta l’influenza di Spinoza, al punto da congetturare una serie di incontri tra il filosofo e il pittore. Oggi, come racconta in catalogo la terza curatrice, Sandrina Bandera, si propende più per circoli scientifici come quello di Constantijn Huygens, che a Vermeer avrebbe fatto scoprire la famosa camera oscura (scoperta favoleggiata anche da un famoso libro dell’artista contemporaneo David Hockney e di cui, ovviamente, non c’è nessuna prova). Proprio dalla camera oscura deriverebbe la sapienza ottica delle composizioni, la precisione maniacale e microscopica con cui, grazie alla tecnica del pointillé, far apparire le cose alla luce, gli angoli periferici sfocati, le prospettive soggettive, decentrate, per illudere lo spettatore di una sua reale presenza nello spazio.

Molta scienza e meno umanesimo, secondo la critica di questi anni tecnocratici che ama in Vermeer la descrizione della realtà nella sua esattezza matematica perché gli sembra un avvicinamento alla modernità tecnologica. Lo scriveranno tutti i giornali e lo suggerisce la mostra, che si concentra sul contesto formale, sulle qualità ottiche delle opere esposte, e mette da parte quello religioso e spirituale. Solo qualche anno fa si sarebbe insistito su una precisione pittorica che nei Paesi Bassi del tempo aveva un profondo significato religioso, indicava la capacità di un popolo operoso di avvicinarsi alle regole assolute ed essenziali che rivelavano la presenza di Dio nelle cose. La solita babele delle interpretazioni, cioè, che in mancanza di elementi certi, viene fortunatamente sovrastata dallo strapotere silenzioso delle immagini.





mercoledì 28 marzo 2012

I diari di Haring

La Keith Haring Foundation sta scannerizzato i diari di Keith dal 1971 al 1989, alcuni dei quali sono presenti nella mostra Keith Haring: 1978-1982. Una pagina sarà pubblicata ogni giorno per tutta la durata dell'esposizione che si tiene al Brooklyn Museum dal 16 marzo fino al 8 Luglio 2012. La mostra è la prima grande retrospettiva che esplora le opere giovanili di uno dei più noti artisti americani del XX secolo.



giovedì 8 marzo 2012

La grande astrazione cinese

I Musei di Roma si dimostrano, da diverso tempo, attenti al web 2.0 e in particolare al mondo di Second Life. L'ultimo sconfinamento sull'universo virtuale è la trasposizione, su Second Life, della mostra La Grande Astrazione Celeste, a cura di Achille Bonito Oliva, ospitata precedentemente al Marco Testaccio. Installazione di Merlino Mayo. Machinima di Marina Bellini. Mostra interessante in quando individua alcune di figure di artisti astrattisti cinesi, di sicuro una minoranza dato che molta arte cinese contemporanea è figurativa, nel senso più kitsch del termine. Come spiega Bonito Oliva: "I pittori cinesi hanno invece fondato un diverso uso della geometria, come campo prolifico di una ragione irregolare che ama sviluppare asimmetricamente i propri principi, adottando la sorpresa e l'emozione. Ma questi due elementi non sono contraddittori col principio progettuale, semmai lo rafforzano mediante un impiego pragmatico e non preventivo della geometria descrittiva. Non a caso i pittori cinesi passano continuamente dalla bidimensionalità del progetto all'esecuzione tridimensionale della forma, dal bianco e nero dell'idea all’articolazione policromatica delle piramidi o delle opere realizzate sulle pareti".
Il video mostra l'esposizione su internet permettendoci una rapida visita.

lunedì 5 dicembre 2011

In giro per mostre a Roma - da Raffaello e Michelangelo a Caravaggio

Torno a scrivere dopo diverso tempo e vorrei riprendere con alcune impressioni derivate dalle ultime frequentazioni romane. Si parla di mostre e si deve allora subito distinguere tra due prospettive: la visita per ammirare dal vivo capolavori e opere studiate solo sui libri, in un percorso esclusivamente di fruizione estetica, e la visita che dovrebbe lasciare una traccia anche livello formativo, ovvero dovrebbe accrescere le nozioni su un determinato periodo storico seguendo un'ottica scientifica e non esclusivamente didattico-manualistica. Il problema principale è la degradazione della mostra a semplice e basso evento di consumo turistico-propagandistico. Lo spiega bene Montanari nell'articolo Il sonno della ragione genera mostre quando scrive "Per rendere vero il luogo comune consolatorio per cui ‘le mostre avvicinano al patrimonio artistico e alla cultura il grande pubblico’, esse dovrebbero, al contrario, stimolare il senso critico ed il pensiero, non l’evasione e la distrazione. Una mostra potrebbe definirsi educativa se il pubblico uscisse dall’ultima sala persuaso a recarsi in un museo, in una chiesa o in una libreria per colmare alcune delle lacune intellettuali o culturali emerse durante la visita. E invece accade tutto il contrario". Per secondo spesse volte ci si trova con allestimenti completamente finti e spaesanti che alterano la percezione dell'opera spingendo più verso un'atmosfera di maniera che verso una lettura pulita e funzionale. Primo imputato è la mostra Il rinascimento a Roma. Nel segno di Michelangelo e Raffaello. Ambiente inadeguato, allestimento pessimo e claustrofobico, tentativo di definizione di un periodo di per se complesso e articolato (la prima metà del 500), scelta di opere prese in larga parte da musei romani (e quindi fruibili nel loro contesto in un raggio di poche miglia), inserimento di opere non legate al contesto romano (come la scelta dei Raffaello, di certo i primi che hanno avuto a disposizione, tanto per inserire il gettone di presenza). Tra le poche cose che si salvano, oltre ribadisco la valenza estetica delle singole opere, il commovente originale della celebre lettera di Raffaello a Leone X, lo splendido disegno di Raffaello del Pantheon (tra le prime vedute esatte di monumenti romani), la produzione privata dell'ultimo Michelangelo con il confronto delle tavole (autografe?) della crocifissione e della pietà. 



La mostra Roma al tempo di Caravaggio appare ancor più un disastro. Le chiese romane sono state completamente depredate di pale d'altare (ben 40 in mostra) esposte poi su falsi e stucchevoli altari in finto marmo che rimandano un'atmosfera cupa e cimiteriale, da film dell'orrore. Se lo scopo era una ricognizione scientifica, infatti, niente di meglio sarebbe derivato da un allestimento pulito e minimale, anche asettico, che mettesse in evidenza l'opera prima di tutto e non la relegasse a pura immagine di se stessa. La Madonna dei Pellegrini, all'ingresso, in una posizione per nulla meritevole messa a confronto con non notevole tela dalla scuola dei Carracci. Percorso con poco filo logico, se si esclude una divisione prettamente cronologica. Troppe tavole didattiche sotto le opere che rischiano di smarrire lo sprovveduto visitatore Errore nelle iconografie con l'Allegoria di Roma di Valentin de Boulogne che diventa una retorica Allegoria dell'Italia. Ennesimo tentativo di far passare per originale di Caravaggio una tela privata (il sant'Agostino) recentemente scoperta. Quindi poca scientificità. Si spera che contributi interessanti vengano dalla seconda parte del catalogo, con nuovi saggi (ma anche il catalogo generale risulta interessante), e dal ciclo di conferenze: da non perdere quella della Macioce sul Caravaggio attraverso le incisioni (tema pochissimo affrontato), quella sulla pittura di paesaggio a Roma e su Roma vista da Milano. Tra le cose interessanti in mostra, invece, lo splendido lacerto della grande tela di Sezze di quel geniale caravaggista che fu Orazio Borgianni (dal quale questo blog, finalmente lo sveliamo, ha preso l'immagine di copertina), il poetico confronto tra le due Madonne con bambino di Orazio e Artemisia Gentileschi, l'altro confronto tra l'Angelo custode di Antiveduto Grammatica e il Tobiolo e l'angelo dello Spadarino, la bellissima Sacra Famiglia di Cavarozzi, il Martirio di Santa Caterina di Reni, lo sfondo neutro della sepoltura di Cristo di van Baburen da San Pietro in Montorio. Un recente articolo di Tomaso Montanari sulla mostra Roma e Caravaggio, scopriamo gli altarini, sintetizza bene tutti i punti negativi dell'esposizione.


Infine, girando nei pressi di Piazza Navona, non ho potuto non notare il Pasquino restaurato. Incredibilmente, ignorando del tutto la sua gloriosa storia, non è più possibile affiggere invettive e satire sul basamento poichè è stato posto a fianco un'anonimo totem di ferro che dovrebbe accogliere i versi.


Il Fatto Quotidiano, Tommaso Montanari, 2 dicembre

ALTO TRADIMENTO. Roma al tempo di Caravaggio non è solo l’ennesima kermesse caravaggesca promossa da Rossella Vodret nei due anni che sono passati dalla sua nomina a soprintendente di Roma: è letteralmente un atto di alto tradimento, culturale e professionale. La frenesia caravaggesca della dottoressa Vodret è tale che, al posto del Bacco di Bartolomeo Manfredi, a Palazzo Venezia c’è un cartello che informa che l’opera arriverà solo il 1 dicembre, al ritorno dalla inconsistente mostra su «Caravaggio en Cuba», sempre realizzata su progetto della Vodret.

Insomma, per disciplinare il traffico aereo dei Caravaggio movimentati dalla soprintendenza di Roma ormai ci vuole una torre di controllo dedicata. Ma la cosa più grave di Roma al tempo di Caravaggio è che quasi quaranta opere sacre sono state strappate dagli altari veri che ancora le accolgono nelle chiese per essere esibite a Palazzo Venezia, rimontate su finti altari di finto marmo, in una specie di galleria cimiteriale per cui davvero non c’era bisogno di scomodare Pier Luigi Pizzi. In questo momento le chiese di Roma sono dunque ridotte ad un colabrodo, anche perché quello di Palazzo Venezia non è l’unico luna park in attività: la stessa Vodret ha, per esempio, autorizzato l’espianto dalla Cappella Cerasi (in Santa Maria del Popolo) e la spedizione a Mosca della Conversione di Paolo di Caravaggio, un atto che distrugge (pro tempore, salvo incidenti) uno dei pochi ecosistemi artistici del tempo di Caravaggio che ci sia arrivato intatto.

E ai musei non va molto meglio: i pochi caravaggeschi dell’appena inaugurato Palazzo Barberini che non sono a Cuba sono stati deportati in Piazza Venezia, e anche la Galleria Borghese e la Corsini hanno pagato un alto prezzo all’ambizione della soprintendente. D’altra parte, quale sia la considerazione della soprintendenza per i musei, lo dice lo stato del disgraziatissimo Museo Nazionale di Palazzo Venezia, che sembra sempre il parente povero della mostra di turno nello stesso palazzo un degrado espresso perfettamente dal busto quattrocentesco di Paolo II ridotto a decorazione del guardaroba della mostra. E sta proprio qua l’alto tradimento: è la soprintendente stessa a lacerare il fragile e unico tessuto artistico romano che è pagata per difendere. In un conflitto di interessi intollerabile, la Rossella Vodret curatrice della mostra chiede i prestiti alla Rossella Vodret soprintendente: e, non sorprendentemente, li ottiene tutti. Tutto questo per una mostra che non ha nulla - ma davvero nulla - a che fare, non dico con la ricerca scientifica degli storici dell’arte seri, ma nemmeno con un buon progetto di divulgazione. Il presidente della Fondazione Roma, Emmanuele E. M. Emanuele, scrive in catalogo che l’«assunto scientifico dell’esposizione è il confronto tra le due correnti del naturalismo e del caravaggismo»: che, invece, sono la stessa cosa.

Ma non bisogna fargliene troppo carico, perché è davvero difficile capire quale sia, quel famoso assunto: il “tempo di Caravaggio” (morto nel 1610) viene infatti dilatato fino al 1630, dimenticando un secolo di distinzioni storico-critiche e ammannendo al pubblico un polpettone indigeribile. Fin dalla prima sala (dove tiene banco un confronto, malissimo impostato, tra un capolavoro di Caravaggio e una tela della bottega di Annibale Carracci), la mostra appare dilettantesca, slabbrata, disinformata: una mostra come la si sarebbe potuta fare nel 1922. E nel 2011, con un tavolo pieno di monografie, tre milioni di euro in tasca e una buona ditta di traslochi a disposizione, l’avrebbe fatta meglio un laureando qualunque dei (pessimi) corsi triennali in Valorizzazione dei Beni culturali.

Ciliegina sulla torta, ecco la strizzatina d’occhio al mercato dell’arte. Finalmente tutti possono vedere il quadro lanciato a giugno come un Caravaggio a prova di bomba. L’esame diretto conferma che il SantAgostino è un gran bel quadro: ma dipinto trent’anni almeno dopo la morte del Merisi. A parte la curatrice della mostra, il proprietario e la professoressa Danesi Squarzina (che lo ha pubblicato), nessuno crede all’attribuzione a Caravaggio. Una pattuglia di specialisti autorevoli (tra cui Ursula Fischer Pace) pensa che sia un’opera del cortonesco Giacinto Gimignani, mentre a me ricorda addirittura le primissime prove di Carlo Maratti nella bottega di Andrea Sacchi (1640 circa).

Comunque sia, siamo lontani anni luce da Caravaggio: e ora c’è solo da sperare che non si provi a rifilarlo allo Stato italiano per qualche milione di euro. Non molti sanno che in Senato giace da mesi un’interrogazione in cui il senatore Elio Ianutti (IDV) chiede al ministro per i Beni culturali perché Rossella Vodret ricopra il posto di Soprintendente di Roma senza esser mai riuscita a superare un concorso da dirigente. Ebbene, dopo il colossale disastro di «Roma al tempo di Caravaggio», la soprintendente di Roma potrebbe prendere in considerazione una soluzione che farebbe risparmiare tempo al Senato e al suo ministro: dimettersi.


lunedì 12 settembre 2011

L'apocalisse secondo Martin

La fama di John Martin (1789–1854) è legata soprattutto alla sua straordinaria abilità nel ritrarre scene drammatiche di distruzioni apocalittiche e disastri biblici. La mostra organizzata a Londra al Tate Britain dal 21 settembre al 15 gennaio raccoglie sia le sue opere più celebri, sia i lavori realizzati in gioventù. Il focus dell’esibizione è sul modo in cui la sua ricerca artistica e il suo populismo si congiungono alla cultura contemporanea. Dal suo quadro più famoso e spettacolare, "Apocalisse", la Tate, per il lancio della mostra, ha ricavato un promo che alla fine mostra come sarebbe se tutto ciò accadesse.


lunedì 14 marzo 2011

ATLAS: come portarsi il mondo sulle spalle?

Atlas. Interessante esposizione al museo Reina Sofia curata da George Didi-Huberman; si riflette sulle immagini, quelle contemporanee ma anche quelle sedimentate. Filo conduttore è il celeberrimo Atlante della Memoria di Warburg, generatore infinito di impressioni e rimandi e che il curatore prova a continuare. Vaso di Pandora del nostro eccesso visuale ma anche scrigno per decifrare una cultura dell'immagine sempre più opprimente, in perenne relazione con un passato inteso quale memoria quasi sempre nascosta e celata. Di seguito un bel post dal blog Rocaille di Lisa.

La memoria

Mnemosyne deriva dal greco μνήμων e significa memoria.

Era il nome di una delle figlie di Urano e Gea, una Titanessa generata all’inizio dei tempi. Dalla sua unione con Zeus nacquero le nove Muse, protettrici dell’arte. Fu così che si fissò per sempre il legame imprescindibile tra arte e memoria.

Mnemosyne è il nome del monumentale atlante di Aby Warburg dove immagini di ogni epoca e provenienza sono accostate in maniera non gerarchica ma tematica, dove nulla è più importante di altro ma tutto forma un tessuto: la trama della memoria.



L’Atlante


Il progetto di Warburg era un’impresa imponente, iniziata negli ultimi anni della sua vita dal 1925 al 1929 quando morì e la lasciò incompiuta.

Un lavoro paradossale, ma affrontato con metodo scientifico di archivista e classificatore e che può essere considerato come un grande riassunto, un documentario di tutta l’arte occidentale e non, un tentativo di dare un ordine (κόσμος) al caos (χάος) della storia e quindi della memoria.

Il suo studio si serviva di un sistema di pannelli dove raccoglieva le immagini che più lo interessavano così che, ad una sola occhiata, potesse avere uno sguardo d’insieme senza bisogno di parole.

Il suo occhio cercava le analogie, gli isomorfismi che intercorrono tra le immagini, i richiami impensabili che si muovono sottotraccia, invisibili. Una studio quasi primitivo dove non serve più l’analisi, ma solo l’intuizione, un approccio talmente nuovo da sembrare inutile.

Warburg diceva infatti “ciò di cui mi occupo è una scienza che non ha nome” e chiamava questo atlante “racconto di fate venuto dal reale” o “storia di fantasmi per adulti”.



Imago Mundi


Sin da quando l’uomo abita il mondo ha prodotto talmente tante immagini che con il tempo rischiano di andare perdute cioè dimenticate. Per evitare l’eterno ritorno bisogna combattere l’oblio così Warburg si chiede come raccogliere tutta l’arte: come racchiudere tutta la nostra memoria? Come portarsi il mondo sulle spalle?

E’ un’impresa titanica proprio come quella di Atlante, condannato da Zeus a reggere sulle spalle l’intera volta celeste. Atlante regge il mondo, ma questa è la mappa del mondo, è la sua memoria fatta dalle immagini che l’uomo ha creato dall’inizio dei tempi ad oggi e che costituiscono un fardello altrettanto pesante.

Warburg arriva ad una congiunzione astrale e terrestre dove tutto può essere scritto, anzi tutto può essere rappresentato e l’universo può essere racchiuso in un libro: un atlante.

Il grande atlante diventa così una mappa istantanea della memoria, magma informe e infinito, IMAGO MUNDI del pensiero e del ricordo. Non esiste più oggetto ma solo concetto, non possiamo più collezionare ma solo collazionare. E’ l’uomo moderno che non è più in grado di creare, ma solo di recuperare, raccogliere frammenti, vagare.



I tableaux di G. Didi-Huberman


E’ ancora il sogno dell’uomo rinascimentale che cerca di stipare la conoscenza nei manuali, ma è impossibile racchiudere l’universo in un libro e infatti l’opera rimane incompiuta, non solo per caso. Georges Didi-Huberman prova a continuarla, accostando immagini quanto mai eterogenee di artisti ed esperienze artistiche tra il XX e XXI secolo.

Lo storico dell’arte francese, che a Warburg ha dedicato la monografia “L’immagine insepolta”, ha curato la mostra esposta al museo Reina Sofia a Madrid, fino al 28 marzo. Una mostra sperimentale e un saggio critico esposto che non ha bisogno di parole né, quasi, di immagini.

Non è una mostra che si preoccupa di esporre la bellezza di grandi capolavori, ma di ciò che c’è dietro. Ciò che è esposto non sono oggetti, ma i pensieri che collegano quegli oggetti: è una grande mostra all’immateriale.

Non c’è niente da capire, ma solo da scoprire e tutto ciò che capiamo si rivela effimero, leggero.

Un labirinto estetico incomprensibile e impossibile fatto di dipinti e sculture, ma anche fotografie, film, giornali, annotazioni, lettere, dove non ci sono verità o certezze ma tutto è affidato a foglietti delicati e fragili.

Si sente una totale perdita del centro, tutto è sullo stesso piano: il tavolo. Non ci sono più punti fissi, né linee né momenti, ecco dunque il tentativo di ricostruire “l’ordine delle cose”, “l’ordine del tempo” e “l’ordine dello spazio”.

Abbiamo di fronte un mondo sotterraneo di oggetti e parole nascoste: troviamo una statua romana di Atlante e un assemblage di foto di Warburg, i capricci di Goya e i ritratti fotografici di August Sanders e i collage di El Lissitzky. Non è una mostra di opere famose, ma non è nemmeno una mostra di opere: di Paul Klee c’è l’erbario, di Sol LeWitt le sue fotografie dei muri di New York, di Josef Albers il suo album fotografico dedicato all’architettura pre-colombiana, gli esercizi di anatomia di Max Ernst, le Water Towers di Berndt & Hilla Becher, gli appunti di Walter Benjiamin e di Rosemarie Trockel; le nuove invenzioni geografiche di Marcel Broodthaers, Guy Debord e On Kawara, fino ad arrivare all’ Histoire du cinéma di Jean-Luc Godard.

“Di solito quando si esibisce un archivio non c’è niente da vedere, è un lavoro di tempo che prende mesi e anche anni mentre invece un atlante è una presentazione sinottica delle differenze. Il suo scopo è quello di farti capire il legame che non è basato sulle somiglianze, ma sulle connessioni segrete tra due cose diverse. Atlas è un tour visuale rispetto a qualsiasi altro archivio, è un lavoro di montaggio nel quale differenti tempi stanno insieme. Non sono cose belle appese sulle pareti, ma è il processo creativo che spesso avviene sul tavolo.”

Un grande celebrazione alla Corrispondenza, così come l’aveva intuita Baudelaire, che della modernità è l’inizio.

Una delle più belle mostre di quest’anno, fatta con la voglia di ricerca e non di vendere biglietti.

Data: 26 Novembre – 28 Marzo
Luogo: Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
Co-organizzata da : ZKM Zentrum für Kunst und Medientechnologie Karlsruhe y Sammlung Falckenberg Phoenix Kulturstiftung
Curatore: Georges Didi-Huberman

Lisa.


giovedì 3 febbraio 2011

Caravaggio a Roma nel 1596? La mostra "Una vita dal vero"

Anche se le celebrazioni per i 400 anni dalla morte sono finite, l'interesse per Caravaggio e per la sua vita non sembra scemare, anzi, escono fuori novità sorprendenti. Dopo la mostra a palazzo Venezia che indagava i metodi di lavoro del pittore, all'Archivio di Stato di Roma si sta per inaugurare un'interessantissima esposizione di documenti storici: "Caravaggio a Roma: una vita dal vero".

Nell’ambito delle iniziative realizzate per il IV Centenario della morte di Michelangelo Merisi da Caravaggio (1571‐1610), l’Archivio di Stato di Roma dall’11 febbraio al 15 maggio 2011 promuove nella sede di Sant’Ivo alla Sapienza una mostra unica, di taglio assolutamente nuovo costruita su documenti originali, restaurati e conservati presso lo stesso Archivio, che svelano fatti salienti della vicenda umana e artistica del grande pittore e aspetti finora sconosciuti legati all’ambiente intellettuale, culturale e artistico frequentato dal maestro lombardo nel periodo vissuto a Roma. Ideata e diretta da Eugenio Lo Sardo, a cura di Orietta Verdi e Michele Di Sivo la rassegna è costruita come una detective story, un’indagine sul campo dove quello che emerge è la vita vissuta dall’artista attraverso le sue parole, i suoi incontri, in un incredibile caleidoscopio di relazioni e una polifonia di voci che conducono il grande pubblico a conoscere da vicino gli episodi e le vicende della “vita dal vero” di Michelangelo Merisi durante il suo soggiorno romano (1595/96‐1606).
Grazie alle scoperte compiute da una task force di 7 giovani storici dell’arte, paleografi, archivisti e storici che hanno scavato lungo gli oltre 60 km di scaffali che compongono l’Archivio di stato, sono stati salvati dal degrado e restaurati oltre 30 volumi e effettuate ricerche che presentano novità sconvolgenti che riscrivono la biografia di Caravaggio.
Nella rassegna verranno esposti documenti originali inediti che attestano tra l’altro l’arrivo di Caravaggio a Roma all’età di 25 anni (e non a vent’anni come finora creduto) e la sua sistemazione presso la bottega di un pittore siciliano, Lorenzo Carli, che viveva con la moglie e i figli in via della Scrofa. Nel susseguirsi di aneddoti, testimonianze, ricostruzioni provenienti da registri, protocolli, piante originali dei luoghi, denunce, processi, querele, contratti d’affitto, sarà possibile ripercorrere la Roma che Caravaggio attraversò e toccò, rivivere l’atmosfera in cui era immerso in un confronto diretto tra testi e immagini, complementari nella ricostruzione del passato. La vita di Caravaggio in quegli anni sarà rappresentata lungo un itinerario espositivo che ci dà una straordinaria visione d’insieme dove ai documenti si affiancano alcuni quadri di pittori – amici, nemici, maestri e discepoli – e opere del Merisi o a lui attribuite di alto valore storico‐biografico.
Particolarmente significativa la scelta di Sant’Ivo alla Sapienza come sede ideale della mostra per la posizione centrale in quel quadrato di poche centinaia di metri nel contesto urbano, dove si sono svolte molte delle vicende narrate nelle carte. Eccezionalmente il visitatore sarà accompagnato a rivivere l’atmosfera vissuta da Caravaggio nella Roma di quel tempo dagli stessi ricercatori che hanno contribuito alla scoperta e al restauro dei documenti attraverso visite guidate per un massimo di 30 persone ogni 30 minuti.
Organizzata da MondoMostre, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, in collaborazione con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con la Soprintendenza Speciale per il Polo Museale di Roma, l’Università degli Studi di Roma ‘La Sapienza’ e l’Università ‘Roma Tre’, la rassegna è stata realizzata grazie al contributo di sponsor e contributori (istituti, aziende e privati) che hanno generosamente contribuito al restauro dei volumi contenenti i documenti inediti e la campagna di ricerche lanciata dall’Archivio.
Il percorso e le sezioni. L’itinerario della rassegna viene delineato da alcuni sorprendenti testi, salvati dalla corrosione degli inchiostri dall’ operazione di restauro. Interamente trascritti come contributo ad un nuovo corpus caravaggesco, i documenti attestano i frequenti arresti e i processi subiti da Caravaggio, personalità forte eppure turbolenta, e contemporaneamente indagano i rapporti con la committenza delle sue opere più celebri. Svelano inoltre le relazioni più prosaiche della vita quotidiana intrattenute dal pittore sia con i suoi colleghi artisti, come Prospero Orsi e Onorio Longhi, sia con i semplici artigiani che abitavano nella contrada della Scrofa dove il Caravaggio visse per un decennio. Oltre ai documenti restaurati per la maggior parte presentati per la prima volta al pubblico, l’esposizione presenta opere eseguite da pittori suoi contemporanei, con alcuni dei quali egli ebbe un rapporto di stima e amicizia, e da lui stesso definiti “uomini valenti”: Annibale Carracci, Cristoforo Roncalli, Antonio Tempesta, Giuseppe Cesari, Federico Zuccari – e da altri con i quali le relazioni furono invece contrassegnate da rivalità e competizione come Giovanni Baglione e Tommaso Salini. Completano la mostra alcuni quadri attribuiti al Caravaggio, come il Ritratto di Paolo V Borghese, della collezione privata del Principe Borghese, esposto al pubblico solo una volta nel 1911, esattamente cento anni fa, a Palazzo Vecchio a Firenze nella Mostra del Ritratto italiano dalla fine del secolo XVI all’anno 1861, che propongono al visitatore alcuni “quesiti caravaggeschi”sui quali la critica si sta misurando.


La mostra si apre con il Ritratto di Clemente VIII attribuito al Cavalier D’Arpino e il Ritratto di Beatrice Cenci attribuito a Guido Reni e i documenti che riportano i verbali delle ultime ore di Giordano Bruno e di Beatrice Cenci condannati a morte sotto il pontificato di Clemente VIII.
Nella seconda sezione, Le strade di Caravaggio, una pianta del Maggi con vedute e incisioni originali racconta i “luoghi di Caravaggio”. La lunga deposizione inedita del barbiere del Merisi, ritrovata in un registro di carte giudiziarie, rivela una incredibile
messe di notizie preziose sull’arrivo del pittore nella Capitale e sugli esordi della sua attività artistica nella bottega di un pittore siciliano, Lorenzo Carli, in via della Scrofa; un secondo importantissimo documento inedito contiene la descrizione dei quadri presenti in quella bottega nel 1597. Corredano questa sezione il Ritratto di Caravaggio di anonimo seicentesco e il Ritratto di Ottavio Leoni, opera di Ippolito Leoni, provenienti dalla Accademia di San Luca.
Fulcro della terza sezione, Caravaggio e la giustizia, è il volume che ospita gli incartamenti del famoso “Processo a Caravaggio” nato dalla querela per diffamazione sporta nel 1603 dal suo grande rivale, il pittore Giovanni Baglione. Queste importantissime carte contengono l’unica testimonianza resa dal Caravaggio circa il suo modo di concepire l’arte e la sua opinione sugli artisti del suo tempo, di cui egli stila una lista: i “buoni” e i “cattivi” pittori. A corredare la sezione diverse opere degli artisti che figurano nella lista del Caravaggio: l’Autoritratto e l’Amore sacro e amor profano di Giovanni Baglione, il Cristo morto tra angeli di Federico Zuccari, la Santa Margherita di Annibale Carracci e il David con la testa di Golia di Orazio Gentileschi.
Nella quarta sezione, la casa‐studio a vicolo San Biagio, è esposto il contratto inedito con cui Caravaggio prese in affitto un’abitazione in vicolo San Biagio con la misteriosa clausola di poter “scoprire” il soffitto della metà della sala, l’inventario degli oggetti personali del Merisi e il contratto con cui fu commissionata al pittore la pala della Morte della Vergine, certamente dipinta in quella sala con il soffitto “scoperto”. Tra i quadri esposti in questa sezione, la Maddalena addolorata attribuita a Caravaggio, e per questo fra i “quesiti caravaggeschi” proposti nella mostra, la splendida Caraffa di fiori di Jan Brueghel e la bellissima Fiasca di Fiori del Maestro della Fiasca conservata a Forlì.
Nella quinta sezione, l’omicidio, la fuga, il perdono, sono esposti i registri con gli interrogatori dei testimoni presenti allo scontro in cui, nel 1606, Caravaggio uccise Ranuccio Tomassoni e fu costretto a fuggire da Roma, ove non riuscì più a fare ritorno. Una splendida pianta acquerellata rappresenta la via Aurelia e il litorale laziale da Roma a Palo e Civitavecchia sulle cui coste sbarcò il Merisi nell’estate del 1610, risalendo fino a Porto Ercole dove trovò la morte. Il pontefice regnante era Paolo V Borghese (1605‐1621), del quale il Merisi dipinse il ritratto. Il Ritratto di Paolo V di Caravaggio, con il quale si conclude la mostra, viene esposto dopo 100 anni dalla prima volta che fu in occasione del cinquantesimo anniversario dell’Unità di Italia.
Il catalogo, edito da De Luca Editori d’Arte, raccoglie i documenti e le schede dettagliate di ogni opera esposta. (Fonte)

Le novità, ancora da riscontrare pienamente, sono molte, come si legge in questo articolo dal Sole24Ore

Chi pensava che le celebrazioni del IV centenario della morte di Caravaggio, il pittore più inflazionato del Seicento, si chiudessero il 31 dicembre 2010, si sbagliava. Le manifestazioni seguiteranno anche nel 2011, e, date le recentissime scoperte archivistiche, è probabile si protraggano a tempo indeterminato anche le dotte discettazioni esegetiche. In altre parole il caso Caravaggio rimane aperto perché il grande pittore lombardo, quasi volesse burlarsi di tutti i suoi esegeti, ha acceso una nuova miccia, niente meno che nella cronologia dei suoi primi anni romani, con la conseguenza di avere sovvertito l'ordine delle opere che era stato cesellato in decenni di sottili ricostruzioni filologiche, stilistiche e storiche.
La destabilizzante notizia che la permanenza a Roma del pittore giuntovi «giovenaccio», non inizi allo scadere del 1592, ma probabilmente al principio del 1596, si desume da un documento scoperto nell'Archivio di Stato di Roma da Francesca Curti, oggi pubblicato integralmente in occasione della mostra che aprirà i battenti il 10 febbraio nella Sala Alessandrina dell'Archivio di Stato medesimo, intitolata «Caravaggio a Roma. Vita dal vero».
Queste ricerche di archivio si inseriscono nel progetto volto a delineare sempre più nitidamente i contorni della personalità del Caravaggio, progetto sostenuto anche dal Sole 24 Ore. I risultati sono già stati parzialmente resi noti su questo giornale da Marco Carminati.
Francesca Curti ha avuto il merito di mettere le mani su un verbale che ritarderebbe l'arrivo di Caravaggio a Roma, ma il suo ritrovamento va contestualizzato in un lavoro di équipe, sostenuto e avviato da un folto gruppo di archivisti e lettori e coordinato da Eugenio Lo Sardo. Tutti costoro hanno scritto nel catalogo della mostra, il cui percorso però inizia con due documenti d'effetto che hanno purtroppo l'aria di essere come gli specchietti per le allodole, simili nella loro connotazione macabro-attraente ai musei della tortura, documenti che sono soltanto collaterali alle vicende caravaggesche: le ultime ore di Beatrice Cenci, decapitata nel 1599, e quelle di Giordano Bruno arso vivo nel 1600, storie che è da dimostrarsi se abbiano per davvero attinenza con il Caravaggio. Però, a prescindere da questa partenza "scazonte", la mostra si risolleva subito per la presenza di fogli e registri importanti, fino a oggi inediti, e per alcuni dipinti.
Verrà esposto anche l'interrogatorio al quale venne sottoposto nel luglio del 1597 tale Pietro Paolo, garzone di Marco barbiere che teneva bottega nei dintorni di Campo Marzio. Il documento stimolerà senza dubbio le difese degli storici dell'arte, contraddetti da un qualunque garzone di barberia, ma non se ne potrà contestare l'indiscutibile autenticità. Infatti in una delle pagine del registro compilato chiaramente si riportano le precise parole di questo Pietro Paolo, interrogato in galera dove era stato rinchiuso per reticenza. A lui un paio di giorni prima il Caravaggio aveva consegnato un «ferraiolo», cioè un mantello che aveva raccolto per strada e che era stato perso durante l'aggressione del musico Angelo Zanconi, avvenuta nel capocroce di Sant'Agostino, non lontano da via del Pozzo delle Cornacchie e da via della Scrofa, che sono i luoghi del Caravaggio, illustrati nel catalogo da Orietta Verdi; luoghi ancora perfettamente conservati e riconoscibili di una Roma che merita per davvero la qualifica di "eterna".
Angelo Zanconi aveva recuperato il suo ferraiolo nella bottega del barbiere e aveva sporto denuncia contro ignoti.
L'11 luglio Luca, figlio del barbiere padrone della bottega, aveva testimoniato davanti al magistrato, tratteggiando una vivace descrizione del Caravaggio, che venne già pubblicata nel 1997 da Sandro Corradini e Maurizio Marini. Mancava però la deposizione del garzone Pietro Paolo, il quale dapprima aveva tenuto la bocca cucita, ma una volta finito dentro, aveva parlato, aggiungendo sul pittore qualche particolare di capitale importanza: «Lo conosco da questa Quaresima passata ha fatto l'anno. Con occasione che praticava nella bottega di un pittore in su la strada per andare alla Scrofa». Il pittore presso il quale Caravaggio «praticava» per sbarcare il lunario si chiamava Lorenzo, identificabile con il siciliano Lorenzo Carli, specializzato nei quadri di devozione e nelle copie delle Madonne paleocristiane della basiliche di Roma.
Pietro Paolo fa la sua deposizione nel luglio del 1597, pertanto la «quaresima passata» è del marzo 1596. Dato che due dei più informati biografi di Caravaggio, compreso il Bellori, tramandano che il pittore appena arrivato a Roma andò a lavorare nella bottega di tale Lorenzo, si deduce che l'inizio della sua permanenza in città risalisse all'incirca ai primi mesi del 1596. Da ciò consegue che tutte le opere che per decenni abbiamo situato nel periodo romano fra il 1593 e il 1596 vanno spinte avanti.
A questo punto il discorso si fa ancora una volta avvincente. Innanzitutto c'è da domandarsi che cosa Caravaggio abbia fatto fino al 1596, durante il tempo trascorso in Lombardia, dove era nato nel 1571 e da dove proveniva. È impensabile che in quegli anni non abbia dipinto niente. Ma di sue opere fino a oggi non si è trovata alcuna traccia. Allora dove e quando realizzò quadri come il Bacchino Malato, il Fruttaiolo, il Ragazzo morso dal ramarro e altri: in Lombardia o a Roma? Se, come sembra, fosse arrivato a Roma nel 1596 avremmo da "coprire" altri tre anni.
Uno potrebbe per davvero averlo passato al fresco. Torna infatti alla ribalta la notizia, già destituita di fondamento, diffusa dal biografo Giulio Mancini, il quale, nel 1620 circa, scrisse che Caravaggio fu attore o testimone reticente di un delitto, per il quale scontò un anno di prigione, già prima di giungere a Roma. Nonostante le ricerche in vari archivi lombardi, prove di tale lugubre testimonianza fino a ora non se ne sono trovate. Ma a questo punto il fattaccio potrebbe essere accaduto fra il 1592 e il 1595 e non prima del 1592, anno sinora presunto della partenza per Roma.
Dopo la detenzione Caravaggio avrebbe fatto i bagagli, in cerca di lavoro, e per rifarsi una vita.

lunedì 24 gennaio 2011

Vip art fair - la fiera d'arte online

Prima dell'attesissima artefiera di Bologna, da non perdere la prima fiera virtuale d'arte contemporanea http://vipartfair.com/, progetto interessante e forse rivoluzionario, con tanto di vernissage e stand. per visitarla occorre registrarsi e poi si può girare per le gallerie e fruire e acquistare le opere.

"Il nuovo decennio del secolo si apre con una sfida: una fiera d'arte completamente online, la VIP Art Fair, che si svolgerà dal 22 al 30 gennaio sul sito www.vipartfair.com. Hanno aderito all'iniziativa, promossa dai galleristi James e Jane Cohan e dagli imprenditori (e collezionisti) della Silicon Valley Jonas e Alessandra Almgren, 139 gallerie da 30 paesi, tra cui molti big come Gagosian e White Cube. Dal l'Italia hanno aderito quattro galleristi: Massimo De Carlo, Lia Rumma Continua e Tucci. L'evento vanta partner di prestigio come Axa Art e «The Art Newspaper». Gli organizzatori esaltano i vantaggi per le gallerie: la possibilità di raggiungere collezionisti in ogni punto del globo, soprattutto Asia e Medio Oriente, la flessibilità nella scelta delle opere da presentare, il risparmio sui costi di trasporto e assicurazione, ma anche l'assenza di un timore reverenziale che frena molti potenziali acquirenti. Ma si può davvero comprare arte senza apprezzarla di persona?
Per alcuni è già un'abitudine: Emmanuel Perrotin ha venduto con successo molte opere di Murakami sulla base di fotografie. Anche Ales Ortuzar, direttore da David Zwirner, che presenterà opere da 4mila a 1,5 milioni di dollari, riferisce che molti clienti acquistano dopo aver visto le opere solo "jpeg"(formato elettronico delle immagini). Ma non è così per tutti: da Johann König non c'è cliente che non abbia visto l'opera dal vivo prima di comprarla. E il rapporto con il gallerista? Non si mette in pericolo il suo ruolo d'intermediario, se tutto avviene online?
«Se i collezionisti hanno l'abitudine di comprare da catalogo presso le aste – risponde Lisa Tucci Russo –, crediamo si rendano conto di quante garanzie in più possono avere acquistando, seppure in una fiera online, direttamente dalle gallerie che danno una garanzia di professionalità e hanno il contatto diretto con gli artisti». E anche per Gregor Hose, manager da Johann König, è convinto: «È la personalità del gallerista a garantire il successo. Nessun acquisto avviene senza che il cliente conosca il gallerista. La fiera online è un di più che non sostituisce il mercato tradizionale».
Certo il binomio arte-internet è sempre più forte, già le case d'asta ne fanno uso, così come i siti quali Artnet e Artprice. Alla fine del 2010 anche Gagosian è entrato nel mondo virtuale col sito Art.sy, promosso insieme all'ereditiera Dasha Zhukova, a Wendi Murdoch (moglie di Rupert), al ceo di Google Eric Schmidt e al creatore di Twitter Jack Dorsey.
Su Independent Collectors, il social network per collezionisti, la notizia della VIP Art Fair è stata discussa con curiosità ma anche scetticismo. Christian Schwarm, fondatore del sito, ha già comprato opere su internet, ma parla di coesistenza più che di sostituzione dei due mercati, quello virtuale e quello reale.
Come si svolgerà la fiera?
L'accesso è gratuito. Sarà possibile visitare gli stand partendo dalla mappa, o seguendo tour creati da curatori e collezionisti. Grazie ad una tecnologia innovativa sarà possibile zoomare le opere e rapportarne le dimensioni alla figura umana. Il contatto col gallerista sarà garantito da chat, skype e telefono, ma solo per i possessori di pass VIP (chi non l'ha ricevuto dalla sua galleria può acquistarlo per 100 $ nel weekend d'apertura e a 20 $ nei giorni successivi). Il gallerista potrà invitare il potenziale acquirente nella sua private room per mostrargli opere non esposte, mentre i collezionisti avranno modo di incontrarsi nella VIP lounge virtuale dove saranno comunicate le nuove opere in vendita e le news dal mercato. La quota di partecipazione per le gallerie va da 5mila a 20mila $, mentre le opere in vendita vanno da 5mila $ fino a superare il milione". (Fonte Sole24ore)


lunedì 3 gennaio 2011

Impressioni su Van Gogh a Roma

L'impressione all'uscita dalla mostra Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna, presso il Complesso del Vittoriano a Roma, è di una soddisfazione a metà. Sono sempre stato diffidente delle mostre offerte dal Complesso poichè non sempre sono conformi alle aspettative; le considero le classiche mostre Blockbuster molto pubblicizzate che di importante hanno solo il nome ma poi si limitano a presentare opere non sempre all'altezza. Diciamo che non mi piace per nulla anche lo spazio espositivo, troppo angusto e articolato male per le troppe persone in fila. La mostra di Van Gogh è stata di livello basso, anche se il tema, il raffronto tra l'immagine della campagna e della città nelle sue opere, è interessante in quanto cerca di indagare quel complesso legame tra l'artista e la Natura nella sua evoluzione dalla scura pittura olandese di genere all'esplosione di colore impressionista. Fatto sta che alcune opere valgono totalmente il prezzo del biglietto e, anche se poche, giustificano le ore di fila. La speranza è che anche il pubblico meno addetto le ritrovi nella calca generale e nell'allestimento, altrimenti corre il rischio di trovarsi con un'immagine confusa e marginale dell'artista. Per le opere mi riferisco in particolare a Orti a Montmartre del 1887. 


In quest'opera, di formato relativamente grande, si notano le prime conquiste del colore; l'artista, giunto da poco a Parigi, risente dell'ambiente impressionista e del puntinismo di Seraut e Signac che cerca di riproporre. Ne risulta un quadro dai toni delicati, dove i principi del punto sono applicati marginalmente a vantaggio di linee e tocchi di colore già diversi da quelli di Monet. In particolare risultano commoventi proprio questi tocchi, queste barbe di colore incise meticolosamente dall'artista che aveva piazzato il cavalletto su un'altura dalla quale ritrarre la parte meno urbana del quartiere Montmartre. Commovente è la determinazione di Van Gogh nel cercare a tutti i costi la forma del paesaggio, nel tentare di rendere sulla tela il particolare e la disorganicità della natura. Trovo in quelle pennellate che cercano di liberare il colore la forza che tra poco esploderà nel sud della Francia mentre immagino il pittore da solo, perso sulla tela, con gli occhi ora sul paesaggio ora sui pennelli nel cercare disperatamente e con ostinazione di dar senso al dipinto.


Del tutto diversa è la tela Cipressi con due figure femminili del 1889. Direi quasi sconvolgente per me che non avevo ancora visto dal vivo un'opera del periodo più tardo. La tela è un tocco al cuore nell'assoluta predominanza della materia pittorica plasmata come fosse materia viva con la quale creare non un quadro bensì un bassorilievo. Il nero e verde scuro dei cipressi emerge, lo si sente quasi al tatto, con linee ondulate che cercano di seguire le fronde battute dal vento del sud. L'aria è calda ma sotto i rami l'ombra si fa buia e fresca eppure inquietante se agli occhi del pittore appare così tormentata, resa come un groviglio di tracce e rovi. Il cielo, invece, sembra seguire un moto proprio. Vi si scorge l'andare delle nuvole, stiracciate e tese come serpi, anche loro raffigurate con solchi di materia, con tubetti versati direttamente sulla tela dove il pennello apre linee, sollevando barbe, come l'aratro sui campi. Pittura materica e viva, si scorge quasi il Balzac del Capolavoro incompiuto, eppure i riferimenti ci sono se pensiamo alla pittura disfatta di Monticelli o al colore-oggetto di Rembrandt, sempre amato da Van Gogh. Verranno altri cipressi, raffigurati perché figure misteriose del paesaggio, obelischi di un verde così scuro da apparire alieno al resto del paesaggio, eppur questa tela mi sembra la più sentita e tormentata. Assoluto capolavoro che parla al cuore con la forza del colore.



Segnalo la tela con delle donne su un campo di neve del 1890 per la resa di un cielo irreale da tramonto, con linee azzurro cobalto e un sole spento, mentre rinvengo già quel tocco di colore vivo sulla linea dell'orizzonte in una primissima tela del 1883, così fiamminga, a rendere un rosso tramonto. In ambedue il lavoro degli umili.
Interessante la parte introduttiva con una serie di stampe collezionate da van Gogh e altre opere grafiche alle quali si ispirò; personali e intime alcune lettere alla fine del percorso. La calligrafia minuta e nervosa, intervallata da schizzi e disegni.

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