mercoledì 29 febbraio 2012

Giovanni Reale - La stanza della Segnatura

Il filosofo Giovanni Reale, già autore di importanti studi sulle stanze di Raffaello, spiega in un sintetico quanto interessante articolo sul Corriere i significati della Stanza della Segnatura in Vaticano.


Le tre vie al Vero. Così Raffaello sconfigge il tempo. «Parnaso», «Scuola di Atene», «Disputa»: è il ruolo eterno di arte, filosofia e religione.

Nel 1511 Raffaello terminava i suoi grandiosi capolavori nella Stanza della Segnatura, studio del Pontefice, i quali esprimevano un vero e proprio programma ideale del pensiero della Chiesa rinascimentale. I tre grandi affreschi, che hanno assunto i titoli Il Parnaso, La Scuola di Atene e La Disputa, rappresentano, infatti, quelle che sono state considerate le tre grandi vie che l'uomo percorre nella sua ricerca del Vero e dell'Assoluto: l'arte, la filosofia e la religione. L'arte ricerca l'Assoluto mediante la poesia (espressa in varie forme), la filosofia mediante la ragione, e la religione mediante la fede. Raffaello rappresenta tali concetti in forme immaginifiche pressoché perfette e come paradigmi che si impongono nella dimensione del classico. Robert von Zimmermann nel suo trattato di estetica (1865) scriveva: «Shakespeare non è meno classico di Omero; anche Raffaello sta accanto a Fidia». E precisava: «La pura forma estetica del classico non include alcuna determinazione di tempo; il classico sta nel tempo, la classicità sta fuori dal tempo». E in effetti, quegli affreschi di Raffaello rimangono vivi oggi come cinquecento anni fa, e incantano chi li guarda, come incantavano il pontefice Giulio II che li aveva commissionati.

La Stanza della Segnatura, originariamente destinata a biblioteca privata di papa Giulio II, contiene i più famosi affreschi di Raffaello. Il tema del «Bello» è raffigurato nell’affresco del «Parnaso» (1510-11) con Apollo e le Muse e, tutt’intorno, diciotto poeti. Tra questi: Petrarca, Saffo, Omero, Dante, Virgilio, Boccaccio e Ariosto.

Il Parnaso è l'affresco meno studiato e meno gustato, anche perché è tagliato in basso al centro dalla parte alta di una porta che risulta disturbante. Alcuni rimangono perplessi per l'Apollo che sta al centro, e che si differenzia nettamente dalle raffigurazioni greche classiche. Ma esso rappresenta l'immagine tipicamente rinascimentale del dio, e rispecchia il concetto platonico dell'«ispirazione poetica», come viene presentato nel Fedro : «L'invasamento e la mania che provengono dalle Muse, impossessatesi di un'anima tenera e pura, la destano e la traggono fuori di sé nella ispirazione bacchica in canti e in altre poesie...». Incantevoli sono poi le Muse, raffigurate in molti casi con gli strumenti che le caratterizzano. I quattro gruppi di poeti sono suddivisi in lirici, epici, bucolici e tragici, secondo una formula esemplare; e alcuni di essi sono raffigurati in modo assai efficace, come per esempio Saffo, Omero, Dante e i tre grandi tragici greci Eschilo, Sofocle e Euripide.

Nella Stanza della Segnatura il «Vero razionale», o la filosofia, è rappresentato dall’affresco della «Scuola di Atene» (1509-11), con la raffigurazione dei grandi filosofi (al centro Platone e Aristotele)

La Scuola di Atene è certamente l'affresco di Raffaello più noto e più studiato a livello internazionale.Friedrich Adolf Trendelenburg scriveva che in esso i personaggi non rappresentano «un passato», bensì «la permanente attualità della storia» del pensiero, e quindi una storia contratta in un eterno presente. Edgar Morin, in Pensare l'Europa , scrive che nel Medioevo la «Scuola di Atene» era morta, la sua porta fu riaperta nel Rinascimento, e la sua perennità fu consacrata proprio in questo affresco nella Stanza della Segnatura in Vaticano. E conclude: «La riattivazione dell'eredità greca, merito originale del Rinascimento, diventa permanente. Da questo momento il pensiero, la poesia e l'arte europea rimangono ancorati a questa fonte». Raffaello rappresenta il pensiero greco dalle origini alla fine in ottica platonica, con le precise indicazioni dategli da Fedro Inghirami, straordinario conoscitore e amante dell'antichità. Inizia dalla raffigurazione del messaggio degli orfici (alla sinistra per chi guarda) con un sacerdote (raffigurato con il volto dello stesso Inghirami) che sta leggendo, da un libro appoggiato sulla base di una colonna, la grande rivelazione secondo la quale l'anima dell'uomo era un demone divino, che per un peccato commesso era stato rinchiuso nel carcere di un corpo, ma che attraverso una serie di reincarnazioni ritornerà a essere un dio fra gli dèi. La base su cui è appoggiato il libro orfico costituisce un simbolo del pensiero greco, che si svilupperà proprio come una colonna spirituale appoggiata su quella base. A fianco sono rappresentati i pitagorici e i filosofi presocratici che si sono ispirati all'orfismo, e in particolare Empedocle ed Eraclito (con le fattezze di Michelangelo). Nella parte destra è raffigurato lo splendido gruppo dei geometri con Euclide (nelle sembianze di Bramante), con accanto due personaggi simboleggianti la geometria e l'astronomia. Al centro, seduto sulla scalinata, è raffigurato Diogene il Cinico. In alto a sinistra sono rappresentati tre sofisti, Prodico, Protagora e Gorgia. Uno dei socratici vorrebbe scacciarli dal consesso dei filosofi, mentre Gorgia gli sta rispondendo: eppure ci siamo anche noi! Il gruppo dei socratici è splendido. Sono ben riconoscibili, fra i vari personaggi, Alcibiade e Senofonte. Al centro spiccano le due figure più belle: Platone (con il viso di Leonardo da Vinci) e Aristotele, con accanto gruppi di loro discepoli rappresentati in maniera superba. Dopo un gruppo che rappresenta un maestro con discepoli, è raffigurato da solo Plotino, che nel Rinascimento venne rivalutato e ammirato (nel 1492 Ficino pubblicava la traduzione delle Enneadi che ebbe importanza epocale). Viene raffigurato isolato, in quanto sosteneva che il vertice della vita perfetta consisteva in una eliminazione di tutto, e in una fuga verso Dio «da solo a Solo».

Il tema del «Vero soprannaturale» è illustrato nella «Disputa del SS. Sacramento» (o la Teologia, 1509), dipinta su uno dei lati della stanza che, sino alla metà del XVI secolo, non servì da biblioteca, ma da tribunale della Santa Sede, la «Segnatura Gratiae et Iustitiae», presieduto dal pontefice

L'affresco intitolato La Disputa è ispirato soprattutto al tredicesimo libro delle Confessioni (come ha dimostrato Heinrich Pfeiffer). In effetti Agostino, in quanto platonico, nel Rinascimento era stato rivalutato rispetto a Tommaso. Raffaello lo rappresenta a destra in modo imponente, mentre sta dettando a uno scrivano, mentre San Tommaso è raffigurato alle sue spalle a mezzo busto. «Disputa», sulla base del testo agostiniano, non significa una discussione, ma una «rivelazione» che viene data all'uomo dall'alto, e non (come molti hanno pensato) sul sacramento dell'Eucaristia, che nel grande affresco rappresenta solo un piccolo particolare, ma sulla realtà in generale, ossia Dio, la Trinità, le vite angeliche, gli evangelisti, i santi e gli uomini che cercano e discutono di Dio, rappresentati su tre livelli: quello sopraceleste, quello celeste e quello terrestre. La Trinità è poi rappresentata come un cuneo verticale, con al vertice Dio Padre, sotto di lui Cristo, cui segue la colomba simbolo dello Spirito Santo, con al di sotto di tutti l'ostia consacrata, simbolo di Cristo incarnato (e quindi della Trinità). La composizione di questo affresco è stata probabilmente la più impegnativa per Raffaello, come dimostrano le numerose prove e i bozzetti che ci ha lasciato. Alcuni lo considerano come il vertice artistico di Raffaello. Johann Friedrich Overbeck scriveva: «Giammai forse nella pittura è stato creato alcunché di più sublime di questa gloria della Disputa. Si vede il cielo aperto, e si resta rapiti come Stefano». E qualcuno lo ritiene superiore alla stessa Scuola di Atene.

Questi tre capolavori danno veramente il meglio di Raffaello, e fanno capire quanto sia vero ciò che Friedrich Nietzsche diceva di lui, considerandolo un vulcano e una straordinaria forza creativa naturale senza pari e irripetibile, quando scriveva: «Solo perché non sapete che cosa sia una natura naturans come quella di Raffaello, non vi fa né caldo né freddo apprendere che essa fu, e che non sarà più».

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