lunedì 9 marzo 2009

"Dolce far niente"

In occasione oggi della 3° giornata mondiale della Lentezza volevo analizzare un tema iconografico che mi ha sempre molto colpito: quello del “Dolce far niente”.

Questa espressione, che sembra derivare da Plinio il giovane il quale, nel Libro VIII delle Epistole, scriveva «Non so più da molto cosa sia il riposo, cosa sia la tranquillità, cosa sia quello stato di non far nulla, non esser nulla, certo privo di attività, ma tuttavia piacevole», entrò in uso comune, come espressione tipicamente italiana, nel periodo del Grand Tour quando i viaggiatori della nobiltà europea, giungendo nel Bel Paese, trovavano così affascinante i modi di vivere, in particolare, della gente del meridione, incurante della miseria della propria condizione e per questo felici con poco.
E’ in generale “lo stare in ozio” ma considerato non come momento di riflessione soggettiva, quale poteva essere nell’Umanesimo l’otium letterario, bensì come momento di languido riposo e di distacco incurante dalla vita quotidiana.
Nel neoclassicismo Vittoriano, per intenderci quella sorta di accademismo di maniera che riprende soggetti della Grecia classica o della romanità trasfigurandoli in visioni di una irrimediabilmente perduta età dell’oro, questo tema sarà molto presente in splendidi dipinti che rendono appieno, nelle pose languide e sognanti delle modelle perdute in fantasticherie, quel desiderio di vagare col pensiero e trastullarsi quando l’ora del giorno è la più calda.
Naturalmente per perdere tempo bisogna avere del tempo libero a disposizione o almeno essere benestanti quanto basta per non lavorare e godere così di lunghi momenti d’ozio finalizzati al divertimento e al riposo, del resto però mi piacerebbe intendere queste figure non come delle perdigiorno o delle annoiate e viziate ragazze della noblesse europea, ma come spensierate figure dell’illusione.

Per concludere, così il poeta e favolista francese Jean de La Fontaine aveva concepito il proprio epitaffio: «Qui giace Jean, che se ne andò in punta di piedi com’era venuto. Ritenne non necessarie se non inutili le ricchezze, tanto che mangiò tutto, rendite e capitali. Volle fare buon uso del tempo: lo divise in due parti, e passò l’una a dormire e l’altra nel dolce far niente».

Immagine: Godward, Dolce far niente, 1901

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