mercoledì 4 maggio 2011

Cia e Espressionismo Astratto. Nascita di un movimento

Questo post lo volevo inserire da molto tempo; senza entrare nel merito del valore estetico delle opere è bene che si sappia anche come tanti movimenti imposti alla critica non sono poi frutto esclusivo della genialità del singolo artista ma spesso sono veicolati da istituzioni "ombra" con scopi diversi. Nel caso dell'espressionismo astratto era quello di contrapporre al realismo russo, ancora portatore di valori sia plastici che civili, un'arte aiconica e profondamente nichilista. L'impresa, grazie al finanziamento di critici e galleristi, è riuscita così bene tanto che oggi parlare di figurativo per l'arte contemporanea è come pronunciare una bestemmia. L'impressione finale è quella del domandarsi, effettivamente, analizzando tali lavori di cosa stiamo parlando. Di seguito una piccola rassegna stampa che comincia con un articolo uscito recentemente sull'interessante e nuova rivista Effetto Arte


La guerra fredda è stata combattuta in tutti i continenti e con ogni mezzo, anche con la cultura. Subito dopo aver sconfitto i nazisti, Stati Uniti e Unione Sovietica si contesero duramente l’eredità di Parigi, Londra e Berlino che, ridotte al lumicino, non erano più in grado di imporre nuovi gusti e nuove idee. Autorevoli storici sostengono, documenti alla mano, che fin dagli anni Quaranta la Casa Bianca aveva incaricato addirittura la CIA di spingere al successo gli artisti “giusti”, e soprattutto gli Espressionisti Astratti, che tanto hanno contribuito a fare di New York il centro dell’arte contemporanea. Rothko, Pollock, Gottlieb e tanti altri mostri sacri, oggi osannati dai critici e strapagati, sarebbero stati insomma nient’altro che gli strumenti di un gioco politico più grande. Sono affermazioni complottiste che paiono dure, a tratti assurde, ma che un fondamento lo hanno. Per cominciare, è noto che gli Stati Uniti non avevano, e tuttora non hanno, una rete di diffusione culturale del calibro degli Instituts Français o dei British Institutes, e quindi l’utilizzo della CIA in un ambito così atipico non era affatto una scelta insensata. Ci sono, anzi, indizi precisi che dimostrano come proprio i servizi segreti abbiano portato a termine questa missione utilizzando il mercato e gli imprenditori amici. Uno di questi era Nelson Rockefeller, magnate dell’industria e della finanza, che durante la Seconda Guerra Mondiale aveva guidato l’Intelligence a stelle e strisce in America Latina. È lui il protagonista di una storia che fa pensare a un romanzo di Le Carré, con la sua capacità formidabile di influenzare il mondo dell’arte, sia come padrone di un impero economico, sia come presidente del MoMA (Museum of Modern Art) di New York. In poco tempo egli rese gli Espressionisti Astratti ricchi e famosi, facendo man bassa delle loro opere con i fondi della sua Chase Manhattan Bank, che ne acquistò addirittura 2.500, e attraverso il museo, che lanciò un importante programma di acquisizioni, finanziato in parte dalla vendita all’asta di un bel numero di dipinti del XIX secolo. In parallelo, soprattutto a partire dai primi anni Cinquanta, Rockefeller spinse il MoMA a organizzare a New York e in Europa Occidentale diverse mostre dedicate all’Espressionismo Astratto, e per finanziarle Washington elargì generosi contributi. Ma cosa avevano di speciale quegli artisti per meritare tanta attenzione anche da parte dei servizi segreti? Essi avevano stile innovativo e talento, apparendo ben lontani dal realismo socialista sovietico, a cui univano motivazioni patriottiche: molti di loro erano ebrei, e quindi grati agli Stati Uniti per averli salvati combattendo il nazismo. Tuttavia avevano anche un enorme difetto, almeno agli occhi di gente come Rockefeller: quasi tutti erano di sinistra, alcuni perfino trotzkisti come l’ideologo Clement Greenberg, o comunisti come Robert Motherwell, e la loro arte piaceva poco alla borghesia conservatrice americana. Secondo certi storici si trattava di questioni divenute presto secondarie, per altri studiosi rappresentarono invece un ostacolo quasi insuperabile. È fuor di dubbio che il presidente Truman definiva gli Espressionisti Astratti come la “scuola delle uova al bacon”, riferendosi forse, con un dubbio omaggio, all’opera Ochre and Black di Gottlieb. Per altro, quando si faceva aprire in esclusiva la National Gallery di Washington, ammirava solo i maestri olandesi e fiamminghi, o i paesaggisti ottocenteschi americani. Va anche ricordato che nel 1947 il Segretario di Stato George Marshall non esitò a tagliare i fondi del tour sudamericano di una mostra di Pollock, e ci sono testimonianze documentate secondo cui, all’interno del MoMA, le voci contrarie a Rockefeller si sentivano forti e chiare. Sarebbe comunque sbagliato cadere in una visione alla Grande Fratello di Orwell, dove un mostro tentacolare - Rockefeller e la CIA - determina a tavolino il successo di un movimento artistico facendo il lavaggio del cervello a mezzo mondo con acquisizioni e mostre. La realtà fu certo più complessa, anche perché il governo americano non è mai stata un’entità perfettamente coesa, e Truman, Marshall e la CIA non possono essere considerati in un unico blocco. Infine, si tratta qui di un periodo piuttosto lungo, oltre un decennio, che ha visto alti e bassi per tutte le figure coinvolte. Truman fu presidente dal 1945 al 1953, e nell’ultimo anno la sua autorità era ormai indebolita; il suo successore poi, Eisenhower, anche se repubblicano come lui, aveva una visione ben diversa. In effetti gli Espressionisti Astratti fecero un vero balzo in avanti solo a partire dal 1953. È da quel momento che il MoMA cominciò a esporre le opere di Rothko, Baziotes e di altri in grandi mostre, e solo nel 1958 le fece arrivare in Europa con notevoli risultati di pubblico e di critica. E se nel 1951 un Pollock si vendeva a 1.000 dollari, nel 1956 il Metropolitan Museum di New York ne pagò ben 30.000 per il suo Autumn Rhythm. 

Daniele Liberanome


Rassegna stampa






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