Sfogliando su Google Book il testo di Andrea de Iorio “La mimica degli antichi investigata nel gestire napoletano”, testo secondo me fondamentale per comprendere gli innumerevoli significati dei gesti presenti nelle opere d’arte o nelle iconografie più ermetiche, il quale, anticipando quasi le famose pathosformel di Warburg, ricerca nella mimica sopravvivenze classiche, mi sono imbattuto in questa illustrazione dal titolo “La scuola de’ mangia-maccheroni”
che subito mi ha rimandato ad un’altra celebre immagine-icona del nostro cinema italiano, la famosa scena del pranzo in “Miseria e Nobiltà” di Mario Mattoli con l’affamato Totò a caccia di maccheroni.
Da Napoli, Totò ha assorbito la cultura del "pazzariello" e quella del "pulcinella", l'arte dell'imbroglio e il gusto del sofismo, la tecnica della pernacchia e la tattica del sarcasmo. Oltre a quella straordinaria mistura di comico e di tragico, di senso della morte e di amore per la vita, che fa del suo personaggio un unicum irripetibile e di valore universale. Prendete il suo "costume di scena", quasi una divisa: dai pantaloni corti "a saltafossi" all'immancabile fracchesciacche (il frac largo e lungo) fino al laccio da scarpe allacciato al collo della camicia a mo' di cravattino, tutto esprime l'idea napoletanissima dell'omino povero ma dignitoso, inserito nel sistema ma capace di mandarlo a gambe all'aria con la sua logica del non-senso e del ridicolo. Per non parlare della sua faccia asimmetrica e surreale, quasi fosse una scultura di Boccioni, una maschera unica e studiata per creare effetti di straniamento e di automatismi meccanici e marionettistici, come nello “sganciarsi” della mascella e del collo.
Ebbene questa logica del non-senso rimanda ad un altro aspetto del comico che si lega, in modo molto calzante, con le tendenze artistiche e con le avanguardie attive nel periodo della sua formazione artistica, quando lavorava nei cabaret e nell’avanspettacolo ed il varietà era fatto da sketch veloci e brillanti, astratti e buffoneschi, nei quali univa le farse napoletane, il teatro di Scarpetta, la vivacità di Petrolini e gli snodamenti di Gustavo de Marco, come si vede in questa scena del film “Yvonne de la nuit”, rifacimento cinematografico della scenetta del “Bel ciccillo”.
De marco, in particolare, fu uno degli attori più seguiti ed ai quali più si ispirò; un attore che, sfruttando un corpo incredibilmente disarticolato, raggiunse gli onori della ribalta sino al punto da essere soprannominato “l’uomo di gomma”, e fu uno degli artisti più attivi in una realtà comunque ricca di talenti al servizio del futurismo, in una città dove tale movimento aveva attecchito con una straordinaria intensità e spigliatezza.
Il futurismo di Totò, allora, aldilà dell’incontro con Bragaglia, all’epoca già uscito dal futurismo, regista di “Animali pazzi”, non deve apparire come una considerazione tanto astratta; come scrisse Mario Verdone negli anni ‘50: “Non sarebbe esagerato affermare che col volto di Totò, col solo volto, si potrebbe fare un ‘tre minuti’ di avanguardia. La pagina cinematografica si ridurrebbe a un grande primo piano dove le ciglia che si spostano, la bocca che si restringe o si rischiara, scriverebbero le parole”.
Riguardo l’arte futurista solo il teatro di varietà infatti, come riporta il manifesto, era scampato al rifiuto del passato da parte di Marinetti; avvertito come sovversivo, moderno, veloce, anti-lirico e capace di stupire, il genere teatrale era diventato un modello da imitare poiché rappresentava la sintesi di tutto ciò che i futuristi chiedevano: velocità, utilizzo di varie discipline (tra cui il cinematografo, simbolo di modernità) che lavorano in sinergia tra loro, cinismo espressivo, rumorosità, punto di incontro tra differenti strati sociali, abbandono del bon-ton a favore della parola libera; teatro dello “stupore, del record, della fisicofollia”.
Ebbene l’agire di Totò, in particolare nei primi film, richiama molto questa ricerca dell’assurdo, del non-senso, del cinismo; nella ingenua maschera da Pulcinella o Pinocchio così si cela un “dis-umano come un burattino, super-umano come un diavolo, pseudo-umano come un automa, ultra-umano come uno spettro” (cfr. Alberto Anile, Totò prima e dopo, 2003). Come non ricordare il Pinocchio-marionetta di “Totò a colori”.
Ma il futurismo di Totò sta forse ancor più nel linguaggio, ovvero nello sganciamento del linguaggio, nella ricerca del non-senso (“è la somma che fa il totale”), nei giochi grammaticali, fonetici e di parole (“parli come badi”, “bazzecole, quisquiglie, pinzellacchere”), nell’inversione (“ogni limite ha una pazienza”) e nella sinestesia (“Guarda Omar quant’è bello!”); e sta anche nel tono di certi discorsi i quali, rifacendosi ironicamente a quelli del Duce, avevano come base culturale i toni arditi e violenti delle acclamazioni di Marinetti; e come non pensare poi alla mitica scena di "Totò, Peppino e la malafemmina" in cui il grande comico scrive la famosa lettera alla medesima con l' ausilio di De Filippo ("Punto, punto e virgola, abbondiamo, così non dicono che siamo tirati...")? "Ma è ovvio, quello è un testo futurista, dietro c' è tutto il Dadaismo con la scomposizione della sintassi e della punteggiatura", scriverà Achille Bonito Oliva.
E proprio Bonito Oliva, il quale ha realizzato il soggetto e la sceneggiatura del film "Toto'modo, l'arte spiegata anche ai bambini“, una sorta di Blob del Totò più sperimentale, ha detto “E’ stato proprio Totò il più grande critico d’arte” motivando questa affermazione con una serie di esempi cinematografici il cui il Principe de Curtis si raffrontava con l’arte e agli artisti o faceva avanguardia vera e propria. “Il mio progetto è stato quello di trarre da tutti i film di Totò brani in cui lui fa l'artista o parla d'arte. Questi brani li ho montati in maniera assolutamente elementare – il mio intervento è minimale – e ho proposto come didascalia il movimento artistico corrispondente al discorso che Totò recita anche involontariamente; quindi ho costruito una sorta di Frankenstein della critica” sostiene il critico e aggiunge “Totò sviluppa un linguaggio che di per sé noi possiamo piegare e utilizzare per realizzare una sorta di storia dell'arte spiegata anche ai bambini”.
Si comincia con una magnifica scheggia di "Totò cerca moglie". Uno scultore contemporaneo illustra le sue realizzazioni. Quel telaio di ferro rotondo è una Venere ("è meglio di quella di Milo perché con questa ci puoi sturare il lavandino"), un blocco di marmo quadrato è una "Madre col bambino che piange" ("la madre e' andata via, il bambino piangeva ed è andato a cercarla"). Perciò si dichiara "maestro dell' assenteismo, perche' nelle mie opere manca sempre qualcosa". Per Bonito Oliva "siamo alla sintesi estrema dell' astrattismo, depurata dalla fumosità dei vecchi tromboni alla Consagra e alla Dorazio".
Seguono ampi stralci da "Totò , Eva e il pennello proibito" in cui Totò-Scorcelletti è un copista invitato a Madrid per "replicare" la "Maya desnuda" del Goya e teorizza la superiorità di chi ripete rispetto a chi crea ("Ma guarda tu, la Maya di questo Goya è identica, precisa alla mia... tutti sono capaci di fare, ma è copiare che è veramente difficile"); o quando all’inizio cerca di riprodurre la Gioconda ritraendo le fattezze del suo allievo. Per l' Achille critico "Toto' anticipa l' Anacronismo teorizzato faticosamente, con enfasi e molti anni dopo da Maurizio Calvesi". Una profezia dell' arte povera sarebbe invece quel passaggio di "Toto' cerca moglie" in cui lo scultore copia dal buco della serratura la modella del collega De Pizzis: "Io non la desidero...io considero e osservo". Anche qui Bonito Oliva mette mano alla carta vetrata: "Prima abbiamo parlato di tromboni, adesso direi che Totò è arrivato prima delle varie trombette come Kounellis, De Dominicis e Pistoletto". In "Toto' a colori" c' è l' interminabile concerto in piazza che fa infuriare il boss italo americano rientrato al paesello natio ("era la parodia di quei compositori pre Nino Rota che saccheggivano i classici o orecchiavano gli stranieri"), significativa anche per il ricorso alla sinestesia nel legare il finale dell’orchestra a un fantomatico sparo pirotecnico riprodotto con i gesti, vera operazione di avanguardia; e come non ricordare il profondo apprezzamento per il Picassò.
Sempre in “Totò, Peppino e la malafemmina” si cimenta in un’analisi architettonica del Duomo di Milano, scambiato per la Scala (“che si trova dentro”), definito uno “stile etrusco, un mezzovale” o scambia la Galleria per l’Arco di Tito; e in "Signori si nasce" Totò prova a imbrogliare il fratello Peppino De Filippo proponendogli la costruzione di una mega tomba di famiglia: "Sarà tutta in marmo nero, otto colonne e su ogni colonna un angioletto, uno scalone con settanta gradini, archi di trionfo della morte, piscina quadrata e lacrimatoio". ABO: "Come non pensare a un' opera della post avanguardia, diciamo alla Paolo Portoghesi? C' è lo stile eclettico e le citazioni del caso". Ma gli esempi sono tanti ancora; come non pensare all’assurda scena de “L’imperatore di Capri” che vede Totò far visita alla baronessa von Krapfen entrando in un’inquietante casa la cui scenografia, curata da Carlo Egidi, non ha nulla da invidiare all’arte surrealista o alle sculture create da un impazzito Totò serial-killer che usa le braccia delle vittime murate come porta-lampade, come neanche Hirst potrebbe inventarsi, nel film “Che fine ha fatto Totò Baby?”.
Per concludere ecco cosa avrebbe risposto Totò alla sua presunta autorevolezza di critico d’arte: “Futurista, impressionista, realista? Veramente io sono socialdemocratico monarchico napoletano”(Totò cerca casa).
grazie per la tua tua sinossi del laworo ed su LI ARTEM ( dell'arte) sWolto da un grande uomo a cui la wITA prefigurò una ESIStenza GRAMA , MA CHE LUI SEPPE TRASFORMARE COL GENIO della SUA irriwerenza in una scintillante genesi di successi a dispetto degli IGNORANTI e CODARDI CRITICI di allora
RispondiEliminastorica ed irripetibile la scena di quando jetta (getta) dal finestrino la waligia del POLITICANTE, AH ora mi ricordo anche il nome sig, TROMBETTA,
ED ancora più wera ed AMARA scena finale di TOTò AFFACCIATO alla finestra col megafono a gridare a piena woce : WOTA ANTONIO-WOTA ANTONIO.
GRANDE artista e grande UOMO,
Giancarlo QUADRI