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mercoledì 3 novembre 2010

Pasolini, Picasso e la GNAM


Bellissimo poemetto che vorrei segnalare sia perchè composto da uno dei miei scrittori preferiti, Pier Paolo Pasolini, sia perchè ambientato nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna, in occasione di una mostra su Picasso. Pasolini, che fu allievo di Longhi e non nuovo a considerazioni sul mondo dell'arte, coglie l'occasione di una riflessione sull'assenza del popolo nelle opere dell'artista per tracciare, col suo stile elegante e realistico, il ritratto molto attuale di un'Italia senza popolo, ovvero di una nazione sempre più distante dalla gente. Come sempre profetico. La poesia, da titolo Picasso, è tratta da "Le ceneri di Gramsci" (il libro intero su scribd


I
.. 
Nel tremito d'oro, domenicale  
di Valle Giulia, la nazione è calda,  
silenziosa: la sua innocenza è pari 
.. 
alla sua impurezza. Sembra arda  
di popolare gioia, ed è una noia  
irreligiosa che solare si sparge 
. 
sui floreali gessi e i gran ventagli  
degli scalini. Non è questo  
che l'atto in cui si sbriciola un'Italia 
. 
istituita, un anonimo ed onesto 
atto di civiltà... C'è chi lo compie  
tra le aiuole infuocate e il fresco 
. 
buio che le solca dai prorompenti  
pini di Villa Borghese, chi  
n'è riverberato nelle pompe 
. 
festive di Piazza di Spagna e si  
confonde in un brusio che trasale  
intorno monotono e stupendo: qui 
. 
è più acceso il senso di un'Italia  
vibrante in un'antica nota  
di pace, in una morte dolce come l'aria, 
. 
dove la classe più alta regna immota. 
. 
.
II
. 
E per la scalea l'anonimo, anima  
senza memoria, in un corpo immiserito  
da secoli di sogni umilmente umani 
. 
di borghese esperienza, ormai è mitico  
in questa domenica dorata  
che lo vede chiaro nel chiaro vestito. 
. 
Come d'improvviso appare ornata,  
la sua vita, di mite passione,  
e la sua mente (dominata 
. 
dentro il cuore dell'Istituzione  
dalla sua dignità dura e servile)  
come pare arda, immune testimone, 
. 
d'umile desiderio di capire... 
. 
.
III
. 
La prima tela dalla scorza intensa  
e ròsa, in un gemmante arabesco  
quasi artigiano, dipinta con terra 
. 
e nascosto fuoco: ancora fresco  
lo spirito del vecchio anteguerra  
vi mescola scandalo e festa, 
. 
l'abnorme del pensiero e il puro della  
tecnica, e ardente e affumicata  
la superficie i suoi toni inanella, 
. 
ceree corolle su zolla disseccata.  
Insegna della Francia più alta,  
quando il tramonto pareva un'infuocata 
. 
alba, e la disperazione espanta  
pena del creare, e il frantumarsi  
del secolo un suo disegno araldico. 
. 
.
IV
. 
Ma già gli spumeggianti e crudi figli  
in nuvole di biancore, in acciarini  
contorni, con purezza di gigli 
. 
e carnalità di cuccioli ferini,  
delineano pur nel lume di un'idea  
degna di Velásquez, pur nelle trine, 
. 
l'eccesso di espressione che li crea. 
. 
.
V
. 
L'espressione che sul pelo affiora  
del quadro, come da intimità viscerali,  
infetta di bruciante disamore, 
. 
e ne squassa la squama di tonali  
dolcezze, che, se resiste, e anzi  
irrigidisce, è per materiali, 
. 
inebbrianti cagli. Ma tra i balzi  
graffianti del pennello, la zona  
di quasi prativa luce, gli sfarzi 
. 
dei disaccordi, ecco l'Espressione: 
che s'incolla alla cornea e al cuore, 
irrichiesta, pura, cieca passione, 
. 
cieca manualità, impudico gonfiore  
dei sensi, e, dei sensi, tersa noia.  
A nient'altro che a questo ateo furore 
. 
poteva, nella cadente Francia, Goya  
cedere la sua violenza. Qui, a esprimersi,  
sono pura angoscia e pura gioia. 
. 
.
VI
. 
Dentro l'ordinata processione,  
orda del sentire e del fare,  
non del credere, paesaggi, persone 
. 
sono scheletri in cui corporeo appare  
il loro perduto essere oggetti: 
esprimerli è esprimerne il male. 
. 
La civetta patrizia con sul petto  
un avido verde o un viola che altro  
senso non ha che infiammare se stesso, 
. 
o nell'occhio uno sgorbio, folle e scaltro, 
a tradire; i fiori che s'incarnano 
a un feto o una seggiola e uno smalto 
. 
di toni che li incera nel composto  
ingranaggio; le spiagge dove gongola  
la gioia di un cadaverico agosto, 
. 
in cui l'inventare ha una mongola,  
monumentale libertà che nulla costa,  
una brutale libertà che il mondo 
. 
trasfigura per l'ignota forza  
che ha il vizio, che ha la voluttà  
dell'esibirsi: tutto porta 
. 
ad una calma furia di limpidità. 
. 
.
VII
. 
Quanta gioia in questa furia di capire!  
In questo esprimersi che rende  
alla luce, come materia empirea, 
. 
la nostra confusione, che distende  
in caste superfici i nostri affetti  
offuscati! La chiarezza che ne accende 
. 
le forme interne, li fa nuovi oggetti,  
veri oggetti, né conta, anzi è coraggio,  
benché delirante, che si rifletta 
. 
in essi l'onta dell'uomo che appannaggio  
fa dell'Uomo, l'onta dell'uomo più  
recente, questo, questo che con saggio 
. 
calore guarda evidenziata salire su  
nelle atroci lastre la figura  
di se stesso, la sua colpa, la sua 
. 
storia. Vede ridotte alla furia oscura  
del sesso le esaltanti repressioni  
della Chiesa, e dispogliata in pura 
. 
chiarezza d'arte la chiara ragione  
liberale; vede celebrata  
in riverberanti figurazioni 
. 
la decadenza della snervata  
borghesia ancora avida nel miope  
rimpianto e nel cinismo... 
. 
Ma che lietezza profonda e quieta  
nel capire anche il male; che infinita  
esultanza, che vereconda festa, 
. 
nell'accorata sete di chiarezza,  
nell'intelligenza, che compiuta attesta  
la nostra storia nella nostra impurezza. 
. 
.
VIII
. 
Poi ecco, colmo, l'errore di Picasso: 
esposto sopra le grandi superfici  
che ne spalancano in pareti la bassa, 
. 
fittile idea, il puro capriccio,  
arioso, di gigantesca e grassa  
espressività. Egli - tra i nemici 
. 
della classe che specchia, il più crudele,  
fin che restavi dentro il tempo d'essa 
- nemico per furore e per babelica 
. 
anarchia, carie necessaria - esce  
tra il popolo e dà in un tempo inesistente: 
finto coi mezzi della vecchia stessa 
. 
sua fantasia. Ah, non è nel sentimento  
del popolo questa sua spietata Pace,  
quest'idillio di bianchi uranghi. Assente 
. 
è da qui il popolo: il cui brusio tace  
in queste tele, in queste sale, quanto  
fuori esplode felice per le placide 
. 
strade festive, in un comune canto 
ch'empie rioni e cieli, borghi e valli,  
lungo l'Italia, fino all'Alpi, spanto 
. 
per declivi falciati e gialli  
frumenti - nei paesi della smarrita  
Europa - dove ripete i balli 
. 
e i cori antichi nell'antica  
aria domenicale  Ed è, l’errore,  
in questa assenza. La via d’uscita 
. 
verso l'eterno non è in quest'amore  
voluto e prematuro. Nel restare  
dentro l'inferno con marmorea 
. 
volontà di capirlo, è da cercare  
la salvezza. Una società  
designata a perdersi è fatale 
. 
che si perda: una persona mai. 
. 
.
IX
. 
Sfortunati decenni così vivi  
da non poter essere vissuti  
se non con un'ansia che li privi 
. 
di ogni quieta conoscenza, con l'inutile  
dolore di assisterne la perdita  
nella troppa prossimità... Muti 
. 
decenni, di un secolo ancor verde,  
e bruciato dalla rabbia dell'azione  
non trascinante ad altro che a disperdere 
. 
nel suo fuoco ogni luce di Passione.  
Le ultime stanze gremisce la pura  
paura espressa in cristalline zone 
. 
d'infantile e senile cinismo: scura 
e abbagliata l'Europa vi proietta 
i suoi interni paesaggi. E matura 
. 
qui, se più trasparente vi si specchia,  
la luce della tempesta; i carnami  
di Buchenwald, la periferia infetta 
. 
delle città incendiate, i cupi camions  
delle caserme dei fascismi, i bianchi  
terrazzi delle coste, nelle mani 
. 
di questo zingaro, si fanno infamanti  
feste, angelici cori di carogne: 
testimonianza che dei doloranti 
. 
nostri anni può la vergogna  
esprimere il pudore, tramandare  
l'angoscia l'allegrezza: che bisogna 
. 
essere folli per essere chiari. 
.
1953-

mercoledì 6 ottobre 2010

Pasolini e la Malinconia


Mi ha sempre colpito questa foto di Pasolini; il gesto è quello tipico del pensatore, o meglio, del pensatore malinconico, ma vi trovo anche un che di profondamente tragico, come di un'anima consapevole del proprio peccato e che medita, tristemente, sulla propria condizione di dannato, quasi mangiandosi le mani. In questo la foto mi ricorda diverse opere dell'800 nelle quali viene affrontata proprio la condizione infausta del peccatore dannato.

Franz von Stuck

Gustave Dorè, dalla Divina Commedia

Jean-Baptiste Carpeaux, Ugolino e i suoi figli

Auguste Rodin, Il pensatore

Cfr. Dolore e meditazione. Figure della Malinconia attraverso l’Atlante della Memoria. Tavola 53

martedì 29 settembre 2009

La religione delle cose-Pasolini, il cinema e la pittura

“La mia pittura è dialettale: un dialetto come ‘lingua per la poesia’. Squisito,
misterioso: materiale da tabernacoli. Sento ancora -
quando dipingo - la religione delle cose”.

Questa la dichiarazione di poetica del regista ed intellettuale del ‘900 italiano più legato alla storia dell’arte (a cominciare dalla sua tesi di laurea sulla pittura italiana del Novecento). Diceva “A Roberto Longhi sono debitore della mia ‘fulgurazione figurativa’” e nessuna figura più di quella del grande critico poteva accostarsi alla sua vena creativa; continuava “Il mio ricordo personale di quel corso […] è, in sintesi, il ricordo di una contrapposizione o netto confronto di forme. Sullo schermo venivano infatti proiettate delle diapositive. I totali e i dettagli dei lavori, coevi ed eseguiti nello stesso luogo, di Masolino e di Masaccio. Il cinema agiva, sia pur in quanto mera proiezione di fotografie. E agiva nel senso che una ‘inquadratura’ rappresentante un campione del mondo masoliniano – in quella continuità che è appunto tipica del cinema – si ‘opponeva’ drammaticamente a una ‘inquadratura’ rappresentante a sua volta un campione del mondo masaccesco”.

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Fu un valente pittore dilettante ma al cinema riservò tutta la sua vena creativa squisitamente pittorica “La mia macchina da presa si muove su fondi e figure sentiti sostanzialmente come immobili e profondamente chiaroscurati. […] Non si può concepire una pala d’altare con le figure in movimento. Detesto il fatto che le figure si muovano.”

Fu attratto dai pittori della realtà: Caravaggio per esempio fornì i modelli per la rappresentazione del sottoproletariato romano ma se il Merisi raffigurava i Santi come popolani, lui ambiva a raffigurare i popolani come Santi. Per non parlare dell’affresco tracciato col Vangelo secondo Matteo. Attraverso però l’uso della pittura come artificio caricaturale (il film nel film, il quadro nel quadro, tableau vivant) raggiunse la massima rappresentatività pittorica. Sul colore dell’episodio La Ricotta riferiva “Intendo il colore esattamente come la musica, cioè come qualcosa che riguarda il cinema non nella sua sostanza semiologica o grammaticale, almeno per ora, cioè fino a quando la riproduzione dei colori non sarà oggettivamente perfetta, ma riguarda la sostanza estetica: è quasi un’aggiunta, appunto come la musica. Per questi motivi un regista è costretto a comportarsi, con il colore, in maniera un po’ estetizzante e formalistica, e questo è successo anche a me, benché in principio mi ribellassi”.

“I passi ‘pittorici’ del film sono citazioni con una funzione abbastanza precisa: sono citazioni di due pittori, due manieristi: Rosso Fiorentino e Pontormo. Ho ricostruito perfettamente i loro quadri, non perché rappresentino la mia visione delle cose, né perché mi piacciano: non ho proceduto ad alcuna ricostruzione in prima persona, ma semplicemente per rappresentare lo stato di spirito nel quale il regista, protagonista della Ricotta, concepisce un film sulla Passione. Concetto del tutto opposto al mio quando ho fatto il Vangelo. Queste citazioni rientrano così nel campo dell’esorcismo: ricostruzione esattissima, molto raffinata, molto formalista, proprio ciò che non avrei voluto fare nel Vangelo.”

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La dissacrazione della realtà della sua ultima terribile opera, Salò, richiama invece l’arte contemporanea in quanto dissacrazione del reale della quotidianità, del perbenismo, della tradizione; nel processo terroristico di privazione del senso vengono coinvolte infatti le avanguardie (Dadaismo, Surrealismo) che con le loro ossessioni sul sesso, sul non senso, sulla “crudeltà” diventano non modelli di composizione ma sottese esperienze di creazione artistica, delirio di un’umanità lucidamente degradata.

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E di seguito alcuni suoi autoritratti:

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