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giovedì 29 novembre 2012

Il nudo più bello della storia del cinema


Le retour à la raison (II ritorno alla ragione)
(1923, b/n, muto, 4’)
interpreti: Alice Kiki Prime (Kiki de Montparnasse)

Realizzato in una sola notte, fu presentato tra fischi di disapprovazione alla storica serata del “Coeur à barbe”, organizzata da Tristan Tzara nel 1923. Privo di qualsiasi struttura e costruito con frammenti di pellicola impressionata, senza alcuna concatenazione logica, il film fece scandalo, secondo le intenzioni dell’autore. Man Ray infatti “filmò i movimenti di una spirale di carta ... e cosparse la pellicola vergine di spilli e di vari oggetti d’uso comune come bottoni c fiammiferi, i quali impressionarono la pellicola in modo tale che alla proiezione sembrava di assistere a una curiosa caduta di neve metallica. Un corpo di donna nuda e delle luci da fiera sono i soli elementi concreti di questo film.” (Ado Kyrou)

Man Ray che aveva lavorato intensamente nei campi della fotografia, della progettazione di oggetti, in un clima di ricerche prettamente dadaista si accosta al cinema intorno agli anni Venti. Il primo film di Ray "Retour à la raison", presentato nel 1923 durante la famosa serata dadaista "Coeur à barbe", fu realizzato praticamente in una sola notte con diversi materiali cinematografici, in parte già pronti.

Si può considerare come, almeno nella tradizione che prima ancora di tramandarci la copia ce ne ha tramandato la mitologia, un film confezionato "all'improvviso", una sorta di collage nato in laboratorio di montaggio. Esso dura pochi minuti ed è costruito al di fuori di ogni struttura formale e contenutistica, pochè vuole essere assolutamente provocatorio, come anche il titolo dimostra: infatti era tutto fuorchè razionale o razionalmente determinato.

Gli strappi reali della pellicola che si sono verificati nel corso della tumultuosa proiezione (anche questo fa parte della mitologia oramai inseparabile dal testo visivo) sono omologhi degli strappi metaforici del tessuto discorsivo e narrativo che il film realizzava. Le porzioni di pellicola impressionata senza ricorrere alla cinepresa, ma per semplice "contatto" di oggetti comuni (spilli, puntine da disegno, pepe e sale) sono altrettanti "strappi" alla scena illusoria in profondità prospettica della "storia" inscenata dal cinema narrativo (che eredita la scena prospettica della pittura e del teatro): un calcolato effetto di shock ci riporta alla superficie dello schermo, della pellicola, dell'emulsione.

Da questo punto di vista, il piccolo film di Man Ray realizza con la pellicola qualcosa di simile all'assemblaggio di ready made della "pittura" dada. D'altra parte, l'intrecciarsi degli elementi più sfrenatamente casuali con altri di raffinatezza fotografica molto ricercata (i sottili arabeschi dell'ombra di una tenda sul corpo nudo della modella, nella parte finale) ci portano dentro il procedimento tipico dell'arte di Man Ray, basato su un dosaggio di "caso" e "necessità", improvvisazione e rigore formale. (Man Ray e il cinema)




venerdì 26 agosto 2011

Entr'acte, un film dadaista

Entr'acte (1924) è un cortometraggio diretto da René Clair, scritto per un siparietto per il Relache Ballets al Théâtre desChamps-Élysées a Parigi. Relache si basa su un palinsesto di Francis Picabia, prodotto da Rolf de Maré con le coreografie di Jean Borlin.La musica sia per il balletto che per il film è stata composta da Erik Satie.
Per questa produzione, i dadaisti collaborando al progetto inventato un nuovo modo di produzione: instantanéisme. Il film completo dura circa 20 minuti e usa tecniche e soluzioni innovative come il rallentatore, il montaggio all'indietro, le inquadrature da sotto (per la ballerina), dei primitivi stopmotion per far scomparire la gente o far trasformare un uovo in un uccello. Nel cast apparizioni cameo di Francis Picabia, Erik Satie, Man Ray e Marcel Duchamp. Il direttore d'orchestra alla prima era Roger Désormière. In questa (definitiva) edizione la colonna sonora è stata eseguita nel 1967 da Henri Sauguet.

giovedì 25 marzo 2010

Duchamp, Schwarz e gli orinatoi


I critici tendono a considerare l’orinatoio di Marcel Duchamp, dal titolo "Fontana", come l'opera più importante del 20 ° secolo. Eppure, la sua posizione nel mondo del collezionismo non sempre ha rispecchiato il valore dell’idea. L’opera ha messo in discussione le nozioni di autenticità di opera d’arte, quando Duchamp nel 1917 ha prima acquistato un prodotto di massa, un dispositivo idraulico, e poi lo ha firmato "R. Mutt" (Fontana?). Ora, oltre 40 anni dopo la morte dell'artista, il problema della legittimità dell'opera rimane rilevante e orinatoi non autorizzati sono stati scoperti in circolazione in Italia. Il mondo dell'arte ama gesti concettuali paradossali, ma sembra che qualcuno potrebbe essere preso per il culo.
"Fontana" è stato il primo ready-made di Duchamp progettato per fare scandalo. L'artista, che era membro del consiglio della Society of Independent Artists, la cui mostra non aveva nessuna giuria, cercò da subito di imporsi in America. Sapeva comunque che la maggior parte delle persone avrebbe percepito il lavoro come uno scherzo, soprattutto se presentato da uno sconosciuto Richard Mutt di Philadelphia. Quando il consiglio di amministrazione votò contro, Duchamp e il suo principale mecenate, Walter Arensberg, si dimisero in segno di protesta –la storia fu rapidamente fatta girare sui giornali di New York.
Il ready-made ebbe il suo debutto in pubblico poche settimane più tardi in una rivista d'arte chiamata BLIND MAN. Una foto dell’orinatoio di Alfred Stieglitz fu pubblicata insieme al Manifesto fondante dell’arte concettuale, e comprendeva le celebri frasi: "Now Mr. Mutt's fountain is not immoral, that is absurd, no more than a bathtub is immoral. It is a fixture that you see every day in plumbers' show windows. Whether Mr. Mutt with his own hands made the fountain or not has no importance. He CHOSE it. He took an ordinary article of life, placed it so that its useful significance disappeared under the new title and point of view — created a new thought for that object." «Non è importante se Mr. Mutt abbia fatto Fontana con le sue mani o no. Egli l’ha SCELTA. Egli ha preso un articolo ordinario della vita di ogni giorno, lo ha collocato in modo tale che il suo significato d’uso è scomparso sotto il nuovo titolo e il nuovo punto di vista – ha creato un nuovo modo di pensare quell’oggetto».
L'orinatoio poi, come molti dei primi ready-made, fu criticato ecestinato. Così insignificante fu, al momento, il Pissoir porcellana che nessuno riesce a ricordare esattamente cosa successe all'opera in quegli anni, tanto che se ne persero le tracce.

"Fontana" non fu considerato un oggetto d'arte almeno fino a dopo la seconda guerra mondiale, quando Duchamp diventò una figura di culto tra gli artisti Pop. In risposta al desiderio del mondo dell'arte di vedere il suo leggendario sanitario, Duchamp autorizzò curatori ad acquistare orinatoi a suo nome nel 1950, 1953 e 1963. (Il primo è nel Philadelphia Museum of Art, il secondo è perso e il terzo si trova nel Moderna Museet di Stoccolma.) Poi, nel 1964, in collaborazione con Arturo Schwarz, un mercante d'arte di Milano, storico e collezionista, l'artista prese l’epocale decisione di rilasciare 12 repliche (una edizione di otto, con quattro prove) dei suoi più importanti ready-made, compreso l'orinatoio. Schwarz, che ora 86, ha continuato a scrivere il catalogo ragionato dell’artista-un libro scientifico con lo scopo di documentare l’opera completa di Duchamp.
Come anche pittore di baffi sulle cartoline della Monna Lisa, Duchamp aveva compreso il potere della riproduzione che rendere iconica (icona) una propria opera e consolida la reputazione internazionale di un artista. In effetti nove delle 12 "Fontane" ufficiali di Schwarz sono state inserite nelle collezioni dei musei ditutto il mondo (compresa la nostra GNAM). Delle tre in mano ai privati, una è a Bel Air, in California, un'altra è a Manhattan presso la famiglia Mugrabi, e l'ultima, di proprietà di Dimitris Daskalopoulos ad Atene, sarà esposta presso la Whitechapel Gallery di Londra questa estate.
Tra i numerosi paradossi degli orinatoi di Schwarz vi è il fatto che questi sono delle elaborate sculture di terracotta modellate sulla foto di Stieglitz del "originale". Ogni copia ha una storia, ma nessuna batte quella della numero 13. Soprannominata "il prototipo" e recante la firma di Duchamp, è passata tranquillamente per il mercato nel 1973 presso l’allora neonata galleria di Ronald Feldman a New York. Andy Warhol, che aveva visitato la galleria più volte, premette affinchè il sig Feldman scambiasse l'orinatoio con alcuni dei suoi ritratti. "Duchamp non fu venduto bene in quei giorni", disse il signor Feldman, "ma Andy comprese cosa volesse dire fare multipli perché in seguito ne fece lui stesso". Quando Warhol morì nel 1987, il suo orinatoio fu consegnato a Sotheby's come parte del suo gigante patrimonio di cinque volumi di opere. "Fontana" fu surclassata dalle stampe e ricevette una stima di $ 2.000-2.500. Fu venduta per $ 65,750 a Dakis Joannou, un magnate greco-cipriota, ed è ora esposta nella sala della sua abitazione principale di Atene. "Non riuscivo a credere che si potesse davvero", dice l'onorevole Joannou. "La gente non ha compreso la sua importanza storica, per cui abbiamo fatto un buon affare." Nel decennio successivo, la fama di Duchamp è aumentata ancora come la stima delle sue opere. Nel 1999 Sotheby's ha inserito un orinatoio Schwarz sulla copertina del suo catalogo di vendita Contemporary Art con un prezzo di $ 1,8 milioni.

I collezionisti d'arte contemporanea sono propensi all'acquisizione di singole opere, anche se in serie, ma non di edizioni limitate e non autografe. Alcuni possono essere costernati dall’apprendere che ci sono almeno altri tre "orinatoi Duchamp". Gio di Maggio, un collezionista la cui la Fondazione Mudima è a Milano, e Luisella Zignone, una collezionista di Duchamp con sede a Biella, hanno entrambi "Fontane" ricevute come regalo dal signor Schwarz. Sergio Casoli, un commerciante di Milano, parimenti dice di possedere una. (Egli ha rifiutato di mostrarla.)
Schwarz afferma che queste altre opere sono state fatte nel 1964 sotto la supervisione di Duchamp, ma non sono state incluse nella serie originale a causa di "imperfezioni". (E 'improbabile che ci possano essere più di 17 orinatoi di questa edizione, ma solo Schwarz lo può sapere con certezza.) Nessuno dei recenti orinatoi presentano la firma "Marcel Duchamp" che attesti il ready-mades. Tuttavia le Fontane possedute dal Sig. Di Maggio e dalla signora Zignone sono state esposte in istituzioni pubbliche a Basilea e Buenos Aires. In un'intervista, l’autorevole Schwarz a malincuore ha confermato che sta cercando di vendere una quarta "Fontana" per una somma che, una fonte ha riferito, è di $ 2,5 milioni. (Incalzato il signor Schwarz, ha detto che il prezzo richiesto dipende dal fatto che l'acquirente sia un museo, una collezionista dalla buona reputazione o uno speculatore.)
La fondazione dell’artista non è soddisfatta. Jacqueline Matisse Monnier, il presidente dell'Association for the Protection and Conservation of works by Marcel Duchamp, dice che "né mia madre né io ho mai sanzionato la vendita non di un ready-made non autorizzato." Vede attività di Schwarz come un fatto curioso, dato che "Arturo è stato un grande amico di Marcel". La madre della signora Monnier, la "Teeny", è stata sposata con Pierre Matisse, mercante, figlio di Henri, prima di sposarsi Duchamp, diventando erede sia delle opere di Henri Matisse che di quelle di Duchamp.
Alcuni studiosi di Duchamp sono indignati. Francis M. Naumann, uno studioso e commerciante che ha pubblicato molto su Duchamp, sostiene che questi orinatoi non possono essere considerati Duchamps a tutti gli effetti. "Per Duchamp, la firma era tutto", egli sostiene. "È l'elemento più importante nel processo di trasformazione di un oggetto comune di tutti i giorni in un opera d'arte".

Altri sembrano più ambivalenti. Daniella Luxembourg, co-proprietario del Luxembourg & Dayan, una galleria di New York che recentemente ha tenuto una mini-retrospettiva di Duchamp, dice circa il mercato sull’artista che "l'atmosfera è come quella delle reliquie in una religione", aggiungendo che "con la globalizzazione, le differenze tra ciò che è stato firmato da Duchamp e ciò che era nelle sue vicinanze diventeranno sempre più piccoli. "

Il rapporto di Duchamp col commercio non è stato mai ingenuo. Anche se ha preferito regalare il suo lavoro, piuttosto che venderlo, l’artista ha fatto una vita da mercante d'arte per molti anni. Duchamp è stato anche un grande giocatore di scacchi pertanto si potrebbe pensare che si sia portato avanti di molte mosse. Ci si chiede se l’ideatore del Dada, che metteva in discussione il concetto di opera d'arte autentica, non potrebbe essersi divertito nel confondere le acque del mercato attuale con questi discutibili "Fountains". "La mia produzione", ha detto una volta, "non ha alcun diritto di subire speculazioni".



martedì 10 novembre 2009

Arturo Schwarz, il Dada e il Surrealismo

Arturo Schwarz è uno storico dell’arte, saggista e docente che ha scritto saggi sulla Kabbalah, sul tantrismo, sull'alchimia, sull'arte preistorica e tribale, sull'arte e la filosofia dell'Asia, sull'anarchia. Grande esperto delle avanguardie del Novecento, in particolare del Dadaismo e Surrealismo, aveva una grande collezione di lavori di Marcel Duchamp, André Breton, Man Ray, Jean Arp che, donata allo Stato, oggi forma un nucleo di eccezionale importanza e qualità alla GNAM. Possedeva anche la più importante biblioteca al mondo sulle avanguardie che cercò di donare allo stesso modo allo Stato italiano ma un ministro, ritenendo quella “robaccia” materiale pornografico e anticlericale rifiutò; non accettando l’offerta di 2 milioni di dollari del Getty Museum lo storico regalò quell’immensa mole di testi allo stato d’Israele.

ARTURO SCHWARTZ

Storico dell’arte controcorrente ha maturato negli anni una visione fortemente spirituale e mistica sulle correnti di primo Novecento, con riferimenti al mondo dell’alchimia e delle filosofie orientali; riporto a riguardo una sua frase su Magritte che permette di cogliere le vastità del suo pensiero:

Sconcertava sentirlo sostenere che la conoscenza può dissipare l’ignoranza, ma non può chiarire un mistero. Al contrario, è il mistero che nutre la consapevolezza. Il compito dell’artista, secondo Magritte, doveva essere quello di creare apparizioni che rivelino il mistero assoluto. Senza mistero, nulla davvero esiste. Il mistero è ciò che deve esistere affinché la realtà sia possibile. È il mistero che ci consente di partecipare alla vita dello spirito. Le nostre sensazioni, noi stessi e la pittura, dovrebbero tutti e tre divenire una cosa sola col mistero che ci appartiene”. («Una giornata con Manritte»).

Di seguito segnalo due articoli online:

Il Surrealismo. Una filosofia di vita.

A proposito del Surrealismo e dei suoi detrattori.

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L’interesse sul personaggio è dato dal fatto che questi è il curatore dell’interessantissima mostra aperta al Complesso del Vittoriano a Roma, "La riscoperta di Dada e Surrealismo" (9 ottobre 2009-7 febbraio 2010) che si annuncia come una delle più imponenti e complete mostre mai realizzate sull’argomento. Oltre 500 opere tra olii, sculture, readymade, assemblaggi, collage, disegni automatici ripercorrono nella sua interezza la nascita, il susseguirsi dei Manifesti e delle principali mostre, il cammino figurativo dei tanti protagonisti di questi due movimenti rivoluzionari che tanto potere eversivo hanno avuto tra le avanguardie artistiche del Novecento e tanta influenza hanno esercitato sull’arte successiva alla prima metà del secolo scorso.

Questa mostra ha il grande pregio di offrire una panoramica, probabilmente unica per la completezza e la qualità delle opere esposte, dei soli due movimenti artistici delle avanguardie storiche che, oggi più che mai, hanno conservato la loro attualità e la loro carica eversiva. Arturo Schwarz sottolinea come “Dada e il Surrealismo siano stati gli unici due movimenti dell’avanguardia storica a non limitarsi a una rivoluzione visiva, ma a propugnare invece una rivoluzione culturale, nel senso maoista di “rivoluzione ininterrotta” e di abolizione dell’antinomia tra teoria e pratica… Dada e il Surrealismo suggerivano una nuova filosofia della vita”.

E’ sempre Schwarz a spiegare il titolo della mostra “Dada e Surrealismo riscoperti”. “Riscoperti” perché la maggior parte delle mostre dedicate a questi due movimenti si sono quasi sempre limitate a presentare i protagonisti più conosciuti dimenticando quelli che vi militarono che hanno invece contribuito a precisarne l’etica e l’estetica. L’esposizione al Vittoriano vuole offrire una panoramica la più esaustiva possibile di queste due filosofie di vita uniti dal comune scopo di rinnovamento ma divisi radicalmente sui loro scopi. Dada fu una rivolta per la rivolta partita dalla tabula rasa per negare in modo radicale tutti i valori; il Surrealismo si collocò sin da subito sotto il segno dell’impegno, dell’engagement altrettanto radicale.
Prendete un giornale. Prendete un paio di forbici. Scegliete nel giornale un articolo che abbia la lunghezza che voi desiderate dare alla vostra poesia. Ritagliate l’articolo. Tagliate ancora con cura ogni parola che forma tale articolo e mettete tutte le parole in un sacchetto. Agitate dolcemente. Tirate fuori le parole una dopo l’altra disponendole nell’ordine con cui le estrarrete. Copiatele coscienziosamente. La poesia vi rassomiglierà. Eccovi diventato ‘uno scrittore infinitamente originale e fornito di sensibilità incantevole…” : ecco cosa consiglia Tristan Tzara nel 1920 ed ecco sempre lui esclamare nel Manifesto Dada del 1918 che “Dada non significa nulla” e che “l’opera d’arte non deve essere la bellezza in se stessa perché la bellezza è morta”.

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Comunicato stampa della mostra.

mercoledì 22 aprile 2009

Grande Vetro - Grande Opera



Breton, nel manifesto del Surrealismo del 1924, dichiarò di voler assumere la sapienza Alchemica a modello di un “occultamento” per evitare assolutamente al pubblico di entrare nell’opera, ovvero tenerlo alla porta della provocazione, confuso e sfidato, così le avanguardie, spesso, cercarono dietro astruse e insensate provocazioni, di nascondere un sapere ermetico. Ne fu un anticipatore lo stesso Duchamp, massimo interprete del Dadaismo, il quale, nella sua opera "La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli", opera nota più brevemente come "Il Grande Vetro", cui lavorerà dal '15 al '23 senza portarla mai decisamente a termine, (nel '27 fu danneggiata durante un trasporto - ma Duchamp lasciò intatta la frattura del vetro considerandola un'aggiunta "casuale") nascose, dietro il precetto alchemico del “silenzio” un significato ben più profondo della stessa provocazione visiva. Come dice calvesi lo “spiritoso” nel suo lavoro, oltre a rimandare all’ironia e l’assurdo, che rimangono sempre principi fondanti, rimanda anche all’utopia spiritualista.

Il criptico sottotitolo dell’opera “La Mariée mise à nu par ses célibataires, meme”, "La Sposa messa a nudo dai suoi scapoli", può essere sottoposto ad una seconda lettura, secondo il principio delle doppie letture omofone largamente usato da Raymond Russell, e suona così “La Marie est mise à nue pas ses céli-batteurs”, ovvero “Maria è messa nella nuvola dai propri trebbiatori celesti o celi-trebbiatori”. Dietro l’apparente gratuità della realizzazione, allora, si cela un complesso sistema di simbologie; qualcuno l’ha definita “macchina autopoietica” la quale, esclusivamente in relazione alla propria autoreferenzialità e sistemi concettuali interni, mantiene una sorta di “autocomportamento”.
Maria “portata nella nuvola” è la Vergine Assunta e, in effetti, come nelle tradizionali iconografie dell’Assunzione, il Grande Vetro (notare il gioco di parole fra Grande vetro e Grande Opera) è diviso in due parti, terrestre e celeste; nella prima vediamo una nuvola con tre quadrati, nella seconda un parallelepipedo in prospettiva, simboleggiante un feretro vuoto; i “trebbiatori celesti”, invece, richiamano la definizione duschampiana dell’opera come “macchina agricola” e come “macchina a vapore” con “base in muratura” (ovvero il fondamento massonico-ermetico-filosofale che la spiega).

Nel linguaggio dell’alchimia la trebbiatura (“celeste”), l’assunzione della Vergine incoronata dalla Trinità e il denudamento della sposa sono tutte metafore, codificate nei trattati (come nell’immagine tratta dal Rosarium Philosophorum), che significano la purificazione della materia e la sua trasformazione in “pietra filosofale”. I dettagli sono molti:

La “macinatrice di cioccolato”, come l’artista chiama il congegno con tre rulli (la macina della Malinconia di Durer) che serve a triturare la materia “al nero” (indicata come cioccolato).

I sette “setacci” o “crivelli” che la sovrastano corrispondono alle sette chiavi delle operazioni e sono strumenti di progressiva raffinazione.

Il “mulino ad acqua” incorporato nel carro-sarcofago e con sopra le “forbici” a croce (secondo i termini di Duchamp) alludono al progressivo dissolvimento della materia la quale, una volta “dissolta”, sale al cielo come vapore.

Nel cielo la nuvola con tre finestre (allusive alla Trinità) ricondenseranno la materia per farla tornare sulla terra in forma di gocce fertilizzanti (rugiada filosofica) e dare nuovo avvio al processo alchemico.
L’opera così in sé è una continua polarizzazione di principi positivi e negativi e credo che la sua essenza risieda proprio in questa sua ineffabilità, in questa mancanza; il Vetro, ovvero l’assenza dell’ elemento che pone una distanza fra l’opera e l’osservatore, inoltre, contribuisce ad aumentare questa partecipazione passiva al processo, questa sorta di ermeneutica infinita che non finirà mai di colpire.
cfr. M. Calvesi, Arte e alchimia; M. Eliade, Il mito dell'alchimia.

Duchamp, Grande Vetro

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