Riporto un articolo della dottoressa Stella Rudolph circa l’autenticità del tanto celebrato crocefisso di Michelangelo che, stando alle attribuzioni, dovrebbe essere la scoperta più sorprendente nel campo artistico degli ultimi decenni.
“Alla fine dello scorso febbraio la Corte dei Conti del Lazio ha avviato un’inchiesta sull’acquisto da parte dello Stato, da un antiquario torinese, del piccolo (alt. 41 cm.) Crocefisso in legno di tiglio per € 3.250.000,00 che da parecchi anni viaggia con un’assai controversa attribuzione a Michelangelo (peraltro non suffragata da verun documento). Con secca precisione Paola Barocchi lo definì “un’opera di rispettabile serialità quattrocentesca, legata ad un’alta tradizione di intaglio ligneo, che niente ha a che fare con Michelangelo e le sue opere giovanili”: infatti ben otto simili esemplari coevi vennero citati nel catalogo redatto quando la sculturina fu presentata in una mostra al Museo Horne nel 2004, tutti poi taciuti nell’occasione dell’esposizione in pompa magna a Montecitorio al cospetto entusiasta dell’attuale ministro Bondi. L’ipotesi è di un danno all’erario perché, se non di Michelangelo, quella cifra risulta enormemente di sproposito mentre, se l’opera fosse autografa, varrebbe tanti ma tanti milioni in più (un suo disegnuccio di un’Addolorata fu aggiudicato a € 10.200.000,00 in un’asta di Sotheby’s nel lontano 2001). Già Luciano Berti non volle codesto Crocefisso per la Casa Buonarroti, Mina Gregori ne sconsigliò l’acquisto alla Cassa di Risparmio di Firenze e Giovanna Melandri quando era Ministro lo ricusò (“non ci vidi chiaro e non comprai quel Cristo”): indi un coro di dinieghi ben argomentati da noti studiosi della materia. A questo punto urge una più plausibile identificazione dell’autore, onde bloccare l’insensato dispendio, e una soluzione si potrebbe trovare quasi dietro l’angolo (cioè a due passi dal Teatro del Sale). Infatti nella parete sinistra della chiesa di Sant’Ambrogio si trova lo squisito altarino intagliato da Leonardo del Tasso (1466-1500) con un suo San Sebastiano in legno policromo di pressoché uguale anatomia ed esecuzione; si tratta del deposito della famiglia del Tasso, dal primo ‘400 alla metà del ‘500, esponenti della più “alta tradizione di intaglio ligneo” fiorentino e d’altronde in rapporto col Michelangelo (vedasi l’eccezionale cornice del suo Tondo Doni agli Uffizi, di qualche anno posteriore, riferita a loro). Perché non prendere almeno in considerazione questo valido, anzi logico, candidato come l’artefice responsabile del manufatto invece di scomodare il nome del grande maestro?”.
Fonte: Ambasciata teatrale.
"Su questa storia vogliamo vederci chiaro, abbiamo avviato un'istruttoria". La "storia" di cui parla Pasquale Iannantuono, procuratore generale della Corte dei conti del Lazio, è l'acquisizione da parte dello Stato del crocifisso di Michelangelo.
Si tratta di una scultura che negli ultimi tempi ha fatto molto parlare di sé, un Cristo di legno di tiglio attribuito nientemeno che al giovane Buonarroti. Un affare di 3,2 milioni di euro pagati a un antiquario torinese dal ministero dei Beni culturali per un'opera dalla paternità contestata, alta 41,3 centimetri per 39,7 di larghezza, realizzata - stando agli esperti - intorno all'anno 1495. Dopo i trionfi dei mesi scorsi - la scultura a dicembre è stata presentata a papa Benedetto XVI e, successivamente, esposta alla Camera dei deputati e portata in giro per l'Italia - ora la magistratura contabile "vuol vederci chiaro su tutta l'operazione", come spiega Innantuono, il quale ha aperto un fascicolo e affidato l'istruttoria sul caso a uno dei suoi sostituti, Salvatore Sfregola, vice procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio.
Un passo nato, evidentemente, dalle polemiche esplose intorno all'acquisizione e rimbalzate nei giorni scorsi anche sul New York Times. Chi, invece, non ha mai avuto incertezze è l'attuale ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, convinto sostenitore dell'acquisto dell'opera, che dopo la presentazione ufficiale del 12 dicembre scorso nell'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, a Roma, è stata esposta anche a Trapani, Palermo e Milano. In questi giorni è a Napoli. Entro luglio dovrebbe prendere definitivamente posto al museo del Bargello, a Firenze.
Dovrebbe, perché ad oggi, come spiega la direttrice Beatrice Paolozzi Strozzi, "non ho ancora avuto nessuna comunicazione ufficiale, né del suo arrivo, né che sia questa la sua sede definitiva". Una dichiarazione che, dopo il clamore che ha accompagnato la presentazione ufficiale dell'opera, risuona di una singolare freddezza. Così come il no comment sull'attribuzione: "È di sicuro un'opera di buona qualità", dice Paolozzi Strozzi, "che arricchirà il museo. Ma per il resto, non sono una michelangiolista e non mi pronuncio".
Si tratta di una scultura che negli ultimi tempi ha fatto molto parlare di sé, un Cristo di legno di tiglio attribuito nientemeno che al giovane Buonarroti. Un affare di 3,2 milioni di euro pagati a un antiquario torinese dal ministero dei Beni culturali per un'opera dalla paternità contestata, alta 41,3 centimetri per 39,7 di larghezza, realizzata - stando agli esperti - intorno all'anno 1495. Dopo i trionfi dei mesi scorsi - la scultura a dicembre è stata presentata a papa Benedetto XVI e, successivamente, esposta alla Camera dei deputati e portata in giro per l'Italia - ora la magistratura contabile "vuol vederci chiaro su tutta l'operazione", come spiega Innantuono, il quale ha aperto un fascicolo e affidato l'istruttoria sul caso a uno dei suoi sostituti, Salvatore Sfregola, vice procuratore generale della Corte dei Conti del Lazio.
Un passo nato, evidentemente, dalle polemiche esplose intorno all'acquisizione e rimbalzate nei giorni scorsi anche sul New York Times. Chi, invece, non ha mai avuto incertezze è l'attuale ministro dei Beni culturali Sandro Bondi, convinto sostenitore dell'acquisto dell'opera, che dopo la presentazione ufficiale del 12 dicembre scorso nell'ambasciata d'Italia presso la Santa Sede, a Roma, è stata esposta anche a Trapani, Palermo e Milano. In questi giorni è a Napoli. Entro luglio dovrebbe prendere definitivamente posto al museo del Bargello, a Firenze.
Dovrebbe, perché ad oggi, come spiega la direttrice Beatrice Paolozzi Strozzi, "non ho ancora avuto nessuna comunicazione ufficiale, né del suo arrivo, né che sia questa la sua sede definitiva". Una dichiarazione che, dopo il clamore che ha accompagnato la presentazione ufficiale dell'opera, risuona di una singolare freddezza. Così come il no comment sull'attribuzione: "È di sicuro un'opera di buona qualità", dice Paolozzi Strozzi, "che arricchirà il museo. Ma per il resto, non sono una michelangiolista e non mi pronuncio".
E il crocifisso come verrà presentato al pubblico: come opera "di Michelangelo", o soltanto "attribuita a"?: "Lo concorderemo col Polo Museale" risponde Paolozzi Strozzi. Ovvero con la soprintendente Cristina Acidini, grande sponsor, insieme al direttore dei Musei vaticani Antonio Paolucci, della scultura e della sua attribuzione michelangiolesca. Che invece assicura: il Cristo "andrà al Bargello, non appena sarà pronto l'allestimento adatto".
Ma il mondo dell'arte fiorentino è diffidente. A partire da Paola Barocchi, fra i massimi studiosi di Michelangelo, per la quale si tratta di "un'opera seriale", e da Mina Gregori, la grande storica dell'arte che riuscì a far rifiutare l'acquisto del crocifisso alla Cassa di Risparmio di Firenze, la prima a cui l'antiquario torinese lo aveva offerto ("Se lo Stato non ha finito di pagarlo, valuti se non sia il caso di restituirlo"). "Stupito" dell'acquisto si è detto anche il direttore del prestigioso Kunsthistorisches Institut di Firenze Alessandro Nova; mentre "interrogativi" arrivano pure dallo storico Massimo Ferretti, in un primo momento fra i sostenitori dell'attribuzione a Michelangelo del Cristo tanto amato dal ministro Bondi".”
Ma il mondo dell'arte fiorentino è diffidente. A partire da Paola Barocchi, fra i massimi studiosi di Michelangelo, per la quale si tratta di "un'opera seriale", e da Mina Gregori, la grande storica dell'arte che riuscì a far rifiutare l'acquisto del crocifisso alla Cassa di Risparmio di Firenze, la prima a cui l'antiquario torinese lo aveva offerto ("Se lo Stato non ha finito di pagarlo, valuti se non sia il caso di restituirlo"). "Stupito" dell'acquisto si è detto anche il direttore del prestigioso Kunsthistorisches Institut di Firenze Alessandro Nova; mentre "interrogativi" arrivano pure dallo storico Massimo Ferretti, in un primo momento fra i sostenitori dell'attribuzione a Michelangelo del Cristo tanto amato dal ministro Bondi".”
Forte: La Repubblica
I discorsi non fanno una grinza, del resto l’analisi su un manufatto di questa importanza, prima di una così importante attribuzione e visto lo stato degli studi michelangioleschi, dovrebbe essere molto maggiore, anche se al giorno d’oggi ricerche specifiche e contraddittori scarseggiano. Che si tratti della solita speculazione? Un breve saggio, molto interessante, a favore dell’attribuzione lo trovate in questo link; il confronto stilistico ed anatomico, infatti, risulta essere abbastanza convincente. Testo.
Riguardo notizie su Leonardo del Tasso, invece, rimando a questo articolo. Testo. (Per ricerche più approfondite consiglio invece il catalogo elettronico dell’Hertziana alla voce “Michelangelo-crocifisso”).
Inserisco qualche immagine per un superficiale confronto che non pretende di essere scientifico; la vicinanza stilistica però tra una testa del Tondo Doni e il volto del Cristo appare suggestiva. Chissà cosa avrebbe pensato il grande Federico Zeri? "Se non è Michelangelo è Dio"; (vedi il nuovo post con aggiornamenti)
Confronto col crocefisso della sagrestia di Santo Spirito.
Altre Crocefissioni del Michelangelo pittore.
Le sculture certe di Michelangelo: link
Aggiornamenti
E' proprio di questi giorni la risposta della corte dei conti sull'autenticità del crocefisso in relazione al suo prezzo d'acquisto. Aggiungo quindi l'intervento di Tomaso Montanari a riguardo.
CECCHI INCHIODATO. Il crocifisso-patacca pagato a peso d’oro: la Corte dei Conti manda il sottosegretario a processo
di Tomaso Montanari e Malcom Pagani
“Il Fatto Quotidiano”, 18 feb. 2012
Secondo Roberto Cecchi, cattoarchitetto dalle trame celesti, mancato ministro e infine sottosegretario senza deleghe ai Beni culturali del governo Monti, il presunto cristo ligneo di Michelangelo, fatto acquistare su sua pressante insistenza allo Stato per la cifra di 3.250.000 euro nel 2008, è una scultura che “può essere facilmente trasportata, senza dare tutti quei problemi di conservazione che altre opere pongono”.
La Corte dei conti gli ha dato ragione, trasferendo i quaranta centimetri del crocifisso dai depositi del Polo museale fiorentino alle aule di tribunale e rinviando a giudizio Cecchi ed altre quattro persone per “danno erariale”.
Secondo molti studiosi il Cristo altro non era che un prodotto seriale del valore di poche migliaia di euro. Cecchi si batté per farlo comprare al Mibac (la proposta venne accettata a sole 24 ore dall’offerta) e oggi si ritrova nei guai per un’opera che rischia di rivelarsi una crosta pagata circa 150 volte il suo reale valore.
Ancora una volta il professor Roberto Cecchi è oggetto di attenzioni e approfondimenti non esattamente accademici. E la sua posizione nell’esecutivo tecnico, foriera di imbarazzi non cattedratici. Dopo gli scivoloni di Bondi e Galan, altre ombre, non solo economiche sull’istituzione. Dicono che ieri sera il ministro Ornaghi fosse furibondo per l’ennesimo non commendevole faro acceso sul suo collaboratore. Che attendesse un gesto di buona volontà o una mossa di Cecchi che - giura chi lo conosce - non verrà né oggi né domani. Niente dimissioni per Cecchi (neanche se consigliato in tal senso) perché fanno sapere dal ministero: “somiglierebbero a un’ammissione di colpa”.
La parola per Cecchi è eretica e le stanze del collegio romano non somigliano per nulla a quelle inflessibili della Germania. Dopo l’apertura di un fascicolo in Procura a Roma sulle curiose modalità di cessione del restauro del Colosseo a Diego Della Valle, la scoperta di una serie di lettere firmate nel 2006 (quando era direttore generale dei beni architettonici e paesaggistici) volte a far ottenere al suo editore Armando Verdiglione denaro dal Mibac per il restauro di Villa San Carlo Borromeo e una sofferta archiviazione con proscioglimento per abuso d’ufficio su un vincolo fatto togliere a un mobile settecentesco, Cecchi è ancora in piedi.
Trasversalmente appoggiato dal Pd e dal Terzo Polo, ben visto dal Quirinale (ottimi rapporti con Carandini) Cecchi in queste ore riflette. In attesa che la Corte dei Conti proceda, essere eucaristici sul Cristo ligneo di Michelangelo è affare complicato. Il sottosegretario Cecchi non si limitò infatti a firmare le carte. Pretese, ottenne e interpretò la parte del prim’attore. Fu lui a imprimere la svolta decisiva ad una pratica che avrebbe potuto essere archiviata e ancora lui a fissare il prezzo, decidendo di sottrarre oltre tre milioni di euro ad un bilancio già ridotto all’osso. Cecchi difese con vigore l’acquisto, firmando un aggressivo memoriale di risposta all’interrogazione che un anno più tardi portò in Parlamento una polemica a tinte grottesche che già divampava sui giornali di tutto il mondo.
La Corte dei Conti si è concentrata sulla valutazione che Cecchi dette alla perizia del venditore (la definì oggettiva) e sul catalogo di vendita del Cristo (incomprensibilmente sdoganato come attendibile e autorevole da un passivo Comitato tecnico scientifico). Senza che l’attuale sottosegretario pensasse a coprirsi le spalle con lo straccio di uno studio indipendente.
Nell’operazione, tra buchi e omissioni, i misteri del caso.
Cecchi non riuscì a farsi dire da dove venisse davvero l’opera (finendo così per girare al pubblico del Tg1 l’ipotesi della “derivazione fiorentina”: mentre il Cristo proveniva dagli Stati Uniti, dove era stato acquistato per diecimila euro). Inoltre non si preoccupò di indagare sul perché l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze avesse saggiamente rinunciato all’acquisto pochi mesi prima e permise che a certificare il prezzo fosse Cristina Acidini, la stessa funzionaria che aveva proposto l’acquisto, creando così un macroscopico caso di conflitto di interesse.
Soprattutto, non si chiese Cecchi, perché un vero Michelangelo rimanesse per anni a disposizione ed anzi fosse finito ai saldi, facendosi comprare per un sesto della (già stracciatissima) richiesta iniziale (18 milioni) posta all’allora ministro Rutelli che rifiutò sdegnato.
Oggi, in luogo di un artista, ad essere crocifisso è Cecchi e la sua idea di un ‘Michelangelo portatile’ adatto all’industria delle mostre commerciali che promuovono soprattutto chi le organizza. Cecchi, Il supertecnico che intervistato dal Corsera qualche giorno fa ha dichiarato di considerare suo nemico mortale Italia Nostra, la principale associazione per la difesa del patrimonio e del paesaggio italiani, della macchina delle mostre blockbuster è spassionato sostenitore. Non è detto che tra qualche mese, da privato cittadino, non possa promuoverne a pieno titolo.
E aggiungo questa breve rassegna stampa partendo dal blog nonleggerlo.blogspot che ha riunito le dichiarazioni di quel dicembre 2008. Tra l'eccitazione generale per l'affarone appena concluso, ecco che si diceva del "capolavoro di Michelangelo" (link).
"Chissà cosa avrebbe pensato il grande Federico Zeri?" (cit.)
RispondiEliminaSi era espresso tra i primi a favore dell'attribuzione a Michelangelo:
http://www.zammerumaskil.com/rassegna-stampa-cattolica/formazione-e-catechesi/se-non-e-michelangelo-e-dio.html (circa merà pagina)
grazie x la segnalazione
RispondiEliminaVoglio esprimere la mia gioia nell’apprendere che talvolta in Italia – in materia di arte e prestigio culturale – qualche cosa può ancora essere risolta dignitosamente. Mi riferisco tra l’altro, al doveroso intervento della Corte dei Conti del Lazio, che avrebbe intrapreso una indagine mirata in merito all’acquisto, da parte dello Stato, di un Crocifisso in “legno di tiglio”, che in virtù della semplicistica espressione “attribuito a Michelangelo” è costato, in un momento difficoltoso per l’economia, ai contribuenti italiani € 3.250.000,00. La descrizione, di tale “oggetto” oggi è quasi superflua, stante che fortunosamente esso è divenuto pressoché di pubblico dominio. A suo tempo, chi scrive, osservando quel Crocifisso esposto nella “Sala della Regina” di Palazzo Montecitorio, ebbe l’immediata certezza che la colossale forza espressiva che caratterizza qualsiasi opera di Michelangelo, era assolutamente assente, ma al di la di questa – personale – demoralizzante percezione (vissuta in quella occasione da pochi osservatori), la qualità dell’opera si presentava incomprensibilmente integra, nonostante un numero incontrollabile di presunti restauri strutturali, che il legno e i pigmenti cromatici che lo ricoprono, richiedono inevitabilmente nel corso dei secoli. In più commenti, lo scrivente non ha avuto nessuna difficoltà a esprimere amarezza per quella “attribuzione” ritenuta offensiva nei confronti di chi ha amore e autentico rispetto per la storia dell’arte. Anche in questa occasione, lo scrivente, ribadisce che “la scoperta del crocifisso di Michelangelo sia stata nella migliore delle ipotesi una suggestione involontariamente prodotta da personaggi mediatici, ai quali ognuno – secondo la propria cultura, intelligenza e sensibilità – può credere o meno”. Poiché geni del calibro di Michelangelo, non richiedono attribuzioni o intercessioni esclusive. Fortunatamente, la storia dell’arte universale, ha sempre rivelato nel tempo, con strumenti limpidi, accessibili anche ai più semplici, quelle realtà culturali che costituiscono vero patrimonio dell’umanità e non certo il “sapere” di pochi “illuminati”, che tali si professano – attraverso strumenti multimediali ben collaudati, ai quali per motivi intuibili hanno facile accesso – come unici garanti del sapere, ai quali è riservato l’insindacabile diritto di gestire la realtà storica. Il grande Michelangelo come tutti i grandi, ancora oggi, continua a parlare senza intermediari, con la semplicità che solo i grandi riescono a gestire nei secoli, senza bisogno dell’intercessione di “pochi illuminati” conoscitori che “generosamente” ne rivelano l’appartenenza alle masse. La “scoperta” di questa opera, nella migliore delle ipotesi, è effimera suggestione, dannosa persino ai “distratti”, alla cultura e alla storia dell’arte reale, con la quale prima o poi certi attori mediatici dovranno fare inevitabilmente i conti. Sono pertanto perfettamente d’accordo con quanto pubblicato, in materia dal celebre storico dell’arte Maurizio Marini “Il Tempo - 23 dicembre 2008” il quale nel suo articolo (che invito a leggere), al di la delle sue concrete perplessità, conclude “Che è spropositata la cifra pagata per l`acquisto, 3 milioni e 250 mila euro. L`opera già a 300 mila euro sarebbe stata strapagata.” Trovo conforto anche sull’interessamento di numerosi giornali italiani e stranieri non certo ultimo il New York Times, di studiosi e intellettuali che stanno seriamente affrontato il problema che speriamo possa arrivare a una soluzione dignitosa e trasparente.
RispondiEliminaFrancesco Buffa
Cito: <>.
RispondiEliminaQuesta storia almeno fa solo danno economico.
Vogliamo parlare invece dei colori della Cappella Sistina?
J.