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venerdì 26 aprile 2013

Nativi d'America nella Resurrezione del Pinturicchio in Vaticano



Chiunque entri nell’Appartamento Borgia, nel percorso dei Musei Vaticani, non può dimenticare l’immagine del Papa che, in ginocchio, la tiara deposta ai suoi piedi, contempla in adorazione la resurrezione di Cristo. Poniamo mente alle date. Il cardinale Rodrigo Borgia diventa Papa col nome di Alessandro vi nell’agosto del 1492. Pochi mesi dopo, il 12 ottobre, Cristoforo Colombo mette piede nel Nuovo Mondo. Tutto il ciclo pinturicchiesco dell’appartamento papale era sicuramente concluso alla fine del 1494 perché il 1° gennaio 1495 in questi ambienti trovò sontuosa ospitalità re Carlo viii di Francia accompagnato dai suoi baroni, dai suoi ministri, dai suoi preti. Papa Borgia era interessato al Nuovo Mondo, così come lo erano le grandi cancellerie d’Europa. Il 7 giugno 1494 a Tordesillas, in Castiglia, veniva firmato il trattato di questo nome che divideva le Indie Occidentali, le terre al di fuori dell’Europa, in un duopolio esclusivo fra l’impero spagnolo e l’impero portoghese. Il Nuovo Mondo veniva diviso dalla Raya, una linea meridiana che compartiva le aree di influenza spagnola e portoghese. Il diario del primo viaggio di Colombo si data al 1492-1493. Ed ecco quello che vide Colombo quel venerdì 12 Ottobre 1492 quando mise piede in terra americana. «Tosto vedemmo gente affatto nuda (...) buona però ed anzi amichevole, venivano alle nostre barchette a nuoto, recandoci i pappagalli e filo di cotone in gomitoli, e zagaglie ed altre cose molte, in iscambio di altri oggetti, come di piccole perle di vetro, di sonaglini che loro davamo». E se la precoce impressione di quegli uomini nudi, buoni e anche felici, che regalavano pappagalli e si tingevano il corpo di rosso e di nero, vivesse nelle figurine danzanti che stanno dietro la Resurrezione del Pinturicchio? Se così fosse sarebbe, quella, la prima rappresentazione figurativa dei nativi d’America.


venerdì 19 ottobre 2012

Lost Art

La storia dell'arte purtroppo è fatta anche dalle storie delle tante distruzioni avvenute nel corso dei secoli. A riguardo due segnalazioni. La prima è Gallery of Lost Art. Si tratta di una mostra online che racconta le storie di opere d'arte scomparse, distrutte, rubate, rifiutate, o cancellate e che non possono più essere viste. "The Gallery of Lost Art" è un sito web visivamente strutturato come un magazzino open con vista dall'alto, con vere e proprie scritte in gesso che delimitano le zona dove si trovano le opere d’arte, facendolo somigliare ad una vera e propria scena del crimine. La seconda è il sito Necrologi dell'Arte che racconta le storie di opere distrutte, disperse, degradate. Tra queste quelle che riguardano il celebre e disastroso Incendio della Flakturm Friedrichshain  che è stato il più grande disastro artistico della storia moderna, dopo la distruzione del Palazzo dell'Alcazar di Madrid, avvenuta nel 1734.


venerdì 20 aprile 2012

Sculture monumentali

The African Renaissance Monument è tra le più grandi sculture mai realizzate al mondo. Inaugurato nel 2010, alto quasi 50 metri svetta sulla città di Dakar con la sua enorme e pesante mole in bilico tra plasticismo e concretezza, non privo di stereotipi espressivi di certo lontani dall'originale arte africana.


Contemporaneamente negli U.S.A. il Crazy Horse Memorial, la monumentale opera voluta dal popolo Sioux per celebrare il leggendario capo Lakota, Cavallo Pazzo, e come tributo a tutti i nativi nordamericani, è il più imponente work-in progress sul territori degli States, anzi, dell’intero pianeta. La colossale scultura tridimensionale che rappresenterà il capo indiano a cavallo, e una volta completata misurerà 169 metri d’altezza per 192 di lunghezza, sta lentamente prendendo forma tra le alture delle Black Hills in South Dakota.


Andando indietro di qualche decennio The Motherland Calls a Volgograd, in Russia, commemora la Battaglia di Stalingrado. Fu disegnata dallo scultore Yevgeny Vuchetich e progettata dall'ingegnere Nikolai Nikitin. Alta 85 metri fu completata nel 1967 ed è sicuramente tra le meglio riuscite.


L'elenco sarebbe lungo e rimando a questa pagina di wikipedia (Le statue più alte del mondo). Emerge il dato che sopratutto negli ultimi anni si sono costruite statue colossali quasi come se si volesse, con la grandezza, compensare l'insignificanza del modello. Naturalmente c'è molta retorica dietro, le sculture spesse volte sono goffe e pesanti e prive di messaggi. Modello imprescindibile è la Statua della Libertà di New York anche se tra le sculture monumentali più belle colloco di certo il Colosso di San Carlo Borromeo (detto il Sancarlone ) ad Arona che è alta "solo" 30 metri ma di una eleganza e magnificenza uniche a dimostrazione che non conta solo l'altezza del manufatto ma tutto il progetto dietro. Il disegno fu di Giovanni Battista Crespi, detto il Cerano e la statua fu realizzata con lastre di rame battute a martello e riunite utilizzando chiodi e tiranti in ferro. Gli scultori che la realizzarono furono Siro Zanella di Pavia e Bernardo Falconi di Bissone. L'opera fu conclusa nel 1698 ed è quindi tra le più antiche.


Ma quanto è più grandioso un "Prigione" di Michelangelo di appena un metro rispetto a tanti mostri?



giovedì 12 aprile 2012

Arte a soqquadro

Quante volte nel guardare dei quadri abbiamo notato quel disordine, quelle accozzaglie di cose sparpagliate per la stanza, tutti quegli oggetti a volte messi alla rinfusa, a volte in un ordine preciso per dare il senso prospettico e della profondità… pensiamo ai fiamminghi e alle loro opere costellate di oggetti più o meno voluminosi, che spesso venivano inseriti carichi di valenza simbolica, specchi, scarpe, animali, secchi, vasi, libri a non finire e disordine, disordine, disordine. Questo ha pensato l’eccentrico e fantasioso artista e cabarettista svizzero Ursus Wehrli guardando i quadri di Van Gogh o di Bruegel, e ha deciso di riordinare quel caos creando delle opere di grafica che hanno un solo obiettivo, fare ordine nelle opere d’arte. Nel libro “Arte a soqquadro“ ha rivisitato simpaticamente i grandi capolavori“disordinati” o affollati di cose e persone con una perizia e una pazienza certosina, grazie al ritocco fotografico. Alcuni esempi molto particolari: le donne di Seurat, realizzate con la tecnica del pointillisme (nota in Italia come divisionismo), sono state private dei puntini, i quali appaiono raccolti e imbustati nell’opera di Wehrli come un sacchetto di coriandoli; e l’affollato villaggio di Bruegel, caotico, pieno di gente, così soffocante che diventa un villaggio desertico e tutti i personaggi vengono “accatastati ” come rifiuti in un altra opera; e l’opera astratta di Haring composta da tanti pezzi, quasi una sorta di mosaico contemporaneo, è stata scomposta e ogni pezzo è stato catalogato per colore. Questa è solo una parte, il lavoro dello svizzero è da vedere perchè strapperà un sorriso agli appassionati di arte che vedranno le opere dei loro pittori rivisitate e completamente sconvolte.

Di seguito alcuni esempi:








lunedì 2 aprile 2012

Warhol rifiutato e ritrovato

Negli anni '50, le opere di Warhol venivano rifiutate dal Moma. Nel 1956, quando ancora era illustratore, Andy aveva fatto una collettiva al Moma e provò a entrare nella collezione lasciando alcune opere della serie sulle scarpe, oggi tra le più richieste sul mercato perchè  tutte originali e uniche e non serigrafie. Certo, i tempi e il gusto erano differenti ma osservare questo documento col senno di poi non può che incuriosire e spiazzare.


E' invece di oggi, 3 aprile, la notizia di un disegno inedito del 1930 di Andy Warhol acquistato per cinque dollari a Las Vegas in un mercatino dell'usato. Il disegno, secondo gli esperti, vale circa due milioni di dollari. Infatti si è rivelata autentico (nonostante alcuni studiosi abbiano manifestato qualche dubbio). Il fortunato acquirente è un uomo d'affari inglese che ha detto di aver comprato il disegno da un tossicodipendente (!) la cui zia si era presa cura dell'artista quando era piccolo. Gli esperti ritengono che Warhol abbia disegnato l'illustrazione quando aveva 10 o 11 anni. Il disegno raffigura l'attore e cantante Rudy Vallèe, famoso negli anni Trenta, e porta la firma «Andy Warhol» be visibile in fondo sulla destra (nella foto, il disegno). Sempre secondo gli esperti, il disegno d'infanzia di Warhol può addirittura essere considerato come uno dei primi esempi di Pop Art americana, il movimento per cui l'artista stesso divenne famoso qualche decennio dopo. L'uomo d'affari inglese ha detto che non ha alcuna intenzione di vendere il prezioso disegno, bensì di volerlo mettere in mostra quanto prima. Nel frattempo, il nove maggio, sarà in vendita da Sotheby's a Londra, insieme con altre opere, un celebre capolavoro di Warhol: Double Elvis, ovvero una serigrafia-tributo a Elvis Presley, icona del rock'n'roll. Valore stimato, tra i trenta e i cinquanta milioni di dollari. Il record fissato da un'opera di Warhol ammonta comunque a settanta milioni di dollari: a questa cifra fu venduto Green Car Crash, della serie Death and Disaster, nel 2007, all'apice della crescita del mercato dell'arte contemporanea.

Al di la del dato storico, comunque, chi pagherebbe 2 milioni per un disegno così?



lunedì 27 febbraio 2012

I treni nell'arte

Da quando sono apparsi sulla scena i treni sono diventati simboli del progresso e di una tecnologia proiettata verso il futuro; strumenti meccanici ammirati e osannati per la loro forza e un'intrinseca bellezza delle linee e della struttura. Il viaggio in treno è sempre un viaggio romantico, quasi avventuroso, e i paesaggi attraversati, quasi inagibili ad altri mezzi, colpiscono per la loro maestosità. Poi ci sono le stazioni, punti di scambio e di incontro, una volta catturate del fumo delle locomotive, con l'aria bassa e indistinta. Da questo link una raccolta di treni nell'arte, a partire dalla celebre locomotiva di Turner fino ad arrivare ai dinamismi di Depero e Boccioni. Tra tutte le immagini sottolineo, per l'originalità, la raccolta del grande paesaggista Carlo Bossoli; tratto dai suoi disegni venne pubblicato a Londra, nel 1853, un magnifico album, contenente 16 litografie dal titolo Views of the Railways between Turin and Genova. Riprendendo la prassi dei libri di vedute, ma analizzando un argomento poco analizzato, l'artista presenta paesaggi dove la strada ferrata si inserisce nel paesaggio fino a farne parte con spiccato senso del pittoresco.


Alle immagini aggiungo questa bellissima opera di Gaetano Previati Railroad on the Pacific del 1916


giovedì 23 febbraio 2012

L'elefante Annone e il "pulcino" della Minerva

Dopo un restauro durato 205 giorni, torna finalmente al suo antico splendore il celebre Elefantino di piazza della Minerva a Roma, una delle sculture più popolari della capitale. L’elefantino e l’obelisco di granito rosa proveniente dal vicino tempio di Iside, furono eretti nella piazza nel 1667 su disegno di Gian Lorenzo Bernini e su commissione di papa Alessandro VII. Bernini eseguì con la sua bottega, ben 10 diversi progetti per il monumento, tre dei quali, da lui firmati, sono conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana.



Hypnerotomachia
Il modello al quale si ispirò il Bernini  fu verosimilmente attinto da una stampa dall’Hypnerotomachia del Polifilo con l'elefante con l’obelisco sormontato dalla palla, anche se vi sono altre suggestioni di carattere storico legate ad un particolare animale che si aggirava nei Giardini Vaticani. E' la storia del mitico elefante Annone raccontata molto bene in questo articolo di Picchio "La trionfale ambasciata dell’elefante Annone”.

La vicenda, assolutamente reale, si svolge nel 1514. Qualche tempo prima il re del Portogallo, Manuel I, aveva ricevuto in dono dal Pakistan un rinoceronte ed un piccolo elefante bianco. Il Re trovandosi nella assoluta necessità di un appoggio economico da parte di Papa Leone X , pensò di ingraziarsi il Pontefice e tutta la corte romana, inviando una ambasceria a Roma che avrebbe consegnato, oltre ai tradizionali doni, anche una cinquantina di animali esotici, con in testa il rinoceronte e l’elefante. Si tratta di rievocare, dunque, la più strana delle missioni diplomatiche, guidata da un … elefante! La bizzarra ambasceria era una fantasmagoria di colori, di musiche, di splendori d’alabarde e d’armature, di vesti di seta e di piume, e poi gli animali, tra cui una pantera nera ed un cavallo persiano, pappagalli ed uccelli mai visti prima, il rinoceronte e, naturalmente, “l’illustre pachiderma ammaestrato che incedeva sicuro, mirabilmente istruito e conscio della propria autorità.” Questo elefante fu battezzato Annone, eppure, essendo di origine indiana, gli sarebbe spettato un nome orientale; ma per gli europei dell’epoca gli elefanti erano indissolubilmente legati alla lontana spedizione di Annibale, e così gli imposero un nome cartaginese! Annone aveva quattro anni, era bianco e di dimensioni modeste, al punto che quando raggiunse la sua massima altezza non superò di molto quella di un uomo; in compenso era assai grasso. Allo scudiero reale Nicolò de Farìa fu assegnato il delicatissimo compito di “istruire” Annone affinché facesse una bellissima figura dinanzi al Papa. Il pachiderma, dopo alcuni mesi imparò ad obbedire ai comandi del suo istruttore, dapprima alla voce, infine addirittura comprendendo al volo i cenni quasi impercettibili di Nicolò.

L’elefante Annone in un disegno riprodotto nel volume “Antigualias Romanas” di Francisco de Holandia

Venne il giorno della partenza. La spedizione attraversò le terre del regno per otto giorni, suscitando curiosità e meraviglia tra la popolazione. Così scriveva Nicolò al Re in una delle periodiche missive che gli era stato ingiunto di inviare regolarmente a corte: “Nei tre giorni in cui restammo ad Alicante avemmo sempre intorno a noi tanta gente che era una maraviglia vedere, e circondati da persone e da navi ci trovammo in tanta confusione che più non si sapeva che fare. Partimmo finalmente ed arrivammo ad Ivìza, dove ci fermammo alcuni giorni, circondati sempre dalla ressa e poi, giunti che fummo a Majorca, nei dieci o dodici giorni di sosta che vi facemmo, tanta fu la folla che ci assediò che mai non avevamo intorno meno di cento battelli dove il ponte ed il cassero erano stati dati in affitto e da quelli vennero a vederci i nobili e i maggiorenti di Majorca con le loro mogli, tanto che in città non restò più nessuno”.

La curiosità per il mitico animale che da oltre mille anni non metteva piede in Europa era stata prevista, ma nessuno avrebbe potuto immaginare ciò che avvenne in Italia quando, dopo una parte di viaggio in mare ed uno sbarco reso difficoltoso dal mare grosso, Annone potè finalmente posare le sue pesanti zampe sul suolo italiano. Sembra anche che una delle navi, che trasportava il rinoceronte, affondò e l’animale morì, mentre l’elefante giunse sano e salvo, sbarcando ad Orbetello. Iniziò quella parte del viaggio in terra italiana, direzione Roma, che fece registrare scene di entusiasmo ed incredibili episodi di delirio collettivo. Mentre i componenti della spedizione, sempre con Annone in testa, percorrevano una strada consolare, ai bordi della stessa si accalcava una folla straripante ed agitata, smaniosa di vedere il già famoso elefante indiano! La storia registra danni ingenti a coltivazioni, vigne, frutteti e persino devastazioni di ville e case, dove scale e balconi furono prese d’assalto per raggiungere ottimi punti di osservazione.

L’ornamento di Annone era splendente e sfarzoso: “una gualdrappa di seta azzurra, punteggiata di smeraldi e rubini gli copriva la groppa, sulla quale era collocato un cofano di sandalo dorato, con intarsi di madreperla, tempestato di gemme. Racchiudeva i doni più preziosi per il Sommo Pontefice: un piviale di broccato, il cui peso era raddoppiato da quello delle gemme, e calici, turiboli, anelli ed arredi d’oro”. Finalmente il corteo arrivò a Roma. Nella grande sala per le udienze Leone X sedeva sul trono; intorno a lui sedevano i Cardinali, gli Arcivescovi, i Vescovi, i Principi romani, gli ambasciatori, i dignitari di corte e gli artisti, tra i quali il Buonarroti, Raffaello Sanzio e Giulio Romano. Nicolò de Farìa avanzò nella sala, preceduto da quattro alabardieri, si fermò, fece un inchino e si fermò: “dietro di lui gli occhi dei presenti scorsero una strana mole avanzante. Sotto la grande bardatura azzurra tutti riconobbero il bianco elefante delle Indie, con quel suo curioso capo d’animale fiabesco, le grandi orecchie a ventola, la zanne appena sporgenti, i piccoli occhi vivaci e la proboscide pendente ed oscillante come un turibolo. Le zampe dell’animale si muovevano lente e sembravano piccole colonne di marmo. Annone si fermò chinando la testa in un atto che parve di reverente umiltà e del quale restarono tutti ammirati; ma nessuno s’aspettava il prodigio che subito incominciò. Stupiti, gli spettatori videro tosto le zampe anteriori della bestia flettersi adagio e l’intera sua mole, con il cofano prezioso che le torreggiava sul dorso, reclinarsi in avanti. Annone, l’elefante indiano, s’inginocchiava davanti a Sua Santità! Ed era un portentoso simbolico omaggio dell’India selvaggia e remota al Vicario di Cristo!

Nel genuflettersi, Annone levò la proboscide come un braccio teso in un gesto d’invocazione e da quella sua strana bocca dalle labbra frastagliate uscì per tre volte un barrito, non peraltro violento come quelli della giungla, ma sommesso e modulato, con un accento quasi umano. Il Papa, che si era levato in piedi, batté le mani. L’applauso, che il rispetto aveva fino a quel momento contenuto, scrosciò allora caloroso ed unanime. L’animale volse ancora la testa a destra e a sinistra, parve abbozzare due piccoli inchini, poi tuffò la proboscide in un bacile colmo d’acqua e la spruzzò tutt'attorno come gioioso saluto a Leone X e i cardinali, ma non bagnò loro, che erano in una posizione più alta rispetto a lui, bensì servi e famigli, guardie svizzere e arcieri! Insomma Annone aveva fatto uno scherzo simpatico ed innocuo. Tutta la gente era così ammirata quando Annone lasciò la sala!” L’ambasceria, grazie soprattutto al suo strano capo aveva ottenuto un completo successo. Tutte le richieste di Re Manuel furono accolte. Gli ambasciatori di Portogallo, i dignitari e i loro accompagnatori ricevettero onori e doni. Il Papa fu talmente contento del dono “vivente” da decretare libero e gratuito accesso nei teatri per tutto il periodo ai Portoghesi per tutto il tempo che fossero rimasti a Roma.

Giovanni da Udine, Villa Madama, giardino all'italiana. L'elefante Annone
Di questo privilegio ebbero ad approfittare anche numerosi romani che si fecero passar per “portoghesi”. E non solo a teatro! Celeberrima la frase:“oste io nun te pago gnente/ che so’ portoghese, nun se sente?”

Da questo evento il popolo chiamò “portoghesi” coloro che entrano “gratis” dove si dovrebbe pagare! Il pontefice ordinò la costruzione di una sontuosa stalla dentro il Vaticano, così da permettere ai romani di far visita ad Annone tutte le domeniche.Per due anni le visite a questo simpatico pachiderma si susseguirono incessantemente, poi, come in tutte le cose, l’interesse venne meno e il numero dei visitatori scemò sensibilmente. Tre anni dopo Annone cominciò ad avere una tosse fastidiosa. Forse il clima umido, o più probabilmente una crisi di nostalgia della sua terra d’origine, fecero ammalare l’elefante che in breve morì. I dottori romani diagnosticarono un’angina; ma c’è chi parla di una folle cura, costituita da un forte lassativo rinforzato con mezzo chilo di oro in polvere (!) suggerita dai veterinari. Leone X aveva pregato Raffaello Sanzio di ritrarre l’elefantino. Il grande pittore non andò di persona, ma mandò Giulio Romano il quale, a matita rossa, ne disegnò quattro magnifici schizzi, ora conservati ad Oxford. Possiamo ora tornare al piccolo elefante di fronte Santa Maria sopra Minerva. Opera di Lorenzo Bernini, venne eseguito circa un secolo e mezzo dopo gli avvenimenti sin qui narrati. Anche in questo caso c’è una storia/leggenda molto gustosa che, per ragioni di spazio, ci limitiamo a sintetizzare. Nel 1667, Papa Alessandro VII , appartenente alla famiglia Chigi, volle recuperare e posizionare un obelisco che era stato ritrovato due anni prima in un giardino vicino la Chiesa di Santa Maria sopra Minerva,dell'Ordine Domenicano.

I Domenicani presentarono un progetto che prevedeva di poggiare l'obelisco su una base costituita da sei piccole montagnette (simbolo della casata dei Chigi), con un cane in ciascun angolo (simbolico: in latino 'Domini Canes' = 'I cani del Signore', guardie fedeli). Al Papa il progetto non piacque e chiese al Bernini una soluzione diversa. Il grande scultore, forse memore dell’elefantino Annone, o di un altro elefante chiamato Hanno (cioè Annone in latino!!!), il cui padrone chiedeva denaro per mostrarlo, divenuto subito molto popolare, decise di inserire l'obelisco sopra un Elefante! Il papa approvò il progetto ma i domenicani ebbero a protestare sostenendo che Bernini non aveva inserito un cubo sotto la pancia del pachiderma e temevano che, senza di esso, l'obelisco sarebbe potuto cadere sulla statua, ricordando che "nessun peso a piombo deve avere sotto di sè il vuoto, perchè non sarebbe solido nè durevole". Bernini replicò sostenendo che 16 anni prima aveva già realizzato la fontana di Piazza Navona con un obelisco sistemato su una roccia vuota.

Ma i Domenicani si impuntarono e pretesero il “cubo” e Bernini dovette arrendersi, ma a modo suo. Lo scultore, che non aveva certo un carattere accomodante, mise in atto uno scherzetto niente male nei confronti dei “simpatici” Domenicani. Nella realizzazione finale, infatti, Bernini pose l'elefantino sopra la base cubica, parallelamente all’entrata della Chiesa, ma con la testa voltata verso l’esterno ossia dalla parte opposta della porta principale, mentre la coda era girata verso sinistra accentuando una posa un po’ irriverente. In pratica Bernini aveva sistemato l’elefantino al contrario rispetto all’entrata della chiesa! Fu lo stesso papa Alessandro VII a dettare le iscrizioni ai lati del piedistallo. Una di esse spiega la ragione dell'Elefante: "Oh tu che vedi qui, portato da un Elefante (il più forte degli animali) i geroglifici del saggio Egitto, capisci l'avvertimento: c'è bisogno di una mente forte per sostenere la solida Conoscenza". A questo gioiello di scultura i Romani diedero il burlesco ed affettuoso nome di “porcino della Minerva”, successivamente modificato in “pulcino della Minerva”, con cui è tuttora chiamato.

Giulio Romano, studi di elefante




lunedì 18 luglio 2011

Banksy? No, questa volta un vero vandalo - Imbrattato un Poussin

Non è un quadro della celebre personale di Banksy a Bristol, bensì l'opera di un uomo di 57 anni, con problemi psichici, che ha imbrattato con una bomboletta rossa il capolavoro di Poussin alla National Gallery di Londra: L'adorazione del vitello d'oro. (Fonte)

mercoledì 13 luglio 2011

I mostri dell'Aldrovandi

Homo Fanesius auritus
Gallus Indicus auritus tridactylus
Il bolognese Ulisse Aldrovandi (1522-1605), naturalista e botanico, è autore di uno dei testi più noti, in materia di mostri: la Monstrorum Historia, pubblicata postuma nel 1642. La versione che ci è giunta è però stata rimaneggiata da Bartolomeo Ambrosini (1588-1657), che ha aggiunto le proprie considerazioni e integrazioni con altri scritti. L'opera è caratterizzata da un certo rigore rispetto ai testi dell'epoca: non si trovano elementi magici, prevale l'esigenza di classificazione e di raccolta enciclopedica con una certa attenzione per l'osservazione naturale e l'illustrazione scientifica, anche se, quest'ultima non esce dagli schemi poco realistici del tempo. A Bologna Aldrovandi ha a disposizione un vero e proprio museo che raccoglieva all'incirca 11.000 esemplari di animali e vegetali, 7.000 piante secche e 8.000 disegni a colori. Nella sua classificazione dei mostri, Aldrovandi è interessato soprattutto alle cause della loro insorgenza che classifica in quattro tipi: per eccesso o per difetto di materia; per ibridazione tra animali di specie diverse; per l'influsso dell'immaginazione; per cause superiori e divine. Sulla prima causa lo scienziato non fa che riproporre le teorie degli antichi greci, in particolare Ippocrate e Aristotele: l'abbondanza o la scarsità di semenza durante il concepimento generano mostri per eccesso o per difetto. Seguendo Ippocrate, inoltre, spiega che anche le dimensioni della matrice - cioè l'utero - troppo larga o troppo stretta possono generare individui malformati, troppo grandi nel primo caso, o troppo piccoli e schiacciati nel secondo. Questo tipo di malformazioni, perciò, deriva da processi embriologici nei quali, per cause accidentali, la natura è impedita a svolgere il suo percorso. Da questo punto di vista i mostri sono dunque dei fenomeni perfettamente naturali. L'influenza di Aristotele si sente anche a proposito degli incroci tra diversi animali. Qui, tuttavia, Aldrovandi si mostra meno rigoroso del filosofo greco - che aveva limitato la possibilità di questi eventi - e descrive numerosi improbabili ibridi fantastici come il capriasino (incrocio di un caprone con un'asina), l'hippotaurus (cavalla e toro), il cicursus (capro e scrofa), l'equicervus (cervo e cavalla). Addirittura, per spiegare l'esistenza di alcune popolazioni mostruose come i cinocefali o altri popoli fantastici, viene ammessa l'ibridazione tra l'uomo e gli animali: capra e uomo, cane e donna e così via. 

Infans [..]^,
 cum promuscide, & capitibus animalium
Tra le cause naturali che portano alla formazione dei mostri si ritrova in Aldrovandi (come in Lemmio e Paré) la concezione del coito con la donna mestruata. Il tabù delle donne mestruate aveva origini antichissime e si ritrova in molte culture, tra cui quella ebraica e cristiana. Nelle sacre scritture la donna in quel periodo viene considerata come un essere immondo che deve essere isolata e necessita di riti di purificazione (Levitico). Un'altra causa dell'insorgenza dei mostri è individuata nel ruolo che avrebbe l'immaginazione della madre durante l'atto sessuale o durante la gravidanza. Anche in questo caso, vale la pena di ricordare che nella Bibbia (Genesi 30, 31-43) Giacobbe parla di alcune le pecore che avevano partorito agnelli striati perché negli abbeveratoi erano stati piantati dei rami a strisce. L'idea che le fantasie della madre potessero imprimere al feto forme mostruose è una credenza molto antica che si ritrova in tutte le epoche sino al tardo '700 e che sopravvive sino ai giorni nostri nelle credenze popolari dell'origine delle "voglie" dei neonati.

Le credenze degli antichi si risentono in modo evidente anche a proposito della quarta categoria di mostri, quelli dovuti a eventi miracolosi, astrologici e divini. Queste cause consentono ad Aldrovandi di spiegare i fatti più incredibili, come le uova d'oca che contenevano un'effigie umana con vipere al posto dei capelli, o con colli e teste d'oca. Questi eventi venivano per lo più interpretati come ammonimenti divini contro una vita empia.Tra le narrazioni fantastiche si ritrova quella dell'uccello manucodiata, che si riteneva privo di piedi e, perciò, perennemente in volo; la descrizione dell'unicorno e dei poteri anitivenefici della sua escrescenza; il ritrovamento nella campagna di Bologna di un dragone a due zampe (probabilmente un rettile gravemente malformato) i cui resti essiccati furono conservati nel museo.  Nelle illustrazioni di Aldrovandi - nello spirito dell'epoca - non c'è nessun realismo: le fonti dei disegni si basavano in gran parte sui fortunati libri degli antichi, perpetuandone l'iconografia fantasiosa.  In ogni caso, anche quando gli illustratori avevano a disposizione dagli esemplari del museo da riprodurre, si trattava di reperti per lo più essiccati e la filosofia che guidava le loro illustrazioni era quella di accentuare le somiglianze che intravedevano e non di riprodurre fedelmente l'esemplare. In questo modo, seguendo criteri artistici più che scientifici, prendevano forma i fantastici mostri quadrupedi con la testa di uccello, i draghi alati e via dicendo. 
Le raffigurazioni dei feti mostruosi, per esempio, sono indicative: i disegni raffiguravano il mostro come sarebbe stato se fosse diventato adulto, includendo così tutto il retroterra teorico, mitico e prodigioso dell'epoca. (Fonte).

Dall'ottimo blog BibliOdyssey una carrellata di incisioni in alta risoluzione di queste singolari figure.

Monstrum Marinum rudimenta habitus Episcopi referens
Monstrum tetrachiron alatum capite humano aurito

martedì 21 dicembre 2010

Ah, che rebus!


Segnalo questo celebre ritratto di Lorenzo Lotto ("Ritratto di Lucina Brembati" 1518) poiché, oltre ad essere un superbo notturn,o riserva una curiosità. Se si nota bene la falce di luna sullo sfondo presenta due lettere "CI". Risolvendo il facile rebus esce fuori, appunto, il nome di Lucina. Nel Cinquecento i letterati chiedevano l’ausilio dei pittori per tramutare le parole in “ieroglifici”. Si sviluppò così da una forma di crittografia la pratica del rebus, che in qualche caso veniva utilizzata anche nei quadri. 


Col suo piccolo enigma Lotto presuppone uno spettatore "amante dei giochi a chiave e degli esercizi di intelligenza", suggerisce il critico Mauro Lucco che ha curato la mostra "Ah, che rebus! Cinque secoli di enigmi fra arte e gioco in Italia" aperta a Roma a Palazzo Poli (fino al prossimo 8 marzo). E in verità simili giochi erano nel Cinquecento diffusi, e ben più ricchi e vasti del rebus lucinesco. Basta guardare il Libro d’arme & d’amore di Andrea Baiardo, per esempio, che è una specie di rebusistica graphic novelrinascimentale, per farsene un’idea. Anche se, va detto, fino all’Ottocento il rebus, e la mostra lo illustra con abbondanza d’esempi, era più un’esibita capacità di tradurre parti delle parole di un testo in immagini costruendo così testi misti facilmente intelligibili che l’elaborazione di una vignetta misteriosa fregiata di lettere qua e là, del tutto impenetrabile a prima vista. (L'articolo su La Stampa).



E che dire di questo particolare dal San Girolamo del Dossi?Si tratta dell'unica opera firmata dell'artista ferrarese, pittore ironico e brillante. Curiosamente, il nome non è reso in modo diretto ma sottoforma di rebus: in basso a destra e in primo piano compare una D maiuscola attraversata da un OSSO.


Vi lascio a risolvere, invece, questo bellissimo rebus di Stefano Della Bella, sulla fortuna. 

lunedì 4 ottobre 2010

Orgasmo spray al Maxxi

L'artista, pittore e scenografo romano, Luca Scaringella memore delle performance di Banksy, ha beffato la sorveglianza del Museo delle arti del XXI secolo e venerdì primo ottobre è riuscito ad appendere in una delle gallerie (sul lato dell'Igloo di Mario Merz) la sua opera 'Orgasmo Spray'. L'esponente del neo pop concettuale è riuscito ad introdurla al Maxxi grazie alle piccole dimensioni e l'ha corredata con una targhetta illustrativa identica per grafica e misure a quelle delle altre opere esposte nel museo di via Guido Reni. Vi si legge: "Luan Scaringella (Roma, 1967) - Orgasmo spray (2010) - Come 'sarcasmo' sull'umana trivialità - intesa come denaro, vizio e soddisfazione primaria. Da oggi, disponibile in confezione spray".

L’artista, che si è autodenunciato, ha spiegato il suo atto definendolo «al limite del terrorismo artistico»: «Il movente? Sognavo di esporre al Maxxi. E per un giorno, la mia opera è stata esposta al Maxxi».La direttrice del museo, Anna Mattirolo, si è detta molto divertita dal blitz. «Evindentemente – ha affermato – il Maxxi è già entrato profonfondamente nell’immaginario degli artisti e degli culturi d’arte. E il fatto che ci sia il desiderio di entrare in questo museo e di partecipare ci fa piacere». «Chiaramente – ha aggiunto – è destinato a rimanere un caso isolato. Ma la cosa che più mi ha stupito è stata la dedizione con cui l’artista ha studiato la sua personalissima esposizione e la premura con cui ha replicato le fattezze delle didascalie del nostro museo». (Fonte)

Di seguito alcune immagini della performance e un suo video da youtube




martedì 29 giugno 2010

La Girandola di Castel Sant'Angelo



Per la festa del 29 giugno dei santi Pietro e Paolo dall'anno scorso a Roma è stata ripristinata l'usanza della celebre Girandola a Castel Sant'Angelo e, anche quest'anno, ieri si è potuta ammirare in tutto il suo splendore di luci e suggestioni dall'altra parte del Tevere o da Ponte sant'Angelo, spettacolo unico nel suo genere che ricorda i fasti di un tempo della corte pontificia quando Roma appariva agli occhi del mondo una meraviglia e ogni festa, spettacolo o cerimonia, era pervasa da una forte carica di magnificenza. La "girandola", introdotta a Roma nel 1481 per celebrare il pontificato di Papa Sisto IV e poi in seguito utilizzata per celebrare le principali festività dell'anno, consiste in una cerimonia di luci, spari, mortaretti, colpi di cannone e fuochi d'artificio che arriva a durare fino ad un'ora e mezza. Fin dalla metà del Cinquecento i fuochi d’artificio, entrati nella tradizione festiva popolare italiana dal XIV secolo, assumono il carattere di evento finale di cerimonie ufficiali quali tornei, cavalcate per illustri ospiti, vittorie militari, incoronazioni del principe, canonizzazioni. La sera della vigilia della festa del Santo, la basilica di San Pietro viene ricoperta da lanterne e fiaccole disposte in modo da esaltarne la bellezza e le forme. E’ una visione che, in un mondo dove il buio della notte non è stato ancora annullato da una potente illuminazione pubblica (solo nel 1856 la città viene dotata dell’impianto a gas), nessun romano e nessuno degli innumerevoli stranieri presenti nella città vuole perdersi.  Contrappunto laico alla suggestiva luminaria di San Pietro è la girandola di Castel Sant’Angelo. La prima girandola fu probabilmente eseguita già nel 1481 per l’anniversario della salita al soglio pontificio di Sisto IV. Ne seguirono per l’incoronazione dei papi, per i loro compleanni, per le venute dei principi e in occasione della festa dei santi Pietro e Paolo. Nel 1851 la girandola viene trasferita sul piazzale del Pincio.



Sarebbe comunque riduttivo definire la Girandola un semplice fuoco d’artificio. Questo grandioso spettacolo pirotecnico era ottenuto grazie a enormi macchinari sistemati sulla sommità del Castello: attraverso l’accensione di razzi, bengala ed altri fuochi artificiali si generavano disegni fantastici, che avvolgevano il castello. Al disegno delle macchine per le girandole di Castel Sant’ Angelo si applicarono i più grandi artisti del tempo: da Michelangelo al Bernini, da Vanvitelli al Fuga. Era un vanto da mostrare all’intera Europa per l’ingegno, l’architettura e i colori che i “mastri” addetti segretamente e sotto giuramento si tramandavano nel tempo. Scopro dal sito del Mibac come dietro lo spettacolo pirotecnico vi fosse una complessa simbologia e che tutto (dai disegni, ai colori, agli effetti) fosse minuziosamente studiato; circolavano già dal '400 trattati sull'arte pirotecnica e da questi manuali si ricavano anche miscele dimenticate nel tempo che in parte, oggi, vengono riscoperte: il LICOPODIO, una spora di una pianta che cresce nelle remote foreste degli Urali e in alcune zone delle Alpi, che opportunamente trattata crea degli effetti straordinari; oppure la LAMINARIA, un‟alga che ci arriva da una baia dell‟Irlanda del Nord, una baia che sembra incantata, come da incanto sono gli effetti che quest‟alga produce dietro una complessa manipolazione; o ancora il DITTAMO, arbusto che cresce anche da noi; tra le varie curiosità vi è anche un insalata la SARNICOLA, che cresce in prossimità del mare su terreni e rocce ricchi di salinità, ottima da assaporare con aceto e olio di oliva, ma che bruciata genera dei sali che solo noi sappiamo come usare, e che un tempo erano utilizzati dai mastri vetrai di Venezia. (articolo sulla Girandola e l'arte pirotecnica).
In basso una galleria con alcune suggestive vedute notturne di Roma con l'evento della Girandola. Se volete, anche un modo per festeggiare le 50.000 visite di questo blog, un risultato inaspettato poco più di un anno fa quando ho iniziato ad inserire "suggestione d'arte". Un ringraziamento, pertanto, va a tutti i lettori, occasionali o meno.



















mercoledì 9 giugno 2010

Un museo sulla Luna in un chip

Il museo d'arte contemporanea più piccolo dell'universo starebbe sulla Luna e sarebbe contenuto in un chip trasportato clandestinamente dall'Apollo 12 nel 1969. Questo chip conterrebbe sei opere tra schizzi e bozze di Andy Wahrol (il fallo), Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg, David Novros e John Chamberlain.

Durante gli anni 1960, Myers – insieme a centinaia di altri artisti di New York – avrebbe lavorato con gli ingegneri di Bell Labs ad alcuni «esperimenti» del programma Arte e Tecnologia. Secondo le prove raccolte dalla PBS, il programma dei Bell Labs prevedeva la riduzione di bozze e schizzi d'arte e il successivo inserimento all'interno di un chip rettangolare in ceramica grande un centimetro circa. I due ingegneri a capo del programma, come in tutti i gialli che si rispettino, sono deceduti. Ma uno di questi chip, del quale Myers e altri avrebbero delle copie, sarebbe stato imbarcato di nascosto sull'Apollo 12, con l'intento di lasciarlo sulla Luna a missione compiuta. «Per noi, in quei giorni – ha raccontato Myers –, lo sbarco luna era la cosa più eccitante mai avvenuta. Gli artisti volevano solo essere parte di essa». Lo stesso Myers è uno dei sei artisti che insieme a Warhol, Claes Oldenburg, Robert Rauschenberg, David Novros e John Chamberlain, avrebbero realizzato le opere. I rappresentanti di Oldenburg e Chamberlain hanno confermato a usa Today che gli artisti da loro rappresentati avrebbero contribuito al progetto. (fonte: artestetica)



martedì 1 giugno 2010

Vanitas per iphone

Come tutti gli oggetti cult anche l'iphone corre il rischio di essere amato al di là delle sue reali funzioni e utilizzazioni; a ricordarci come questo telefono sia pur sempre un oggetto ci pensa un'app realizzata da tale of tales. L'app si chiama Vanitas ed è ispirata alle nature morte (in particolare nordiche e olandesi) del '500 e del '600. Si tratta di un memento mori da portarsi sempre dietro e vede, in una scatola di legno tipicamente fiamminga (ma più minimale), la presenza di svariati oggetti tipici delle vanitas (qui sintetizzata l'evoluzione) (la bolla di sapone, il teschio, la piuma, il campanellino, ecc.). Di seguito alcune immagini dell'applicazione confrontate con vanitas reali.







E per restare in tema con l'arte segnalo queste altre due app per iphone: 

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