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sabato 11 aprile 2015

L'Accademia Urbana delle Arti e i corsi di pittura di Papa


ACCADEMIA URBANA DELLE ARTI Ass. Cult. organizza dei corsi presso lo Studio d’Arte del maestro Rodolfo Papa Piazza E. Dunant 55 – Roma per informazioni: rodolfo_papa@infinito.it 

«L’arte può essere oggi il destriero che, con la bellezza, riporta la verità e il bene dentro la città» dal Manifesto dell’Associazione

« L’Associazione ha per scopo: promuovere la formazione sociale, culturale e professionale degli associati e di terzi, con speciale attenzione alle belle arti, alla musica, alle lettere ed alla filosofia, anche in collaborazione con altre istituzioni culturali, scolastiche o accademiche; organizzare corsi di formazione orientati alla qualificazione umana, culturale, artistica e professionale, anche sviluppando servizi nel settore del tempo libero;  organizzare iniziative culturali, artistiche e ricreative» (art. 4 dello Statuto della Associazione)

Sono previsti tre corsi:
I. Tecniche del disegno
II. Tecniche pittoriche
III. Arte Sacra
Quota di associazione e iscrizione al corso: 200 euro
Sconto di 50 euro sulla quota di iscrizione, per gli iscritti entro maggio 2015.
Quota mensile: 150 euro
Calendario: dalla prima settimana di ottobre 2015 all’ultima settimana di maggio 2016

Sarà fornito diploma di partecipazione
Mostra finale delle opere degli allievi con consegna dei Diplomi

Al momento dell’iscrizione, verrà fornito l’elenco del materiale da acquistare.
Per i partecipanti al corso: Sconto del 15% presso Ditta Poggi, via Merry del Val (Trastevere)


I CORSO – Tecniche del disegno
«Dico e confermo che ‘l disegnare in compagnia è molto meglio che solo, per molte ragioni» Leonardo, Libro di pittura, II, 71
Max 10 persone - GIOVEDI’ ore 18-21
-          Teoria delle ombre e del chiaroscuro
-          Rudimenti di anatomia
Testo di riferimento: R. Papa, La “scienza della pittura” di Leonardo, Medusa, Milano 2005
Appunti e Dispense
Il corso fornisce uso del cavalletto e tavola per disegnare.

II CORSO – Tecniche pittoriche
«So benissimo, com’ogni uomo che non vive nelle nuvole, che si possono creare opere indimenticabili con mezzi scarsi quando si ha del genio o per lo meno dell’ingegno, ma quello che non è permesso è l’ignoranza. E, per quanto io sappia, non v’è pittore che si rispetti, antico o moderno, che abbia ignorato e che ignori la tecnica della pittura» Giorgio de Chirico, Piccolo trattato di tecnica pittorica, 1928
Max 10 persone - MERCOLEDI ore 18-21
-          Tecnica della pittura ad olio e dei colori
-          Composizione delle tinte nella pittura
Testo di riferimento: R. Papa, La “scienza della pittura” di Leonardo, Medusa, Milano 2005
Appunti e Dispense
Il corso fornisce uso del cavalletto e tavola per disegnare.

III CORSO – Arte sacra
«Si raccomanda inoltre di istituire scuole o accademie di arte sacra per la formazione degli artisti, dove ciò sembrerà opportuno. Tutti gli artisti, poi, che guidati dal loro talento intendono glorificare Dio nella santa Chiesa, ricordino sempre che la loro attività è in certo modo una sacra imitazione di Dio creatore e che le loro opere sono destinate al culto cattolico, alla edificazione, alla pietà e alla formazione religiosa dei fedeli» Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium,  n. 127: “Formazione degli artisti”
«I  chierici, durante il corso filosofico e teologico, siano istruiti anche sulla storia e sullo sviluppo dell'arte sacra, come pure sui sani principi su cui devono fondarsi le opere dell'arte sacra, in modo che siano in grado di stimare e conservare i venerabili monumenti della Chiesa e di offrire consigli appropriati agli artisti nella realizzazione delle loro opere» Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, n. 129:  “Formazione artistica del clero”
Max 10 persone - MARTEDI ore 15-18
-          Disegno, pittura e realizzazione di un soggetto sacro
-          Approfondimento di iconologia e iconografia
Testo di riferimento: R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Cantagalli, Siena 2012
Appunti e Dispense
Il corso fornisce uso del cavalletto e tavola per disegnare.

sabato 23 febbraio 2013

Se il giornalismo storico-artistico non esiste più

Tomaso Montanari con questo articolo che prende spunto da presunte "novità" leonardesche mette il dito nella piaga segnalando come oggi il giornalismo culturale relativo all'arte tocchi il suo punto più basso. Tanta ed eccessiva attenzione per mostre (blockbuster) o per psude-attribuzioni (Caravaggio e Leonardo su tutti) ma poca voglia di andare a fondo ai problemi artistici, di criticare con competenza collettive ed esposizioni, di svolgere quell'azione di mediazione ormai fondamentale in una società che sta sempre più smarrendo il senso della propria storia artistica veicolata da manager ed esperti di comunicazione. Di giornalisti "artistici" ospitati sulle testate nazionali ce ne sono sempre di meno, anche se qualcuno ancora si salva: tra tutti mi sento di segnalare naturalmente Fabio Isman dalle pagine del Messaggero e di Art Dossier  e Simone Verde.

«Se dichiaro di aver visto a occhio nudo il Bosone di Higgs nel mio salotto, mi portano alla neuro: ma se il primo che passa sostiene di aver scoperto un Michelangelo, un Leonardo o un Caravaggio, il circo mediatico lo porta, immediatamente, in trionfo. Quando si parla di storia dell’arte tutto è possibile: in Italia il giornalismo storico-artistico è pressoché defunto, ed è ormai talmente abituato a concepire se stesso come il megafono celebrativo dei Grandi Eventi da non essere più in grado di distinguere una notizia da una bufala. […] La prossima volta che qualcuno si presenterà all’Ansa con cento terrecotte di Leonardo o cinquanta marmi di Michelangelo verrà dunque sottoposto a una qualche verifica? Tutto lascia credere di no: per la prossima bufala storico-artistica è solo questione di giorni».

Così scrivevo, ad agosto, nella premessa a La madre dei Caravaggio è sempre incinta. Non era una profezia difficile, ma si è realizzata al punto che potrei già aggiungere una nutrita appendice al libretto.

A fine settembre è spuntata una seconda Gioconda. La notizia è stata data da Silvano Vinceti, l’ormai celebre cercatore dei resti di Caravaggio, e di quelli di Monna Lisa (in carne e, appunto, ossa) nel complesso fiorentino di Sant’Orsola (un’operazione finanziata con i nostri soldi dalla Provincia di Firenze): «Si trova a San Pietroburgo ed appartiene ad un collezionista privato - ha spiegato Vinceti - sono già in corso tutte le perizie e le ricerche del caso per certificare che l’opera è stata realizzata da Leonardo». Dove trovo bellissima questa idea da Asl: ‘Per certificare i Leonardo prendete il bigliettino e mettetevi in fila allo sportello 4. Per il Santo Graal, invece, sportello 3. Precedenza a templari e donne incinte’. Inoppugnabili, d’altra parte, gli argomenti di Vinceti: «ha le mani più scure del viso, tratto tipico dello stile del maestro, che condividerebbe con l’originale custodito al Louvre». Ma potevate dirlo subito: e che dubbio rimane?!

Di qualche giorno, fa invece, è il rilancio di un’altra Monna Lisa: se ne sentiva la mancanza, no?

La terza Monna Lisa è stata affidata dai proprietari nientemeno che ad una Fondazione (The Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo), senza scopo di lucro (lei). Nel board e nei consulenti non si conta nemmeno un vero storico dell’arte, ma questo non impedisce alla Fondazione di avere le idee molto chiare sull’opera. Il sito del Guardian informa (senza un filo di ironia) che la Fondazione ha fatto esaminare l’opera da un esperto di «sacred geometry» (qualunque cosa sia!), e poi ha fatto condurre un analisi al carbonio 14 per datare l’opera. In un eccesso di zelo, l’analisi ha dimostrato «that it was almost certainly manufactured between 1410 and 1455». Cosa davvero stupefacente, visto che Leonardo è nato nel 1452. Certo, se uno crede alla ‘sacra geometria’ può anche credere al fatto che Leonardo abbia dipinto il quadro svizzero a tre anni: anzi, mi pare una scoperta destinata a rifondare la storia dell’arte.

La risposta più seria a tutto questo è la meravigliosa serie satirica sui Misteri di Leonardo che andava in onda in «Non perdiamoci di vista». Ma, dopo aver seppellito tutto ciò sotto la meritata coltre di ridicolo, non si può non pensare che se il patrimonio storico e artistico italiano è nello stato in cui è, lo si deve anche alla trasformazione della storia dell’arte in un gigantesco, grottesco, circo equestre.




E per gli amanti della Monna Lisa ho trovato su Wikipedia questa interessante pagina redatta con grande competenza e con molte citazioni di fonti:

martedì 13 marzo 2012

Chi cerca (non) trova - Settis su Vasari e Leonardo

Bocciatura senz’appello dell’operazione mediatica sulla Battaglia d’Anghiari. La Repubblica, ed. Firenze, 13 marzo 2012

Il sindaco di Firenze Renzi ha annunciato magnum cum gaudio che alcuni ricercatori avrebbero dimostrato inoppugnabilmmente che dietro l’affresco del Vasari si nasconde una versione leonardesca della Battaglia d’Anghiari. Tra le riserve scientifiche all’operazione quella di Salvatore Settis 

Si è capovolta la gerarchia naturale dei valori». Salvatore Settis, storico, archeologo, ex direttore della Normale di Pisa, ha presieduto fino al 2009 il Consiglio superiore dei beni culturali. Sè anche primo firmatario dell´appello di 101 studiosi, intellettuali e storici dell´arte che nei mesi scorsi ha chiesto di interrompere le ricerche della Battaglia di Anghiari, fortemente voluta, invece, da Palazzo Vecchio. E non usa cautele nell´esprimere il suo giudizio su un´operazione che definisce «soltanto mediatica»: «Invece di salvaguardare al massimo un´opera d´arte certa quale è la Battaglia di Scannagallo del Vasari», spiega Settis, «cioè di cercare di non farle correre alcun rischio, si va alla ricerca di un´opera soltanto ipotizzata, con possibilità secondo me minime di trovarla davvero, trattando quella certa come se fosse un incomodo di cui quasi non si vede l´ora di liberarsi. Fino a giungere addirittura ad ipotizzare di poter togliere qualche pezzetto rifatto nell´Ottocento, ammesso che ci sia...». 

Professor Settis, ammetterà che anche la sola ipotesi che si possano trovare delle tracce di un´opera di Leonardo sottostante quella del Vasari, possa valere quantomeno la curiosità di una indagine... 

«Il dramma di questo paese, che si sta replicando in modo esemplare in questo caso, è che occuparsi di beni culturali sembra ormai risolversi in una continua spettacolarizzazione, mirata su singole opere d´arte, o singoli interventi di restauro. Un fatto di costume che io giudico altamente negativo, perché orienta l´attenzione soltanto su operazioni di immagine, che riguardano dieci o venti monumenti di grande richiamo, lasciando che tutto il resto vada in malora». 

D´altra parte esistono dei risultati scientifici, che Comune e Soprintendenza hanno sempre sostenuto di considerare sufficienti a procedere. 

«Ma è mai possibile che in un luogo di straordinaria importanza come il Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio, e avendo a che fare con opere di un Leonardo e di un Vasari, si considerino sufficienti le analisi di un laboratorio privato di Pontedera? E´ mai possibile che non valesse la pena, in un caso del genere, di ricorrere, prima di qualsiasi dichiarazione e di qualsivoglia annuncio, quantomeno a un controllo incrociato di dati, prodotti da laboratori di altissimo livello, diversi e indipendenti, cioè che non sapessero niente l´uno dell´altro, in modo da essere supercerti di quello che si sarebbe detto? Tutto questo non è stato fatto e mi chiedo perché. Tanto più che almeno una funzionaria dell´Opificio delle pietre dure, da tutti riconosciuta come molto seria, ha chiaramente detto che i dati a disposizione non le sembravano attendibili. E´ ovvio che anche solo questi dubbi avrebbero dovuto obbligare alla massima prudenza». 

Non la convince nemmeno l´ultima novità, e cioè l´accertata «compatibilità» fra i pigmenti rilevati sotto l´affresco del Vasari, e quelli repertati e certificati dal Museo del Louvre nel 2010 e relativi alla Gioconda e al San Giovanni Battista di Leonardo? 

«Ripeto, qui si trattava di fare confronti secondo un metodo ben più rigoroso, come quello, per esempio, che abbiamo adottato in occasione degli studi sulla pendenza della Torre di Pisa. Ogni volta che abbiamo dovuto fare analisi di qualche tipo, geologico, statico, prima di prendere una decisione tecnica le abbiamo ripetute due o tre volte affidandole ogni volta a laboratori diversi, e che laboratori: dall´Università di Harvard al Politecnico di Milano, ad altri ancora sparsi per il mondo. Insisto: un Vasari e un Leonardo non avrebbero meritato altrettanto impegno? Del resto ad ammettere un errore non c´è niente di male, capita a tutti, si guardi il caso dei neutrini che sembravano più veloci della luce, un errore non a caso venuto fuori proprio grazie al controllo incrociato di dati elaborati da laboratori diversi». 

Si può sempre obiettare che l´indagine è partita con lo stimolo di uno sponsor privato, che se ne è accollato tutti gli oneri e ha anzi dotato il Comune di fondi utilissimi al suo disastrato bilancio. 

«Proprio perché si ha avuto la fortuna di trovare uno sponsor del genere, in tempi come questi, mi si deve spiegare perché non lo si sia utilizzato per la priorità delle priorità, e cioè la tutela e la conservazione del patrimonio storico artistico, che come tutti sanno sta andando in malora. E di cui, diciamo la verità, non importa davvero niente a nessuno, perché quel che importa è di fare, ogni tanto, cose spettacolari, anziché, giorno dopo giorno, investire sulla conservazione capillare di tanti beni diffusi su tutto il territorio nazionale. Ma mi meraviglio che da una regione come la Toscana, e da una città come Firenze, non solo non venga questo esempio, ma arrivi quello contrario». 

Carratù, Maria Cristina


Da questo link invece l'articolo di Tomaso Montanari dal Corriere Fiorentino: "La riprova scientifica che ancora manca".

Emerge il nero a Palazzo Vecchio! Ma no, non c’entrano i fondi di Lusi: è il colore della Gioconda. Anzi, vuoi vedere che in quell’intercapedine c’è anche qualche capello di Monna Lisa in persona? Magari ci sono perfino le ossa: e sai come schiatterebbero alla Provincia, che scava inutilmente a Sant’Orsola, se le trovasse il Renzi? E c’è già chi dice che Vasari abbia costruito una intercapedine minore per preservare un torsolo di mela morsicato da Leonardo. Se siamo fortunati, l’analisi del DNA scioglierà l’enigma, anzi il mistero: a Leonardo piacevano le mele? Meglio provare a sorridere, perché a prendere seriamente la conferenza stampa di ieri viene da piangere. Domani l’opinione pubblica globale sarà riportata, come per incanto, ad una dimensione pregalileiana della conoscenza. Tutti i media titolano infatti sulle ‘prove’ della presenza di Leonardo: ma di quali prove parliamo?

lunedì 17 ottobre 2011

Il San Girolamo in terracotta attribuito a Leonardo


In un passo delle Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori Giorgio Vasari parla della tecnica esperimentata da Leonardo da Vinci quando era ancora nella bottega fiorentina del Verrocchio suo maestro. Leonardo era solito «fare modelli di figure in terra e addosso a quelle metteva cenci molli interrati e poi con pazienza si metteva a ritrargli sopra a certe tele mollissime, e li lavorava di nero e bianco con la punta del pennello ch'era cosa meravigliosa». Il Verrocchio dovette impartire al geniale discepolo i primi rudimenti della pittura ma anche della scultura. Benché Leonardo ritenesse la pittura superiore alla scultura, racconta di essersi «adoperato» tanto nell'una che nell'altra arte «in un medesimo grado», cioè con pari diligenza e risultato. Poco dopo il 1480, in procinto di partire per Milano dove avrebbe prestato servizio alla corte del Moro, l'idea di realizzare il monumento equestre di Francesco Sforza cominciava a prendere consistenza e forma. Poi Leonardo giunse sino al penultimo stadio, portando a termine il modello in argilla o stucco, ma non concluse il lavoro che avrebbe dovuto prevedere la fusione in bronzo. Il colosso equino doveva essere di oltre sette metri di altezza e il peso della terra di fusione avvicinarsi alle cinquanta tonnellate. Di questa superba impresa rimangono alcuni disegni, sparsi in vari codici leonardeschi, dai quali si desume che il primo pensiero prevedeva un cavallo impennato; in seguito Leonardo aveva ripiegato, forse dietro suggerimento del Moro, su un cavallone al passo, solenne, tornito, e monumentale per vocazione. La scultura, celebrata in antico da molti eruditi, secondo Sabba da Castiglione impegnò l'autore per «sedeci anni continui», ma il modello di stucco già nel 1499 era stato fatto bersaglio dei balestrieri guasconi entrati a Milano con le truppe di Luigi XII, quando ancora il grandioso quadrupede si stagliava in un cortile del castello di Porta Giovia. Tuttavia nel 1501 il duca di Ferrara Ercole I d'Este lo aveva richiesto al cardinale di Rohan per farlo copiare. Più tardi andò distrutto. Di tutte le opere di scultura leonardesche, più o meno dettagliatamente citate dalle fonti antiche, non se n'è identificata una, ma visto che la pratica espletata da Leonardo nello scolpire e plasmare la terracotta, che doveva risultargli più congeniale del marmo per i suoi effetti pittorici, fu assidua, è impensabile che nemmeno un esempio di mano del grande maestro non sia sopravvissuto alle soppressioni.
La caccia a una scultura di Leonardo dura da tempo e ha visto impegnati studiosi di inossidabile serietà e pervicacia: tra gli scomparsi Sir John Pope-Hennessy, illuminato pioniere delle ricerche sul rinascimento italiano, nonché direttore del Victoria and Albert Museum di Londra, Kenneth Clark, W.R. Valentiner.
Le fonti antiche su Leonardo scultore ricordano «teste di femmine che ridono», «teste di putti», un Bambino Gesù in creta che fu di proprietà del cardinale Federigo Borromeo, probabile modelletto della testa di Gesù del quadro con Sant'Anna e forse da identificarsi con «la testicciola di terra di un Cristo mentre che era fanciullo» la quale, nel Cinquecento, era presso il pittore e trattatista milanese Giovan Paolo Lomazzo; «teste di vecchi» e cavallini in bronzo, come è quello del Museo di Budapest, che molti ritengono autografo e possibile prototipo del monumento a Gian Giacomo Trivulzio, che però non fu mai compiuto. Anche l'insieme delle sculture che oggi gli esperti attribuiscono a Leonardo è ben assortito, ma non ne esiste una sulla quale i massimi calibri dell'esegesi leonardesca siano concordi; ciò però non deve suscitare né meraviglia, né tantomeno scandalo, perché in materia d'arte, i dispareri fan parte integrante del mestiere. In un momento arroventato come l'attuale da altisonanti attribuzioni respinte, avanzarne una nuova a Leonardo scultore è un atto a dir poco di coraggio. Patrocinatore della proposta è un bravo studioso italiano, Edoardo Villata, che martedì prossimo, nel corso dell'importante convegno sulla terracotta del Quattrocento diretto da Maria Grazia Albertini Ottolenghi dell'Università Cattolica di Milano, farà il nome di Leonardo da Vinci per attribuire una paternità a un bellissimo e un po' negletto San Girolamo in meditazione, conservato nei depositi del Victoria and Albert Museum. La statua a tutto tondo misura circa cinquanta centimetri di altezza, ma il suo impianto grandioso la direbbe maggiore, elemento che di per sé depone a favore di una eccellente fattura, peraltro conclamata da ogni particolare. La storia di questa terracotta segue quella di molte opere d'arte che appartenevano alla sterminata raccolta di Giovan Petro Campana marchese di Calvelli, direttore, verso la metà dell'Ottocento, del Monte di Pietà di Roma, archeologo e collezionista tanto sfrenato negli acquisti e nel tenore di vita personale, da finire in miseria e in carcere con l'accusa di peculato e abuso d'ufficio. Nel 1854 la sua collezione era stimata quasi un milione di scudi. Per pagare i debiti fu dispersa in vari tronconi, perché non si era trovato nessuno disposto a rilevarla in blocco. Una parte fu acquistata dallo zar, un'altra da Napoleone III, che, per uno strano caso della sorte, alcuni anni prima era riuscito a fuggire di prigione con l'aiuto di tale signora Crowford, futura suocera del Campana. Il lotto dove si conservava anche il San Girolamo venne comperato dal South Kensigton Museum di Londra, odierno Victoria and Albert. Ma prima di passare al Campana, la magnifica terracotta era appartenuta a Ottavio Gigli, pedagogo, patriota e collezionista fiorentino fondatore di asili e del periodico cattolico «L'Artigianello». Il San Girolamo, attribuito per lungo tempo al Verrocchio, nel 1964 fu declassato da Sir John Pope-Hennessy a opera di un seguace del Verrocchio degli inizi del Cinquecento e poi ritenuta di uno scultore fiorentino, Giovan Francesco Rustici, che molto aveva attinto da Leonardo. Rustici è l'autore dello spettacolare gruppo bronzeo con la Predica del Battista, all'esterno del Battistero di San Giovanni a Firenze. Attribuendo la terracotta a Leonardo in persona, Villata si scontra con l'autorità di Pope-Hennessy e di alcuni insigni studiosi, quale Olga Raggio, per non dire dei viventi. Ma quali sono le ragioni che legittimano l'ipotesi attributiva di Edoardo Villata? Innanzitutto la qualità del San Girolamo, che è elevatissima, come vediamo nell'energia di sintesi plastica racchiusa nella «organicità della posa» del vecchio dottore della Chiesa che nella destra regge il libro e con la sinistra si accarezza la barba. Si coglie sul volto del santo filosofo un sorriso appena accennato che denota il compiaciuto raggiungimento della conoscenza delle verità eterne e che affiora nell'intensità della concentrazione e dell'espressione. Ma per vibrare il nome di Leonardo quel che più conta sono i molteplici riferimenti al suo stile. Forse il più sorprendente è la mano destra di San Girolamo, affusolata e un po' irrigidita, che richiama subito quella della Dama dell'ermellino, la cui mano, secondo una recente ipotesi, non venne ritratta dal vivo bensì da un modello plastico. Poi entrano in gioco, more solito, i panneggi leonardeschi, molto vicini a quelli del mantello indossato da San Girolamo. Da ultimo Villata rimarca giustamente che nella terracotta di Londra non vi è il benché minimo cenno di influenze michelangiolesche, che in un qualunque scultore attivo a Firenze dopo il 1.500 sarebbero immancabili.


Questa attribuzione, audace ma non peregrina, scatenerà discussioni e dissensi ma anche consensi, e il fatto che venga pubblicata in grande evidenza sul prossimo numero della «Raccolta Vinciana» (XXXIV fascicolo, 2011, in corso di stampa), prestigioso periodico biennale dedicato ai più approfonditi studi leonardeschi, è un fatto di indubbio conforto.


Tra le altre terrecotte attribuite vorrei mettere in evidenza questa bellissima testa dolente, forse di un san Girolamo, considerata all'inizio del Verrocchio...

 e il Christo Fanciullo dalla collezione Eredi Gallandt



venerdì 8 luglio 2011

E' Leonardo?

Sono riuscito a trovare un'immagine decente e a colori dell'originale appena restaurato. Che dire, pur appoggiando ancora le considerazioni di Pedretti, la qualità appare molto elevata in particolare per la mano destra in scorcio, dai bellissimi passaggi chiaroscurali e per la sfera di vetro trasparente.

domenica 3 luglio 2011

Pedretti - E' errata l’attribuzione del «Salvator mundi»

Sono tempi di incredibili ritrovamenti che si cerca a tutti i costi di spacciare per veri; ne abbiamo segnalati molti su questo blog, dai tanti Caravaggio al Crocifisso di Michelangelo. Si ha come l'idea, di certo fondata, che si muovano interessi immani dietro queste operazioni pubblicitarie e di marketing che, da un giorno all'altro, fanno spuntare il capolavoro del maestro; si percepisce che dietro questa cortina di attribuzioni e avvalli della critica ci siano ben altri interessi. Tali "scoperte" non fanno, secondo me, che destabilizzare la percezione che si ha del mondo dell'arte che vive ancora della ricerca di capolavori mentre dovrebbe pensare a salvaguardare il nostro l'immenso patrimonio. Tali ritrovamenti, inoltre, perché di non eccelsa qualità paragonati agli autografi, non fanno che sminuire il lavoro dei maestri e alterano, al vasto pubblico, il giudizio. Prima di avvalli del genere bisogna star molto attenti, altrimenti si corre il rischio di promuovere non l'arte ma il capitale, come si legge in questa "simpatica" diatriba tra Maurizio Marini e Tomaso Montanari circa il "Marte" del Guercino esposto in una mostra a Castel Sant'Angelo. Per Montanari, che rifiuta l'autografia, il punto sarebbe che la Soprintendeza di Roma ha accolto in un museo pubblico l’esibizione di un quadro appartenente a un fondo di investimento privato affidando la responsabilità scientifica al presidente onorario di quel fondo (l'articolo su Il Fatto Quotidiano).
Circa invece il presunto Salvator Mundi, di seguito l'articolo di Carlo Pedretti, il massimo esperto mondiale di Leonardo, che sulle pagine dell'Osservatore Romano spiega l'assurdità dell'attribuzione.

Se Leonardo è una chimera

Il tema del Salvator mundi (veduta frontale a mezzo busto del Salvatore in atto benedicente e con la sfera del globo terrestre nell’altra mano) fu affrontato da Leonardo molto tardi nella sua carriera, intorno al 1515, forse in vista di una committenza francese o da parte del maresciallo Gian Giacomo Trivulzio che nel 1518 moriva ad Amboise in Francia dove un anno dopo sarebbe morto lo stesso Leonardo.Il «Salvator mundi» erroneamente attribuito a Leonardo Di questo non esistono documenti ma, a Windsor, solo due splendidi studi per la stola e per il braccio benedicente del Cristo, stile e tecnica (matita rossa su carta preoparata di rosso) riconoscibili in quelli di paesaggi e studi di figura databili dal 1511 al 1515 e oltre.
Nel 1650 Wenceslao Hollar, ben noto come l’incisore di molti dei disegni di Leonardo allora di proprietà di Lord Arundel, poi di Carlo i e oggi a Windsor, pubblicava come di Leonardo unSalvator mundi corrispondente nei particolari della veste e del braccio alzato ai disegni autografi di Leonardo. Fu quella incisione il punto di partenza di una complessa proliferazione di versioni di scuola a ogni livello di qualità, dalla più raffinata e seducente, alla più pedissequa e perfino spregevole.
È di questi giorni l’annuncio della scoperta di una nuova versione che una sofisticata operazione di marketing sta lanciando come un originale di Leonardo coll’asserito avallo di specialisti che avrebbero proposto di accogliere l’opera fra quelle autografe che saranno esposte nel prossimo autunno presso la National Gallery di Londra.
L’unica giustificazione di un riconoscimento di tale portata sarebbe la prova che una eventuale spettrografia e altre prove di laboratorio avessero rivelato la presenza di tutt’altra immagine sottostante. Ma di questo non si fa alcun cenno, insistendo invece su una fantomatica provenienza dell’opera dalle raccolte reali inglesi per finire nell’Ottocento con attribuzione al Boltraffio — uno dei migliori allievi di Leonardo — nella Cook Collection a Richmond, per poi scomparire in mani private con vendite a epoca imprecisata.
Nella fondamentale e aggiornatissima monografia sul Boltraffio di Maria Teresa Fiorio (2000) non è menzionata fra le opere perdute o non rintracciate. Si presentano invece fra le opere d’incerta attribuzione una buona versione presso l’Accademia Carrara di Bergamo con copiosi riferimenti ad altre dello stesso livello, tutte illustrate in un fondamentale contributo di Ludwig H. Heydenreich del 1964, compresa quella, ora di ubicazione ignota, già presso la collezione Vittadini nella Villa Arcore a Monza.
La migliore versione di scuola (probabilmente Giampietrino) del medesimo soggettoLa versione ancora migliore e più vicina a un eventuale prototipo di Leonardo (sulla cui esistenza è legittimo avere forti dubbi), è quella già nella raccolta del marchese De Ganay a Parigy messa all’asta alcuni anni fa dagli eredi e venduta per poche centinaia di dollari a New York e ora di proprietà privata. È questa la versione che agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso ebbe l’onore di una attribuzione allo stesso Leonardo con una monografia di Joanne Snow-Smith durante una mostra da me organizzzata nel 1982 a Vinci per essere poi trasferita a dieci musei degli Stati Uniti insieme col resto della collezione De Ganey, che comprendeva i quattro famosi studi autografi di drappeggi poi ceduti due al Louvre e due alla Collezione Jonhnson di Princeton, nonché gli autografi di Poussin e Rubens sugli scritti teorici di Leonardo, ora in mani private.
C’è dunque ancora ben altro in circolazione nel mercato dell’arte. È bene dunque restare sul concreto e non andare appresso a chimere, come nel caso del «ritrovato» Salvator mundi che in fondo si spiega da sé. Basta guardarlo
  Carlo Pedretti

mercoledì 3 marzo 2010

Leonardo da Vinci e le sue origini arabe

Un’ipotesi un po' azzardata ma di sicuro fascino che smentirebbe l’esito della chiacchierata trasmissione “Il più grande italiano di tutti i tempi” :)

"Leonardo da Vinci, il più grande italiano di tutti i tempi era arabo".
Lo rivela uno studio condotto da Alfred Breitman e Roberto Malini del Gruppo Watching The Sky, associazione impegnata nelle ricerca di opere d'arte perdute e delle tracce biografiche sconosciute dei grandi artisti del passato. Lo affermano con grande convinzione Breitman e Malini, in base ad alcune evidenze. La più importante è costituita dal ritrovamento di un'impronta digitale di Leonardo sul dipinto "La dama con l'ermellino". Secondo l'antropologo Luigi Capasso la tipologia dell'impronta è caratteristica del 60% degli individui provenienti dai paesi arabi. L'ipotesi di un origine araba del maestro non è tuttavia nuova. E' risaputo che il nome della madre di Leonardo, Caterina, era attribuito con frequenza alle schiave arabe acquistate in Toscana e provenienti da Istanbul. Anche il professor Alessandro Vezzosi, celebre studioso del Rinascimento, è convinto dell'origine araba dell'autore della Gioconda e possiede documenti che suggeriscono l'origine orientale di Leonardo Da Vinci. Anche il giovane Salai, pupillo di Leonardo, sembrerebbe un ragazzo arabo, con i capelli ricci, la pelle bruna e gli occhi scuri vivacissimi. Breitman e Malini, a questo punto, estraggono da un cassetto un bel disegno a sanguigna su un foglio di carta antica. E' un ritratto virile del primo Cinquecento è di scuola leonardesca e rappresenta un viso che possiede molte similitudini con i ritratti noti del volto di Leonardo da Vinci. La sua particolarità è che indossa un copricapo di foggia araba, una specie di turbante. Si può ipotizzare che si tratti di un ritratto del maestro eseguito da un suo allievo che conosceva le vere origini del più grande italiano di tutti i tempi. La notizia, preziosa per la Storia dell'Arte, è anche un monito per coloro che difendono a spada tratta le frontiere geografiche e culturali del nostro Paese, senza capire che il progresso sociale, morale e intellettuale di un popolo può avvenire solo grazie al contributo di altre esperienze e tradizioni. (Fonte) (Fonte)

leonardo vinci arabo

Testa di arabo; il ritratto cinquecentesco scoperto da Watching The Sky, associazione impegnata nelle ricerca di opere d’arte perdute e delle tracce biografiche sconosciute dei grandi artisti del passato.

 

 

 

 

Del resto era noto il legame tra Leonardo e svariati testi arabi di ingegneria; e la scrittura speculare non rimanda alla grafia del mondo arabo e delle scritture semitiche che ha un andamento sinistrorso?

Leonardo_grafia_piccola

venerdì 26 febbraio 2010

Il cavallo di Leonardo era realizzabile

I risultati di un'indagine interdisciplinare promossa dall'Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze e coordinata dallo specialista Andrea Bernardoni, autore per Giunti della più recente monografia sull'argomento, dimostra che il genio di Leonardo da Vinci, ancora una volta, aveva fatto centro e che il famoso e gigantesco monumento equestre per Francesco Sforza, alto oltre 7 metri per 70 tonnellate di bronzo era realizzabile.

cavallo_leonardo_pezzi cavallo_leonardo_70ton

Link1, Link2

lunedì 15 giugno 2009

La Gioconda Nuda

Gian Giacomo Caprotti detto il Salaino, fu una figura importante nella vita di Leonardo che lo accolse nella sua bottega a dieci anni considerandolo come un figlio; pur di temperamento irrequieto, e poco diligente, mostrò da subito un gran talento diventando l’ombra del maestro. Vasari scriveva di lui:

Prese in Miiano Salai Milanese il qual era vaghissimo di grazia e di bellezza, avendo belli capelli ricci e inanellati, de' quali Lionardo si dilettò molto: e a lui insegnò molte cose dell'arte, e certi lavori, che in Milano si dicono essere di Salai , furono ritocchi da Lionardo.”

ma è tra le poche fonti di questo oscuro personaggio. Ritratti del giovane sono stati individuati invece in molte opere dell’artista.

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Morto di morte violenta, tra i beni lasciati alla famiglia figurano “una Gioconda, una Sant’Anna, un San Giovanni Battista, una Leda, un San Gerolamo”; ora, se la Gioconda del Louvre fu lasciata da Leonardo a Francesco I per 4000 ducati, ne deriva che o il Salai fece altre copie del dipinto, o Leonardo lasciò all’allievo altre opere dello stesso soggetto.

Artista di discreto valore, riprende gli insegnamenti del Maestro; una delle pochissime opere attribuite a lui con certezza, dove è visibile, e ormai certa, anche la mano di Leonardo, è la famosa Gioconda Nuda, dove Monna Vanna sembra possedere la doppia natura umana (come il san Giovanni), sia maschile che femminile, quale androgino perfetto (ma non sarebbe difficile vedervi la fisionomia dello stesso Salai).

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Il dipinto a lungo attribuito a Leonardo, pur pieni di errori, oggi è stato legato definitivamente al Salai proprio in virtù degli stessi sbagli. La visione moderna ai raggi X ha evidenziato la presenza di numerosi ravvedimenti, e soprattutto la presenza di più mani nella stesura dell’opera.

Nella rassegna “Il genio fiorentino”, oltre a questa tela (di proprietà della fondazione Primoli, e già appartenuta allo zio di Napoleone, il cardinale Fesch), verrà esposta un’altra dello stesso soggetto sulla quale sono in corso indagini. Vi è inoltre un’altra versione di impostazione un pò diversa.

Gioconda nuda alinei_11

Non sarebbe difficile vedere nell’opera il modello per la fornarina di Raffaello.

fornarina

Un’altra opera del Salai , il San Giovanni Battista, è una riproposizione fedele dell’originale leonardesco, di buona qualità, dal quale differisce solo per lo sfondo. Infine il San Pietro e San Paolo con Madonna e bambino, opera totalmente del Salai, mostra il buon livello artistico raggiunto dallo stesso.

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La fortuna e i ”misteri” della Gioconda di Leonardo saranno invece al centro di un grande evento espositivo che dal 13 giugno al 30 settembre a Vinci presenterà oltre 5.000 immagini fra opere e documenti, compresi dipinti del XVI secolo in mostra per la prima volta, legati alla fama di Monna Lisa, e la stessa Gioconda Nuda.

Qui l’opera pittorica completa e certa del Leonardo.

martedì 5 maggio 2009

Ultime Cene (Leonardo ed il cinema)

ferdinand Zecca-passion 1902Christus-Giulio antamoro 1916Viridiana-bunuelmamma roma - ultima cena mash-directed by Robert Altman (1972).Jesus Christ Superstar-Ultima cena Simpsons-Thank God It’s Doomsday (2005).

Icona per l’arte, icona per il cinema; il Cenacolo di Leonardo, come spiega K. Clark, nella sintesi tra la creazione di “un’immagine memorabile” e “una soddisfacente combinazione di forme” si pone quale modello insuperabile e perfetto, paradigma ideale attraverso il quale fissare per immagini il motivo dell’ultima cena (e per traslato una “cena” in generale) fino a diventare imprescindibile formula iconografica. Dal quadro all’inquadratura, come si vede in questa selezione di fotogrammi, la forma non cambia e l’immagine diventa una sorta di tableaux vivants incredibilmente efficace ed eloquente.

In ordine cronologico:

La vie et la Passion de Jesus Christ di Ferdinand Zecca (1902)

Christus di Giulio Antamoro (1916)

Viridiana di Luis Bunuel (1961)

Mamma Roma di Pasolini (1962)

M.A.S.H. di Robert Altman (1970)

Jesus Christ Superstar di Norman Jewison (1973)

Simpson ep. del 2005

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