giovedì 16 aprile 2009

Tra corna e mascelle d’asino

L’iconografia non è una scienza perfetta ma legata alla storia della cultura; analizzare un particolare e la sua genesi-origine-trasformazione-migrazione è un affascinante modo per entrare nelle pieghe dell’immagine e cogliere appieno i suoi significati. Quello che voglio proporre oggi sono due esempi di come un’errata interpretazione dei testi porti a stravolgimenti del senso e alla comparsa di nuovi attributi.

Mosè viene generalmente raffigurato con barba bianca e capelli lunghi e sul capo sono raffigurate talvolta delle corna; questa rappresentazione trae origine dall’errata traduzione del termine “cornuta”, impiegato nella Vulgata da san Gerolamo per descrivere la faccia del profeta sceso dal monte Sinai dopo aver ricevuto le tavole della Legge per la seconda volta. Nel latino dell’epoca, infatti, quella parola significava anche “splendente di raggi di luce”. Il passo originale riporta così: “ignorat quod cornuta esset facies sua”, che letterarmente significa “ignorava che il suo volto era cornuto”.

Mosè cornuto-Michelangelo Sansone è tra le figure più eroiche dell’Antico Testamento; giudice per vent’anni, si batte per vincere i tradizionali nemici di Israele, i filistei. Numerose sono le sue prodezze: dopo essere stato consegnato ai filistei, a Lechi Sansone si libera dai lacci e con una mascella d’asino fa strage dei nemici; in seguito il Signore fa sgorgare dalla mascella d’asino dell’acqua per placare la sua sete. Quest’ultimo episodio, però, sembra derivare da un’errata traduzione del testo ebraico, dove è scritto che il Sansone beve alla fonte di Lechi, il cui nome significa appunto “mascella” ed ecco perché in molti dipinti è raffigurato mente si disseta con un’incomprensibile osso.

Sansone Vittorioso-Guido_Reni_1611

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