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venerdì 5 luglio 2013

Restituzioni 2013 Tesori d'arte restaurati


Marsilio Editori mette online, e scaricabile, questo interessante testo d'arte che riguarda i restauri eseguiti nel 2013. Ci sono le relazioni di restauro e le schede di diverse opere d'arte sparse sul territorio italiano, fra cui anche il polittico in alabastro di XV secolo realizzato dalla Bottega di Nottingham e conservato presso il Museo Nazionale di Capodimonte, (gemello al polittico in alabastro di Venafro), il cui restauro è terminato un paio di mesi fa; c'è il crocifisso ligneo di San Clemente a Casauria. Da reperti archeologici a cose Sette e Ottocentesche.

martedì 12 giugno 2012

La resurrezione di Lazzaro del Caravaggio restaurata






La Resurrezione
splendori e segreti

di FABIO ISMAN

DOPO 60 anni esatti, Caravaggio è tornato dal medico e si è fatto curare: la Resurrezione di Lazzaro, tarda meraviglia eseguita nel 1609 a Messina dove è, sarà mostrata a Palazzo Braschi, da venerdì al 15 luglio, dopo sette mesi di lavori all’Istituto centrale del Restauro che ha restituito colori e leggibilità all’opera, assolutamente ossidata e spenta, regalando anche tante sorprese. Il Messaggero ha ammirato in anteprima il risultato, e discusso con i medici che hanno guarito l’immensa tela, tre metri e 80 per due e 75, pagata, per Francesco Susinno, lo sproposito di mille scudi dal genovese Giovanni Battista de’ Lazzari (e per Lazzari, Caravaggio dipinge Lazzaro), amico d’un committente ligure dell’artista, Ottavio Costa. A Messina, Lazzari aveva una banca, il porto era allora tra i più rilevanti nell’intero Mediterraneo e non solo; la tela era per una sua cappella.
«Abbiamo scoperto che Merisi usa solo prodotti locali: la calce della preparazione contiene perfino resti fossili di conchiglie», racconta Anna Maria Marcone, che all’Istituto dirige i laboratori ed ha capeggiato l’intervento; «nella preparazione scura, ci sono le sue tipiche incisioni: per delimitare le figure, o indicarne l’inclinazione. E ancora, abbiamo scoperto che il quadro è costituito da cinque teli verticali e uno orizzontale; la cucitura orizzontale è più grossolana; la banda in basso, senza figure, è certamente successiva: l’opera era già stata inchiodata, ed abbiamo trovato i fori, prima che venisse aggiunta. Probabilmente, Caravaggio ha dipinto senza conoscere le misure dell’altare al quale la pala era destinata».
Il Genio aveva una gran fretta. «Ci sono mani dipinte per metà: il resto è preparazione; anche dei volti. Risaltano ancor meglio le lame di luce da cui cava le figure, come diceva Cesare Brandi, che nel 1951 restaurò l’opera per la prima volta. Sull’osso al bordo inferiore, l’artista crea la luce dipingendovi sopra una semplice serpentina». Occupa solo metà dell’immensa tela: la parte superiore è priva di figure. Accenna appena le pennellate sul corpo di Lazzaro: «Sembra arte moderna; ricorda l’ultimo Tiziano, il suo non finito», spiega Daila Radeglia, funzionaria che ha diretto l’operazione. «La luminosità del dipinto era perduta al 70 per cento», dice Fabio Aramini, del laboratorio di Fisica dell’Istituto, compiendo le misurazioni: finalmente, ora le figure risaltano. Nel 1951, i mezzi erano quelli che erano: si usò una resina naturale ormai caduta in disuso, che, nel tempo, ha creato problemi; gialla, poco trasparente, aveva causato quasi un cretto, tante crepe. «Il quadro è fragile; abbiamo usato un gel speciale, per non far penetrare negli strati di pittura i solventi», spiega Anna Maria Marcone. E il risultato è del tutto imprevisto, superiore a qualsiasi attesa; un capolavoro oggi ritrovato, che da sempre aveva dato grandi problemi. Andrea Suppa, che lo restaurò quando il quadro aveva appena 60 anni, morì d’infarto credendolo perduto nel tentativo di dargli luce. Gisella Capponi, la direttrice dell’Istituto, ricorda quello che, oggi, pare un paradosso: la Resurrezione era nella chiesa dei Crociferi (e si ignora come fosse la sua cappella), demanializzata e distrutta nel 1879 per creare la Camera di Commercio. E per fortuna non era più lì, ma in deposito, quando arriva nel 1908 il terremoto: distrutto l’edificio, ma salva la tela.
A guardarla, ci si ritrovano numerosi soggetti tipici di Caravaggio: una mano è analoga a quella della Cattura di Cristo di Dublino; la Maddalena, all’Annunciazione di Nancy; e su tutto, vicino al Cristo, l’autoritratto di lui: le mani giunte, quasi a supplicare il perdono. Il documento siciliano di questo quadro lo definisce ancora «cavaliere gerosolimitano»: non lo era più; a Malta lo avevano buttato fuori (e in carcere); era fuggito dall’isola come già da Roma nel 1606, per l’uccisione di Ranuccio Tomassoni. Gli restavano un anno da vivere, la fuga a Napoli, quella vana verso la capitale dei papi e la grazia. Chissà perfino se è passato da Palermo: la Natività, rubata dalla mafia nel 1969 dall’Oratorio di San Lorenzo, magari l’ha spedita.
Resta da dire chi ha compiuto questo miracolo, e chi lo ha reso possibile. Con Anna Maria Marcone, altri due docenti dell’Istituto, Carla Zaccheo e Emanuela Ozino Caligaris, «aiutati da cinque bravissimi allievi», dice la Marcone, «pagati duemila euro per sei mesi di lavoro; devo citarli: Mauro Stallone, Giorgia Pinto, Federica Cerasi, Alessandra Ferlito, Elena Santoro». Questi e altri fondi li ha forniti Metamorfosi, un’associazione culturale romana che realizza esposizioni (soprattutto con Casa Buonarroti a Firenze e la Biblioteca Ambrosiana a Milano), di cui è presidente Pietro Folena, un passato politico nei Ds. Spiega: «Più che essere mecenati, proviamo a risolvere problemi. In mostra, grazie alla Rai, ci sarà un video del 1974 di Giorgio Bassani, con la storia del restauro del 1951 e dell’Istituto, che poi accompagneranno la tela a Messina». Il resto è organizzato da Zetema, che gestisce il Palazzo e i musei romani.
Un ultimo codicillo: adesso che la Resurrezione è stata restaurata come si deve, non la si faccia viaggiare, per favore, di continuo. Ai quadri, fa male. Sei Caravaggio, dopo essere andati a Mosca, sono ora a Belo Horizonte, in Brasile, alla Casa Fiat della Cultura. Saranno ambasciatori d’italianità; ma per loro, ogni viaggio è uno stress grave.

dal Messaggero

La "Resurrezione", dal 15 giugno al 15 luglio, sarà mostrata a Palazzo Braschi, nella capitale, e farà ritorno al Museo Regionale di Messina non prima del 22 luglio.

 

domenica 7 novembre 2010

Il crollo di Pompei: una questione ideologica

Riporto questa lettera aperta del professor Ettore Maria Mazzola pubblicata dal sito De Architectura in merito allo scempio di Pompei. (Le Foto).




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Carissimi,
non vi nascondo che mi sento triste come se stessi scrivendo un messaggio di condoglianze.
Dopo il crollo della chiesa delle Anime Sante di L'Aquila, speravo che fosse chiaro oramai a tutti che il cemento armato non va d'accordo con le murature antiche ... sembrava che lo avevessero capito anche le soprintendenze. Nessuno ha mai smentito ciò che ebbi modo di scrivere 3 giorni dopo il sisma abruzzese.
Oggi siamo qui a dibattere se scrivere e come ... ma non vorrei che alla fine si scrivesse qualcosa che faccia sembrare che sia stato fatto solo per rivendicare il nome del "Gruppo Salìngaros" piuttosto che per rimpiangere un bene inestimabile che è andato perduto "grazie" all'ignoranza umana.
Abbiamo persone che ci amministrano, le quali preferiscono investire i nostri soldi per costruire il Maxxi (120.000.000 di Euro) e comprare una collezione di "opere d'arte" (60.000.000 di Euro) per dare un senso al "museo" di Zaha, pur sapendo che i nostri soldi dovremmo investirli per tutelare i monumenti che dovrebbero darci da campare con il turismo. 

E' venuto giù l'intonaco di una volta del Colosseo ed abbiamo scoperto che non avevamo i soldi per fare i lavori necessari ... anche "grazie" allo spreco di denaro per costruire (ed arredare) il Maxxi e il Macro; è venuta giù una parte della Domus Aurea, ed oggi la casa dei gladiatori, ma continuiamo a pensare a costruire una serie di edifici inutili concepiti per la società dello spettacolo, fondata sulla moda passeggera. Perché dobbiamo consentire ancora tutto questo?
Il cemento è un pessimo materiale, chi lo ha inventato non poteva conoscere i suoi effetti collaterali nel medio-lungo termine, tuttavia la Carta di Atene del '31 impose il suo utilizzo, e quello dei materiali sperimentali nel restauro dei monumenti ... si dicevano utili perché più resistenti e perché consentivano di riconoscere l'antico dal nuovo.
Oggi però, a distanza di tanti anni, tutti conoscono, specie nelle soprintendenze, ciò che il cemento armato ha provocato ai templi di Selinunte e di Agrigento, a Piazza Armerina, e via discorrendo, sicchè viene da sorridere - ma in realtà dovremmo piangere - leggendo che l'ex sovrintendente Guzzo abbia dichiarato che il crollo simile verificatosi a gennaio avrebbe dovuto imporre un monitoraggio!
Non un monitoraggio, bensì una sostituzione di tutti i restauri in c.a., avrebbe dovuto farsi sin da quando si è scoperto che quel maledetto materiale non ha nulla in comune con le strutture antiche, e che semmai le distrugge.
Il prof. Marconi racconta sempre della sua esperienza Pompeiana con la triste vicenda della Casa delle Nozze d'Argento ove l'impluvium venne a subire una sorte simile a quella dell'edificio odierno, grazie all'ottusità della sovrintendenza che si rifiutò di far realizzare (con soldi stranieri per giunta) la sostituzione della struttura in c.a. realizzata negli anni '50 con una nuova struttura in legno ... motivo del diniego? Sarebbe stato un falso storico!
Spesso le tragedie lasciano un profondo dolore, ma altrettanto spesso il sacrificio di qualcuno porta beneficio ai posteri. Mi auguro che quest'ennesimo scempio causato dall'idiozia umana serva da monito affinchè si possa finalmente vietare per legge l'uso del calcestruzzo armato, e ci aiuti a dimenticare per sempre l'ottusità del "falso storico".
Se non si fosse intervenuti per sostituire con travi in legno le travi in c.a. che negli anni '50 sostituirono quelle originarie della volta a carena palladiana, probabilmente tra un paio di anni avremmo dovuto rimpiangere per sempre la Basilica di Vicenza. Anche in questo caso dobbiamo dire grazie alla saggezza di Paolo Marconi che è stato consulente per questo restauro che consentirà ai posteri di godere della vista del simbolo di Vicenza.
Occorre rivedere di sana pianta l'insegnamento distorito che si è fatto negli ultimi 70 anni nella facoltà di architettura e di ingegneria, solo così sarà possibile garantirci una riformazione dei professionisti che dovrebbero sovrintendere ai beni culturali.
Per far questo sarà necessario non abbassare mai la guardia e premere affinché i media influenzino il corpo docente, ancora ottusamente ancorato ai dettami di Brandi e Pane per il restauro e di LeCorbusier e Bardi per l'architettura e l'urbanistica. L'avvento del Modernismo potè essere possibile anche e soprattutto grazie al bombardamento mediatico di riviste come La Casa Bella, Quadrante, Moderne Bauformen, L'Esprite Nouveau ecc. che, facendo il lavaggio del cervello alla classe docente dell'epoca, consentirono la messa al bando degli architetti tradizionali, da Frigerio a Brasini.
Sicchè oggi, 70 anni e passa di pessima gestione ideologica del nostro patrimonio, fanno sì che si debba invertire la rotta, ritornando ad operare come il buon senso aveva fatto in passato, costruendo e ricostruendo con gli stessi materiali e le stesse tecniche utilizzati dai costruttori originari degli edifici che necessitano interventi di restauro. Quella saggezza costruttiva e di restauro ci ha consentito di godere della fruizione di queste bellezze che il mondo ci invidia, non è più ammissibile che l'egoismo ideologico di una minoranza di tecnici, storici e critici possa continuare a distruggere il nostro patrimonio imponendo la lettura del nuovo e dell'antico.
Si rifletta inoltre sul fatto che quando si parla di restauro, se si va a leggere il dizionario o anche la legge 457, non si parla ci "conservazione" del bene, ma di ripristino dello stesso! Nelle soprintendenze si conosce solo l'idea di conservare (male), mai quella di "rimessa in vita" che il termine restauro prevederebbe.

Ettore Maria Mazzola

giovedì 17 giugno 2010

I restauratori francesi rovinano un Veronese

Gli italiani lo fanno meglio...il restauro, a volte senza soldi, sempre con la spada di Damocle della chiusura di importanti scuole (come l'icr, l'istituto che, sotto Brandi, ha insegnato al mondo le metodologie di un restauro moderno), ma di certo con professionalità ed esperienza che limitano di molto errori e incongruenze. Penso, a riguardo, a cosa è successo in questi giorni in Francia. Hanno suscitato grandi polemiche le operazioni di restauro portate a termine sulla Cena in Emmaus, uno dei capolavori del Veronese del 1660 custodito al Louvre. Gli esperti del museo parigino, dopo un lungo lavoro sull'opera, avrebbero dovuto restituire al quadro forme e colori originali. Invece qualcosa sarebbe andato storto e il volto di una delle protagoniste del capolavoro sarebbe stato stravolto. Come racconta in lungo articolo l'Observer di Londra un primo restauro avrebbe «mutilato parte del suo naso», mentre un secondo intervento avrebbe lasciato la donna «con una narice innaturalmente ampia e con le labbra gonfie». Il risultato, come si vede dall'immagine in basso, è la trasformazione delle fattezze rinascimentali della donna, tipicamente del Veronese, in un qualcosa di eccessivamente lezioso e innaturale come possono essere le fattezze delle donne di un Boucher. Errori grossolani del genere sono quanto di più distruttivo possa accadere ad un'opera d'arte in quanto alterano la sua percezione, veicolando istanze formali diverse. Immagino che Zeri, che tanto ha lottato contro questi restauri invasivi, avrebbe criticato aspramente.




continuando con l'articolo del Corriere:
CRITICI - L'accusa più grave arriva da Michel Favre-Félix, presidente dell'Aripa (Associazione per il rispetto e la salvaguardia dell'eredità artistica) che ha polemizzato sottolineando che i restauratori hanno colpevolmente modernizzato il volto della donna: «Veronese aveva immaginato una madre di nobile famiglia, che richiamava il volto della Vergine Maria. Invece la donna è stata trasformata in una caricatura di un'adolescente del ventunesimo secolo, con guance gonfie e un ridicolo broncio». Alla fine secondo il presidente dell'Aripa con quest'operazione di «modernizzazione» i restauratori hanno falsificato la fisionomia e l'intera espressione della donna e hanno commesso «errori davvero grossolani» . Il museo si è rifiutato di riconoscere che erano stati effettuati due restauri sull'opera nonostante le prove fotografiche dimostrassero chiaramente come il quadro fosse cambiato nel corso del tempo: «Si tratta di un incredibile autogol del Louvre», ha dichiarato Michael Daley, direttore di ArtWatch UK, associazione che supervisiona le arti restaurative e che dedicherà gran parte del prossimo numero della rivista ArtWatch UK Journal allo scempio portato a termine sul dipinto del Veronese. «Dopo le critiche comparse sulla stampa francese a seguito del primo restauro, il Louvre ha deciso di restaurare di nascosto e di nuovo l'opera, ma senza lasciare alcuna traccia di questa decisione».
ERRORI GROSSOLANI - Anche Daley pone l'accento sui «grossolani errori» commessi dagli esperti del Louvre. Dopo aver rivelato che questi ritocchi artistici assomigliano molto agli odierni interventi di chirurgia plastica, ha definito l’intero restauro «ingiustificato e insostenibile». Secondo il direttore di ArtWatch Uk oltre al naso che ha perso la sua fisionomia iniziale, anche le labbra sarebbero state modificate radicalmente diventando gonfie e senza forma: «Si tratta di una versione aliena del XXI secolo», taglia corto Favre-Félix. «Disonora il dipinto del Veronese». Mark Zucker, professore di storia dell'arte alla Louisiana State University e grande esperto di Rinascimento italiano è ancora più tagliente: «Il termine giusto per descrivere ciò che hanno fatto i restauratori è: scioccante».

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