lunedì 21 maggio 2012

Roma - Lezioni di storia dell'arte all'Auditorium

Roma. La storia dell’arte, organizzata dalla Fondazione Musica per Roma in collaborazione con Electa, è una rassegna di lezioni, giunta al secondo ciclo, che è stata inaugurata il 4 dicembre scorso dalla lezione del professor Claudio Strinati, sovrintendente speciale al Polo Museale Romano. In sei lezioni meraviglie e segreti della Città Eterna sono trattati presso la sala Sinopoli dell'Auditorium di Roma.

"A Roma le meraviglie dei luoghi svelano un universo di stili unico al mondo; passeggiare per le sue vie e le sue piazze è come sfogliare il più ricco manuale della storia dell'arte occidentale: archi e scalinate, colonne e obelischi, ville e giardini, palazzi e chiese, fontane e monumenti, riflessi della gloria di imperatori, principi e papi, testimoni del genio di artisti raccontano in filigrana storie e avventure di una Capitale. Sarebbe troppo pretendere così di imprigionare la città eterna in un unico ritratto, per esauriente e acuto che sia, se non in un insieme di segni che offrono sempre nuove possibilità di lettura. Sì è preferito dunque proporre una serie di percorsi di approfondimento, attraverso un ventaglio di lezioni affidate a studiosi italiani importanti, noti in ambito internazionale e impegnati in diversi campi della ricerca, a comporre uno straordinario mosaico di cultura: perché i cittadini siano messi nella condizione di aspirare alla bellezza, invitati ancora al piacere della scoperta, alla dolcezza del vivere. Il volto inedito della città antica e di quella moderna, espressione dell'ideologia della vittoria e del potere, appare in testimonianze di un passato remoto e prossimo. Le forme classiche di ineguagliata purezza, gli incanti e le sensuali armonie rinascimentali, il tormento e l'estasi di Michelangelo, il precipitare verso l'alto nella vertiginosa stagione del barocco ne fanno cogliere la vera anima. Di questa città perduta, inventata, risorta si sono nutriti anche gli spiriti del Novecento in provocatorie e immaginarie metamorfosi per il futuro".

Tutte le lezioni, interessantissime e aggiornate, sono disponibili anche in podcast. Di seguito vi inserisco i link di quelle che ho trovato più interessanti.

Claudio Strinati "Il secolo del Rinascimento"

Claudio Strinati "L'isola dei Gesuiti"

Antonio Paolucci - La cappella paolina dei palazzi apostolici

Anna Ottani Cavina "Villa Albani nel Settecento"

Francesco Dal Co "Vedute di Roma"

domenica 20 maggio 2012

Perchè i morti sono di più

Guardo inerme la distruzione causata dal sisma in Emilia e mi accorgo, come anche per l'Aquila, come i morti siano molti di più. I monumenti crollano e si distruggono. Fino all'Ottocento tutto questo non sarebbe stato percepito come una mancanza. Chiese e palazzi sarebbero stati ricostruiti, sarebbero stati resi forse più belli poichè la grandezza delle città italiane sta nell'accumulo del tempo e degli strati che ogni volta lascia tracce diverse eppur in armonia con le precedenti. Oggi che si è smarrita la bellezza del costruire seguendo la natura e lo spirito dei luoghi, oggi che si costruiscono brutture architettoniche e ogni intervento appare isolato dal contesto, slegato dalla perfezione urbanistica, ogni perdita appare come un addio. Certo, forse verranno restaurati, ma ciò che si è perso rimarrà solo nella memoria e non vivrà, come memoria, nella ricostruzione. Incapaci di produrre più bellezza, edifici civili o religiosi che condensano i valori di una popolazione, percepiamo ogni danno come una ferita non più sanabile. Ogni edificio o opera d'arte è insostituibile, è vero, ma se ci fosse continuità nella storia dell'arte e delle forme ogni mancanza verrebbe sanata con altre opere, come è stato per secoli. Purtroppo oggi il pessimismo e la perdita dominano questi momenti. Un castello che crolla è allora un morto in più sulla nostra coscienza.


P.s. La nostra attuale architettura, ormai, sembra quella che un rassegnato Jay Wolke ha immortalato nel suo ultimo libro «Architettura di rassegnazione. Fotografie dal Mezzogiorno». A riguardo si legga l'articolo di Tomaso Montanari: Il Mezzogiorno rassegnato.


P.s.2 E che dire, per esempio, del Ponte Lucano e del Mausoleo dei Plauzi. Un tempo elemento pittoresco nella campagna romana, raffigurato tante volte per la sua bellezza e amenità, per il suo intimo legame col paesaggio, e oggi divenuto discarica soffocato dal traffico?



lunedì 14 maggio 2012

Dall'opera alla foto. Bansky e Balthus

Due casi di fotografi che reinterpretano opere d'arte. Nel primo caso il  fotografo di Los Angeles Nick Stern ha realizzato degli scatti che vanno a riprodurre le opere d'arte di Banksy trasformando così in scene di vita reale i suoi celebri stencil. Nel secondo caso sondando il labile confine tra luce e oscurità, innocenza e malizia, fantasticherie dell’infanzia e ossessioni adulte, Hisaji Hara ha puntato il suo obiettivo sul Giappone e le lolite in uniforme scolastica, recuperando soggetti, oggetti di scena e le pose morbosamente conturbanti di alcuni quadri di Balthus.









L'arte sacra tra «FIDES ET RATIO». Riflessioni sull'ultimo libro di Rodolfo Papa

La lettura dell’inscindibile rapporto tra arte e fede e l’analisi delle dinamiche contemporanee getta nuova luce sull’odierno sistema dell’arte e sull’essenza più profonda della pittura proponendo una via d’uscita e un aiuto alla liturgia. 

Ci sono persone che passano una vita a mettere libri in una biblioteca ed altre che mettono un’intera biblioteca in un libro. Discorsi sull’arte sacra (edizioni Cantagalli 2012) di Rodolfo Papa si colloca in questa seconda categoria ed è effettivamente una summa del sistema dell’arte posta al servizio dell’arte sacra autentica. Papa mettendo a frutto la ricca esperienza ventennale maturata in qualità sia di storico dell’arte che di artista e spaziando tra filosofia, storia, teologia, critica d’arte e trattatistica artistica, avendo sempre come saldi punti di riferimento i testi magisteriali, compie uno studio tanto singolare quanto indispensabile. Singolare poiché difficilmente, nell’odierna letteratura sull’arte, si rinviene un volume che fonde con lucidità una lettura della condizione corrente con una riscoperta, e attualizzazione, degli scritti del passato; indispensabile poiché, evitando la strada delle ormai infinite ridefinizioni dell’arte approntate a partire da saperi particolari, evitando quindi ulteriori frammentazioni teoriche, cerca di uscire dal relativismo presente per proporre stabili e logici modelli di riferimento. La struttura scelta per analizzare tale complesso sistema è quella del discorso, come genere letterario e forma espressiva, che permette la focalizzazione su diversi punti e contemporaneamente l’avanzamento verso un obiettivo finale che è quello della definizione dei fondamenti dell’arte sacra. I vari capitoli affrontano diverse questioni particolari e comprendono riflessioni teoretiche ed exempla tratti dalla storia dell’arte e che aiutano a contestualizzare e definire i ragionamenti. Grande attenzione è riservata al chiarimento dei termini linguistici, indispensabili nell’economia dell’analisi, mentre l’uso abbondante della citazione, mai semplice riferimento bensì indicazione funzionale al testo, permette da una parte di seguire il rapporto tra scrittura e immagine nella storia del cristianesimo e dall’altra di conoscere testi contemporanei di studiosi che, pur lontani dal cristianesimo, arrivano ad intuire la soluzione del problema. 

Lo scopo del testo è quello di giungere a definire l’arte sacra e la sue proprietà intrinseche in un’epoca che non solo ha smarrito il concetto di arte, divenuto liquido e soggettivo, ma anche la nozione di sacro, una vera e propria apostasia per la quale Papa individua origini e conseguenze. Così ragionando l’autore arriva a proporre una definizione generale, tratta dai testi classici, che non presenta come dogma ma la innesta nell’odierna speculazione dimostrando come sia possibile ancora riflettere in termini positivi sullo statuto epistemologico dell’arte: ars est racta ratio factibilium. Questa enunciazione è la premessa per l’individuazione di almeno quattro caratteri fondamentali propri dell’arte sacra (e in special modo dell’arte della pittura): universalità, bellezza, figuratività e narratività. 

Il problema di fondo dell’odierna confusione circa lo statuto dell’arte risiede nell’impossibilità di giungere ad una definizione univoca capace di comprendere le diverse forme espressive sorte nel Novecento. Se un tempo c’era uno “stile”, inteso come modo di fare, maniera, che identificava l’artista o un gruppo di artisti accumunati da una stessa visione del mondo, nel contesto dell’attuale crisi dei valori è inevitabile parlare di “poetiche”. La “poetica”, che va a sostituirsi allo “stile”, caratterizza la scelta tecnica, soggettiva, materica e di gesto di un artista, secondo le sue capacità creative e culturali (parliamo infatti dei “sacchi di Burri”, dei “tagli di Fontana”, dei “ready-made di Duchamp”). Mentre uno stile è universale e trasmissibile, poiché rappresenta la totalità dell’esperienza (in relazione alla maniera e alla schola), la “poetica” è slegata dal contesto ed è in relazione solo ed esclusivamente col singolo. L’arbitrarietà del gesto si sostituisce alla solidità delle forme. Dalla nascita dell’estetica come disciplina autonoma in seno alla filosofia gradualmente, nella difficoltà di giungere a definizioni univoche, difficoltà che nasce dal tentativo di considerare l’arte esclusivamente come frutto dello spirito slegata dal dato artigianale, si è assistito ad una progressiva liberazione dalle regole in quanto è l’unica condizione creativa che rimane come possibile strada percorribile. Se a questo aggiungiamo l’erronea lettura evoluzionistica della storia dell’arte che considera ogni scatto successivo delle forme come un progresso arriviamo da una parte all’impossibilità di definire i limiti di questa crescita (ed per contrasto all’idea de “la morte dell’arte”) e dall’altra alla perenne ricerca di cose mai dette prime. Papa nel Discorso sulle Arti, molto intelligentemente, dopo aver analizzato diversi contributi di teorici e critici attuali (Warburton, Shiner, Danto, Belting, Didi-Huberman) mostrando le difficoltà nel giungere ad enunciazioni stabili ed omnicomprensive, propone la celebre frase di San Tommaso per la quale l’arte è la corretta ragione delle cose da fare (“rectra ratio”) e declina al plurale la questione: «se il termine arte è declinato al plurale, come un genere che comprende varie specie, la questione della sua definizione appare risolvibile, anche nella situazione contemporanea». In quest’ottica le “specie” della performance o dell’installazione o ancora della body art avranno bisogno di un proprio statuto e di peculiari regole che qualcuno dovrà fornire e così garantiranno, per diversità, l’identità e la definibilità per esempio della pittura e la possibilità di affermare ciò che è arte e ciò che non lo è. Osservando il sistema da questo punto di vista, inoltre, l’arte cosiddetta “contemporanea” con i suoi rituali di produzione, fruizione e storicizzazione appare ormai cristallizzata e l’apparente multiformità si dimostra già codificata e globalizzata dal mercato che, dalla Pop Art in poi, è espressione vuota di questa apparente creatività. Naturalmente non tutti i generi possono essere al servizio della Chiesa e a riguardo Papa più volte nei vari capitoli si sofferma sulle intrinseche differenze e sui pericoli. Revivals diatopici e diacronici, utopici e ucronici, il recupero del “pensiero selvaggio” e di un primitivismo originale, istanze liberali, libertine e neo-pagane, la ricerca dell’irrazionalismo e dell’esoterismo sono tutte strade cercate dall’Illuminismo in poi con lo scopo di introdurre forme nate da diversi sistemi d’arte per scardinare la struttura dall’interno e scristianizzare l’arte. A differenza del recupero della cultura greco-romana nel Rinascimento, recupero volto a cristianizzare gli elementi pagani, l’anacronismo proprio di diverse avanguardie storiche non ha rapporti con la Chiesa ma guarda a culture arcaiche e ad una visione distorta del sacro. Interessante e originale, il Discorso sulla Luce evidenzia come nell’arte contemporanea si sia passati «da una visione metafisica ad una materialistica» anche per colpa dell’abbandono e/o dell’eccesso della luce. Se in pittura la claritas, la chiarezza e lo splendore, cede il posto al colore, ovvero alla materia che non comunica più visioni celesti ma sempre più si accosta alle bassezze dell’uomo, in architettura avviene il contrario e l’eccesso di luminosità conduce ad una smaterializzazione che rigetta la dimensione creaturale della realtà. Indispensabile, il Discorso sulle immagini e sul corpo parte da un paradosso: pur vivendo in una “società dell’immagine” l’immagine (e il corpo) risulta essere assente proprio nell’ambiente liturgico (sostituita dalla parola o dalla “moda” dell’icona) dove più che mai ne è reclamata la presenza in quanto la religione cristiana comincia proprio con l’incontro con la corporeità di Cristo, di Dio fatto uomo. L’unica immagine accettata oggi è quella tecnologica che ha fini ben meno elevati. L’immagine patinata o artefatta, tecnicamente perfetta (“photoshoppata”), ci parla di un mondo che ha smarrito la ricerca di un’esperienza interiore, che rifiuta la complessità e l’apertura che solo un’arte che cerca di superare i limiti dell’imitazione può garantire. In quest’ottica è da rifiutare la fotografia, in quanto invadenza eccessiva del reale che annulla la mediazione personale, e di conseguenza l’iperealismo: a differenza della prospettiva nata per rappresentare il mondo, e le storie sacre, quanto più vicino temporalmente e spazialmente al fruitore, educando il senso della vista, l’immagine odierna appare disincarnata e non adeguata alla devozione. Nell’arte il corpo si è smaterializzato ripiegando sui suoi umori e liberando la struttura ossea tanto che oggi l’effige del teschio è tra le forme più saccheggiate e abusate. Fondamentale risulta allora il recupero della bellezza che Papa, riprendendo la dottrina scolastico-tomistica, considera nei termini ontologici di “trascendentale”: la bellezza è compiutezza, armonia e splendore (integritas, proportio e claritas) ed è associata alla bontà e al bene. La bellezza trascende l’uomo ed è capace di rivelargli qualcosa della realtà, in questo senso comunica anche la verità; l’uomo, da parte sua, è naturalmente incline ad accoglierla e incontrarla. Anche l’arte, specie se al servizio della liturgia, non può prescinderne dato che le opere d’arte sacra devono esprimere l’infinita bellezza divina e indirizzare le anime a Dio. Sono da rifiutare così le odierne relativistiche concezioni di bellezza (bellezza come assenza, come disarmonia, come straniamento) o le estetiche del brutto poiché come non esiste un male assoluto perché il male è la mancanza di un bene dovuto così non può esistere la bruttezza assoluta che è perdita del bello o non suo perfetto sviluppo. Il Discorso sull’arte sacra è la conclusione dei discorsi precedenti poiché ribadire la centralità delle immagini sacre appare sempre più fondamentale in una società “liquida” e “neotribale” che ha smarrito ogni legame con il trascendente. Come scriveva Joseph Ratzinger la crisi dell’arte è un «sintomo della crisi esistenziale della persona» e pertanto porre alcuni punti certi in un momento tanto confuso non può che essere un fattore positivo. Il capitolo è molto complesso ed esplicativo grazie al costante riferimento ai testi magisteriali dai quali emerge chiaramente come l’arte debba celebrare l’infinita bellezza divina ponendosi al servizio della liturgia, illuminata dalla Fede, evitando l’eccessivo simbolismo e l’esagerato realismo. L’arte sacra, a differenza delle più svariate espressioni creative che sembrano durare il tempo di un’esposizione in un contesto ormai saturo di novità e provocazioni, è sempre viva e si rinnova continuamente nel solco della tradizione. Date quali caratteristiche fondamentali e imprescindibili l’universalità, la bellezza, la figuratività e la narratività la libertà dell’artista (di fede) è molto ampia; la possibilità di riflettere sul passato, inteso quale repertorio di forme e modelli, per proporre visioni e iconografia nuove e comprensibili sempre aderenti al magistero apre spiragli positivi e Papa, da buon artista al servizio della Chiesa, ci mostra con questo testo come vi siano ancora strade percorribili e di come sia irrazionale parlare di “morte dell’arte”. E anche nell’ipotetico caso che tutto questo sapere venga a cadere e che la dimensione del sentimento, dell’istinto, dell’arbitrarietà si sostituisca al proficuo rapporto tra Fides e Ratio, riprendendo il paragrafo L’arte nella spiritualità in riferimento all’episodio della fissazione dell’immagine della Divina Misericordia, è confortante sapere di come vi sia comunque un Altro, al di la di critici e teorie, che continua a comunicare per immagini.

Tommaso Evangelista

Giovedì 24 maggio 2012 ore 17,00
Pontificia Università della Santa Croce, Aula Alvaro del Portillo
Piazza di Sant’Apollinare 49 – Roma

Intervengono:
S. E. Rev.ma Card. Antonio Cañizares Llovera
Prefetto della Congregazione per il Culto divino

Prof. Marco Bussagli
Accademia di Belle Arti di Roma

Prof. Antonio Paolucci
Direttore dei Musei Vaticani

Presiede
Mons. Luis Romera
Magnifico Rettore della Pontificia Università della Santa Croce

Sarà presente l’autore

sabato 5 maggio 2012

Tiziano ha perso la testa

Sembra proprio che in questo dipinto sia rappresentata una storia d'amore. La testa di Giovanni Battista ha una notevole somiglianza con la fisionomia del maestro di Pieve di Cadore. Il naso aquilino e i capelli morbidamente sparsi sul piatto d'argento. La fanciulla è il ritratto di Viola, o Violante, figlia di Palma il Vecchio e amata dal maestro che la raffigurò anche nell'Amor sacro e profano in veste di Venere. Come dire: ho perso la testa per te!

Tiziano, Giuditta con la testa di Oloferne, 1570
La ricerca è stata compiuta dalla rivista di Stile Arte, dalla quale sono tratte queste note introduttive: "in queste settimane, un particolare di notevole rilievo semantico che, per quanto appaia estremamente accessorio sotto il profilo della composizione dell’opera, consente di individuare un piano allegorico nell’ambito del dipinto Giuditta con la testa di Oloferne di Tiziano, recuperando a pieno titolo il significato amoroso del quadro, un significato privato che si sovrappone alla scena biblica: quello relativo alla passione - e alla dichiarazione dell’assoluta dipendenza sentimentale - del pittore per la giovane e splendida Viola - detta anche Violante - colei la quale si ritiene fosse figlia di Palma il Vecchio. 
Già si era stabilito che il volto del Battista - i capelli lunghi scarmigliati, la barba vaporosa, la fronte bombata ed evidente, le tempie scavate, il naso lievemente aquilino - presenta somiglianze strettissime con il maestro di Pieve di Cadore. E crediamo che, a questo proposito, non vi siano dubbi, come dimostra l’assoluta sovrapponibilità della mappa facciale dell’uomo decollato con il volto di Tiziano, sia quelli inseriti con il valore di firma in alcuni dipinti che nei due autoritratti, per quanto siano stati realizzati nella maturità o nella vecchiaia, giacché la struttura del volto resta invariata.
Ora due elementi fondamentali entrano in gioco in Giuditta con la testa di Oloferne, al punto da testimoniare la presenza di un piano semantico che allude alla presenza di un livello di comunicazione privata, in un gioco emotivo che proietta su un evento storico, senza che ciò sia palesemente evidente - così come accade spesso nel gioco della pittura antica, che opera, in diversi casi, su più strati, nel continuo interloquire tra evidenza e significato - la dichiarazione di un rapimento amoroso".


Nell'Allegoria della prudenza (o le Tre età dell'uomo) è possibile individuare un ritratto di Tiziano a quell'età.

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