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lunedì 28 settembre 2009

Oro Buttato- Alcune riflessioni

oro buttato

Come c’era da aspettarsi la puntata di ieri sera di Presa Diretta, su Rai 3, dedicata allo sfacelo dei nostri beni culturali ha creato molte reazioni sul web tra esperti ai lavori e non. Del resto l’oro buttato di cui parla il titolo colpisce trasversalmente tutti i settori dal turismo all’economia, dalla ricerca alla formazione diventando ben più di una denuncia, ma l’atto di accusa verso una politica nazionale che sempre meno ha creduto nella cultura come elemento di sviluppo culturale ed economico. La nazione con più opere d’arte al mondo, tanto elogiata viscidamente dal Premier il quale riesce a far apparire come se tutto il nostro patrimonio sia, tra le tante cose, merito suo, in realtà è quella che meno investe in ricerca, conservazione e valorizzazione. Le eccellenze certamente ci sono ma se, come si apprende dal reportage, anche l’ICR rischia di finire chiuso e dismesso per mancanza di fondi allora non si sa più a cosa appellarsi. L’ICR, infatti, per chi non lo sapesse è il centro, fondato da Cesare Brandi, che ha insegnato a tutto il mondo come condurre un restauro moderno. L’amarezza e lo sconforto ci sono tutte; le colpe, “fortunatamente”, cadono trasversalmente a destra e a sinistra; le altre nazioni ci surclassano in quanto a efficienza (Montpelier, per quanto ben valorizzata, non sarà mai come Napoli, Parma, Ferrara, ecc. ecc.) e le soprintendenze devono cavarsela con quattro soldi (ai beni artistici in Molise solo 200 mila euro che non bastano, volendo, neanche per i caffè). Paradossalmente, in tutta questa incuranza, vedo forse l’ultima opportunità, per i viaggiatori venuti dall’estero, di rivivere le emozioni del gran tour. Durante il corso dell’700 e dell’800, nel loro viaggio di formazione, alcuni giovani della nobiltà europea giunti in Italia avendo come meta culmine Roma, spesse volte, incautamente, si avventuravano anche verso il Sud alla ricerca delle antichità della Magna Grecia e dei romani, situate in particolare intorno Napoli e Pozzuoli, giungendo a volte sino in Calabria e Sicilia. Ebbene, oltre ai pericoli del viaggio, tra briganti e disavventure, l’ambiente che trovavano davanti ai loro occhi, selvaggiamente pittoresco e abbandonato, è proprio quello che si ritrova oggi. Custodi assenti, aree abbandonate nascoste alla vista, raccattati ciceroni da quattro soldi, bellezza sublime e incuranza totale.

Resta alla fine la condanna ma è ben poca cosa; il senso di impotenza è ben maggiore. Solo una presa di coscienza, ma dubito, potrebbe cambiare le cose.

Per chi non ha visto la puntata o vorrebbe rivedersela, lo può fare dal sito della Rai.tv a questo link.

Per chi fosse rimasto colpito dai luoghi meno conosciuti indagati nella puntata, ecco una breve lista di link che ne trattano:

Piscina Mirabilis a Miseno (link 1, link 2, link 3)

Sepino (link 1, link 2, link 3, link 4, link 5, link 6)

Pozzuoli Museo Archeologico (link 1)

Terme di Diocleziano (link 1, link 2, link 3)

…ed è già molto se sono riuscito a trovare dei link, naturalmente non ufficiali, che descrivono in maniera relativamente scientifica e precisa il sito; per il museo di Portici, per esempio, tanto elogiato per la sua sistemazione museografica, neanche una misera pagina web fatta come si deve. Il link inserito è uscito veramente da una fortuita ricerca. Forse cominciare dall’informazione non sarebbe male…

dscf4474 piscina mirabilis

P.s. Vorrei cominciare da oggi, per quanto mi permette il blog e il tempo a disposizione, a dedicare qualche post proprio a tali argomenti, ovvero ad esempi di “Oro buttato” dei quali sono a conoscenza. Proprio di stamattina, e ringrazio il mio amico Mosè, la notizia assurda delle disavventure della statua del Nettuno del Montorsoli a Messina. La statua faceva parte della splendida fontana del Nettuno del 1557, commissionata dal Senato di Messina, una delle poche fontane, insieme a quella di Orione, scampata al tragico terremoto. Assai danneggiata nello scorso secolo, ha subito notevoli lavori di restauro e di ripristino; in particolare fu sostituita con una copia e portata nel museo di Messina. Dopo un’ulteriore intervento di restauro, riuscito benissimo, doveva essere trasportata nella nuova sede museale. Per far ciò la statua venne ingabbiata con una rete di tubi in acciaio e spostata di luogo. L’intervento riuscì alla perfezione sennonché, per essere liberata dai tubi, si pensò bene di ricorrere nientemeno che al flex. Naturalmente i tubi sono stati tagliati ma le scintille incandescenti provocate dall’arnese si sono conficcate nella statua, per circa 10 centimetri, provocando evidenti danni, quasi irreversibili. Un ulteriore restauro ha ripristinato, ma relativamente, la superfice iniziale del manufatto.

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giovedì 17 settembre 2009

Io e…Luciano Emmer (l’amore per l’arte si racconta con una torcia)

Questo post è un omaggio ad un grande regista da poco scomparso, Luciano Emmer, che tra i grandi registi italiani è stato quello che più di altri si è avvicinato, è rimasto attratto ed ha raccontato la grande arte con uno stile unico, tanto rispettoso della tradizione quanto elegante e sensibile al “bello”.

emmer

Già nel 1938 realizza Racconto di un affresco, il suo primo documentario d'arte, dedicato agli affreschi di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. Nel 1940 ripete l'esperienza affrontando i quadri di H. Bosch in Paradiso terrestre, avviando così una fortunata carriera di documentarista che troverà momenti topici con Goya (1950), Leonardo da Vinci (1952) e Picasso, una straordinaria analisi dell’artista (1954). Il regista di Le ragazze di Piazza di Spagna e di Una domenica d' agosto, tra i primi ad inaugurare la “commedia all’italiana” e tra i più attenti narratori dell'Italia del primo boom economico, inventore della sigla di Carosello e dello stile dei siparietti pubblicitari, riguardo l’opera d’arte si dimostra un silenzioso spettatore, attento al particolare, alle sensazioni, ai luoghi ed al loro contesto; le sue riprese potrebbero formare un ricco manuale tanto sono rispettose del manufatto lasciato a comunicare direttamente con lo spettatore. Poche frasi, poche voci fuori campo di chi l’arte la vive intimamente come esperienza. Il resto sono solo immagini filmiche, mute ed eloquenti, come di chi, così affascinato dalla misteriosa bellezza dei capolavori, si limita a registrare e mai ad interpretare. Un moderno viaggiatore del grand tour che al consueto taccuino di disegni sostituisce la macchina da presa. Una vasta cultura pittorica che va dalle pitture rupestri di Lescaux, dove il cadavere del cacciatore ucciso dal bufalo rappresenta in assoluto la prima storia mai raccontata, e lui lo racconta immergendosi nelle profondità delle grotte, alle tentazioni dell’umanità così minuziosamente descritte ne Il giardino delle delizie di Bosch fino a Degas, Van Gogh, Picasso.

La pittura viene nuovamente trattata nel 1972 con il programma televisivo per la Rai "Io e..."; in 14 puntate il regista lascia dialogare celebri intellettuali, artisti, scrittori, direttamente con l’arte; ognuno di loro, scelto un tema, un’opera, un luogo, lo affronta dal proprio punto di vista; il regista si limita a riprendere. Le opere non vengono mai tradite ma, seguendo i commenti degli intervistati, acquistano valenze e sfumature nuove, del tutto personali. E’ una muta dichiarazione di appartenenza al bello. Le puntate, anche per lo spessore degli intervistati, sarebbero tutte da vedere. Tra di loro sottolineo:

Io e l'Adorazione dei magi del Sassetta” intervista a Severino Gazzelloni, vero equilibrio tra arte e musica,

Io e la morte di Marat” intervista a Guttuso, bellissima analisi del grande pittore,

“Io e l’Eur” intervista a Federico Fellini, metafisica riflessione sul quartiere,

“Io e il battesimo di Cristo di Giovanni Bellini” intervista a Guido Piovene, pregnante discorso sul capolavoro,

“Io e il campo di grano con corvi di Van Gogh” intervista a Cesare Zavattini, intimamente vissuta,

“Io e la Cortigiana romana di Scipione” intervista ad Alberto Moravia, lucida analisi dell’intima anima di Roma,

“Io e Piazza san Marco” intervista a Goffredo Parise, poetica e sentita impressione del luogo,

“Io e la Colonna Traiana” intervista a Bianchi Bandinelli. Forse la puntata più bella e suggestiva nella quale il grande storico dell’arte antica viene portato, attraverso una scala mobile, letteralmente intorno al fregio della colonna, raccontandocene la storia, lo stile, le sue impressioni. Emmer, anche lui sulla scala, filma il tutto da dietro, indugiando sui bassorilievi tanto vivi quando inaccessibili per lo spettatore da terra. La colonna, finalmente, è nuda sotto i nostri occhi; non più celata dall’altezza mostra l’incredibile intreccio degli avvenimenti. Il tutto nella luce di un notturno.

Nel 1974 la serie venne ripresa, curata da un altro regista, e ci regalò la splendida analisi di Pasolini sulla “forma della città”.

Nel 1988 il regista torna al documentario d'arte con La bellezza del diavolo - Viaggio nei castelli trentini, mentre al 1997 risale il suo capolavoro Bella di Notte.

borghese-gallery-galleria

Un visitatore notturno si muove tra capolavori armato di una lampadina tascabile, emozionato davanti ai dipinti che appaiono quasi all' improvviso, dal buio, felice di raccontare il suo amore per l' arte. Per cinque notti, Emmer filma le sale restaurate della Galleria Borghese di Roma; scorrono davanti ai suoi e ai nostri occhi capolavori di Canova e Bernini, Rubens e Tiziano, i Caravaggio e i Raffaello, statue e dipinti di cui il regista rivela segreti e magie, facendo annotazioni curiose, costruendo un dialogo immaginario con Scipione Borghese, che raccolse in quella che era la villa della famiglia, un patrimonio di valore inestimabile. Un itinerario solitario, un ritratto personale, lontano da critiche estetiche e da nozionismi storici, che segue solamente il filo della suggestione. Il risultato è straordinario.

"Mi avevano chiesto di realizzare un documentario sul restauro della Galleria Borghese" spiegherà Emmer "ma ho risposto che ci sono giornalisti Rai più bravi di me. Così ho realizzato un' opera di cinema partendo da un punto di vista personale, immaginando di essere un visitatore che si trova di notte a scoprire le meraviglie di questo posto".

Il suo ultimo film Trilogia: il pensiero, lo sguardo, la parola non è che una lucida riflessione sulla vita e sull’arte.

“D’altronde, quella torcia che si aggira all’interno di Villa Borghese è il simbolo più concreto del mestiere d’autore, dell’umanità e del calore di uno sguardo, di un faro che illumina e racconta l’arte non come materia immobile e distante, ma come elemenoi che influenza la nostra vita, la nostra stessa essenza di uomini. E fare emergere dall’oblio e dal buio l’arte (intesa come pensiero, come materia) dei nostri tempi è forse uno dei compiti più concreti che il cinema stesso può darsi”. (fonte).

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