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THE VELVET UNDERGROUND & NICO del 1967 è un album leggendario in tutti i sensi; con questi nasceva il rock alternativo e la pop art, grazie al lavoro grafico di Andy Warhol, diventava effettivamente arte di consumo in quanto applicata ad un oggetto che avrebbe avuto una grandissima vendibilità e eco.
La prima, rarissima, copertina del disco su sfondo bianco è in completa sintonia col carattere provocatorio di Warhol il quale aveva realizzato una banana gialla dall’esplicito riferimento sessuale. Si invitava l’ascoltatore a sbucciare la banana (“peel slowly and see“, come detto) per scoprire, effettivamente, una polpa rosa shocking, “il frutto del desiderio”.
Si racconta che i dipendenti della Verve fossero stati impegnati per settimane ad applicare diligentemente a mano gli adesivi con la buccia sulle cover. Visti i costi di produzione la copertina “sbucciabile” viene usata solo per la prima tiratura, rendendola pezzo da collezione di grande valore. Nelle stampe successive la firma di Warhol sarà sostituita dal nome della band.
Ecco le due versioni con la copertina “sbucciata”:
Non credo molto alle classifiche ma qualcosa vorrà pur dire se Damien Hirst, nell’ultimo anno, non solo ha perso il primo posto ma si colloca addirittura alla posizione 48 della celebre classifica delle personalità più influenti nel campo artistico contemporaneo, The Power 100, stilata dall’importante rivista ArtReview che invece assegna la palma del vincitore a Hans Ulrich Obrist. Da un artista, quindi, si è passati ad un curatore e critico d’arte il che lascio a voi stimare se sia un bene o un male.
In effetti questa classifica arriva in un momento un po' particolare per l’uomo che "ha preso tutti i soldi del mondo dell'arte", ovvero Hirst, il quale proprio il 14 ottobre ha inaugurato alla Wallace Collection una personale dal titolo No Love Lost, Blue Paintings (titolo tratto da un verso di una canzone del gruppo post-punk Joy Division). Scordatevi carcasse di animali o medicine, questa mostra segna infatti il ritorno dell’artista alla pittura (con le proprie mani), una sorta di crisi delle mezza età.
Sin dall'inizio della carriera Hirst ha messo in discussione tutto ciò che significa essere un artista. 'No Love Lost' testimonia invece il ritorno ad un una sensibilità diversa con una serie di dipinti che, nelle parole dell'artista sono "profondamente legati al passato”. L’esposizione alla Wallace nasce dall’idea di presentare queste opere in un ambiente classico, nel contesto di quadri di antichi maestri della grande tradizione europea, in una sorta di costante dialogo. Le opere, spesso in trittici, geometrizzate da gabbie e linee come i quadri di Bacon, hanno come filo conduttore il Blu di Prussia, colore intenso e spirituale accostato a tematiche di morte e di vanitas. Opere più che dignitose ma che di certo, se fossero di un altro artista, difficilmente, grazie alle sole loro intrinseche qualità, entrerebbero in una galleria così importante.
Se tutti i commentatori concordano che Hirst ha mantenuto la continuità tematica con il periodo precedente, continuando a proporre soggetti che hanno al centro la decadenza del corpo e la morte, le opinioni sul valore delle tele sono assai diverse. E così sul Times Rachel Campbell-Johnston definisce la mostra “orribile e oscena”, attaccando la scelta dei responsabili della Wallace Collection di ospitarla (“un sacrilegio”, aggiunge), Sarah Crompton sul Daily Telegraph si dice “interdetta” anche confessa di provare ammirazione per il talento di Hirst, mentre sul Guardian Mark Brown esprime un giudizio positivo e loda il coraggio mostrato da Hirst “nell’iniziare un nuovo cammino”.
Hirst dal canto suo ha affermato “la crisi economica che ha sconvolto la vita di milioni di persone mi ha fatto capire che la sobrietà deve diventare un valore di primaria importanza e, per quello che mi riguarda, l’importanza della tradizione pittorica va riscoperta”.
(Lungo articolo dal The Independent con Video).
Intanto, proprio in questi giorni, sempre a Londra presso la Tate Modern si è aperta un’altra importante esposizione dal titolo Pop Life: Art in a Material World, una mostra che di certo lascerà il segno e che espone anche diverse opere più “tradizionali” dell’artista. Tra gli altri illustri nomi Richard Prince, Keith Haring, Cattelan, Jeff Koons, artisti della Ybas ;di fatto i curatori, puntando molto sul periodo tra la fine degli anni ‘80 e gli inizi del ‘90, hanno voluto mostrare il lato più pop della Pop art con opere di sicuro effetto.
(Le immagini della mostra – un articolo)
(la mostra sul sito della Tate…e che dire della splendida Pop Life Boutique?)
Luca Mainini, il quale si definisce “scrittore/artista teledipendente meravigliosamente in bilico tra lucida follia e stravagante bipolarismo”, che, come racconta, si è beccato una psicosi gonfiando crystal ball e fa zapping in TV bevendo l'acquasanta delle madonnine di plastica Lourdes, con folle lucidità si è reso complice di un cortocircuito culturale e visivo e, facendo leva su una realtà di cronaca tanto vera e attuale quanto straniante nella sua spudorata visibilità che la rende merce da consumo, è stato il fautore di uno dei progetti più forti degli ultimi tempi: Massacro Show.
Niente delle sue parole è più adatto per spiegare il succo del suo lavoro:
“Massacro Show è terrorismo televisivo. È l’altra faccia dell’informazione. Massacro Show è l’estremizzazione dello spettacolo televisivo, la caricatura di un reality show, il fanatismo per tutto ciò che vive e si rigenera all’interno del piccolo sch...ermo. Massacro Show raccoglie adepti e fanatici, crea linee di abbigliamento e merchandise, lancia starlette e viviseziona la cameretta di Aura ricostruendone il plastico con spirito Ikea. Massacro non è per tutti, non è per i più sensibili. Infastidisce, crea disagio, smarrimento. Massacro ci fa riflettere sulle nostre più infime pulsioni. "Il mio intento è quello di distogliere l'occhio assopito dello spettatore, che, perso in un automatismo oculare non distingue più realtà immaginifica/sceneggiata e realtà giornalistica, reality e realtà." Luca Mainini
Dicono di Massacro: "nn ci poxo credere che abbiano fatto un reality chiamato massacro show che tratta un argomento del genere!!!!caspita un pò più di rispetto e delicatezza no???!!!!!??" Utente Anonimo "sono inorridita per il fatto che la gente metta nel web video così intimi e delicati!!! so che la gente ha il diritto di sapere…ma credo che ci voglia un pò più di rispetto verso la povera aura…" Utente Anonimo "Certo, la trovata è eccessiva, di cattivo gusto. Stride, fa arrabbiare. irrispettosa? offensiva malata?...e porta a porta nel periodo di maggior fulgore quando "faceva informazione"specchiandosi nel sangue di samuele lorenzi?non si discosta molto dal massacro show.mancava solo il merchandise.." Davide "Sarà pur sempre satira, ma non mi fa ridere molto... più riflettere..." Utente anonimo "Mainini costruisce una realtà di cartapesta talmente mimetica da suscitare nello spettatore straniamento, terrore e indignazione.(...)Un viaggio nell'Italia mediatica ed ecumenica nei confronti dell'opinione catodica.
MASSACRO SHOW è questo e molto di più. Un tentacolare e oscuro viaggio ancora non concluso. Salvatore Piombino, catecumeno avantpop: "Finzione in funzione di spettatori assetati di sangue e morbosità assortite. il massacro show è questo e altro. aura petrescu, la laura palmer sotto psicofarmaci". Daze Nina Bruja: "E’ tutto un un reality show, ma stavolta “reality” non significa realtà, bensì commedia: la commedia dell’orrida verità. Come qualcuno ha già scritto, non si tratta che di “pura finzione in funzione di spettatori assetati di sangue e morbosità”. Tanti. Troppi, forse. Soprattutto per i miei gusti." Paolo Franchini, scrittore noir: "Ma una domanda resta sospesa nell'aria condizionata della cameretta di Aura, una domanda sporca di sangue: CHI HA UCCISO AURA PETRUSCU? Se anche voi volete giustizia o siete giustamente solo curiosi, amanti dei reality, seguite e sostenete Massacro Show". Carlotta De Melas, scrittrice: "Il tuo progetto nasconde forse una critica ironica e a tratti grottesca del mondo televisivo in cui la strage familiare, caso “Cogne” in primis ma non solo, può diventare spettacolo? La cronaca nera è spettacolo ! E' una forma ben precisa di intrattenimento televisivo per casalinghe frustrate impilate in cubi di cemento armato. In un certo senso Anna Maria Franzoni è stata una Paris Hilton catodica nostrana, molto più casereccia, certo, ma sempre fashion. Le sue apparizioni, il clamore intorno a lei, le paparazzate inscenavano un gossipparo red carpet oltremodo grottesco. Tutto ciò che "accade" nella scatola della tv è spettacolo. La linea che divide informazione da spettacolarizzazione è quasi inesistente. Il delirio raggiunto dalla tv che racconta il crimine è assolutamente fantastico nella sua decadenza. Un intero spettacolo basato su un delitto infastidisce ma affascina, brutalmente, visceralmente."
Massacro Show è l'estremizzazione dello spettacolo ma è anche molto di più (infatti non so quale etichette inserire); è un delitto diventato reality che mette in vendita i propri reperti come feticistici oggetti di consumo e di idolatria; è un “massacro” del perbenismo e vouyerismo televisimo. Più realistico di un delitto vero, più raccapricciante della realtà stessa messa a nudo. In bilico tra installazione e teatro dell’assurdo colpirà di certo i visitatori. Lo potete seguire a questo link (http://massacroshow.blogspot.com) oppure cominciare da questo per seguirne tutta la vicenda (link).
E non perdetevi le magliette!!!
Il polacco Zbigniew Libera, conosciuto in Europa già negli anni ’80 per i suoi video voyeuristici, dopo il crollo del Muro di Berlino Libera si è dedicato alla pop-art giocando con le icone del consumismo occidentale, in particolare quelle legate al mondo dei giochi. La sua prima opera in questo senso è stata Ken's Aunt, del 1995: una Barbie di mezz’età prodotta, in collaborazione con Mattel, in 25 esemplari, completi di confezione. L’anno seguente si è dedicato al progetto Olocausto, realizzando sette scatole di set di montaggio di un campo di concentramento usando i celebri mattoncini LEGO.
Ogni confezione contiene un insieme di mattoncini che può essere utilizzato per costruire l'elemento di un campo di concentramento, come indicato sulla confezione. Tutti i pezzi sono stati presi da prodotti originali LEGO o sono stati leggermente modificati dall'artista: i detenuti vengono riprodotti da sorridenti scheletri da "pirata" set, mentre, modificando leggermente le figurine da "stazione di polizia", ha ottenuto i carnefici. In alto a sinistra di ogni scatola si trova la seguente dichiarazione: "Questo lavoro di Zbigniew Libera è stato sponsorizzato da Lego".
Al momento della sua presentazione in Danimarca la LEGO ha lanciato una serie di denunce contro l'artista tuttavia, a causa di una feroce campagna di stampa, ha deciso di abbandonare la causa. Nel frattempo il lavoro è diventato un'icona e, in diverse versioni, è stato esposto in gallerie e musei di tutto il mondo. Uno dei gruppi è stato acquistato anche dal Museo Ebraico di New York.
L'idea del logo aziendale, dell’identificabilità del prodotto e della sua affidabilità può essere facilmente legato con alcuni degli autori della Shoah: le più avanzate società tedesche quali Farben, Krupp, Siemens, Bayer AG, BMW, Daimler-Benz, Volkswagen hanno infatti tratto profitto dall'Olocausto attraverso l'uso di schiavi ebrei nel lavoro. Così il prodotto, in questo contesto, non ha nulla a che fare con posizioni etiche o morali, ma rimanda ad una partecipazione attiva alle atrocità.
Libera è stato accusato di antisemitismo e più genericamente di cattivo gusto, ma la morale contenuta nelle sue scatole di costruzioni risulta molto diversa. Secondo l’artista polacco gli elementi che conducono a un potenziale genocidio sono tutti intorno a noi, occorre solo che qualcuno metta insieme i pezzi. E lo stesso è delle sue scatole: con i mattoncini si può costruire un campo di concentramento ma questo dipende esclusivamente da chi costruisce nella misura in cui osserva ciecamente le istruzioni-ordini. Nessuno gli vieta di costruire qualcosa di completamente diverso. Il suggerimento del campo è solo sulla scatola ma chiunque, nel montaggio, potrebbe renderne nullo il senso realizzando qualcosa di positivo con gli stessi materiali; tutto si basa sul giudizio personale che riesca ad evitare quella banalità del male a cui oggi siamo assuefatti.
http://users.erols.com/kennrice/lego-kz.htm