lunedì 29 luglio 2013

Il 'rosso' pompeiano era giallo


Secondo una ricerca realizzata con il Suor Orsola Benincasa le ville di Pompei ed Ercolano erano all'origine color ocra modificato dai gas ad alta temperatura emessi dal vulcano

IIl famoso 'rosso pompeiano'? In realtà era un giallo, modificato dai gas dell'eruzione vesuviana. Gran parte del colore che caratterizza le pareti delle ville di Ercolano e di Pompei in origine era un giallo ocra. A dirlo è una ricerca condotta da Sergio Omarini dell'Istituto nazionale di Ottica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ino-Cnr) di Firenze.

"Grazie ad alcune indagini abbiamo potuto accertare che il colore simbolo dei siti archeologici campani, in realtà, è frutto dell'azione del gas ad alta temperatura la cui fuoriuscita precedette l'eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 dopo Cristo" spiega Omarini. "Il fenomeno di questa mutazione cromatica era già noto agli esperti, ma lo studio realizzato dall'Ino-Cnr e promosso dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ha finalmente permesso di quantificarne la portata, almeno ad Ercolano".

L'immaginario delle due antiche città, almeno dal punto di vista cromatico, va insomma ribaltato. "Le pareti attualmente percepite come rosse sono 246 e le gialle 57, ma stando ai risultati in origine dovevano essere rispettivamente 165 e 138, per un'area di sicura trasformazione di oltre 150 metri quadrati di parete" prosegue il ricercatore. "Questa scoperta permette di reimpostare gli aspetti originari della città in modo completamente diverso da quello conosciuto, dove prevale il rosso chiamato appunto 'pompeiano'".
Il risultato verrà presentato in occasione della VII Conferenza nazionale del colore che si tiene oggi e domani a Roma nell'Università 'La Sapienza' (Facoltà di ingegneria).

"Il rosso anticamente si otteneva con il cinabro, composto di mercurio, e dal minio, composto di piombo, pigmenti più rari e costosi, utilizzati soprattutto nei dipinti, oppure scaldando l'ocra gialla, una terra di facile reperibilità", conclude il ricercatore. "Quest'ultimo effetto, descritto anticamente da Plinio e Vitruvio, si può percepire anche ad occhio nudo nelle fenditure che solcano le pareti rosse di Ercolano e Pompei".
Le indagini, sono state condotte con strumenti non invasivi: lo spettrofotocolorimetro per misurare il colore e la fluorescenza X che ha consentito di rivelare la presenza di elementi chimici per escludere il minio e cinabro.


sabato 13 luglio 2013

Marina Abramovic - Perchè sono felice


"Sono felice. Una felicità interiore profonda che non ho mai provato in vita mia. Lo scriva, ci tengo tanto che si sappia", dice la performance artist Marina Abramovic' arrivata all'angolo di casa, al termine di una lunga chiacchierata sulla carriera che nell'arco di quarant'anni l'ha portata da Belgrado, dove è nata, fino a New York, dove abita e lavora da una quindicina d'anni. 
Di ragioni concrete per essere felice, questa artista fra le più controverse al mondo, celebre per mettersi in scena in maratone al limite della tortura fisica ed emotiva oggi ne avrebbe parecchie: il suo progetto di un "Marina Abramovic' Institute" sta prendendo forma nella cittadina di Hudson a nord di New York, la pièce teatrale Life and Death of Marina Abramovic', che ha scritto con Bob Wilson, debutterà a dicembre all'Armory di Manhattan, e ha appena messo in cantiere un film sull'attore James Franco... Ma no, non è niente di tutto questo, chiarisce: "La mia felicità non viene dai riconoscimenti o dal fatto che l'istituto sta per diventare realtà. È una felicità che non dipende dalle persone intorno a me. Viene da una profonda trasformazione interiore, cominciata un paio d'anni fa dopo la performance al MoMA".

Si riferisce a The Artist is Present, una piece che nel 2010 portò per cento giorni al Museum of Modern Art e dalla quale uscì trasformata. Settecentotrentasei ore e trenta minuti seduta immobile e in silenzio su una sedia, avvolta in un lungo abito rosso. Davanti a lei un tavolino spoglio al di là del quale c'era un'altra sedia. A turno, circa millequattrocento persone si sono sedute davanti a lei, fissando silenziosamente lo sguardo su quel volto slavo mantenuto senza espressione, da cui scaturiva una corrente d'energia mentale. Ha provato anche Lady Gaga, e la cosa ha fatto notizia. Molti partecipanti hanno reagito all'esperienza emotiva con un attacco di sommesso pianto, e sul web il blog con i filmati Marina Abramovic ' made me cry ha fatto altrettanta sensazione. "È come un'opera silenziosa nella quale Abramovic ' è la primadonna", ha scritto esaltando la performance il critico Holland Cotter sulle pagine del New York Times, pur facendo a pezzi nello stesso articolo la retrospettiva dei lavori dell'artista allestita in contemporanea al sesto piano del museo: "Lì mancano due elementi che definiscono l'arte della performance come mezzo di comunicazione: l'imprevedibilità e la natura effimera dell'evento. In mancanza di questi, tutto suona falso".
Quelle 700 ore al MoMA per Abramovic ' sono state una pietra miliare. L'hanno fatta conoscere a un pubblico più vasto, soprattutto giovanissimi che fino a quel momento sapevano poco dell'artista che già negli anni '70 si feriva in scena usando coltelli infilati ritmicamente fre le dita delle mani (Rythm), ballava per ore al ritmo ossessivo di un tamburo africano con la testa avvolta in una sciarpa fino a cadere esausta (Freing the body) o si autoflagellava nuda per poi incidersi una stella sul ventre con un rasoio (Lips of Thomas). "È un'artista internazionale fra le più inquietanti", scrisse nel 2003 Maureen Turim sulla rivista Camera Obscura, sottolineando nei lavori della Abramovic ' "forti implicazioni sia per le teorie della psicanalisi che per quelle sul femminismo". Un'affermazione che dieci anni dopo Marina ancora respinge: "Quello che faccio io non ha niente a che vedere col femminismo. Non credo che una donna debba sentire il bisogno di proclamarsi femminista quando è comunque più forte dell'uomo".
Sono affermazioni che hanno creato col pubblico delle donne un rapporto di odio-amore. Odio per le sue continue provocazioni, come quando con il tedesco Ulay, suo compagno di vita e d'arte per un decennio, arrivò a teorizzare la totale simbiosi; amore per la sua capacità di sentirsi libera e rompere ogni regola, come quando forzò il pubblico a passare per uno spazio stretto fra il suo corpo nudo e quello di Ulay, scegliendo quale sfiorare col proprio (Imponderabilia).
A 66 anni, col suo corpo Abramovic ' ha un rapporto complesso. "Durante le mie performance non me ne importa nulla di come appaio, perché in quel momento il corpo non è altro che uno strumento per diffondere un messaggio. Ma nella vita di tutti giorni ne sono estremanente conscia, se mi sento troppo grassa o se se mi vedo invecchiata. È una totale contraddizione, ma una cosa che ho imparato è che le contraddizioni non vanno nascoste". Anche ad accettare i contrasti, dice Marina, è arrivata nelle ore di "immobile energia creativa" al MoMA: "Mi hanno fatto prendere coscienza che siamo presenze temporanee su questo pianeta. È qualcosa a cui penso ogni giorno e che mi dà molta concentrazione". Pensieri cupi perfettamente in linea con l'animo slavo che si è porta dentro dalla nascita nella Belgrado degli anni '40, figlia di due partigiani comunisti che combatterono con Tito durante la Seconda Guerra mondiale. 
Marina è cresciuta con tutti i comfort della borghesia rossa yugoslava, ma a 18 anni ha risentito molto della separazione dei genitori. La madre tentò di imporle una disciplina quasi militare, lei si ribellò sposandosi e dopo pochi anni, con una laurea ottenuta all'Accademia delle Belle Arti di Belgrado, trasferendosi da sola ad Amsterdam. "All'inizio fu orribile, perché non ero abituata a essere creativa quando tutto intorno a me era facile. Come artista avevo bisogno di sofferenza, di situazioni difficili. È quel senso del dramma che noi slavi ci portiamo dentro e che ci influenza in musica, letteratura, poesia". Ne sa qualcosa il suo pubblico italiano che nel 1997, alla Biennale di Venezia, osservò sgomento Abramovic ' su una grande pila di ossa insanguinate, che lavava con uno spazzolone nel vano tentativo di ripulire simbolicamente gli orrori della guerra in Bosnia. Per la performance, Balkan Baroque, vinse il Leone d'Oro. 
Difficile pensare che Marina Abramovic ' possa avere anche un lato leggero. Invece è proprio questo a sorprendere chi la incontra: ride spesso e di gusto ("adoro le barzellette sporche"), fa battute scanzonate con un forte accento slavo, in un inglese ai confini della grammatica. Più che a parole, comunica con l'energia coltivata in anni di interazione spirituale con aborigeni australiani, monaci tibetani, gli sciamani in Brasile. "Le culture indigene mi hanno insegnato un rapporto diverso tra corpo ed energia mentale". 

È la nuova tappa del suo percorso: "Il mio lavoro non è più creare performance artistiche. Ora desidero creare cultura fondendo arte, scienza, spiritualità e nuove tecnologie". Le ridono gli occhi quando mostra sull'Ipad il prototipo del "Marina Abramovic ' Institute" a Hudson, che se tutto andrà come previsto inaugurerà nel 2014. "Ma devo prima trovare 20 milioni di dollari, in qualche modo me la caverò", scherza annunciando che è già partito il fund-raising. Tutto nasce dall'acquisto di un edificio nel centro di Hudson: un teatro poi diventato cinema, poi campo da tennis comunale coperto. "Il progetto è pronto e presto inizieranno i lavori per trasformarlo in un centro aperto non solo ad artisti, ma a tutto il pubblico, che lì potrà vivere l'esperienza dell'arte immateriale". I visitatori dovranno impegnarsi a trascorrere nell'Istituto almeno sei ore, durante le quali non avranno accesso a nessun oggetto personale, neppure il cellulare o l'orologio. Perderanno la nozione del tempo mentre si sposteranno di sala in sala con indosso camici bianchi, "un abbigliamento per sottolineare che saranno ore di esercizi mentali e spirituali, di sperimentazione delle capacità sensoriali, proprio come stare in un laboratorio", spiega la Abramovic '. Quanto a lei, che in passato ha fatto un laboratorio planetario della sua frequentazione di vulcani attivi, di settimane di marcia lungo la Grande Muraglia e full immersione per mesi nella foresta brasiliana, in ottobre starà un mese nel deserto del Qatar. "Poi tornerò in America dove vivo da quindici anni. Ma non vengo qui per creare. Vengo per consegnare le mie idee, senza mai scendere a compromessi col mercato dell'arte, perché la mia anima non è in vendita. Amo fare solo le cose che mi interessano. Quello che ora mi interessa è elevare lo spirito umano".

sabato 6 luglio 2013

Lo spazio vuoto del Rinascimento

Il digital artist ungherese Bence Hajdu ha rielaborato alcuni capolavori dell'arte - tra cui celebri dipinti del Rinascimento italiano - privandoli dei personaggi che li popolano. Il risultato sono nude architetture immerse in un silenzio quasi metafisico. L'assenza delle figure trasfigura letteralmente lo spazio mostrandolo nella perfezione delle forme e nel trionfo dell'architettura.




venerdì 5 luglio 2013

Restituzioni 2013 Tesori d'arte restaurati


Marsilio Editori mette online, e scaricabile, questo interessante testo d'arte che riguarda i restauri eseguiti nel 2013. Ci sono le relazioni di restauro e le schede di diverse opere d'arte sparse sul territorio italiano, fra cui anche il polittico in alabastro di XV secolo realizzato dalla Bottega di Nottingham e conservato presso il Museo Nazionale di Capodimonte, (gemello al polittico in alabastro di Venafro), il cui restauro è terminato un paio di mesi fa; c'è il crocifisso ligneo di San Clemente a Casauria. Da reperti archeologici a cose Sette e Ottocentesche.

lunedì 1 luglio 2013

Caravaggio - L'incredulità di San Tommaso


La tela fu dipinta da Caravaggio intorno al 1601 per il Marchese Vincenzo Giustiniani per la galleria di dipinti del suo Palazzo, secondo quanto si può desumere da Le vite de’pittori scultori et architetti moderni di Giovan Pietro Bellori pubblicato nel 1672 a Roma, e dai numerosi documenti d’inventario che la riguardano. Nell’inventario della collezione Giustiniani del 1638 si legge «Nella stanza grande de quadri antichi. Un quadro sopra porta di mezze figure con l’historia di S. Tommaso che tocca il costato di Christo col dito dipinto in tela alta palmi 5. Larga 6,5 incirca, di mano di Michelangelo da Caravaggio con cornice nera profilata e rabescata d’oro».

La tela, dunque, fa parte della collezione Giustiniani ed è unsopraporta, dipinto cioé in orizzontale a mezze figure di circa cm 150 di larghezza e cm 100 di altezza. La tela poi fu venduta varie volte nel corso dei secoli, ed infine, dopo ulteriori vicissitudini legate agli eventi della Seconda Guerra Mondiale, pervenne nell’attuale collezione della Bildergalerie von Sanssouci di Potsdam. Nel 2001 a Roma è stata proposta al pubblico italiano in una bellissima mostra dedicata alla ricostruzione dell’antica collezione Giustiniani.

Caravaggio costruisce il dipinto attraverso una struttura semplice che nell’essenzialità della scena punta diritto verso il cuore della narrazione evangelica. Cristo è attorniato da tre apostoli, tra i quali riconosciamo Pietro, dietro agli altri due in posizione più alta, e Tommaso, che sbigottito si vede prendere la mano dallo stesso Cristo e inserirla nella ferita del costato. Gesù è rappresentato con un incarnato più chiaro rispetto al gruppo degli apostoli, creando così una forte contrapposizione cromatica tale da determinare un doppio risultato narrativo; quello di portare il fedele ad un coinvolgimento diretto nell’azione, rendendolo presente e partecipe di quanto accade sotto i suoi occhi, e di evidenziare la corporeità del Risorto come il testo evangelico la descrive.

I tre apostoli hanno le fronti aggrottate, sono curvi in un inchino spontaneo di fronte al mistero della Risurrezione, i loro occhi sono attenti e le bocche aperte senza proferire parola, sono impietriti, ritratti nel momento che li vede colti da stupore; si differenzia l’atteggiamento psicologico di Tommaso che ha gli occhi sbarrati e si perde con lo sguardo attonito nell’abisso di ciò che gli si manifesta di fronte. Gesù, reclinando il capo, con la mano destra delicatamente scosta il mantello, mostrando la ferita sul costato ancora aperta e con la sinistra guida quella dell’apostolo, introducendo il dito tremante di Tommaso nella ferita del costato; il suo volto sembra accennare una impercettibile smorfia di dolore mentre accompagna con lo sguardo il gesto che compie con la mano di Tommaso. In questo dipinto non c’è altro, tutto è avvolto dalla penombra della stanza nel quale accade il fatto, davanti ai nostri occhi ci sono solo quattro figure colpite dalla luce che giunge dall’alto, tutto è reso attraverso un’abile descrizione psicologica degli apostoli, e poi null’altro.

Nel Vangelo di Giovanni leggiamo: «La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il Sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Detto questo, mostrò loro le mani e il costato e i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20, 19-20) «Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore! Ma egli disse loro: Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel costato, non crederò. Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettile nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente! Rispose Tommaso: Mio Signore e mio Dio! Gesù gli disse: Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!» (Gv 20, 24-29)

Giovanni descrive minuziosamente quanto accaduto e pone in evidenza l’atteggiamento umano di Tommaso, che si dichiara scettico su quanto gli viene raccontato dagli altri e pone delle condizioni alla Fede, come facciamo noi ogni giorno della nostra vita posti di fronte alle difficoltà del mondo. Caravaggio dipinge questo turbamento, che anche è il nostro, e in modo sapiente traspone l’incredulo per eccellenza non soltanto nella ovvia figura di Tommaso, ma anche in quella degli altri due apostoli presenti nel dipinto.

Infatti lo scopo del dipinto non è solo quello di narrare i fatti così come ci vengono descritti da Giovanni, quanto piuttosto di porci di fronte al mistero della Risurrezione nella sua evidente corporeità. Cristo è risorto, è vivo; il dipinto di Caravaggio ci pone di fronte alla domanda dell’angelo alle donne: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? » (Lc. 24,5). Il dito di Tommaso affonda nella carne di Gesù; quella mano rozza, con le unghie sporche del proprio lavoro quotidiano, è la mano di tutti coloro che sono chiamati nella Fede a credere in Cristo. Lo scetticismo si scioglie nello stupore; gli occhi si spalancano davanti a quelle ferite, e la bocca tremante si apre balbettando, con un filo di voce « Mio Signore e mio Dio!».

L’arte di Caravaggio, come quella di moltissimi altri nel corso dei secoli, ha teso a rappresentare, attraverso la tecnica e gli strumenti propri della pittura, la corporeità del mistero dell’Incarnazione, Morte e Resurrezione di Cristo, il mistero di Gesù, che è totalmente uomo e totalmente Dio, per fugare quei dubbi che persino gli apostoli, secondo la narrazione di Luca, ebbero: «Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma» ( Lc. 23,37). L’arte ci invita a vedere con gli occhi e a meditare nel cuore le parole di Cristo: «Perché siete turbati e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho» (Lc 23, 38-39).

Al riguardo sant’Agostino dice: «Cristo avrebbe potuto risanare le ferite della sua carne al punto da non fare apparire neppure le impronte delle cicatrici. Aveva il potere di non mantenere nelle sue membra il segno dei chiodi, di non mantenere la ferita del costato.(...) Lui, che lasciò fissi sul suo corpo i segni dei chiodi e della lancia, sapeva che in futuro ci sarebbero stati eretici tanto empi e distorti da affermare che il Signore Nostro Gesù Cristo simulò di avere carne e che avrebbe detto menzogne ai suoi discepoli e ai nostri Evangelisti quando disse: Tocca e vedi.(...) Supponiamo che ci sia qui un manicheo. Che cosa direbbe? Che Tommaso vide, toccò, palpò le impronte dei chiodi, ma che era una carne falsa.» Si comprende qual’è stato –è quale è tuttora- il compito dell’arte, e cioè affermare che Cristo è veramente risorto, vero uomo e vero Dio. Come scrive ancora sant’Agostino:« La Verità risuscitò carne vera. La Verità mostrò ai discepoli carne vera dopo la risurrezione. La Verità mostrò cicatrici di carne vera alle mani che le palpavano. Arrossisca dunque la falsità, poiché ha vinto la Verità».

*
Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio. Website: www.rodolfopapa.it  Blog: http://rodolfopapa.blogspot.com  e.mail: rodolfo_papa@infinito.it  

"Il Mistero Svelato", le ultime interpretazioni de "L'Annunciata" di Antonello da Messina


Una nuova ed inedita interpretazione dell’Annunciata di Antonello da Messina è stata presentata nel mese di giugno presso l’Istituto Italiano di Cultura di Bruxelles.
Per anni quest’opera è stata oggetto d’indagine e di approfondimento di varia natura. Forse proprio perché considerata “misteriosa” l’interesse verso questo capolavoro assoluto del Rinascimento, uno dei dipinti più enigmatici e rappresentativi della storia dell’arte, è sempre stato molto forte.
Oltre all’inedita interpretazione del quadro proposta da Giovanni Taormina, esperto e restauratore di dipinti, ha introdotto la conferenza lo storico dell'arte Mauro Lucco, successivamente sono stati illustrati dal prof Franco Fazzio, dalla dott.ssa Maria Francesca Alberghina, dal dott. Salvatore Schiavone i risultati delle ricerche condotte negli anni, a partire dal 2006. Le indagini diagnostiche sono state realizzate, oltre che dai ricercatori presenti, dall’arch. Ermanno Cacciatore, dalla dott.ssa Fernanda Prestileo e dal dott. Giovanni Bruno, già Laboratorio di Fisica e Ambientalistica degli Interni del Centro Regionale per la Progettazione e il Restauro della Regione Siciliana (CRPR) – Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana, sotto l’allora direttore arch. Guido Meli, da Giuseppe Salerno, radiologo, e dalla dott.ssa Lidia Perrone, chirurgo estetico.Inoltre, per l’approfondimento teologico, sono stati consultati gli studi del Ministro di Culto Cristiana Perrone.
Gli studi condotti hanno fornito numerose risposte agli interrogativi che da secoli sono stati legati a questo dipinto risalente al 1475/76 e oggi conservato nella Galleria Regionale di Palazzo Abatellis di Palermo.
Da qui il titolo dello studio presentato all’IIC di Bruxelles “Il mistero svelato”.
L’autorevole storico dell’arte Mauro Lucco, già curatore di numerose mostre tra cui proprio quella su Antonello da Messina alle Scuderie del Quirinale, che ha introdotto la presentazione di questi studi ieri a Bruxelles, per il valore che egli stesso ha pubblicamente attributo a “il mistero svelato” di Giovanni Taormina, ha proposto di continuare insieme allo stesso Taormina e ai suoi colleghi queste ricerche.

Ecco i principali nodi sciolti da questo studio interpretativo dell’opera:
Maria ha dinanzi un Magnificat
Per anni si è cercato di capire cosa rappresentassero i segni posti dall’artista messinese sul libro dinanzi alla Madonna. Analizzando i punti in rosso cinabro sono emersi significativi risultati. In particolare il simbolo più evidente rappresenta un carattere onciale e cioè un tipo di scrittura adoperata in codici vergati per i titoli, le rubriche, gli incipit o gli explicit impiegati solitamente nei manoscritti dell’epoca come capolettera di un capitolo o di un paragrafo. Si è riusciti ad individuare in quel segno una “M”, in particolare una M di Magnificat.
Le scritte in nero sul foglio, inoltre, evidenziano residui di alcune lettere che dovevano comporre alcune frasi iniziali del Magnificat “anima mea Dominum, et exultavit spiritus meus in Deo salutari meo”.
Una nuova rappresentazione dello Spirito Santo sotto forma di vento
E’ la prima volta che si parla della presenza dello Spirito Santo nell’opera dell’Annunciata. Un argomento che non era mai stato trattato e che per primo Giovanni Taormina ha portato alla luce. Lo stesso Prof Mauro Lucco ha voluto valorizzare questa scoperta pubblicamente, complimentandosi con l’autore nel corso della serata evento organizzata all’IIC di Bruxelles. In sostanza nell’Annunciata di Palermo si puo’ notare che le pagine del libro dinanzi alla vergine sono come sollevate da un soffio di vento. Secondo Giovanni Taormina e il gruppo interdisciplinare che ha compiuto questi studi, quel vento rappresenta il soffio generante e ispiratrice dello Spirito Santo. Tra le varie spiegazioni c’è quella etimologica. La parola spirito in ebraico si traduce ruach, che nel suo senso primario significa soffio, aria, vento, respiro. 
Dal greco traduce pneuma (da pneo) e cioè soffiare, respirare, ricevere vita. (Theopneostos tradotto letteralmente soffiato da Dio, emessa dal respiro di Dio).
Chi è l’Annunciata di Palermo? Smentita la raffigurazione di Smeralda Calafato
Secondo alcune ipotesi la giovane ritratta da Antonello sia Santa Eustochia Calafato (al secolo Smeralda), nata a Messina nella stessa epoca di Antonello. Il gruppo interdisciplinare di studi coordinato da Giovanni Taormina ha, quindi, provveduto a identificare i resti mummificati, che si attestano essere di Smerala. Si è valutata quindi la possibilità di ricostruirne il volto e tentare il confronto, attraverso una serie di indagini comparate tra la mummia ed il dipinto dell’Annunciata. Per la mancanza di alcune autorizzazioni, pero’, tali approfondimenti non sono stati ancora eseguiti.
Grazie ad alcune analisi svolte da uno specialista in chirurgia estetica, comunque, è stato possibile asserire che l’ipotesi che vuole Smeralda Calafato come colei che avrebbe posato per la realizzazione dell’Annunciata, non trovi conferma il confronto tra l’Annunciata di Palermo e l’Annunciata di Monaco: la prima ha già Gesù in grembo
Le due opere sono state confrontate con l’obiettivo di far emergere nuovi indizi a supporto di una migliore comprensione del significato dell’Annunciata di Palermo. Da questo confronto è emerso che l’Annunciata di Monaco è stata rappresentata da Antonello in un momento in cui non si è ancora svolta l’azione di concepimento da parte dello Spirito di Dio, mentre in quella di Palermo è già avvenuta. A questa interpretazione è stato possibile risalire attraverso lo studio di piccoli particolari come il volto delle due Madonne: in quella di Palermo il viso di Maria evidenzia una leggera piega dell’angolo labiale che rappresenta un sereno sorriso mentre nella Maria di Monaco la bocca è aperta, come se la vergine fosse colta da stupore improvviso mentre l’angelo le annuncia che lei è la prescelta. Anche la posizione delle mani delle due vergini confermano questa ipotesi. “In un dipinto di Antonello, nulla è stato dipinto a caso, ogni pennellata è importante ed ha una sua spiegazione logica” si puo’ leggere nello studio presentato all’IIC di Bruxelles a pag 10.
“Ho fortemente voluto ospitare nel nostro Istituto Italiano di Cultura la presentazione di questo studio inedito su L’Annunciata di Antonello da Messina – ha dichiarato la prof.ssa Federiga Bindi, direttore dell’IIC di Bruxelles – non soltanto perché Antonello è uno degli artisti più significativi del Rinascimento italiano e mondiale, ma anche perché questa interessante analisi rappresenta un’eccellenza della ricerca italiana che va valorizzata e promossa anche all’estero”.

(Dott.ssa Federiga Bindi, Direttore I.I.C.B.)


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