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sabato 21 febbraio 2015

Come Van Gogh vedeva il reale

Storia dell'arte e ipnosi. L'ossessione del vortice, ovvero come Van Gogh vedeva il reale e come vide la notte stellata poco prima dell'alba del 19 giugno 1889. Ci voleva questo video per farmelo immaginare. Aprite su un'altra finestra l'opera a schermo intero, fate partire il filmato, guardatelo per circa un minuto dopodiché fissate la tela. Altro che neuroni specchio, funziona anche con altre opere (Ulivi e Campi su tutti) ma con questa è sorprendente. Provate poi a guardare similmente un'opera Futurista, in particolare di Balla o Boccioni, e comprenderete il grado e la qualità del loro studio sul movimento e la simultaneità.




martedì 24 settembre 2013

Tramonto a Montmajour - Un inedito di Van Gogh


Sarà visibile da domani al Van Gogh Museum di Amsterdam il dipinto Tramonto a Montmajour, solo di recente attribuito a Vincent Van Gogh grazie a nuovi metodi di analisi. Era dal 1928 che non veniva alla luce un'opera del pittore olandese, anche se la proposta di autenticare il Tramonto era già stata avanzata al Van Gogh Museum nel 1991, ma negata in quanto gli elementi non furono ritenuti sufficienti e la tela non presentava la firma dell'autore. Il dipinto risale all'ultimo periodo trascorso da Van Gogh ad Arles, precisamente al 1888, due anni prima della morte, sebbene il tratto pittorico, definito il 'segno di un momento di transizione' (così Meedendorp, uno degli studiosi che lo ha analizzato), abbia per lungo tempo portato a non riconoscere la mano dell'artista. A vent'anni di distanza, la possibilità di confrontare il Tramonto con i cenni contenuti nei resoconti epistolari dell'autore e di ricorrere a più sofisticate analisi chimiche dei pigmenti, ha permesso di identificare la tela con l'opera catalogata. Il rinvenimento sulla tela del numero 180, inoltre, ha permesso un raffronto con il catalogo ufficiale del 1891, dove, allo stesso numero, è appunto registrato l'olio Sole al tramonto ad Arles.Il paesaggio raffigurato è collocato in un'area campagnola della Provenza dominata dall'abbazia benedettina di Montmajour (in alto a sinistra), citata in diverse lettere dell'artista; allo stesso contesto geografico risale il dipinto Arles, le rocce, che ha in comune con il Tramonto anche il tipo di tela e l'anno di produzione e che, per questo, è stato un elemento di confronto importante.

martedì 20 marzo 2012

Van Gogh manga

In una lettera del1888 diretta al fratello Theo Van Gogh così scrive: "Studiando l'arte giapponese, si vede un uomo, indiscutibilmente saggio,filosofo e intelligente, che passa il suo tempo a far che? A studiare la distanza tra la terra e la luna? No. A studiare la politica di Bismarck? No. A studiare un unico filo d'erba. Ma quest'unico filo d'erba lo induce a disegnare tutte le piante, e poi le stagioni e le grandi vie del paesaggio e infine gli animali e poi la figura umana. Così passa la sua vita e la sua vita è troppo breve per arrivare a tutto. Ma insomma non è una vera religione quella che c'insegnano questi giapponesi così semplici e che vivono in mezzo alla natura come se fossero essi stessi dei fiori?".

E ancora in una lettera a Bernard sempre del 1888: "Voglio incominciare a dirti che il paesaggio qui  mi   sembra  bello come il Giappone, per la limpidezza dell’atmosfera e gli effetti allegri di colore, le acque fanno delle macchie di un bello smeraldo e di un blu sontuoso nei paesaggi  come si vedono nei crêpons giapponesi. I tramonti arancio pallido danno al terreno un colore blu. I soli sono giallo splendente e ciononostante non ho ancora visto il paese nel suo splendore estivo".

E' stato scritto molto sugli Impressionisti, Van Gogh e il loro rapporto col Giappone, in particolare con i maestri dell'Ukiyo-E ("immagini del mondo fluttuante) Hokusai, Hiroshige, Utamaro, Kunisada, Eisen. Per confrontare i dipinti rimando ai classici esempi proposti in questi link: Il giapponismo, Van Gogh giapponese, Van Gogh e il sole del Giappone. In questa sede, invece, vorrei proporre una sola opera di Van Gogh che mi sembra tanto moderna da poter essere scambiata per un odierno disegno manga che raffiguri un classico paesaggio urbano di Tokio. E' un disegno del 1887 e si intitola Strada con gente ed è di una freschezza e immediatezza che ritengo uniche, esplicativo per comprendere l'intimo legame dell'artista con l'atmosfera giapponese.


domenica 18 dicembre 2011

Le stelle di Van Gogh tra arte e astronomia e tutti i notturni: i colori della notte

Mi ero sempre chiesto quale fosse la cultura figurativa che avesse ispirato quel sorprendente quadro che è la "Notte stellata di Van Gogh", forse il suo unico lavoro pienamente simbolista. Questo interessante articolo lo spiega analizzando altri notturni di Vincent. Alla fine voglio aggiungere altre mie proposte e la quasi completa serie di notturni di Van Gogh, i quadri secondo me più poetici e suggestivi dove il colore si scontra con l'oscurità ed esce fuori da un completo ricorso ad un'immaginazione cromatica antinaturalistica ed emozionale.

«...guardare le stelle mi fa sempre sognare, così come lo fanno i puntini neri che rappresentano le città e i villaggi su una cartina. Perché, mi chiedo, i puntini luminosi del cielo non possono essere accessibili come quelli sulla cartina della Francia?».

Queste parole, scritte da Vincent in una delle famose lettere al fratello Theo, sono un'ulteriore conferma del fascino che quei "puntini luminosi" esercitavano sul pittore, ma basta guardare le sue opere per capirlo. Molti dei suoi quadri sono costellati di "puntini luminosi" sospesi nel blu e nel nero della notte che all'occhio inesperto e intento a soffermarsi sui dettagli possono anche sembrare messi lì a caso dalla fantasia dell'artista, ma non a quello di un esperto più avvezzo a guardare l'insieme. I "puntini luminosi" che Van Gogh vorrebbe ancor "più accessibili" sono stati infatti oggetto di un attento studio da parte sua che oggi a distanza di decenni suscita l'interesse degli scienziati.

Prendiamo ad esempio la Notte stellata sul Rodano, uno dei suoi quadri più celebri. Quando iniziò a lavorarci nel 1888, cioè prima di incontrare Paul Gauguin, Van Gogh si trovava già nella città di Arles, dove tra le sponde del fiume Rodano scoprì un punto adatto per rappresentare un soggetto che lo rende particolarmente felice. «Sto lavorando [...] a uno studio del Rodano, della città illuminata dai lampioni a gas riflessi nel fiume blu. In alto il cielo stellato con il Gran Carro, un luccichio di rosa e verde sul campo blu cobalto del cielo stellato, laddove le luci della città e i suoi crudeli riflessi sono oro rosso e verde bronzeo...», scrive infatti il pittore. Dettagli come questi attirano sempre l'attenzione di critici e curiosi che amano mettersi alla caccia del luogo e dell'esatto punto di osservazione da cui un artista realizzò un suo dipinto. Nel mondo dell'arte uno dei dibattiti più accesi in questo senso riguarda, ad esempio, il luogo in cui posò Monna Lisa quando Leonardo la ritrasse nel celebre dipinto. Tuttavia, nel caso dei cieli stellati di Van Gogh a interessare, oltre alle coordinate spaziali, sono anche quelle temporali. 


Per quanto riguarda in particolare La notte stellata sul Rodano, l'astronomo italiano Gianluca Masi è riuscito a stimare l'esecuzione del quadro in una notte compresa tra il 20 e il 30 settembre 1888 alle ore 22;30 grazie a uno studio accurato della posizione dei "puntini luminosi" dipinti da Van Gogh e nonostante un piccolo errore: la costellazione dell'Orsa Maggiore, rappresentata sopra le luci della città, appare infatti deformata, cosa che fa supporre una pausa di almeno quaranta minuti nell'esecuzione dell'opera, essendo il cielo notturno mutato col trascorrere del tempo. Forse il pittore si è dedicato ad altro, per poi riprendere il lavoro e fissare "erroneamente" le rimanenti stelle in una posizione diversa, fatto sta che questo particolare rende difficile ricostruire l'orario e la data esatte dell'esecuzione dell'opera. A questo si aggiunga poi anche la scoperta sempre da parte di Masi di una sorta di licenza artistica che Van Gogh si è preso raffigurando la costellazione in un punto diverso da quello reale, cioè in direzione sud-ovest piuttosto che a nord.

Studi simili sono stati fatti anche su Notte stellata, dipinto da Van Gogh l'anno successivo mentre si trova ricoverato presso la clinica psichiatrica di Saint-Rémy-de-Provence, sempre nel sud della Francia. Qui, il cielo che sovrasta Saint-Rémy e le Alpilles sullo sfondo, è rappresentato con vorticosi movimenti di colore un omaggio, forse, alla galassia Vortice M51 disegnata da Lord Rosse nel 1845 col telescopio più grande dell'epoca. Lord Rosse eseguì pionieristici studi astronomici e riuscì a risolvere in stelle alcune "nebulose a spirale", di cui all'epoca non si conosceva la natura e oggi sappiamo trattarsi di galassie a spirale. La prima galassia risolta in stelle fu M51, ed i suoi disegni della galassia assomigliano molto alle fotografie moderne (oggi M51 è nota come Galassia vortice). Riguardo ad esso Van Gogh scrive: «...come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura.» E tra i gialli e gli azzurri del firmamento s'identifica facilmente la luna all'ultimo quarto, una stella bianca vicino l'albero in primo piano (Venere) e la costellazione dei pesci. Grazie ad un software astronomico è stata identificata la data di esecuzione dell'opera nelle ore che precedono l'alba del 23 maggio 1889, difatti se si confronta la disposizione dei corpi celesti, la fase e l'altezza della luna ci si accorge che il cielo è il medesimo.


Lord Rosse - disegno della Galassia a Spirale




Sopra una galassia dall'opera Astronomia per amatori di Camille Flammarion, altra fonte di ispirazione. Per la Notte stellata propongo comunque altre ipotetiche influenze, tra queste di certo la grafica giapponese e forse l'arte megalitica.

Hiroshige - gorgo
Blocchi megalitici di Newgrange

Con lo stesso principio lo staff texano di Donald Olson alcuni anni fa ha studiato invece un altro quadro di Van Gogh, Luna che sorge (qui il suo articolo). In esso la campagna di Saint-Rémy appare in primo piano, e nello sfondo la luna piena che sorge sulle Alpilles. La posizione della luna ha fatto ipotizzare due possibili date di esecuzione: il 16 maggio e il 13 luglio. Tuttavia, secondo Olson dai covoni di grano rappresentati nel quadro, la seconda data è quella più certa: l'opera infatti è stata rappresentata alle ore 21;08 del 13 luglio 1889.


In Strada con cipressi e cielo stellato Van Gogh ha dipinto un allineamento di pianeti identificato nel 1988 da sempre da Donald Olson. Nel cielo si staglia un cipresso e per sfondo appaiono due puntini luminosi in compagnia della Luna. Egli è riuscito a identificare i pianeti Mercurio e Venere ben visibili al tramonto in quel periodo; ciò che il pittore ha rappresentato, quindi, è una congiunzione di pianeti avvenuta il 20 aprile 1890 tra le 19 e le 20 di sera.


La composizione fu una delle ultime eseguite a Saint Remy, poiché un mese dopo egli si sarebbe trasferito aAuvers-sur-Oise a trenta chilometri da Parigi. Qui dipinse una casa Bianca che ha destato ancora una volta l’attenzione dello staff di Olson. Su quest’opera Van Gogh scrive: «…una casa bianca nella vegetazione con una stella nel cielo notturno e una luce arancione sulle finestre [...] e una nota di tetro rosa.» Questo dipinto infatti si chiama Casa bianca di notte, ove domina in alto la luce di Venere che ha permesso a Olson di datare l’opera il 16 giugno 1890 ore 20, ossia sei settimane prima del suicidio dell'artista olandese. 


Queste scoperte avvenute un secolo dopo la sua morte hanno indubbiamente svelato l'istante temporale di alcune opere, nonché il valore di una tonalità, di un segno grafico o di un contrasto di colore; tuttavia non saremo mai in grado di svelare la ragione che spingeva Van Gogh a rappresentare su tela quei "puntini luminosi" incisi, appunto, come su di una cartina geografica in cielo.


E di seguito gli altri notturni del maestro, non solo di esterni ma anche di interni.












Il tema della sera e della notte percorre, come tratto comune, tutta l’opera di Van Gogh. L’artista vedeva la sera e la notte come momenti di raccoglimento e creatività, particolarmente adatti alla riflessione sugli eventi della giornata, e perciò «lavorava molto volentieri in queste ore buie che gli davano energia e ispirazione». Van Gogh «vedeva le travolgenti, inarrestabili forze della natura nello spazio aperto, sotto l’immenso cielo, quelle forze che rievocavano la sensazione dell’eternità dell’esistenza e nelle quali l’uomo poteva trovare conforto alla durezza del mondo».

Un bellissimo video-educational su uno dei quadri più famosi della storia dell'arte recente: la Notte Stellata di Vincent Van Gogh

giovedì 13 ottobre 2011

Van Gogh in 3D

Con alcune modifiche con photoshop Serena Maylon riesce a farci entrare realmente in un quadro di Van Gogh.







venerdì 7 gennaio 2011

Van Gogh e Gauguin a Arles. Lo studio del Sud


E ritornando sulla mostra di Van Gogh a Roma, approfondendo la notizia della messa in asta di una delle tele con girasoli che Gaugain dedicò all'amico-nemico Vincent (la tela col famoso occhio di Dio incastonato nel girasole), trovo notizia di una mostra datata ma, a mio avviso, tra le più significative realizzate sull'olandese. la mostra, realizzata a Chicago e Amsterdam nel 2002, si intitola Van Gogh e Gauguin, Lo studio del Sud, e indaga quel complesso rapporto di odio/amore che nacque tra i due artisti nei fatidici 63 giorni di permanenza di Gauguin ad Arles, rapporto fatto sopratutto di differenze di concezione sull'arte. van Gogh convinto della necessità di confrontarsi sempre con la natura, Gauguin fautore di un'arte simbolica e immaginifica, lontana dalla realtà. Una delle pagine più belle e drammatiche dell'impressionismo e dell'intera storia dell'arte che si conclude, la sera della partenza di Gauguin, col famoso episodio dell'orecchio. Così scriveva il giornale di Arles in giorno seguente "Domenica, alle undici e mezzo di sera, tale Vincent van Gogh, pittore nativo olandese, si è presentato alla casa di tolleranza N.1, ha chiesto di tale Rachel e le ha dato il suo orecchio dicendo: "Conservalo come un oggetto prezioso". Poi è scomparso. Informata di questo fatto, che non poteva essere che opera di un povero alienato, la polizia si è recata l'indomani matina presso questo individuo e lo ha trovato coricato nel suo letto senza quasi dare più segno di vita".


Riporto, riguardo alla mostra, questo esauriente articolo

"Il nostro dovere è pensare, non sognare". Firmato Vincent Van Gogh. Destinatario Paul Gauguin. Basterebbe questa sentenza, con cui di fatto si chiuse una breve e intensissima amicizia, per descrivere i caratteri di due esperienze opposte e incomunicabili. Se c’erano dei dubbi sulla radicale differenza che oppose l’uno all’altro i due mitici maestri dell’arte moderna, la mostra aperta prima a Chicago e poi ad Amsterdam li ha davvero fugati tutti. Una mostra straordinaria proprio per la chiarezza con cui si sono lasciate parlare, quasi gridare, le differenze. Una mostra d’impatto tale da non aver quasi bisogno di didascalie o di contestualizzazioni: il semplice accostare le opere che i due avevano dipinto nelle stesse ore e negli stessi luoghi in quei 63 giorni di vita comune ad Arles, imponeva evidenze elementari. Sarà stato anche questo fattore ad aver determinato il successo dell’esposizione, visitata da quasi un milione e mezzo di persone nelle due sedi? C’è, sinceramente, da pensarlo. 
     "Il nostro dovere è pensare, non sognare". Eppure era stato proprio Van Gogh a sognare a lungo quel sodalizio, primo nucleo di una comunità di pittori da radunare sotto il sole della Provenza. Era stato lui a tallonare l’amico Paul Gauguin, a farlo mettere sotto pressione dal fratello Theo, che di Gauguin era anche il mercante, e quindi teneva i cordoni della sua borsa. Decine di lettere scritte nell’estate del 1888 testimoniano l’ansia, l’impazienza, ma anche le enormi aspettative che Van Gogh riponeva su quella venuta. Gauguin, in quei mesi, stava in Bretagna, a Pont-Aven, un po’ malaticcio, e tergiversava con scuse anche un po’ patetiche, come la fatica del viaggio in treno per un artista debilitato come lui. Era di poco più anziano, già con un carattere da leader, tant’è che aveva un entourage di ammiratori e imitatori. 
Van Gogh era l’opposto, pieno di insicurezze, ingenuo nella vita, incapace di nascondere qualcosa di sé o di quello che faceva, come dimostrano le migliaia di lettere che ha lasciato, nell’arco, pur breve, della sua vita.
     Gauguin, al contrario, si muoveva sempre negli spazi dell’ambiguità, sia che si trattasse di decidere i propri comportamenti sia che si trovasse davanti al cavalletto. Se Van Gogh era monacale nel suo bisogno di cercare regole o presenze alle quali appoggiare la propria vita, Gauguin era insofferente di quelle giornate ritmate solo dal lavoro. Se Van Gogh ostinatamente s’attaccava ad ogni appiglio che la realtà gli offriva, Gauguin aveva come orizzonte finale la propria interiorità: lì il mondo iniziava e finiva.
     Per questo c’è davvero da credere che quando, dopo tanto esitare, si decise a prendere il treno che lo avrebbe portato ad Arles, aveva in realtà in testa solo il modo e i tempi in cui mandare a monte quel sodalizio. La fisicità della pittura di Van Gogh lo infastidiva, non sopportava quella materia grumosa e quasi fangosa, che, non si sa per quale forza, sulla tela s’accendeva di una luce a volte abbagliante. Addirittura non sopportava la cucina di Vincent, troppo grassa, troppo contadina, così poco ascetica come tutto nella vita di quello strano olandese che si ostinava a fare il pittore senza essere mai riuscito a vendere un quadro in vita sua.
     A partire da quel 23 ottobre 1888, martedì, ore 5 del mattino, quando Gauguin scese dal treno alla stazione di Arles, iniziò così uno strano duello, in cui uno dei due contendenti incassava, senza per nulla soffrire, e l’altro imponeva la sua volontà, senza assolutamente riuscire ad essere felice. Gauguin arrivò, come detto, alle 5 del mattino e subito sperimentò lo stile di Van Gogh. L’olandese, felice per l’arrivo dell’amico, aveva infatti parlato di lui a tutti nella cittadina, mostrando l’autoritratto che Gauguin stesso gli aveva inviato qualche settimana prima. Così la barista del caffè alla stazione lo riconobbe immediatamente: più che lo stupore c’è da immaginare il fastidio che quel primo impatto gli provocò. Lui, abituato a muoversi nell’indistinto, doveva convivere con uno che metteva tutto in piazza. Quanto poteva durare?


"Il nostro dovere è pensare, non sognare". Van Gogh, pur nella sua arrendevolezza e semplicità, era caparbiamente attaccato ad alcune evidenze elementari. Prima tra tutte, quella che non si può dipingere senza vedere, senza aver di fronte l’oggetto. Gauguin, al contrario, appena arrivato, aveva cercato di convincerlo alla pittura di immaginazione. Si mettevano con il cavalletto sullo stesso punto, dipingevano i ritratti alla stessa persona, come due allievi in accademia, ma i risultati erano sempre così lontani. Gauguin trasferiva le immagini in uno spazio mentale, le decontestualizzava dalla realtà, come creature fluttuanti in un nirvana. Sagome ritagliabili, ricollocabili in altri mondi, alleggerite di ogni concretezza e per questo ridotte a due dimensioni, cioè private volutamente di profondità. Ancor prima che arrivasse, Van Gogh aveva colto qualcosa di insano nel suo futuro compagno. "Mi fa l’effetto di un prigioniero", scrive al fratello. "Non c’è un’ombra di allegrezza. Non c’entra nulla con il mondo della carne, ma si può mettere sul conto della sua volontà melanconica. La carne nell’ombra è lugubramente rabbuiata". E poi ancora: "Gauguin ha l’aria malata nel suo ritratto torturato".
     Ma come, non era Van Gogh il depresso, lo schizofrenico, il perseguitato dal complesso di fallimento? Tra le sale della mostra di Amsterdam le parti si rovesciano con nitidezza. Gauguin, il grande Gauguin, si svela saturo di accidia, quasi ostaggio della sua ambiguità. Illude se stesso e gli altri d’aver trovato la via di fuga dai problemi formali e intellettuali che la fine dell’Impressionismo (l’ultima rassegna impressionista si era tenuta proprio un anno prima, nel 1887), aveva spalancato. In realtà passo dopo passo si cala in un orizzonte occulto e magico dentro il quale smarrisce anche la sua innata grazia di pittore, come dimostra l’ultima, quasi disperante, sala della mostra. Sulla parete finale c’è infatti quella natura morta con girasoli e manghi, dipinta nel 1901, in cui, nonostante il soggetto, si era persa ogni traccia dello splendore di Van Gogh. Al centro del mazzo compare l’inquietante occhio di Dio, dentro un girasole. Inquietante deriva mistico-magica di uno che aveva sempre diffidato della realtà.
     Dall’altra parte Van Gogh tiene botta. È felice di quel sodalizio, baldanzoso come un bambino. Organizza la vita sin nei minimi dettagli, con una cura ogni tanto sopra le righe. Assegna, senza batter ciglio, il ruolo di superiore a Gauguin, cui assegna, di sua sponte, la camera più bella. "Le nostre giornate passano a lavorare, lavorare sempre. La sera poi siamo sfiniti e andiamo al caffè, per andare a dormire presto! Ecco la vita!", scrive sempre al fratello in novembre. Gli piacciono anche le infinite discussioni in cui si infilano, e che qualche volta sfociano in litigate più o meno furiose. Da allievo accondiscendente accetta di dipingere su quella tela di juta, e non di lino come era sua consuetudine, che Gauguin, appena arrivato, aveva comperato. La juta, a trama larga, si beve il colore, e lascia sui quadri delle apparenze più che delle realtà. Trasforma le figure in fantasmi, toglie ogni appoggio alle cose. Scarnifica, spiritualizza la pittura. Anche la scelta della tela diventa così uno strumento per forzare la natura di Van Gogh. Gauguin aveva annunciato questa intenzione prima di arrivare ad Arles, con una lettera: "Un consiglio, non copi troppo la natura. L’arte è un’astrazione; la tiri fuori dalla natura sognando davanti a quella, e pensi più all’atto creativo che al risultato; è l’unico modo di ascendere a Dio...".
 Per Gauguin quindi la juta è un supporto ideale, per Van Gogh invece è una sfida: ma chi guarda i quadri dell’olandese dipinti sulla tela tagliata da quel rotolo di 20 metri (tra gli altri i due celebri Sedie e L’Arlesiana), non se ne accorge. Con la caparbietà contadina ha caricato a tal punto di materia quelle tele da averne vinto l’inerzia. 



L’aneddoto della tela alla fine dimostra solo come il pensiero sulla realtà, alla fine, sia comunque più attraente di ogni sogno. Una dinamica che a Gauguin sucita solo rancore. Come accadde in quel giorno di dicembre, in cui, per il cattivo tempo i due erano rimasti a lavorare in studio. Quel giorno avevano deciso di farsi il ritratto a vicenda. Gauguin raffigurò Van Gogh davanti alla tela, ma alle prese con un mazzo di girasoli. Pittura di fantasia, evidentemente, perché Van Gogh in realtà stava dipingendo in contemporanea il ritratto di Gauguin; e poi perché i girasoli in dicembre si poteva solo immaginarli. Per l’olandese fu un vero oltraggio. Guardò con terrore quel quadro, scrivendo al fratello: "Sono io, ma io diventato pazzo". 


Seguirono giorni di liti. E il giorno che Gauguin decise di andare a dormire alla locanda e di ripartire per il nord, Van Gogh, vedendo svanire il suo sogno, si tagliò un lobo dell’orecchio e lo consegnò incartato a Rachel, una prostituta della vicina casa di tolleranza. Paul Gauguin partì immediatamente, scrivendo a Theo che rompeva il sodalizio e che toccava a lui prendersi cura di quel fratello incontrollabile. Quanto a Van Gogh rimase qualche giorno in ospedale. Intanto la sua casa era stata messa sotto sigilli dalla gendarmeria, incaricata delle indagini dopo quel fatto di sangue nella tranquilla Arles. Solo un visitatore curioso si fece vivo, il 28 marzo 1889, chiedendo che gli venisse aperta la casa. Era Paul Signac, pittore già noto, uno dei maggiori rappresentanti del postimpressionismo. Quando gli aprirono la porta, restò abbagliato. Lasciò anche una testimonianza di quella visita: "Non dimenticherò mai quella stanza coperta di paesaggi sfolgoranti di luce". (Fonte).

 Il sodalizio di Arles     Cronologia di quei 63 giorni in cui i due artisti lavorarono assieme. Per amicizia, ma anche per darsi battaglia
     1888     20 febbraio: Van Gogh arriva ad Arles, da Parigi. Soggiorna per il primo periodo in una locanda, l’Hotel Carrel.
      Giugno: Van Gogh dipinge la serie del Seminatore.
     Primi contatti con Gauguin, per convincerlo a trasferirsi con lui a sud.
     Luglio: Gauguin è ancora in Bretagna, a Pont-Aven. Qui dipinge due quadri tra i più famosi, La visione del sermone eCristo nell’Orto degli ulivi. Van Gogh vuole imitarlo ma non ce la fa. Scrive al fratello: "Ho grattato un grande studio dipinto con degli ulivi, con una figura di Cristo blu e arancione e un angelo giallo... l’ho grattato perché mi sono detto che non bisogna fare delle figure di questo impegno senza modello".
     21/26 agosto: Van Gogh dipinge la celebre serie dei Girasoli, per arredare la stanza in cui starà Gauguin.
     16 settembre: Scambio di autoritratti tra i due. Quello che Gauguin invia a Van Gogh da Pont-Aven si intitola I miserabili. A Van Gogh il titolo non piace: "Non approvo queste atrocità dell’opera. La nostra missione è quella di non farle sopportare a noi stessi né di farle sopportare ad altri".
     7 settembre: Van Gogh entra nella casa di Place Lamartine, la celebre casa gialla, affittata in previsione dell’arrivo di Gauguin. È alle porte di Arles, "proprio all’ingresso del "paradiso del Sud""(Van Gogh).
     29 settembre: Van Gogh annuncia al fratello di aver dipinto la Notte stellata sul Rodano, forse il suo capolavoro.
     23 ottobre: Paul Gauguin arriva ad Arles.
     5 novembre: dipingono in studio il ritratto di Madame Ginoux, che Van Gogh intitolerà L’Arlesiana.     20 novembre: Van Gogh dipinge le due celebri seggiole (La sedia di Vincent e la sua pipa La sedia di Paul Gauguin).
     25 novembre: è la volta del Seminatore, un altro dei quadri più celebri di Van Gogh.
     Inizi dicembre: Ritratti reciproci. Quello di Gauguin a Van Gogh scatena una furiosa litigata tra i due.
     22 dicembre: dopo un nuovo contrasto, Gauguin annuncia a Van Gogh l’intenzione di partire. Nella notte l’olandese si taglia un lobo dell’orecchio destro. Viene ricoverato all’ospedale di Arles. Verrà dimesso il 7 gennaio.
     23 dicembre: Paul Gauguin riparte alla volta di Parigi.
     -------
     Vincent Van Gogh morirà il 29 luglio del 1890 a Auvers-sur-Oise, nel nord della Francia, dove il fratello l’aveva portato per farlo curare dal dottore degli impressionisti, Paul Gachet.
    
     Paul Gauguin nel 1891 partì per Tahiti. Si stabilì alle isole Marchesi, dove morì nel 1903.


lunedì 3 gennaio 2011

Impressioni su Van Gogh a Roma

L'impressione all'uscita dalla mostra Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna, presso il Complesso del Vittoriano a Roma, è di una soddisfazione a metà. Sono sempre stato diffidente delle mostre offerte dal Complesso poichè non sempre sono conformi alle aspettative; le considero le classiche mostre Blockbuster molto pubblicizzate che di importante hanno solo il nome ma poi si limitano a presentare opere non sempre all'altezza. Diciamo che non mi piace per nulla anche lo spazio espositivo, troppo angusto e articolato male per le troppe persone in fila. La mostra di Van Gogh è stata di livello basso, anche se il tema, il raffronto tra l'immagine della campagna e della città nelle sue opere, è interessante in quanto cerca di indagare quel complesso legame tra l'artista e la Natura nella sua evoluzione dalla scura pittura olandese di genere all'esplosione di colore impressionista. Fatto sta che alcune opere valgono totalmente il prezzo del biglietto e, anche se poche, giustificano le ore di fila. La speranza è che anche il pubblico meno addetto le ritrovi nella calca generale e nell'allestimento, altrimenti corre il rischio di trovarsi con un'immagine confusa e marginale dell'artista. Per le opere mi riferisco in particolare a Orti a Montmartre del 1887. 


In quest'opera, di formato relativamente grande, si notano le prime conquiste del colore; l'artista, giunto da poco a Parigi, risente dell'ambiente impressionista e del puntinismo di Seraut e Signac che cerca di riproporre. Ne risulta un quadro dai toni delicati, dove i principi del punto sono applicati marginalmente a vantaggio di linee e tocchi di colore già diversi da quelli di Monet. In particolare risultano commoventi proprio questi tocchi, queste barbe di colore incise meticolosamente dall'artista che aveva piazzato il cavalletto su un'altura dalla quale ritrarre la parte meno urbana del quartiere Montmartre. Commovente è la determinazione di Van Gogh nel cercare a tutti i costi la forma del paesaggio, nel tentare di rendere sulla tela il particolare e la disorganicità della natura. Trovo in quelle pennellate che cercano di liberare il colore la forza che tra poco esploderà nel sud della Francia mentre immagino il pittore da solo, perso sulla tela, con gli occhi ora sul paesaggio ora sui pennelli nel cercare disperatamente e con ostinazione di dar senso al dipinto.


Del tutto diversa è la tela Cipressi con due figure femminili del 1889. Direi quasi sconvolgente per me che non avevo ancora visto dal vivo un'opera del periodo più tardo. La tela è un tocco al cuore nell'assoluta predominanza della materia pittorica plasmata come fosse materia viva con la quale creare non un quadro bensì un bassorilievo. Il nero e verde scuro dei cipressi emerge, lo si sente quasi al tatto, con linee ondulate che cercano di seguire le fronde battute dal vento del sud. L'aria è calda ma sotto i rami l'ombra si fa buia e fresca eppure inquietante se agli occhi del pittore appare così tormentata, resa come un groviglio di tracce e rovi. Il cielo, invece, sembra seguire un moto proprio. Vi si scorge l'andare delle nuvole, stiracciate e tese come serpi, anche loro raffigurate con solchi di materia, con tubetti versati direttamente sulla tela dove il pennello apre linee, sollevando barbe, come l'aratro sui campi. Pittura materica e viva, si scorge quasi il Balzac del Capolavoro incompiuto, eppure i riferimenti ci sono se pensiamo alla pittura disfatta di Monticelli o al colore-oggetto di Rembrandt, sempre amato da Van Gogh. Verranno altri cipressi, raffigurati perché figure misteriose del paesaggio, obelischi di un verde così scuro da apparire alieno al resto del paesaggio, eppur questa tela mi sembra la più sentita e tormentata. Assoluto capolavoro che parla al cuore con la forza del colore.



Segnalo la tela con delle donne su un campo di neve del 1890 per la resa di un cielo irreale da tramonto, con linee azzurro cobalto e un sole spento, mentre rinvengo già quel tocco di colore vivo sulla linea dell'orizzonte in una primissima tela del 1883, così fiamminga, a rendere un rosso tramonto. In ambedue il lavoro degli umili.
Interessante la parte introduttiva con una serie di stampe collezionate da van Gogh e altre opere grafiche alle quali si ispirò; personali e intime alcune lettere alla fine del percorso. La calligrafia minuta e nervosa, intervallata da schizzi e disegni.

lunedì 19 ottobre 2009

L’opera grafica di Vincent Van Gogh

Voglio mettere in evidenza forse l’aspetto meno conosciuto dell’opera di Van Gogh. Vincent fu un prolifico artista (1000 disegni, circa 900 dipinti e 300 tra schizzi ed acquerelli) e tra le varie forme di espressione si cimentò anche con la grafica producendo dieci splendide opere: 9 litografie e un’incisione all’acquaforte. Van Gogh era un grande ammiratore degli incisori Britannici, i lavori dei quali venivano pubblicati su molte delle riviste più diffuse all'epoca. Memore di questi artisti, i cui lavori di grafica collezionava con molto entusiasmo, Van Gogh stesso iniziò a sperimentare la litografia nel 1882. Sebbene i risultati fossero incoraggianti, solo raramente Van Gogh tornò ad usare questa tecnica preferendo continuare ad accrescere la sua collezione; grazie alle molte stampe che possedeva riuscì a trovare l’ispirazione nei mesi bui passati rinchiuso nella clinica.

Ecco tutte le opere in ordine cronologico.

Lavoratore che affetta del pane, seduto su una cesta. Aia. Novembre 1882.

van gogh - lavoratore

Scavatore. L’Aia. Novembre 1882.

van gogh-scavatore

Uomo dell’ospizio. L’Aia. Novembre 1882.

Uomo dell’ospizio con cappello che beve caffè. L’Aia 1882.

van gogh-ospizio van gogh-caffè

Vecchio con la testa tra le mani (“alle soglie dell’eternità”). L’Aia 1882.

Tra le opere più significative del suo primo periodo dove forte si sentono implicazioni morali, etiche e religiose. L’incomunicabilità del vecchio e la disperazione in attesa di una vita eterna. Tema ripreso in seguito in un dipinto.

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“Sorrow”. L’Aia. Novembre 1882. (con disegno)

Forse il suo capolavoro grafico si riferisce a Clasina Maria Hoornick, detta Sien, una prostituta di circa trent’anni dal viso rovinato dal vaiolo, alcolizzata e in attesa di un figlio, già madre di una bambina. Van Gogh vede sul suo volto, sul suo corpo, i segni del dolore e delle avversità che le ha lasciato la vita, e per questo vede la bellezza di questa donna sfiorita. Decide anche di sposarla. I familiari non accettano la scelta e vorrebbero far interdire Van Gogh. L’artista infine, nel 1883, lascia Sien avendo perdute le speranze di redimerla. “Il mio grande desiderio è imparare a fare delle deformazioni, o inesattezze o mutamenti del vero; il mio desiderio è che vengano fuori, se si vuole, anche delle bugie, ma bugie che siano più vere della verità letterale”; così scriverà in una lettera ed in effetti questo crudo realismo, quasi espressionista, è indice della sua spiccata sensibilità e del suo amore che, per prima cosa, è sofferenza e ossessione. La malinconica posa della ragazza che la rende inafferrabile agli occhi dello spettatore traduce l’impossibilità del pittore di possederla. Il disegno traduce forse istanze simboliche per la presenza di diverse varietà di piante.

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Bruciatore di stoppie seduto in carriola con la moglie. L’Aia. Luglio 1883.

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Giardiniere presso un melo nodoso. L’Aia. Luglio 1883.

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I mangiatori di patate. Nuenen. Aprile 1885.

Capolavoro del periodo olandese, insieme alla tela, ritrae una semplice famiglia di lavoratori; l’accento cade sulle potenzialità espressive delle figure e della scena. E’ la sua opera più ambiziosa testimoniata dalla moltitudine di schizzi e disegni preparatori. La litografia si pone in linea con la cupa grafica delle incisioni di Rembrandt.

magiatori patate

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Ritratto del dottor Gachet: l’uomo con la pipa. Auvers-sur-Oise. Maggio 1890.

L’unica acquaforte dell’artista, tecnicamente non ineccepibile, si pone in linea con i due celebri ritratti del medico personale. Paul Gachet: il “medico” degli impressionisti.

acquaforte-van gogh

Riguardo l’argomento, per approfondimenti, si consiglia l'eccellente libro The Graphic Work of Vincent van Gogh di Sjraar van Heugten e Fieke Pabst.

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