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giovedì 19 marzo 2015

venerdì 20 dicembre 2013

Ritorno alla forma - La linea figurativa e realistica nell’arte molisana del Novecento

Amedeo Trivisonno, Natività 

Ritorno alla forma
La linea figurativa e realistica nell’arte molisana del Novecento

A cura di
Francesca Della Ventura
Tommaso Evangelista

Col patrocinio di
PROVINCIA DI CAMPOBASSO

21 dicembre 2013 / 12 febbraio 2014

Inaugurazione sabato 21 dicembre ore 18.00

Galleria Artes Contemporanea
Viale Elena, 60, Campobasso

Artisti:
Antonio D’Attellis
Antonio Di Toro
Walter Genua
Giovanni Manocchio
Giulio Oriente
Leo Paglione
Gilda Pansiotti D’Amico
Rodolfo Papa
Antonio Pettinicchi
Marcello Scarano
Amedeo Trivisonno
Vincenzo Ucciferri

Una delle peculiarità dell’arte molisana contemporanea è stata quella di non aver mai smarrito una spiccata linea figurativa. Fuori dalle correnti più significative, lambita solo superficialmente dalle tensioni del Futurismo, lontananel dopoguerra dai dibattiti sull’astrattismo, la regione ha mantenuto intatta un modo di saper dipingere e scolpire che affonda molte radici nella tradizione più nobile dell’arte italiana. Il merito principale del perdurare di tale tendenza è da ascrivere soprattutto a Amedeo Trivisonno e Marcello Scarano. Mentre il primo, Trivisonno, ha creato una vera e propria “scuola” formando diversi validi artisti in relazione, in particolare, all’arte sacra autentica, Scarano ha ispirato una ricerca sempre sulla forma ma letta in chiave maggiormente espressiva e intimista. I dibattiti sorti agli inizi degli anni Sessanta, di rottura e tensione, e liberazione di un’arte non più legata alla forma ma al concetto, andavano contro gli epigoni e gli esponenti meno innovativi della pittura, i cosiddetti “pittori della domenica”, ma mai contro i grandi maestri. Una collettiva sulla linea figurativa e realistica nell’arte molisana è un atto dovuto alla storia della regione per fissare alcuni punti certi, per riscoprire maestri dimenticati e soprattutto per mostrare un’arte sempre attuale e mai anacronistica, fatta di sapere tecnico e progettuale ma anche di spiccate doti creative; è anche un’occasione di studio e di approfondimento su artisti significativi del Novecento. Oltre alle opere di artisti storici si sono voluti esporre anche i lavori di pittori che, pur nel perdurare delle correnti e degli “ismi”, non hanno mai abbandonato il pennello e la forma. La collettiva ha diversi pregi. Ha la pretesa di concentrare su poche pareti un secolo di arte molisana seguendo la linea della forma; vuol presentare una rassegna quanto più completa ed esplicativa degli artisti figurativi molisani, ovvero di quei pittori che maggiormente hanno indagato la raffigurazione, mostrando legami, derivazioni e ispirazioni; cerca di rivalutare contesti poco indagati dalla critica, mostrando un ambiente estremamente vitale e di forte spessore tecnico e qualitativo. Parlare della forma significa indagare l’intima natura dell’arte, capace di schiudere, nel gesto personale del rappresentare, la visione concreta e spirituale dell’artista chiamato a farsi carico del reale per comunicarlo all’esterno. Se l’astratto è tensione emotiva e riconfigurazione in chiave sintetica dell’idea, la costruzione sulla e intorno alla figura comporta un perenne agire sulla struttura interna del dipinto per veicolare, nello scontro tra immagine e percezione, una personale osservazione sull’unicità del mondo.



giovedì 3 ottobre 2013

"San Francesco in estasi" di Rodolfo Papa

"San Francesco in estasi" di Rodolfo PapaAnalisi e riflessioni sull'opera, che verrà benedetta domani dal cardinal Cañizares (su Zenit)

La chiesa Parrocchiale di San Giulio a Roma dopo aver accolto, lo scorso 13 aprile, la tela raffigurante San Giulio I in preghiera[1] continua l’opera di riqualificazione degli spazi liturgici presentando un nuovo dipinto realizzato dall’artista Rodolfo Papa. La volontà espressa dai committenti è quella di conferire nuova dignità alla chiesa del quartiere Gianicolense che, costruita negli anni Sessanta, era rimasta incompiuta in quanto ferma alla sola cripta e pertanto sostanzialmente spoglia di ornamenti. Il decoro che deriva dalle opere d’arte sacra autentiche, ovvero universali, belle, narrative e figurative[2], è un segno di elevazione morale e spirituale, una difesa contro le spinte nichiliste della società contemporanea, un rifugio dalla bruttezza che sempre più spesso viene esaltata dai media e dalle arti, e infine un momento prezioso di didattica della fede se recuperiamo l’antico concetto delle immagini come Biblia pauperum. La tela che raffigura San Francesco in estasi verrà inaugurata solennemente il prossimo 4 ottobre durante la cerimonia presieduta dal cardinale Antonio Canizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.

L’opera sarà collocata di fianco al tabernacolo, già incastonato all’interno di una vetrata policroma e affiancato da due pannelli raffiguranti le specie eucaristiche del pane e del vino, e formerà con la precedente tela una sorta di pendant. Le due figure così disposte, San Giulio I, titolare della chiesa, e San Francesco, in omaggio all’attuale pontefice Francesco, guardano entrambe verso la custodia eucaristica guidando così lo sguardo del fedele in direzione del centro fisico e spirituale dello spazio. Nell’opera di arricchimento del patrimonio iconografico della chiesa è stato pensato inoltre di inserire, in futuro, sopra al tabernacolo, una sorta di “macchina” pittorica, ovvero un polittico comprendente diversi pannelli con la figura di Cristo risorto circondato dalla Madonna e San Giovanni Battista, dalle figure dell’Angelo e di Maria dell’Annunciazione, e sormontato dalle altre Persone della Trinità, il Padre e lo Spirito Santo. Due figure di angeli sporgerebbero poi dai due sportelli laterali mentre tutta la costruzione lignea sarebbe decorata con foglia d’oro costituendo così una vera e propria “Gloria” o macchina scenica come si usava nel Rinascimento.

La tela raffigura San Francesco in estasi, col volto rapito dalla luce divina e pertanto intento a fissare in alto, mentre poggia su alcune rocce sullo sfondo di un paesaggio naturale e di un cielo dai colori del crepuscolo. Il paesaggio, se letto come una raffigurazione compendiaria del monte della Verna, ci riporta anche al momento della stigmatizzazione. Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224, mentre si trovava a pregare in questo luogo il santo, caduto in estasi, avrebbe visto un Serafino crocifisso e al termine della visione gli sarebbero comparse nel corpo le piaghe di Cristo sulla croce («Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarno» Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XI). Per questa caratteristica, per la condivisione fisica delle pene di Cristo, San Francesco viene definito «alter Christus» e lo si intuisce bene nella tela di Papa in quanto la figura, nel momento della visione, con le braccia allargate viene ad assumere la posa di Gesù crocifisso. La pietra sulla quale poggia inoltre, a differenza delle rocce naturali che lo circondano e che sono mutuate dalle rocce leonardesche, è una pietra perfettamente regolare e deriva dalla pietra tombale, il lapis untionis, della Deposizione di Caravaggio. La citazione è molto evidente e anche in questo caso possiamo leggere il legame con la Passione di Cristo il quale dal momento della massima disperazione, ormai calato morto della croce e condotto al sepolcro, abbandonato dai discepoli e dimenticato dagli amici, risorto diventerà la pietra d’angolo delle successive generazioni e della Chiesa che su lui si fonda: «La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo» (Sal. 118). Anche San Francesco per il suo tempo, con i suoi insegnamenti e la sua predicazione, è diventato una colonna della Chiesa: come riportato nella Legenda maior Innocenzo III sognò l’umile frate che reggeva la Basilica del Laterano, a simboleggiare l’intera comunità cristiana, salvandola così dalla distruzione. Il santo è circondato dall’intera creazione, piante e animali sono il canto della natura ma anche un riferimento al suo Cantico delle creature, il testo poetico più antico della letteratura italiana composto, secondo la tradizione, proprio durante la permanenza sulla Verna. L’usignolo sulla destra, simbolo di re Davide compositore dei Salmi e quindi cantore della maestà e bellezza divina, diventa anche simbolo di Francesco che canta e scrive lodi a Dio mentre la lucertola e la rana, come nelle opere di Carpaccio, sono un’allusione alla morte. La lucertola inoltre, per la sua immobilità al sole, è anche simbolo di contemplazione della luce divina. Tra le piante mediche raffigurate in basso, tutte allusive di nuovo alla Risurrezione di Cristo dalla morte, compare vicino al piede anche il Tasso Barbasso (Verbasco) che, secondo la tradizione, aveva la capacità di conservare, di preservare dalla putrefazione e di trattenere in vita, assumendo quindi un significato salvifico.

A livello compositivo l’opera si può dividere in due parti: la zona inferiore caratterizzata dalle rocce e dagli alberi sullo sfondo allude alla morte e all’aspetto terreno della predicazione di Francesco, ma anche alla creazione divina e alla varietà della natura, la zona superiore, invece, contraddistinta esclusivamente da un cielo privo di nuvole, allude all’aspetto spirituale e mistico, alla preghiera e all’adorazione verso Dio. Il volto di Francesco, lasciato volutamente generico fuori da questioni filologiche sulla ricostruzione fisiognomica, nell’unione di grazia, dolcezza e misticismo è il vero centro del dipinto e il punto focale della scena. Con grande efficacia retorica, inoltre, Papa ha caratterizzato il cielo alle spalle in modo tale che un’aureola di luce circondasse la figura del santo patrono d’Italia e d’Europa. L’artista non è nuovo a tali ricerche sulla luce in quanto sovente adopera gli aspetti “atmosferici” del cielo come manifestazioni del divino: le sue sono delle vere e proprie teofanie, manifestazioni di Dio in forma sensibili, in questo caso nei colori del cielo. L’opera rispettando l’iconografia, anzi arricchendola con diversi spunti, e ponendosi nel solco della tradizione, ovvero della storia dell’arte sacra cristiana, dimostra ancora una volta come sia possibile proporre un’arte figurativa e allo stesso tempo non anacronistica, ovvero non fatta esclusivamente di citazioni e riferimenti al passato ma capace di offrire spunti nuovi. Recentemente Papa, nel corso del convegno Riflessioni sull’arte sacra tenuto presso il Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso per l’inaugurazione della mostra Immagine del Vespro, chiarendo i vari aspetti dell’opera d’arte e del rapporto dell’arte con il magistero della Chiesa, considerando l’espressione artistica come una delle più importanti dichiarazioni di fede che l’uomo può produrre, ha affermato come non rispettando l’armonia e la bellezza, distorcendo la forma, allontanandosi dal volto di Cristo, eliminando il sacro, l’artista rischia di cadere nel peccato della falsa testimonianza. Le opere di Papa, e la tela con San Francesco ne è uno splendido esempio, vanno esattamente nella direzione opposta, ovvero nel recupero pieno della tradizione e nella consapevole ricerca di una bellezza non negoziabile con le logiche contemporanee della presenza[3].

Tommaso Evangelista è storico e critico d’arte

*

NOTE

[1] Sull’analisi del precedente dipinto T. Evangelista, “Giulio I in preghiera” di Rodolfo Papa. Analisi e riflessioni sull’opera, http://www.zenit.org/it/articles/giulio-i-in-preghiera-di-rodolfo-papa-analisi-e-riflessioni-sull-opera

[2] A riguardo R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Siena 2012.

[3] R. Papa, La bellezza come valore non negoziabile, http://www.zenit.org/it/articles/la-bellezza-come-valore-non-negoziabile

venerdì 20 settembre 2013

Immagine del Vespro - Arte sacra al Santuario dell'Addolorata

La mostra Immagine del Vespro, organizzata da Don Massimo Muccillo, Vicario Espiscopale per il Santuario, e curata dallo storico dell’arte Tommaso Evangelista, prende il titolo dalle cosiddette Vesperbild, le piccole sculture in legno, nate in area tedesca nel 1300, che rappresentano la Pietà e il cui nome si riferisce all’uso, all’ora dei Vespri del Venerdì Santo, di meditare sulle cinque piaghe di Cristo morto che giace sulle ginocchia della Madre. Il legame, naturalmente, è con l’immagine dell’Addolorata come si è mostrata tante volte durante le apparizioni promuovendo anche un’iconografia del tutto nuova nell’emblematico gesto “sacerdotale” di offerta. Tale rappresentazione fu fissata sulla tela, per la prima volta, nel 1889 dal pittore romano Giovanni Battista Gagliardi e questa immagine, oggi in mostra, è diventata la riproduzione canonica degli eventi di Castelpetroso. Nell’esposizione si è voluto affrontare, allora, proprio il problema legato all’origine della prima immagine presentando tutte le opere presenti in Santuario che potessero ricostruire il percorso dell’icona. Parimenti si è voluto dare all’evento un taglio storico allestendo, per la prima volta, un percorso documentario sull’arte nel Santuario. Le opere di Amedeo Trivisonno (verrà presentata anche una pala d’altare, la Deposizione, tolta da una cappella per essere fruita in maniera più ravvicinata), di Marcello Scarano, di Alessandro Caetani (bozzetti della via Matris), della Famiglia Marinelli (calchi delle formelle del portale di sinistra), spesso bozzetti o studi preparatori o lavori fruiti per la prima volta lontano dal contesto liturgico, ci aiutano a ricostruire l’intera vicenda artistica del complesso monumentale che è stato l’ultima costruzione in stile neo-gotico ad essere completata in Italia. Anche i bozzetti della famiglia Chiocchio, di Oratino, che si occupò della lavorazione di tutte le decorazioni in pietra della chiesa, ci aiutano a focalizzare l’attenzione sull’importanza e la difficoltà dell’impresa, aprendo una parentesi su un settore, quello artigianale, spesse volte ignorato dalla critica. Unitamente alle opere legate al Santuario si è voluta arricchire l’esposizione presentando altri lavori dei maggiori artisti che vi hanno lavorato. Di Scarano, autore della Via Crucis del Santuario (in esposizione anch’essa), è stato esposto un inedito polittico con le storie di Cristo e altri soggetti sacri, tra i quali una splendida Deposizione; di Trivisonno, autore delle otto pale d’altare, è presentato invece un pregevole quadro sulla Sacra Famiglia e un’inedita opera giovanile, proveniente dalla chiesa di San Rocco di Carpinone, del 1927, probabilmente tra i primi lavori a tema sacro su tela e recentemente attribuita al pittore da Evangelista. Le opere di Rodolfo Papa, infine, oltre a testimoniare la continuità, in territorio molisano, della linea figurativa a soggetto sacro portata avanti prima da Trivisonno e poi dal suo allievo Leo Paglione, anch’egli in mostra, segnano un’apertura al futuro sia nell’iconografia (si veda la tela con l’Addolorata) sia nel patrimonio artistico della chiesa dato che lo splendido bozzetto per la decorazione della cupola va proprio nella direzione di un arricchimento, di bellezza e di teologia, del complesso. Infine, poiché deve rimanere sempre forte il legame tra la storia e il presente, si è dedicata una sezione alla collettiva d’arte. Una selezione dei migliori artisti molisani, pittori, scultori, ebanisti, che si sono confrontati con tematiche religiose o con la stessa immagine dell’Addolorata, ci aiuta a comprendere come il legame con le forme e la rappresentazione non deve essere mai smarrito se si vuol comunicare i messaggi dell’arte sacra autentica. Proprio la presenza di opere di grandi maestri locali, favorendo un interessante confronto di carattere storico e formale, conferisce autorevolezza e senso alle opere presenti in collettiva. I lavori selezionati, degni per l’indagine di un senso intimo che coinvolge la stessa idea del ruolo dell’artista nella società, ci raccontano del tentativo, con tutte le difficoltà legate al collasso del sistema artistico, di riappropriazione della struttura e del senso e, in linea generale, del “corpo” della pittura e dell’arte. L’esposizione di fotografie delle Officine Cromatiche, inoltre, dimostra come l’immagine del Santuario non perda mai il suo fascino e continui sempre, con la sua forma significante e le sue bellezze artistiche, a ispirare chi, per propria inclinazione, è alla perenne ricerca dell’aspetto, della luce e del colore. Lo studio nato in preparazione della mostra ha tentato di legare gli eventi delle apparizioni all’idea stessa di forma, analizzando l’iconografia (con i suoi modelli) e la fortuna critica dell’immagine dell’Addolorata; parimenti è stata fatta una ricerca mirata di fonti e documenti per ricostruire la storia artistica del Santuario, le tante testimonianze presenti nella chiesa e i diversi artisti che vi hanno operato, per dare una visione quanto più possibile organica dell’arte sacra in Molise come sintetizzata in questo luogo di fede. A conclusione l’idea di fondo dell’intera mostra, e degli studi, è stata quella di aver voluto creare, visivamente e concettualmente, una linea di continuità tra tutte le esperienze artistiche legate al Santuario per restituire una volta per tutte, alla critica e al fruitore, un fondamentale e purtroppo poco conosciuto frammento di storia artistica molisana.






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