lunedì 14 maggio 2012

L'arte sacra tra «FIDES ET RATIO». Riflessioni sull'ultimo libro di Rodolfo Papa

La lettura dell’inscindibile rapporto tra arte e fede e l’analisi delle dinamiche contemporanee getta nuova luce sull’odierno sistema dell’arte e sull’essenza più profonda della pittura proponendo una via d’uscita e un aiuto alla liturgia. 

Ci sono persone che passano una vita a mettere libri in una biblioteca ed altre che mettono un’intera biblioteca in un libro. Discorsi sull’arte sacra (edizioni Cantagalli 2012) di Rodolfo Papa si colloca in questa seconda categoria ed è effettivamente una summa del sistema dell’arte posta al servizio dell’arte sacra autentica. Papa mettendo a frutto la ricca esperienza ventennale maturata in qualità sia di storico dell’arte che di artista e spaziando tra filosofia, storia, teologia, critica d’arte e trattatistica artistica, avendo sempre come saldi punti di riferimento i testi magisteriali, compie uno studio tanto singolare quanto indispensabile. Singolare poiché difficilmente, nell’odierna letteratura sull’arte, si rinviene un volume che fonde con lucidità una lettura della condizione corrente con una riscoperta, e attualizzazione, degli scritti del passato; indispensabile poiché, evitando la strada delle ormai infinite ridefinizioni dell’arte approntate a partire da saperi particolari, evitando quindi ulteriori frammentazioni teoriche, cerca di uscire dal relativismo presente per proporre stabili e logici modelli di riferimento. La struttura scelta per analizzare tale complesso sistema è quella del discorso, come genere letterario e forma espressiva, che permette la focalizzazione su diversi punti e contemporaneamente l’avanzamento verso un obiettivo finale che è quello della definizione dei fondamenti dell’arte sacra. I vari capitoli affrontano diverse questioni particolari e comprendono riflessioni teoretiche ed exempla tratti dalla storia dell’arte e che aiutano a contestualizzare e definire i ragionamenti. Grande attenzione è riservata al chiarimento dei termini linguistici, indispensabili nell’economia dell’analisi, mentre l’uso abbondante della citazione, mai semplice riferimento bensì indicazione funzionale al testo, permette da una parte di seguire il rapporto tra scrittura e immagine nella storia del cristianesimo e dall’altra di conoscere testi contemporanei di studiosi che, pur lontani dal cristianesimo, arrivano ad intuire la soluzione del problema. 

Lo scopo del testo è quello di giungere a definire l’arte sacra e la sue proprietà intrinseche in un’epoca che non solo ha smarrito il concetto di arte, divenuto liquido e soggettivo, ma anche la nozione di sacro, una vera e propria apostasia per la quale Papa individua origini e conseguenze. Così ragionando l’autore arriva a proporre una definizione generale, tratta dai testi classici, che non presenta come dogma ma la innesta nell’odierna speculazione dimostrando come sia possibile ancora riflettere in termini positivi sullo statuto epistemologico dell’arte: ars est racta ratio factibilium. Questa enunciazione è la premessa per l’individuazione di almeno quattro caratteri fondamentali propri dell’arte sacra (e in special modo dell’arte della pittura): universalità, bellezza, figuratività e narratività. 

Il problema di fondo dell’odierna confusione circa lo statuto dell’arte risiede nell’impossibilità di giungere ad una definizione univoca capace di comprendere le diverse forme espressive sorte nel Novecento. Se un tempo c’era uno “stile”, inteso come modo di fare, maniera, che identificava l’artista o un gruppo di artisti accumunati da una stessa visione del mondo, nel contesto dell’attuale crisi dei valori è inevitabile parlare di “poetiche”. La “poetica”, che va a sostituirsi allo “stile”, caratterizza la scelta tecnica, soggettiva, materica e di gesto di un artista, secondo le sue capacità creative e culturali (parliamo infatti dei “sacchi di Burri”, dei “tagli di Fontana”, dei “ready-made di Duchamp”). Mentre uno stile è universale e trasmissibile, poiché rappresenta la totalità dell’esperienza (in relazione alla maniera e alla schola), la “poetica” è slegata dal contesto ed è in relazione solo ed esclusivamente col singolo. L’arbitrarietà del gesto si sostituisce alla solidità delle forme. Dalla nascita dell’estetica come disciplina autonoma in seno alla filosofia gradualmente, nella difficoltà di giungere a definizioni univoche, difficoltà che nasce dal tentativo di considerare l’arte esclusivamente come frutto dello spirito slegata dal dato artigianale, si è assistito ad una progressiva liberazione dalle regole in quanto è l’unica condizione creativa che rimane come possibile strada percorribile. Se a questo aggiungiamo l’erronea lettura evoluzionistica della storia dell’arte che considera ogni scatto successivo delle forme come un progresso arriviamo da una parte all’impossibilità di definire i limiti di questa crescita (ed per contrasto all’idea de “la morte dell’arte”) e dall’altra alla perenne ricerca di cose mai dette prime. Papa nel Discorso sulle Arti, molto intelligentemente, dopo aver analizzato diversi contributi di teorici e critici attuali (Warburton, Shiner, Danto, Belting, Didi-Huberman) mostrando le difficoltà nel giungere ad enunciazioni stabili ed omnicomprensive, propone la celebre frase di San Tommaso per la quale l’arte è la corretta ragione delle cose da fare (“rectra ratio”) e declina al plurale la questione: «se il termine arte è declinato al plurale, come un genere che comprende varie specie, la questione della sua definizione appare risolvibile, anche nella situazione contemporanea». In quest’ottica le “specie” della performance o dell’installazione o ancora della body art avranno bisogno di un proprio statuto e di peculiari regole che qualcuno dovrà fornire e così garantiranno, per diversità, l’identità e la definibilità per esempio della pittura e la possibilità di affermare ciò che è arte e ciò che non lo è. Osservando il sistema da questo punto di vista, inoltre, l’arte cosiddetta “contemporanea” con i suoi rituali di produzione, fruizione e storicizzazione appare ormai cristallizzata e l’apparente multiformità si dimostra già codificata e globalizzata dal mercato che, dalla Pop Art in poi, è espressione vuota di questa apparente creatività. Naturalmente non tutti i generi possono essere al servizio della Chiesa e a riguardo Papa più volte nei vari capitoli si sofferma sulle intrinseche differenze e sui pericoli. Revivals diatopici e diacronici, utopici e ucronici, il recupero del “pensiero selvaggio” e di un primitivismo originale, istanze liberali, libertine e neo-pagane, la ricerca dell’irrazionalismo e dell’esoterismo sono tutte strade cercate dall’Illuminismo in poi con lo scopo di introdurre forme nate da diversi sistemi d’arte per scardinare la struttura dall’interno e scristianizzare l’arte. A differenza del recupero della cultura greco-romana nel Rinascimento, recupero volto a cristianizzare gli elementi pagani, l’anacronismo proprio di diverse avanguardie storiche non ha rapporti con la Chiesa ma guarda a culture arcaiche e ad una visione distorta del sacro. Interessante e originale, il Discorso sulla Luce evidenzia come nell’arte contemporanea si sia passati «da una visione metafisica ad una materialistica» anche per colpa dell’abbandono e/o dell’eccesso della luce. Se in pittura la claritas, la chiarezza e lo splendore, cede il posto al colore, ovvero alla materia che non comunica più visioni celesti ma sempre più si accosta alle bassezze dell’uomo, in architettura avviene il contrario e l’eccesso di luminosità conduce ad una smaterializzazione che rigetta la dimensione creaturale della realtà. Indispensabile, il Discorso sulle immagini e sul corpo parte da un paradosso: pur vivendo in una “società dell’immagine” l’immagine (e il corpo) risulta essere assente proprio nell’ambiente liturgico (sostituita dalla parola o dalla “moda” dell’icona) dove più che mai ne è reclamata la presenza in quanto la religione cristiana comincia proprio con l’incontro con la corporeità di Cristo, di Dio fatto uomo. L’unica immagine accettata oggi è quella tecnologica che ha fini ben meno elevati. L’immagine patinata o artefatta, tecnicamente perfetta (“photoshoppata”), ci parla di un mondo che ha smarrito la ricerca di un’esperienza interiore, che rifiuta la complessità e l’apertura che solo un’arte che cerca di superare i limiti dell’imitazione può garantire. In quest’ottica è da rifiutare la fotografia, in quanto invadenza eccessiva del reale che annulla la mediazione personale, e di conseguenza l’iperealismo: a differenza della prospettiva nata per rappresentare il mondo, e le storie sacre, quanto più vicino temporalmente e spazialmente al fruitore, educando il senso della vista, l’immagine odierna appare disincarnata e non adeguata alla devozione. Nell’arte il corpo si è smaterializzato ripiegando sui suoi umori e liberando la struttura ossea tanto che oggi l’effige del teschio è tra le forme più saccheggiate e abusate. Fondamentale risulta allora il recupero della bellezza che Papa, riprendendo la dottrina scolastico-tomistica, considera nei termini ontologici di “trascendentale”: la bellezza è compiutezza, armonia e splendore (integritas, proportio e claritas) ed è associata alla bontà e al bene. La bellezza trascende l’uomo ed è capace di rivelargli qualcosa della realtà, in questo senso comunica anche la verità; l’uomo, da parte sua, è naturalmente incline ad accoglierla e incontrarla. Anche l’arte, specie se al servizio della liturgia, non può prescinderne dato che le opere d’arte sacra devono esprimere l’infinita bellezza divina e indirizzare le anime a Dio. Sono da rifiutare così le odierne relativistiche concezioni di bellezza (bellezza come assenza, come disarmonia, come straniamento) o le estetiche del brutto poiché come non esiste un male assoluto perché il male è la mancanza di un bene dovuto così non può esistere la bruttezza assoluta che è perdita del bello o non suo perfetto sviluppo. Il Discorso sull’arte sacra è la conclusione dei discorsi precedenti poiché ribadire la centralità delle immagini sacre appare sempre più fondamentale in una società “liquida” e “neotribale” che ha smarrito ogni legame con il trascendente. Come scriveva Joseph Ratzinger la crisi dell’arte è un «sintomo della crisi esistenziale della persona» e pertanto porre alcuni punti certi in un momento tanto confuso non può che essere un fattore positivo. Il capitolo è molto complesso ed esplicativo grazie al costante riferimento ai testi magisteriali dai quali emerge chiaramente come l’arte debba celebrare l’infinita bellezza divina ponendosi al servizio della liturgia, illuminata dalla Fede, evitando l’eccessivo simbolismo e l’esagerato realismo. L’arte sacra, a differenza delle più svariate espressioni creative che sembrano durare il tempo di un’esposizione in un contesto ormai saturo di novità e provocazioni, è sempre viva e si rinnova continuamente nel solco della tradizione. Date quali caratteristiche fondamentali e imprescindibili l’universalità, la bellezza, la figuratività e la narratività la libertà dell’artista (di fede) è molto ampia; la possibilità di riflettere sul passato, inteso quale repertorio di forme e modelli, per proporre visioni e iconografia nuove e comprensibili sempre aderenti al magistero apre spiragli positivi e Papa, da buon artista al servizio della Chiesa, ci mostra con questo testo come vi siano ancora strade percorribili e di come sia irrazionale parlare di “morte dell’arte”. E anche nell’ipotetico caso che tutto questo sapere venga a cadere e che la dimensione del sentimento, dell’istinto, dell’arbitrarietà si sostituisca al proficuo rapporto tra Fides e Ratio, riprendendo il paragrafo L’arte nella spiritualità in riferimento all’episodio della fissazione dell’immagine della Divina Misericordia, è confortante sapere di come vi sia comunque un Altro, al di la di critici e teorie, che continua a comunicare per immagini.

Tommaso Evangelista

Giovedì 24 maggio 2012 ore 17,00
Pontificia Università della Santa Croce, Aula Alvaro del Portillo
Piazza di Sant’Apollinare 49 – Roma

Intervengono:
S. E. Rev.ma Card. Antonio Cañizares Llovera
Prefetto della Congregazione per il Culto divino

Prof. Marco Bussagli
Accademia di Belle Arti di Roma

Prof. Antonio Paolucci
Direttore dei Musei Vaticani

Presiede
Mons. Luis Romera
Magnifico Rettore della Pontificia Università della Santa Croce

Sarà presente l’autore

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