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domenica 19 dicembre 2010

La Pie di Monet


Un quadro che mi ha sempre affascinato e che si adatta bene a questi giorni di neve e freddo. Spira da questa tela una sensazione di silenzio e di calma ma non solitudine, bensì il senso dell'attesa in una serena mattinata dopo la tempesta. 
Durante l'inverno del 1868, approfittando di un soggiorno vicino a Etretat, Claude Monet, che aveva appena 28 anni, realizza questo capolavoro di equilibrio pittorico. Il formato non è quello comune per un paesaggio. Il pittore, attento ai giochi dei contrasti, lavora con l'ombra e la luce utilizzando una gamma minima di colori: bianco, nero, marrone e blu. L'esercizio è rischioso ma Monet risolve sapientemente le differenti densità della neve con l'inserimento, più o meno forte, di colori nel bianco, conferendo per contrasto alle zone una luminosità eccezionale. La sensazione di quiete non dipende solo dal trattamento cromatico, ma anche dal rigore della composizione. il muretto divide la tela in due parti orizzontali uguali. al di sotto il campo di neve e l'ombra; sopra la casa e il cielo. L'orizzontalità è controbilanciata dalla verticalità degli alberi, e solo la gazza rimane decentrata rompendo l'equilibrio. Scrive al suo amico Bazille "Passeggio attraverso la campagna, che è molto bella qui e che trovo più piacevole d'inverno che d'estate".
La Pie fu rifiutata all'Esposizione dalla giuria del Salon del 1869 ma c'era già fermento nell'aria poiché la tela fu dipinta cinque anni prima della nascita ufficiale dell'Impressionismo.
Dal 1984 è al museo d'Orsay.

mercoledì 28 aprile 2010

Charles Moulin

Charles Moulin (Lille, 6 gennaio 1869 – Isernia, 21 marzo 1960).

Charles Moulin venne per la prima volta in Italia nel 1896 con la borsa di studio dell’Accademia di Francia, il famoso “Prix de Rome”, il più ambito riconoscimento per un artista dell’epoca che dava diritto ad un soggiorno gratuito nell’Urbe presso la sede dell’accademia, Villa Medici, per perfezionare gli studi pittorici. Vi aveva partecipato col suo amico Henri Matisse ma quest’ultimo, poco accademico, non aveva ricevuto neanche una menzione. Moulin si trasferì a Roma l’anno successivo e rimase catturato dalla luce e dal sole mediterraneo, ossessionato dalla possibilità di tradurre la luce in pastello. Nel 1901 tornò a Parigi e qui dipinse Orfeo ed Euridice. Conobbe una ragazza di nome Emilia e se ne innamorò, ma non la poté sposare perché già promessa a un ricco signore. Nel 1904 il pittore tornò in Italia e si fermò per alcuni mesi ad Anticoli Corrado, il paese delle modelle, nei pressi di Roma. In seguito giunse a Castelnuovo al Volturno, nel 1911 con l’intenzione di rimanerci solo alcuni giorni, per far visita ad uno zampognaro, tal Vincenzo Tommasone, che a Parigi era stato suo modello e che, durante le sedute di posa, soleva raccontare con toni poetici le bellezze dei suoi monti d’origine.
L’artista rimase così incantato dai paesaggi del luogo che decise di stabilirsi nel piccolo paese molisano per il resto della sua vita, rapito dal paesaggio e dalla natura prorompente dei monti e dei boschi delle Mainarde. Si allontanò dal paese solamente per brevi periodi: durante la prima guerra mondiale e in occasione di esposizioni a New York e alla Mostra del Salone di Parigi. Visse da eremita in una capanna sul Monte Marrone detestando il denaro (rifiutò persino un assegno vitalizio accordatogli dall’Accademia di Francia) e regalava i suoi pastelli ai pastori e ai contadini in cambio di una minestra o di una fascina di legna da ardere. Condusse un’esistenza libera, a contatto con la natura primitiva che egli cercò di comprendere e interpretare in ogni espressione. Affermava che “per fare il bello occorre vederlo” ma che per vederlo occorre conoscerlo (diceva ancora “Vorrei rendere il pensiero attraverso la natura, esprimermi secondo quanto mi detta, dentro lo scenario meraviglioso che mi circonda e nel quale io trovo la pace dello spirito”).
Viveva di decotti (corteccia d’alberi, foglie, erbe) che cucinava nella capanna che aveva costruito con le sue mani e che fungeva anche da suo studio. Solo rare volte scendeva in paese per un piatto caldo e in cambio donava i suoi quadri. Era gioviale e spiritoso e dalla vita estremamente frugale, per non dire eremitica: nella sua capanna possedeva poche cose tra cui una bambola di pezza che egli presentava come “la sua signora”. La gente del posto conserva di lui un’immagine leggendaria che lo vuole intento ad impastare erbe per procurarsi i colori o in atteggiamenti di familiarità con gli orsi. Nella bocca di chi lo ha conosciuto, Moulin (o meglio Mussiè Mulà, come soleva chiamarlo la gente del posto) era un mago che abitava tra i monti, parlava con gli orsi, realizzava pozioni miracolose e viveva con un serpente.
Non seguì per la forma alcuna corrente artistica, né per il contenuto sposò correnti di pensiero ma tradusse in pittura quello che in piena libertà vedeva e sentiva: l’arte, per lui, era la traduzione, con forme materiali, dell’immateriale, “il suo scopo è di commuovere e di incantare”. “Un neoclassico, un romantico, un purista, un impressionista? Né l’una né le altre di queste cose o tutte insieme, forse. Una creatura solare, certamente, che nella luce del meraviglioso paesaggio molisano trovò motivi sublimi per la sua vita e per la sua arte” (Sabino d’Acunto).
Alcuni dei suoi lavori sono oggi conservati nei musei di Versailles e di Lille ma la maggior parte appartengono a collezioni private; a Rocchetta a Volturno se ne possono ammirare diversi tra cui gli splendidi paesaggi presentati in questa sede e raffiguranti Castelnuovo bombardata dagli americani nel 1944. Ci piace immaginare che le vite di questi due singolari personaggi, Charles e Giaime, si siano incontrate tra i sentieri di Monte Marrone; in questo senso abbiamo riservato il giusto spazio a questi tre significativi dipinti.

Il rifugio su monte Marrone


Castelnuovo dopo il bombardamento conservata presso il comune di Rocchetta


giovedì 24 settembre 2009

Paul Gachet. Il “medico” degli impressionisti

 

Una delle più affascinanti figure della storia dell’impressionismo fu Paul Gachet. Fu medico della Compagnia delle Ferrovie del Nord ma fu anche un medico specializzato in omeopatia, uno psichiatra (nel 1852 ricevette un encomio per la sua tesi Étude sur la Mélancolie), un darwiniano, un socialista, uno studioso di chiromanzia, un collezionista e un mecenate sempre  generoso e amico di tutti quegli artisti che gravitavano intorno alla corrente dell’Impressionismo. Nel 1870 aveva partecipato alle riunioni della Nouvelle Athenes, conoscendo Manet e Degas prima di trasferirsi, nel 1872, ad Auvers sur Oise, dove ebbe inizio l' amicizia con Cezanne, Pissarro e Van Gogh.  Vero e sincero compagno dei pittori trascorse molto tempo con Charles Méryon durante la lunga degenza, seguì il recupero di Auguste Renoir dalla polmonite nel 1882, consigliò Édouard Manet contro l'amputazione della gamba.

Si ricorda soprattutto comunque l’amicizia con Van Gogh; il soggiorno di Van Gogh in casa del dottor Gachet avvenne dal maggio al luglio del 1890, quando il pittore, ancora una volta, attraversava un periodo di crisi per il matrimonio del fratello Théo e la nascita di suo nipote. Rendendosi conto della necessità di allontanare il fratello da Parigi, su consiglio di Pissarro Théo si era rivolto al dottor Gachet. Pissarro sapeva che il medico s'interessava di malattie mentali e pensava che avrebbe potuto avere un'influenza benefica su Vincent. Infatti il dottor Gachet con i suoi discorsi e con la sua terapia, che consisteva soprattutto nel consigliare all'ammalato di pensare unicamente alla sua pittura, contribuì a restituire un certo equilibrio allo sventurato. Ma un giorno, il 27 luglio, in assenza del medico, Van Gogh si sparò in pieno petto. Si può pensare che se fosse stato ad Auvers il medico avrebbe saputo dissuaderlo dal darsi la morte, o almeno avrebbe potuto curarlo efficacemente. Ma quando ritornò era troppo tardi.

Da questa amicizia derivò lo splendido ritratto del dottore, tra i suoi capolavori. Il dipinto è estremamente innovativo: Van Gogh abbandonò le pose statiche e convenzionali dei precedenti. Il triste volto del dottore, ebbe modo di affermare Van Gogh in una lettera indirizzata al collega ed amico Paul Gauguin, è  “l'espressione disillusa del nostro tempo” . In un altro messaggio al fratello Theo il pittore scrive “la testa con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto. Le mani sono mani da ostetrico, più chiare del volto”. A ciò si unisce lo splendido trattamento del colore e il ricorso alla classica iconografia della Malinconia (in riferimento sia alla tesi del medico che al suo temperamento saturnino). In un’altra lettera infatti scrive “In questo ritratto il dottor Gachet ha un’espressione malinconica, che talvolta appare come una smorfia quando la osservi. Ed è questo, tuttavia, che si deve dipingere. Perché ci si rende conto che a paragone dei vecchi ritratti, così calmi, c’è espressione e passione nei volti come li dipingiamo ora, un senso di speranza e un lamento. Triste, ma dolce, chiaro, intelligente. Molti ritratti dovrebbero essere così.”

Del quadro esiste un’altra copia conservata all’Orsay nella quale Vincent ha eliminato  il bicchiere e i libri, lasciando risaltare la pianta di digitale (al tempo usata come rimedio fitoterapico per la cura di diverse malattie) sul fondo rosso, trattando in modo più sommario lo sfondo.

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…Eugène Delacroix Tasso nell’ospedale di sant’Anna a Ferrara, citato da Van Gogh in diverse lettere e probabilmente ispiratore della posa del ritratto…

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…la Malinconia o Allegoria della Malinconia (con la classica mano sulla guancia)…

melanconiaDurer  rosa2 Jean-Baptiste Camille Corot, La Mélancolie

…il dottor Gachet…

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…la figlia e la moglie (Margherita Gachet) in due quadri di van Gogh…

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…Cezanne La casa del Dottor Gachet a Auvers, 1873 e il suo “giardino” dipinto da Van Gogh…

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…Il medico fu, come visto, artista dilettante e incisore (diede lezioni di acquaforte a Cézanne e più tardi a Van Gogh) e si firmava Paul van Ryssel; ecco alcune sue opere vicine allo stile dell’amico Vincent…

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…e suo il tragico schizzo di Vincent appena deceduto…

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…e per finire il primo e l’ultimo ritratto del medico realizzati rispettivamente da Armand Gautier nel 1859 e da Norbert Goeneutte nel 1891

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Fonti:

 http://www.artnet.com/magazine/features/robinson/robinson5-17-99.asp

http://it.wikipedia.org/wiki/Ritratto_del_dottor_Gachet

http://www.nadar1874.net/Gachet.html

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