mercoledì 17 ottobre 2012

Il medioevo: un nano sulle spalle di un gigante?


Ciro Lomonte
Il medioevo: un nano sulle spalle di un gigante?
Com’è stato possibile indire la “crociata delle cattedrali”.


Bernardo di Chartres[1] esortava gli allievi ad imitare gli antichi: “noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti affinché possiamo vedere più cose di loro e più in lontananza”. C’è anche una vetrata della cattedrale di Chartres dedicata a questo detto di Bernardo.

I cristiani si consideravano nani sulle spalle dei giganti – degli antichi – perché potevano vedere più di loro: “…non certo per l’acutezza della nostra vista o la grandezza dei nostri cuori che possiamo vedere più di loro, ma poiché siamo sollevati e portati in alto dalla grandezza dei giganti”. Se potevano lanciarsi in avventure impensabili era grazie alla grandezza di persone come Platone ed altri che li avevano preceduti, che avevano preparato il terreno per le loro conquiste.

Giovanni di Salisbury aggiunge che Bernardo ed altri suoi allievi si davano pena di conciliare l’aristotelismo ed il platonismo. Una delle cose strane della cattedrale di Chartres, dove è vissuto l’impulso platonico in maniera somma, è l’assenza di Platone. Eppure troviamo rappresentato due volte Aristotele. Viene da chiedersi come mai questi chartriani così amanti di Platone preferiscano raffigurare Aristotele.

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Fermiamoci adesso al XII secolo, perché fornisce le premesse indispensabili al tema del nostro incontro. Figura interessante ai nostri fini è l’abbé Suger[2], uomo di Chiesa e di governo, dato il ruolo che questo monastero ha svolto nella storia della monarchia francese.

In tale condizione, Suger riuscì a combinare il servizio di Dio con la fedeltà al re Luigi VII in forza di grandi capacità diplomatiche e amministrative e di una singolare tenacia. In questa prima metà del secolo XII, così ricca di fermenti di ogni genere, Suger è l’anti-Bernardo[3], almeno nella vita attiva. Dalla più influente personalità religiosa del tempo lo distingueva quasi tutto, compreso un certo disinteresse per problemi di dottrina o di regola. Su questo fra Suger e Bernardo ci fu una polemica, ma è significativo che l’altro e ben più famoso avversario di Bernardo, Abelardo, che ebbe l’ardire un po’ altezzoso di smontare il mito di san Dionigi l’Areopagita proprio quando era ospite all’abbazia, non venga preso in considerazione da Suger che per sistemare la faccenda piuttosto imbarazzante della sua appartenenza alla congregazione di Saint-Denis.

Ma ad opporre Suger a Bernardo e ai cistercensi è soprattutto l’aspirazione alla bellezza e al fasto dei luoghi sacri, l’uso dell’arte e dell’architettura in servizio della gloria di Dio. È questa la vera passione di Suger, passione tanto più forte in quanto fondata sull’opera di quel Dionigi al quale era intitolata l’abbazia.

Dionigi (pseudo-Dionigi per noi, forse un anonimo siriano che scrive fra IV e V secolo) inserisce nella sua teologia una metafisica della luce, che combina elementi neoplatonici e cristiani. La luce discenderebbe dall’Uno alla materia terrestre, che, pur oscurata, ne conserva qualche parte; la luce presente nel mondo è così guida e ascesa al divino come le materie che la possiedono: l’oro, le gemme, le vetrate. La luce è poi anche luce architettonica, ampiezza e altezza della costruzione: in questo modo il nuovo coro di Saint-Denis inaugura l’arte gotica dell’Ile-de-France.

Suger restò sempre profondamente convinto dell’utilità dell’impresa e del suo valore religioso e celebrativo. Forse intuì anche la modernità di certe soluzioni artistiche e architettoniche: lo dimostra il libello che egli ha lasciato sull’opera di ricostruzione di Saint-Denis. Che poi a questo si accompagnasse anche un’autocelebrazione, un rinascimentale desiderio di perpetuazione, è ipotesi improbabile quanto suggestiva.

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Il medioevo non sembra davvero un millennio di nani. Pensiamo ad alcuni giganti del XIII secolo: Federico II (1194-1250); S. Luigi IX (1214-1270), che proprio a Saint Denis si occupa della sistemazione delle tombe reali per garantire continuità ideale da merovingi a capetingi; S. Tommaso d’Aquino (1225-1274); S. Bonaventura da Bagnoregio (Giovanni Fidanza, 1217-1274); …

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I romani, grandi pragmatici con un notevole complesso di inferiorità nei confronti della cultura e dell’arte greche, sviluppano l’architettura senza rendersi conto della portata delle proprie conquiste. Saranno i bizantini a farne un uso consapevole (è la cultura classica che dà finalmente frutti maturi, vivificata dalla Rivelazione e dalla venuta del Messia). Gli arabi impiegheranno a piene mani le sofisticherie dell’architettura bizantina.

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L’architettura gotica si scatena. Le caratteristiche delle cattedrali rispecchiano una differente concezione della vita e del mondo. Lo sviluppo dell’edificio è in verticale, con la facciata serrata fra due alte torri. Tutta la struttura s’innalza grazie all’uso d’archi acuti o ad ogive, che permettono altezze mai raggiunte prima, sgravando il peso delle volte a crociera dalle mura laterali, destinate a divenir sovente immense vetrate colorate. Le linee di congiunzione degli archi formano un naturale punto di fuga che vola verso l’alto, l’abside si allontana e la magnificenza del luogo si fa sempre più grande.

Il linguaggio gotico, oggi rivalutato al punto da essere considerato tra i più prolifici e innovatori, ha anche una caratteristica del tutto nuova. Nonostante le differenze locali, più o meno marcate, i tratti nazionali e più spesso regionali, esistono alcune peculiarità distintive del genere, che unificano, per la prima volta dai tempi dell’antica Roma, le espressioni artistiche di tutta Europa.

Storicamente, l’arte gotica s’inserisce in un momento di forte cambiamento. Laddove l’impero entra in crisi, ad esso iniziano a sostituirsi le monarchie, che organizzano il potere politico e si appoggiano saldamente al nuovo ceto, contrapposto alla vecchia nobiltà feudale: la borghesia. Coesistono nel nuovo assetto sociale borghesi, ma anche antichi signori e soprattutto religiosi, che formano vere e proprie comunità e svolgono un ruolo decisivo nell’ambito della cultura in genere, dell’arte e dell’istruzione in particolare.

La cattedrale gotica è stata paragonata alle Summae medievali. Pensiamo all’universo rappresentatovi dagli artisti con pertinenza antropologica e teologica. In realtà il corrispettivo della Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino e della Divina Commedia di Dante Alighieri è la Sagrada Familia di Antoni Gaudí, iniziata nella seconda metà del XIX secolo e ancora in costruzione. Le cattedrali di quest’epoca sono opera corale di un’intera società, una vera crociata incruenta, a volte durata centinaia di anni. Impresa resa possibile dalle corporazioni di artisti e artigiani che avevano i loro spazi riservati (logge) nel cantiere.

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Lo sviluppo della tecnologia dell’arco a sesto acuto è legato alla nascita della scienza (non di quella sperimentale, galileiana). La riflessione sul Logos, nei termini in cui parla del Figlio di Dio il prologo del Vangelo di Giovanni, consente di comprendere che l’universo non è caos, come lo vedeva il pensiero classico, bensì è razionale e conoscibile. Con questo non intendiamo sminuire le sorprendenti conoscenze empiriche dell’antichità. Tuttora infatti non sappiamo come funziona la cupola del Pantheon. Della cultura architettonica del passato ci rimane soltanto il trattato di Vitruvio, i Dieci libri dell’architettura. Probabilmente l’incendio della biblioteca di Alessandria ha causato una perdita irreparabile.

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L’arte bizantina e quella romanica (specie quest’ultima, meno ieratica) testimoniano la grande unità di un’intera cultura. Ogni cosa stava al suo posto, in armonioso ordine gerarchico. Non è un caso che gli artisti prestassero maggiore attenzione prima alle cattedrali, poi alle sedi delle istituzioni e infine alle costruzioni domestiche. Inoltre tutte le arti erano unite, non frammentate. Tutto sommato gli esercizi piuttosto cerebrali della logica tardoscolastica hanno rotto questo equilibrio. È la tentazione luciferina della gnosi, sempre insidiosamente presente nel pensiero cristiano.

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Del gotico è impressionante la libertà artistica: l’universo rappresentato in pittura e scultura, architettura dis-ordinata, rapporto con l’intero cosmo. Questo dà molto fastidio al rinascimento e all’illuminismo.

È Giorgio Vasari ad utilizzare per primo il termine “gotico”, a definire quella che egli considera una barbara manifestazione artistica. L’arte gotica è barbara, appunto, come fosse realizzata dai Goti, perché non corrisponde al canone classico cui il rinascimento intende tornare.

Perduta con gli anni ogni accezione negativa, la definizione rimane ad indicare un’epoca artistica, con caratteri e stilemi comuni. Ma forse rimane molto da fare per comprendere che i veri nani sono gli illuministi che hanno cercato di ridurre la complessità del reale dentro le classificazioni dell’enciclopedia, in particolare il concetto stesso di stile. In fondo un nano può sempre rifugiarsi nell’ironia di fronte alla grandezza dei giganti.


[1] Questo monaco, che morì intorno al 1130, non va confuso con il contemporaneo San Bernardo, di cui si parla di seguito. Qui è citato da Giovanni di Salisbury.
[2] Suger fu abate dal 1122 al 1151 dell’antica abbazia parigina di Saint-Denis.
[3] La sua è un’audacia che può farsi temeraria contro una possanza (quella di San Bernardo e dei cistercensi) che può degenerare in sicumera.

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