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sabato 7 gennaio 2017

Sequenze


Un artista del VI secolo a.C. deve rappresentare sulla superficie di un vaso la vicenda di un gruppo di pirati, trasformati in delfini da Dioniso prigioniero.
Uno spazio ridotto e due colori - principalmente il nero e il bianco per evidenziare le linee del corpo - questi i mezzi espressivi a disposizione del vasaio, che sceglie una brillante soluzione: la sequenza di figure. Ecco che il povero pirata viene raffigurato quattro volte ma, tra un'onda e l'altra, le sue braccia si stanno trasformando in pinne.

venerdì 16 settembre 2011

Il giallo del rosso pompeiano

In questo clima di perdita delle certezze è la volta del mitico colore rosso pompeiano che, secondo recenti studi, sarebbe un giallo modificato dai gas del Vesuvio.

Il famoso "rosso pompeiano" in realtà era un colore giallo, modificato dai gas dell'eruzione del Vesuvio. Gran parte del colore che caratterizza le pareti delle ville di Ercolano e di Pompei in origine era un giallo ocra e a dirlo è una ricerca condotta da Sergio Omarini dell'Istituto nazionale di Ottica del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze. 

«Grazie ad alcune indagini abbiamo potuto accertare che il colore simbolo dei siti archeologici campani, in realtà, è frutto dell'azione del gas ad alta temperatura la cui fuoriuscita precedette l'eruzione del Vesuvio avvenuta nel 79 dopo Cristo - spiega Omarini - Il fenomeno di questa mutazione cromatica era già noto agli esperti, ma lo studio realizzato dall'Ino-Cnr e promosso dalla Soprintendenza speciale per i beni archeologici di Napoli e Pompei ha finalmente permesso di quantificarne la portata, almeno ad Ercolano». 

L'immaginario delle due antiche città va insomma ribaltato. «Le pareti attualmente percepite come rosse sono 246 e le gialle 57, ma stando ai risultati in origine dovevano essere rispettivamente 165 e 138, per un'area di sicura trasformazione di oltre 150 metri quadrati di parete - prosegue Omarini - Questa scoperta permette di reimpostare gli aspetti originari della città in modo completamente diverso da quello conosciuto, dove prevale il rosso chiamato appunto "pompeiano"». 

Il risultato viene presentato in occasione della VII Conferenza nazionale del colore oggi e domani a Roma nell'Università La Sapienza (Facoltà di ingegneria). «Il rosso anticamente si otteneva con il cinabro, composto di mercurio, e dal minio, composto di piombo, pigmenti più rari e costosi, utilizzati soprattutto nei dipinti, oppure scaldando l'ocra gialla, una terra di facile reperibilità - conclude il ricercatore - Quest'ultimo effetto, descritto anticamente da Plinio e Vitruvio, si può percepire anche ad occhio nudo nelle fenditure che solcano le pareti rosse di Ercolano e Pompei». Le indagini, sono state condotte con strumenti non invasivi: lo spettrofotocolorimetro per misurare il colore e la fluorescenza X che ha consentito di rivelare la presenza di elementi chimici per escludere il minio e cinabro. (Il messaggero)

giovedì 11 febbraio 2010

Il nuovo progetto di comunicazione del Museo Nazionale Romano

Per una volta tanto, dopo la disastrosa e inquietante campagna-minaccia del MibAc “Se non lo visitate lo portiamo via”, una bella campagna pubblicitaria che punta ad  un incontro personale con le opere, non immune da una certa componente sentimentale e anacronistica quanto basta.

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La vita dell’arte, come spiega Settis in Futuro del “classico”: “La plasticità è come un’energia che scaturisce dal profondo segreto del loro essere: attraversa tutto il corpo, carica di emozioni, desideri e problemi che la spingono interiormente a provocare questo o quel movimento”. Queste parole del grande regista teatrale K. S. Stanislavskij, riferite agli attori, si prestano bene a descrivere la forza espressiva delle statue. Gli antichi infatti, per la loro consuetudine col teatro, conoscevano l’universalità del linguaggio del corpo e l’importanza dell’indagine psicologica, ed esprimevano mirabilmente le tensioni della vita interiore nella plastica dei corpi. Tensioni ed emozioni che realmente lo spettatore rivive in sé (come oggi la scoperta dei “neuroni specchio” conferma). Questo fenomeno dell’empatia suscitata dalle arti visive è sembrato particolarmente adatto a rappresentare l’auspicio di “saper guardare al classico come qualcosa di sorprendente da riconquistare ogni giorno”.

Il Link al sito: http://www.archeorm.arti.beniculturali.it/node/782

lunedì 28 settembre 2009

Oro Buttato- Alcune riflessioni

oro buttato

Come c’era da aspettarsi la puntata di ieri sera di Presa Diretta, su Rai 3, dedicata allo sfacelo dei nostri beni culturali ha creato molte reazioni sul web tra esperti ai lavori e non. Del resto l’oro buttato di cui parla il titolo colpisce trasversalmente tutti i settori dal turismo all’economia, dalla ricerca alla formazione diventando ben più di una denuncia, ma l’atto di accusa verso una politica nazionale che sempre meno ha creduto nella cultura come elemento di sviluppo culturale ed economico. La nazione con più opere d’arte al mondo, tanto elogiata viscidamente dal Premier il quale riesce a far apparire come se tutto il nostro patrimonio sia, tra le tante cose, merito suo, in realtà è quella che meno investe in ricerca, conservazione e valorizzazione. Le eccellenze certamente ci sono ma se, come si apprende dal reportage, anche l’ICR rischia di finire chiuso e dismesso per mancanza di fondi allora non si sa più a cosa appellarsi. L’ICR, infatti, per chi non lo sapesse è il centro, fondato da Cesare Brandi, che ha insegnato a tutto il mondo come condurre un restauro moderno. L’amarezza e lo sconforto ci sono tutte; le colpe, “fortunatamente”, cadono trasversalmente a destra e a sinistra; le altre nazioni ci surclassano in quanto a efficienza (Montpelier, per quanto ben valorizzata, non sarà mai come Napoli, Parma, Ferrara, ecc. ecc.) e le soprintendenze devono cavarsela con quattro soldi (ai beni artistici in Molise solo 200 mila euro che non bastano, volendo, neanche per i caffè). Paradossalmente, in tutta questa incuranza, vedo forse l’ultima opportunità, per i viaggiatori venuti dall’estero, di rivivere le emozioni del gran tour. Durante il corso dell’700 e dell’800, nel loro viaggio di formazione, alcuni giovani della nobiltà europea giunti in Italia avendo come meta culmine Roma, spesse volte, incautamente, si avventuravano anche verso il Sud alla ricerca delle antichità della Magna Grecia e dei romani, situate in particolare intorno Napoli e Pozzuoli, giungendo a volte sino in Calabria e Sicilia. Ebbene, oltre ai pericoli del viaggio, tra briganti e disavventure, l’ambiente che trovavano davanti ai loro occhi, selvaggiamente pittoresco e abbandonato, è proprio quello che si ritrova oggi. Custodi assenti, aree abbandonate nascoste alla vista, raccattati ciceroni da quattro soldi, bellezza sublime e incuranza totale.

Resta alla fine la condanna ma è ben poca cosa; il senso di impotenza è ben maggiore. Solo una presa di coscienza, ma dubito, potrebbe cambiare le cose.

Per chi non ha visto la puntata o vorrebbe rivedersela, lo può fare dal sito della Rai.tv a questo link.

Per chi fosse rimasto colpito dai luoghi meno conosciuti indagati nella puntata, ecco una breve lista di link che ne trattano:

Piscina Mirabilis a Miseno (link 1, link 2, link 3)

Sepino (link 1, link 2, link 3, link 4, link 5, link 6)

Pozzuoli Museo Archeologico (link 1)

Terme di Diocleziano (link 1, link 2, link 3)

…ed è già molto se sono riuscito a trovare dei link, naturalmente non ufficiali, che descrivono in maniera relativamente scientifica e precisa il sito; per il museo di Portici, per esempio, tanto elogiato per la sua sistemazione museografica, neanche una misera pagina web fatta come si deve. Il link inserito è uscito veramente da una fortuita ricerca. Forse cominciare dall’informazione non sarebbe male…

dscf4474 piscina mirabilis

P.s. Vorrei cominciare da oggi, per quanto mi permette il blog e il tempo a disposizione, a dedicare qualche post proprio a tali argomenti, ovvero ad esempi di “Oro buttato” dei quali sono a conoscenza. Proprio di stamattina, e ringrazio il mio amico Mosè, la notizia assurda delle disavventure della statua del Nettuno del Montorsoli a Messina. La statua faceva parte della splendida fontana del Nettuno del 1557, commissionata dal Senato di Messina, una delle poche fontane, insieme a quella di Orione, scampata al tragico terremoto. Assai danneggiata nello scorso secolo, ha subito notevoli lavori di restauro e di ripristino; in particolare fu sostituita con una copia e portata nel museo di Messina. Dopo un’ulteriore intervento di restauro, riuscito benissimo, doveva essere trasportata nella nuova sede museale. Per far ciò la statua venne ingabbiata con una rete di tubi in acciaio e spostata di luogo. L’intervento riuscì alla perfezione sennonché, per essere liberata dai tubi, si pensò bene di ricorrere nientemeno che al flex. Naturalmente i tubi sono stati tagliati ma le scintille incandescenti provocate dall’arnese si sono conficcate nella statua, per circa 10 centimetri, provocando evidenti danni, quasi irreversibili. Un ulteriore restauro ha ripristinato, ma relativamente, la superfice iniziale del manufatto.

Fontana_del_Nettuno_in_Messina%28Giovan_Angelo_Montorsoli%29 montorsoli, nettuno

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