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lunedì 7 settembre 2009

“Destino” di Salvator Dalì

Volevo scrivere già da tempo questo post ma non riuscivo mai a trovare il video ottimale; con sommo piacere voglio proporvi oggi un piccolo capolavoro dell’animazione Disney inserito integralmente su youtube da un paio di mesi; si tratta di “Destino” di Salvator Dalì.

Dy Cs

La storia del cortometraggio è complicata; Walt Disney amava l’artista Dalì e lo stesso artista spagnolo definiva l’inventore del cinema d’animazione il più grande artista surreale vivente. L’idea originale del film risale 1945; il progetto doveva essere il risultato della collaborazione tra l’animatore statunitense Walt Disney e l’artista spagnolo Salvador Dalì, con le musiche eseguite dal compositore messicano Armando Dominguez.

Molto probabilmente il cortometraggio doveva essere inserito nel sequel di Fantasia, capolavoro assoluto di Walt il cui fascino misterioso, la bellezza dei disegni, l’armonia con la musica non finisce mai di colpirmi; riuscita nelle sale nel 1969 infatti riscosse un entusiasmo inaspettato per il suo stile visionario che la faceva considerare un'opera psichedelica. Il progetto prevedeva una vera e propria opera globale da far uscire a scadenze prestabilite, chiamando a realizzare i vari cortometraggi i più grandi artisti e disegnatori allora in circolazione; solo il relativo insuccesso alla prima uscita fece naufragare l'idea. I disegni e i bozzetti preparativi di Destino vennero realizzati dallo stesso Dalí in otto mesi, tra il 1945 e il 1946. Tuttavia, a causa di problemi di natura finanziaria, il progetto fu abbandonato: la Walt Disney, infatti, fu colpita da una grave crisi economica durante la Seconda Guerra Mondiale. Hench produsse un piccolo test d’animazione della durata di circa 18 secondi, nella speranza di un futuro recupero del progetto.

Nel 1999, il nipote di Walt Disney, Roy Edward Disney, mentre stava lavorando per la realizzazione di Fantasia 2000, il sequel tanto atteso, rispolverò il progetto di Destino e decise di ripristinarlo; per il completamento del cortometraggio vennero incaricati gli studios Disney di Parigi. Il film fu prodotto da Baker Bloodworth e diretto dall’animatore francese Dominique Monfrey, per la prima volta nelle vesti di regista. Un team di circa 25 animatori si diede da fare per decifrare gli storyboard criptici di Dalí ed Hench (avvalendosi anche dei diari scritti dalla moglie di Dalì, Gala). Alla fine il risultato è questo cortometraggio di circa 6 minuti in cui sono mescolati elementi di animazione classica a ritocchi apportati con la computer grafica.
Il cortometraggio non è tuttora in commercio quindi consiglio, prima che la Disney lo tolga dalla rete, di vederlo e scaricarlo.

Destino tratta di una storia d'amore in puro stile disneyano, narrando il viaggio di una ballerina attraverso un paesaggio desertico e un inquietante scenario surreale. L’alfabeto è quello classico degli oggetti dei quadri di Dalì: orologi molli, torri oscillanti, grucce, piramidi e ballerine senza testa che sembrano effettivamente le animazioni dei suoi quadri; l’interpretazione dell’artista però era stata molto diversa: per questi, infatti, il punto chiave della storia doveva essere il baseball come metafora della vita.

“Questi sette minuti di miscela di animazione ed azione in vivo, è una storia di amore senza dialoghi fra due giovani amanti, il "bat" e la palla; dovendo superare numerosi ostacoli per il loro affetto. Include immagini tipiche di Dali come occhi vestiti, orologi sciolti, formiche, il campanario di un monasterio, la torre di Babel, una parete corrosa dalle sabbie del tempo, una testa di ballerina che si trasforma in una palla, una scultura di Venus che viene alla vita come una bella donna, e due teste con corpi di tartarughe ; fra molte altre cose. Disney direbbe "Dali ha concepito per la prima volta il 'baseball' americano come una coreografia di un ballet". (fonte).

I disegni e le tele originali sono molto belli ed hanno effettivamente un che di cinematografico; ne ho inseriti alcuni:

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ritrovando anche qualche riferimento alla grande arte del passato, in questo caso a Bellini

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ed ecco finalmente il corto. Buona visione.



sabato 4 aprile 2009

Uta di Naumburg e la strega di Biancaneve



Le sopravvivenze nell’immagine, come spesse volte ho ricordato in questo blog, possono prendere le vie più impensabili e misteriose ma quasi mai inconsapevolmente; anacronismi o flasch back, disturbi della memoria visiva, riproposizioni con polarità diverse di forme significanti non sono casuali e spesso possono celare storie significative. E’ il caso dell’argomento di questo post.

Questa statua raffigura Uta degli Askani di Ballenstedt e si trova nella chiesa di Naumburg, una piccola cittadina della Sassonia che possiede una splendida cattedrale, il più importante edificio della transizione dal romanico al gotico di tutta la Germania e forse di tutta l'Europa. La costruzione fu iniziata ai primi del tredicesimo secolo e conserva magnifiche vetrate coeve e soprattutto, nelle cappelle absidali del coro, tra le agili colonne, le dodici splendide statue dei fondatori (1260 ca.), altissimo capolavoro dell'ignoto maestro di Naumburg. Lei, moglie senza figli di Ekkehard II di Messein, sfuggita al rogo dopo aver subito un processo per stregoneria e vissuta nel XII secolo, in particolare, affiancata alla figura dell’austero principe tedesco suo marito, distaccata visivamente dalla vita attiva del compagno per mezzo del suo scudo e della sua spada, simboli della sua condizione di valoroso guerriero, nel suo pesante abito volge lo sguardo malinconico altrove, mostrando una fredda regalità e una bellezza distaccata senza precedenti per una scultura romanica. Forse per queste morbidezze stilistiche, per queste caratteristiche sorprendenti proprio nella positura e nei caratteri somatici della giovane sposa effigiata, più vicina a certi intenti accademici di fine XIX secolo e al forte sentimento romantico e neomedievale, fu considerata orgoglio iconico dell’intera tradizione teutonica, sia essa post-bismarkiana che socialista e poi considerata simbolo della bellezza ariana nella Germania nazista, celebrata come esempio di arte classica contrapposta all’”arte degenerata” dell’espressionismo e del surrealismo, proprio quando il nazismo, criticando le avanguardie pluto-giudaico-massoniche, cercava di ritrovare anche nell’arte lo spirito del proprio popolo nel suo rapporto secolare con la campagna, la terra e la razza.
Era consuetudine in quegli anni, inoltre, un pellegrinaggio dal velato sapore romantico di Grand Tour, una sorta di “cammino di Santiago dello spirito tedesco” verso la casa dove Nietzsche aveva vissuto; questo viaggio prevedeva una avvincente suddivisione in tappe presso luoghi simbolo della storia tedesca e culturale europea: dalla cittadina universitaria di Göttingen si proseguiva verso Eisenach, Gotha, Erfurth e quindi nella Weimar di Goethe mirando infine, dopo le ennesime, ma tradizionali ed irrinunciabili soste di Jena e Pforta, alla cittadina di Naumburg, autentica Mecca dell’itinerario per ammirare l’effige della dama.
Ecco allora, primo spostamento semantico, come un capolavoro dell’arte romanica diventa, in chiave nazionalista, l’emblema della donna tedesca, fiera ed austera, velata da un profondo sentimento wagneriano di tragicità e immortalità, simbolo dell’ideologia del pangermanesimo; non si presenta nuda come una Venere greca qualsiasi, mediterranea, ma si erge casta ed altera con "il volto bellissimo incorniciato da una benda che ne esalta l'ovale, le labbra tra il serrato e il dischiuso, il diadema con i gigli, l'ampio mantello con il bavero rialzato e nello stesso momento serrato al corpo con un gesto che appare forse più trepido che imperioso".
Wolfgang Reithermann era figlio di emigranti tedeschi giunti in America nel 1912; dopo aver studiato disegno, mettendo a frutto le sue doti innate, dopo un fortuito incontro, divenne uno dei grafici che con Walt Disney, il “mago di Burbank” allora alle prese con una favola d’origini franco-tedesche e la ricerca della “maschera” cattiva, definì tecniche, soggetti e bozzetti del film capolavoro Biancaneve e i sette nani, primo lungometraggio di animazione di Disney che avesse per soggetti non animali antropomorfizzati ma esseri umani.
Quando Disney partì nel 1935 per un tour europeo assieme al fratello Roy, durante il quale acquistarono più di trecento volumi d’arte e illustrati in vista del lungometraggio(è noto come gli alberi parlanti sono tratti da quelli disegnati da Gustavo Doré per la Divina Commedia di Dante), Reithermann lo consigliò caldamente di visitare Naumburg e di osservare da vicino la statua della bella Uta per cucirgli addosso i panni di Grimilde. Fu l’idea risolutiva, così come quella di mettere a Betty Boop i panni di Biancaneve. Disney fu colpito dalla fotografia della statua indicata dal suo collaboratore: «Era proprio bella, anzi impressionava e quasi raggelava, forse era da pensare a lei come modello per quella che ormai tutti erano d’accordo di chiamare col bel nome tedesco di Grimhilde…». La somiglianza è inequivocabile, e l’eco indiscutibilmente wagneriano del nome Grimhilde a questo punto non può essere certo un caso; del resto proprio la favola di Biancaneve derivava dalle celebri favole dei fratelli Jacob e Wilhem Grimm, grandi filologi e studiosi della lingua tedesca, pubblicate nella prima edizione nel 1812. Grimhilde, o meglio, la strega di Biancaneve è Uta di Naumburg con le sopracciglia folte arcuate, gli occhi verdi, seduttivi e malvagi, di Joan Crawford.
Secondo Umberto Eco, però, bisogna dire che il prototipo sarebbe da ritrovare in un'attrice degli anni Trenta, Helen Gahagan, che con vesti quasi uguali aveva interpretato la mitica 'She', bellezza sublime e maledetta, ispirata al romanzo celeberrimo di Rider Haggard.



Seguendo l’interessante libro di Stefano Poggi “La vera storia della Regina di Biancaneve, dalla Selva Turingia a Hollywood” ecco allora una vera spy story, con Goebbels che si infastidisce per il furto dell'icona tedesca, Disney che nel 1935 conosce sul France, di ritorno a New York, Marlene Dietrich e il suo fotografo Paul Horst, nativo di Weissenfels an der Saale, a un tiro di schioppo da Naumburg, di cui spesso visitava il duomo accompagnato dal padre, imbattendosi appunto nella statua di Uta (entrambi erano presenti alla proiezione del film a Los Angeles, in prossimità del Natale 1937; l’attrice era compiaciuta, Horst invece si rammaricò per la corona della matrigna cattiva «che – osservò – ricorda il grattacielo Chrysler di New York» ). I nazisti, con mille pretesti, finirono per non far circolare il film in Germania, con tutto che il film era stato celebrato dal "Berliner Morgenpost", e che Goebbels (uso a regalare a Hitler cartoni animati di Disney, che se li guardava la sera nella cancelleria del Reich, ne possedeva circa 18), reputasse Biancaneve "una grandiosa creazione artistica" nonché "una favola per adulti". La beffa di rendere malvagia la nobile e bella Uta sarebbe servita a infrangere il progetto estetico del Reich che aveva fatto di Uta un’eroina völkisch, emblema della bellezza femminile germanica al punto che il potente ministro della Propaganda di Hitler si sarebbe dato da fare per mettere a tacere la provocazione ordita dagli studi Disney ai danni della Germania.
Al di la delle varie considerazioni sulla vicenda, sugli intrecci politici e culturali e sui vari rapporti (il libro non tiene in giusto conto per esempio che Hitler era un fervente ammiratore di Disney e che il suo film Biancaneve, ispirato dalla favola dei fratelli Grimm, era il preferito del poeta francese e fascista Robert Brasillach, e che inoltre, nel suo viaggio americano, la regista Leni Riefenstahl, che aveva celebrato con Olympia i giochi di Berlino del 1936, fu accolta con amabile simpatia proprio da Walt Disney che non si uniformò al boicottaggio dell’opera della regista organizzato dalla Lega antinazista; senza dimenticare i presunti legami di Disney con la massoneria e il satanismo) rimane l’ennesimo spostamento semantico di un’immagine.
Uta da emblema della donna tedesca ariana, bella, volitiva, fedele e degna di rispetto, si trasforma così nell’affascinante e crudele Grimhilde, diventando archetipo di “malvagia” almeno per la storia della cinematografia animata in un cartone che ha fatto la storia del cinema e che ha le sue basi nei simboli inconsci della cultura umana.




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