Che Milo Manara sia molto influenzato dall’arte maggiore è un dato di fatto, esistono infatti molte splendide tavole ispirate a grandi capolavori (la copertina dell’ultimo cd di Lucio Dalla è ripresa chiaramente dalla “Notte stellata” di van Gogh) o molte ambientazioni che sapientemente riprendono i nostri maggiori centri storici; mi ha colpito però una sua breve storia che ha per protagonista proprio un pittore.
La storia in questione si intitola “Mors tua vita mea”, è presente nel libro Storie Brevi vol. 2 e tratta di Paolo Veronese; ambientata durante i giorni del suo famosissimo processo per eresia tratta della tragica storia di una sua modella. Il fumetto, graficamente molto suggestivo, non disdegna brani ispirati a sue opere. Anche se esula dal discorso di questo blog, nello stesso libro consiglio la lungimirante storia “Reclame”, quasi visionaria nel raccontare lo sfascio culturale della televisione moderna e spietata nel descrivere come la proiezione del “Casanova” di Fellini sia continuamente interrotta da assurde e grottesche pubblicità fino a portare il veneziano alla fuga dal film.
Tornando al Veronese il fumetto di Manara è stato solo un pretesto per raccontare del suo assurdo processo legato all’enorme tela dell’Ultima Cena.
Era il 1573 e Paolo Veronese si trovava davanti al Tribunale dell'Inquisizione. Nella sua "Ultima cena", monumentale dipinto di cinque metri per tredici, commissionato dai padri domenicani del convento dei Santi Giovanni e Paolo, l'artista si era divertito nel riempire gli spazi vuoti con figure profane dalle chiare allusioni simboliche licenziose. All’accusa rivolta dai prelati al quadro di contenere immagini non presenti nel racconto evangelico, in particolare pappagalli, cani, un servo a cui "esce il sangue dal naso", "buffoni, imbriachi, Thodeschi, nani et simili scurrilità", il pittore risponde “Nui pittori si pigliamo la licentia che si pigliano i poeti et i matti” spiegando che “se nel quadro li avanza spacio, il l'adorno di figure come mi vien commesso et secondo le invenzioni”. Così, dopo la condanna del Tribunale a correggere il dipinto, Veronese non spostò di un segno la sua opera; semmai ne cambiò il titolo e il soggetto, non più sacro bensì profano, divenne il famoso "Convito in casa di Levi" che oggi si ammira alle Gallerie dell'Accademia. Non più la cena sacra dell' istituzione dell'Eucarestia ma un banchetto festoso in onore di Gesù offerto da Levi (San Matteo) che, essendo ricco, poteva avere i servi, buffoni, nani, cani e quant'altro appariva dipinto sulla tela
Colpisce della vicenda la bellissima dichiarazione di poetica del pittore e l’assurdità di una censura basata sul contenuto e non alla forma; in pieno clima controriformista nessuna fantasia poteva essere lasciata passare.
Verbale del processo contro Paolo Veronese. Sabato, 18 luglio 1573
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