martedì 24 maggio 2011

Quando la foto sembra un quadro

Solo una duna con dell'erba, illuminata dal sole, e il suolo in ombra, azzurro perchè riflette il cielo. Alcuni alberi di acacia e tutto il diaframma chiuso per comprimere la prospettiva. Ecco che uno scatto può apparire un bellissimo paesaggio naif. E' opera del fotografo Frans Lanting.

sabato 21 maggio 2011

Non ci sono più i Padiglioni di una volta

Bisognerebbe aprire un Salon de refuses, o meglio un salon di coloro che hanno rifiutato. Il Padiglione Italia più contestato di sempre, e che entrerà nella storia per l'assenza di una linea curatoriale e l'assurdità di una selezione a dir poco approssimativa, come di chi non ha il coraggio di far delle scelte. Come se incaricare 2000 persone per selezionare altri 2000 artisti fosse la strada giusta. E senza parlare dell'assenza di organizzazione e di fondi. Basta leggere questa lettera-risposta di Luca Vitone, uno dei tanti artisti che ha avuto la prontezza di dire no.

Gentili signori
Vi ringrazio per la convocazione ma soprattutto ringrazio Pierluigi Cerri, che non ho il piacere di conoscere personalmente, ma di cui ho profonda stima sul piano professionale, per aver segnalato il mio nome.
Devo però ammettere che mi ha non poco sconcertato l’inserimento del mio nome nella lista degli artisti rappresentanti il Padiglione Italia alla 54a Biennale di arti Visive di Venezia, scaricabarile dal sito ufficiale della Biennale stessa, senza essere stato consultato né, di fatto, invitato.


Stiamo parlando della mostra di arte contemporanea che ancora oggi rappresenta una delle esposizioni più prestigiose, accreditate e visitate del mondo;  la prima Biennale di Venezia della Storia venne allestita nel 1895.
Proprio rispetto alla tradizione di questa manifestazione, ai miei occhi appare ancora più grave la leggerezza professionale con cui sono stato infine contattato. Dopo aver appreso di essere presente nella suddetta lista, resa pubblica da più di una settimana, ho ricevuto una e-mail sabato 14 maggio alle ore 15.35, dove tra l’altro si accenna a una telefonata da me mai ricevuta, in cui mi si chiede di spedire un’opera indicandomi un indirizzo, invitandomi a farla pervenire tra il 16 e il 20 maggio con  la precisazione che la copertura assicurativa partirà dal luogo di ricezione. Spedire un “pacco” insomma senza sapere che tipo di spazio è stato destinato al mio lavoro, senza aver avuto la possibilità di fare un sopralluogo e di conseguenza decidere l’opera da esporre, per una mostra che si inaugura il primo giugno. Ça va sans dire che non sono queste le modalità di lavoro consone a un’istituzione di tale importanza.
A ben riflettere Vittorio Sgarbi ha sempre dileggiato, offeso, screditato l’arte contemporanea e oggi che per incarico ministeriale si trova a curare il Padiglione Italia, non poteva che invitare centinaia di artisti in modo acritico, banalizzando un’istituzione e contribuendo a screditare culturalmente il paese agli occhi del mondo.
Vittorio Sgarbi nell’allegato che conteneva la mia lettera di invito afferma che il coinvolgimento di tante persone nella scelta degli artisti da invitare muove dal desiderio “di non cedere alla tentazione di una scelta arbitraria”, in questo senso e senza alcun intento polemico, vorrei rilevare che l’arte contemporanea per il fatto di non avere subito alcuna selezione dal tempo, dalla Storia, richiede un criterio selettivo altamente professionale che implica il rischio dell’errore, l’assunzione della responsabilità dell’arbitrio, conditio sine qua non per la qualifica di critico, curatore, storico dell’arte contemporanea.
Per continuare con ciò che dice Vittorio Sgarbi, “Vorrei dire di sì per gentilezza, vorrei dire di no per dignità… Vorrei fare un pò la vittima”, mentre sottoscrivo le prime due affermazioni, voglio dire che no, la vittima proprio non la voglio fare.
E proprio per  questo vi chiedo gentilmente di rimuovere il mio nome dalla lista dei partecipanti alla mostra, svilita e offesa da tale atteggiamento.
Sottolineando il mio profondo dispiacere e rammarico nel rinunciare a partecipare a un’esposizione importante, se non fondamentale per la carriera di un artista.

Distinti saluti,
luca vitone

giovedì 12 maggio 2011

Madonna del Rosario

Maria SS. del Rosario. Tale bella e prestigiosa opera è stata eseguita, ex novo, dal maestro Ferdinando Fedele per la parrocchia Santissimo Salvatore di Passiano. Nel video le fasi di preparazione per realizzare un vero e proprio tableaux vivant che è servito poi per la tela, dallo spiccato accento barocco, per studiare la composizione e i volumi. Del resto era pratica nel '600 quella di lavorare con teatri di posa per ricreare la scena da dipingere.


"La composizione dell'opera è impostata secondo il modelo tradizionale. domina la figura della Vergine con Bambinello che si china sorridente donando la corona a S. Domenico , fondatore dell'ordine dei Domenicani o P.P.Predicatori, che diffusero la devozione al S.Rosario. "Domini Canes" ovvero Cani del Signore, è il simpatico gioco di parole che giustifica la presenza del cagnolino pezzato di bianco e nero con torcia accesa in bocca, ai piedi dello stesso Santo. Questo cagnolino che correva per il mondo, fu il sogno della mamma dello stesso santo nel mentre lo attendeva. Si distingue subito Caterina da Siena patrona D'Italia, i tratti sono quelli di Sonia Gambardella. Di spalle a questa ecco S. Rosa da Lima, anche lei terziaria domenicana e prima santa dell'America. Si scorgono inoltre, S.Vincenzo Ferrer, la fiammella sulla Sua testa testimonia il dono particolare dello Spirito Santo che fece di lui un oratore dal valore pentecostale, nel senso che i prodigi delle varie lingue si ripetettero durante le sue infiammate predicazioni per l'Europa del tempo dilaniata da lotte anche religiose. Alle Sue spalle un giovane ed insolito S.Benedetto da Norcia. questa figura è stata voluta per devozione personale del parroco D.Enzo, anche in vista del prossimo millenario della nostra Badia di Cava, che si celebrerà appunto nel 2011. S.Benedetto si caratterizza dalla vicinanza di un corvo che porta in nel becco un pane. Il Santo Patriarca , infatti, comandò un tempo al corvo di gettare lontano quel pane che era stato avvelenato. La cocolla bianca è scelta del Pittore, ma non è inusuale. La figura più sontuosa è forse il Papa che si vede in ginocchio, è la rappresentazione ideale di S.Pio V, anche Egli dell'ordine di S.Domenico. Fu questo S. Papa a chiedere al mondo cattolico di coalizzarsi e specialmente di pregare il S. Rosario, in occasione della battaglia di Lepanto il 7 Ottobre 1571. La vittoria delle armate cristiane, segnò la fine definitiva delle mire espansionistiche dell'impero Turco-Ottomano almeno verso l'Europa sud-occidentale. Bella l'espressione del Senato di Venezia che volle riassumere il tutto: "Non virtus, non arma, non duces, sed Maria Rosarii victores nos fecit", "non il valore, non le armi, non i condottieri ma la Madonna del Rosario ci ha fatto vincitori". Da quel momento in poi , e in ossequio ai Canoni del Concilio di Trento, in tutte le chiese si volle un altare dedicato al SS.Crocifisso ed uno alla B.Vergine del Rosario. La notra chiesa parrocchiale è un esempio chiarissimo di quella direttiva non solo richiesta dai canoni ma desiderata fortemente dal santo popolo di Dio. La cappella che ora finalmente costodirà un nuovo quadro del Rosario, conteneve un' opera di grande valore della stessa epoca dei fatti di Lepanto. Il tutto sparito nel nulla in una ormai lontana notte del 1988. Il pio Passianese dell'epoca volle apporre in alto quella bella iscrizione che ancora oggi si può leggere, incisa sull'artistico cartiglio marmoreo: " Salus nostra in manu tua est, respiciat nos tantum", " La nostra vita è nelle tue mani, [il Signore] continui a guardarci". Essa è tratta dal libro della Genesi cap. 47, 25. Esprime la gratitudine degli antichi al Patriarca Giuseppe nel primo testamento e qui la riconoscenza alla Gran Madre di Dio per la protezione provvidenzialmente accordata e ripetutamente offerta a noi, nuovo popolo di Dio". (Fonte)




mercoledì 11 maggio 2011

Semir Zeki: l'arte, come la persona amata, stimola benessere

Ammirare un’opera d’arte scatena nel cervello umano le stesse sensazioni e le stesse reazioni chimiche di quando si osserva una persona amata: il professore Semir Zeki, esperto in neuroestetica alla University College London ha studiato come varia nel cervello il flusso del sangue, e in quali zone confluisce, quando ad una persona viene fatto osservare un dipinto.

Quando si osserva un’opera d’arte, sia essa un paesaggio, una natura morta, un astratto o un ritratto, nel cervello si attivano le aree legate al piacere”, ha spiegato Zeki, che alle persone coinvolte nella ricerca ha mostrato i dipinti dei neoclassici francesi, degli artisti italiani del XVII secolo, di Guido Reni e di John Constable, rivelatisi i più apprezzati rispetto ai pur sempre evocativi dipinti di artisti quali Hieronymus Bosch, Honore Damier e il pittore fiammingo Massys. Anche le opere di Leonardo Da Vinci, Paul Cezanne, Monet e Rembrandt sono state mostrate ed apprezzate nel test.

Le persone coinvolte nell’esperimento sono state dozzine, requisito essenziale una minima conoscenza artistica, affinché il giudizio sull’opera non fosse influenzato dai gusti del momento o dalla fama dell’artista. Analizzando le reazioni del cervello con una MRI (imaging in risonanza magnetica) è stato misurato un aumento del flusso sanguigno alla corteccia media orbitofrontale, l’area associata al piacere ed al desiderio. Mostrando differenti dipinti ogni 10 secondi alle persone nello scanner, la reazione celebrale si è rivelata immediata, e proporzionata alla percezione di bellezza che l’opera induceva nel soggetto, rivelando secondo Seki che “l’arte induce una sensazione di benessere direttamente nel cervello”.

Abbiamo attribuito una verità scientifica a qualcosa che già conoscevamo: l’arte ci fa sentire meglio, ma prima di questo studio non sapevamo quanto potente potesse essere l’effetto sul cervello”, ha osservato Seki. La ricerca inglese rappresenta quindi una conferma scientifica ad una verità accettata dalla società: l’arte quindi non solo eleva lo spirito dell’uomo, ma influisce generando un benessere sia fisico che psicologico, motivo per il quale dovrebbe essere fruibile ad un pubblico il più generale possibile.

domenica 8 maggio 2011

Morire per amore - arte e resistenza

Un po in ritardo rispetto al 25 aprile, Festa della Liberazione, segnalo questo bel sito di una mostra realizzata qualche anno fa a Bologna dal titolo Morire per amore: arte e resistenza a Bologna. Mostra interessante in quanto indaga i rapporti tra arte, cultura, politica e impegno civile, in riferimento appunto ai drammatici mesi di lotte per la liberazione dal nazifascismo. Non vi è una linea comune, molti artisti provengono da scuole e strade diverse, da appurare anche se si possa parlare di estetica della resistenza, ma la selezione è interessante e i contenuti del sito sono di alto livello. Un modo diverso, questo, di rileggere la storia dal punto di vista dell'espressione. Morire per amore: titolo di un'opera di Sabastian Matta dedicata al Che.

Renato Guttuso "Il Comizio. Omaggio a Giuseppe di Vittorio", 1962, Olio su tela,
Sebastian Matta "Morire per Amore", 1967, Tempera su tela, cm. 200x300

Osvaldo Piraccini "Partigiani nella Salina di Cervia", 1955, Olio su tela, cm. 100x130
Franco Angeli, Corteo.

giovedì 5 maggio 2011

Il miglior virtual tour di un museo

Il miglior virtual tour, senza ombra di dubbio, lo offre il museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, l'importante pinacoteca e centro culturale della capitale spagnola. Frutto della collezione del barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza vanta capolavori tra i quali Santa Caterina del Caravaggio, Ritratto di cavaliere del Carpaccio, Cristo dolente del Bramantino.




mercoledì 4 maggio 2011

Cia e Espressionismo Astratto. Nascita di un movimento

Questo post lo volevo inserire da molto tempo; senza entrare nel merito del valore estetico delle opere è bene che si sappia anche come tanti movimenti imposti alla critica non sono poi frutto esclusivo della genialità del singolo artista ma spesso sono veicolati da istituzioni "ombra" con scopi diversi. Nel caso dell'espressionismo astratto era quello di contrapporre al realismo russo, ancora portatore di valori sia plastici che civili, un'arte aiconica e profondamente nichilista. L'impresa, grazie al finanziamento di critici e galleristi, è riuscita così bene tanto che oggi parlare di figurativo per l'arte contemporanea è come pronunciare una bestemmia. L'impressione finale è quella del domandarsi, effettivamente, analizzando tali lavori di cosa stiamo parlando. Di seguito una piccola rassegna stampa che comincia con un articolo uscito recentemente sull'interessante e nuova rivista Effetto Arte


La guerra fredda è stata combattuta in tutti i continenti e con ogni mezzo, anche con la cultura. Subito dopo aver sconfitto i nazisti, Stati Uniti e Unione Sovietica si contesero duramente l’eredità di Parigi, Londra e Berlino che, ridotte al lumicino, non erano più in grado di imporre nuovi gusti e nuove idee. Autorevoli storici sostengono, documenti alla mano, che fin dagli anni Quaranta la Casa Bianca aveva incaricato addirittura la CIA di spingere al successo gli artisti “giusti”, e soprattutto gli Espressionisti Astratti, che tanto hanno contribuito a fare di New York il centro dell’arte contemporanea. Rothko, Pollock, Gottlieb e tanti altri mostri sacri, oggi osannati dai critici e strapagati, sarebbero stati insomma nient’altro che gli strumenti di un gioco politico più grande. Sono affermazioni complottiste che paiono dure, a tratti assurde, ma che un fondamento lo hanno. Per cominciare, è noto che gli Stati Uniti non avevano, e tuttora non hanno, una rete di diffusione culturale del calibro degli Instituts Français o dei British Institutes, e quindi l’utilizzo della CIA in un ambito così atipico non era affatto una scelta insensata. Ci sono, anzi, indizi precisi che dimostrano come proprio i servizi segreti abbiano portato a termine questa missione utilizzando il mercato e gli imprenditori amici. Uno di questi era Nelson Rockefeller, magnate dell’industria e della finanza, che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva guidato l’Intelligence a stelle e strisce in America Latina. È lui il protagonista di una storia che fa pensare a un romanzo di Le Carré, con la sua capacità formidabile di influenzare il mondo dell’arte, sia come padrone di un impero economico, sia come presidente del MoMA (Museum of Modern Art) di New York. In poco tempo egli rese gli Espressionisti Astratti ricchi e famosi, facendo man bassa delle loro opere con i fondi della sua Chase Manhattan Bank, che ne acquistò addirittura 2.500, e attraverso il museo, che lanciò un importante programma di acquisizioni, finanziato in parte dalla vendita all’asta di un bel numero di dipinti del XIX secolo. In parallelo, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta, Rockefeller spinse il MoMA a organizzare a New York e in Europa Occidentale diverse mostre dedicate all’Espressionismo Astratto, e per finanziarle Washington elargì generosi contributi. Ma cosa avevano di speciale quegli artisti per meritare tanta attenzione anche da parte dei servizi segreti? Essi avevano stile innovativo e talento, apparendo ben lontani dal realismo socialista sovietico, a cui univano motivazioni patriottiche: molti di loro erano ebrei, e quindi grati agli Stati Uniti per averli salvati combattendo il nazismo. Tuttavia avevano anche un enorme difetto, almeno agli occhi di gente come Rockefeller: quasi tutti erano di sinistra, alcuni perfino trotzkisti come l’ideologo Clement Greenberg, o comunisti come Robert Motherwell, e la loro arte piaceva poco alla borghesia conservatrice americana. Secondo certi storici si trattava di questioni divenute presto secondarie, per altri studiosi rappresentarono invece un ostacolo quasi insuperabile. È fuor di dubbio che il presidente Truman definiva gli Espressionisti Astratti come la “scuola delle uova al bacon”, riferendosi forse, con un dubbio omaggio, all’opera Ochre and Black di Gottlieb. Per altro, quando si faceva aprire in esclusiva la National Gallery di Washington, ammirava solo i maestri olandesi e fiamminghi, o i paesaggisti ottocenteschi americani. Va anche ricordato che nel 1947 il Segretario di Stato George Marshall non esitò a tagliare i fondi del tour sudamericano di una mostra di Pollock, e ci sono testimonianze documentate secondo cui, all’interno del MoMA, le voci contrarie a Rockefeller si sentivano forti e chiare. Sarebbe comunque sbagliato cadere in una visione alla Grande Fratello di Orwell, dove un mostro tentacolare - Rockefeller e la CIA - determina a tavolino il successo di un movimento artistico facendo il lavaggio del cervello a mezzo mondo con acquisizioni e mostre. La realtà fu certo più complessa, anche perché il governo americano non è mai stata un’entità perfettamente coesa, e Truman, Marshall e la CIA non possono essere considerati in un unico blocco. Infine, si tratta qui di un periodo piuttosto lungo, oltre un decennio, che ha visto alti e bassi per tutte le figure coinvolte. Truman fu presidente dal 1945 al 1953, e nell’ultimo anno la sua autorità era ormai indebolita; il suo successore poi, Eisenhower, anche se repubblicano come lui, aveva una visione ben diversa. In effetti gli Espressionisti Astratti fecero un vero balzo in avanti solo a partire dal 1953. È da quel momento che il MoMA cominciò a esporre le opere di Rothko, Baziotes e di altri in grandi mostre, e solo nel 1958 le fece arrivare in Europa con notevoli risultati di pubblico e di critica. E se nel 1951 un Pollock si vendeva a 1.000 dollari, nel 1956 il Metropolitan Museum di New York ne pagò ben 30.000 per il suo Autumn Rhythm. 

Daniele Liberanome


Rassegna stampa






domenica 1 maggio 2011

L'Adobe Museum of Digital Media

Inaugurato il 6 ottobre 2010, l’Adobe Museum of Digital Media, è il museo online del colosso informatico che accoglie opere creative realizzate sui media digitali. Condividendo le finalità dei musei tradizionali - spiega la compagnia - AdobeMuseum.com esporrà opere appartenenti a diverse modalità di espressione artistica, dalle arti figurative alla cinematografia, dalle performance al design, all’architettura e ai social media.
I visitatori online possono interagire con i lavori attraverso una piattaforma digitale creata ad hoc. L’interazione è assicurata anche da un forum su Internet che si propone di stimolare, con l’aiuto di esperti, il dibattito sui media digitali e la loro influenza sulla cultura e la società.
Attualmente, di interessante in programma Valley di Tony Oursler.
Un Museo a tutti gli effetti, con tanto di curatori e programmi di esposizione, tra i più completi e interessanti sul web.


"Adobe Museum of Digital Media. Open 365 days a year, 24 hours a day. No doors. No guards. No closing times. Only the best in digital art and innovation".

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