giovedì 10 giugno 2010

Cleofino Casolino - Tra Provele e Talaragne...


I lari di Cleofino. 

Il titolo della mostra di Cleofino Casolino, Tra polvere e ragnatele, rimanda con vividezza all’idea di un viaggio tra i ricordi di un passato divenuto luogo d’elezione d’una sacralità tutta personale. Impressioni momentanee fermate nella terracotta e oggetti comuni (telai, ruote, un pezzo di muro spatolato) dialogano con curiosa e semplice armonia in quello che si può definire quasi un flusso di coscienza reso visibile e tangibile. La nostalgia di minimali momenti d’esistenza, di certo più innocenti della nostra condizione presente, viene suggerita da un percorso emozionale, ludico ed antiquario allo stesso tempo, dove le sculture sono solo la parte d’un discorso interiore ben più profondo. Quali sono le vere opere d’arte? Ogni elemento è la tessera di un cammino nella memoria dove la rappresentazione delle cose assume contorni vaghi e gli oggetti diventano enti carichi di suggestioni. Ogni elemento è un manufatto dell’uomo, che vi sia o meno intenzionalità estetica, e deve essere valutato innanzitutto come esperienza; ed è proprio all’esperienza personale dell’artista che dobbiamo guardare per decifrare il rebus che l’installazione ci presenta. Come illustra Dewey nel suo fondamentale testo Art as Experience “Attraverso l'arte significati di oggetti che altrimenti sono muti, indeterminati, ristretti e contrastanti, si chiariscono e si concentrano; e non mediante un laborioso affaccendarsi del pensiero intorno ad essi, non mediante il rifugio in un mondo di mera sensazione, ma attraverso la creazione di una nuova esperienza”. Un altro passo ci aiuta a comprendere l’importanza di questi oggetti del vissuto: “quando la struttura dell’oggetto è tale da far sì che la sua forza in teragisca felicemente (ma non con semplicità) con le energie che si sprigionano dall’esperienza stessa; quando le loro reciproche affinità e i muti antagonismi operano insieme per determinare una sostanza che si sviluppa progressivamente e costantemente (ma non in maniera troppo rigida) verso la soddisfazione di impulsi e tensioni, solo allora c’è un’opera d’arte”. 

E poi ci sono le sculture. Probabilmente, decifrando le intenzioni dell’artista, non andrebbero analizzate singolarmente, al di fuori di quest’unica e vitale installazione, parimenti però riescono a comunicare anche singolarmente. Se gli oggetti comuni rimandano al tempo, queste si giovano dello spazio che occupano e della materia trasformata in figura. Sarebbe riduttivo vedere nel loro stile tracce di un realismo magico o, per inverso, di un primitivismo concreto. Certo, colpisce trovare nell’Attesa la nobile ieraticità del celebre busto di Eleonora d’Aragona di Palazzo Abatellis o rinvenire nell’Austerità le movenze, ormai infrante, della Nike di Samotracia o ancora scorgere nei visi la dolce severità di Uta di Naumburg e, in generale, della statuaria tardo gotica. Sarebbe interessante un paragone con il trattamento impressionistico della materia di Medardo Rosso o con la linea pura e primitiva di Modigliani, però ogni tentativo di classificare queste figure sarebbe un’inutile tassonomia che non porterebbe al cuore dell’esperienza artistica e personale di Cleofino. Ritengo che queste sculture debbano essere intese semplicemente come oggetti, frammenti di un discorso che parte da lontano, nei meandri dei ricordi, e che, solo per un “accidente” del destino, assume forme che noi riconosciamo come artistiche; sono figure “che accadono” e che proprio nella spontaneità custodiscono la loro forza. Le sagome, a volte armoniche a volte incredibilmente in tensione ma sempre pervase da un’inconscia sostenutezza formale, sono sopravvivenze, archetipi immersi nel sacro. Nel periodo analizzato da Belting ne Il culto delle immagini, le icone non erano considerate "arte" ma oggetti di venerazione che recavano in sé una tangibile presenza del sacro; parimenti i Lari, le statuette di legno, cera o terracotta che nella società romana raffiguravano gli spiriti protettori degli antenati defunti, raramente presentavano spiccate qualità estetiche a fronte di una consistente valenza affettiva e devozionale. In quanto effigi di ricordi, allora, perché non considerare le sculture di Casolino come lari moderni? Del resto quando le memorie diventano segno, quando gli spiriti –interiori- diventano immagine e l’esperienza modella la materia è sempre l’arte a parlarci.
Il servizio televisivo sulla mostra di TeleMolise. La galleria fotografica.


L'inserzione sul numero di giugno della celebre rivista d'arte Juliette. Dentro/Fuori dal Segno, a cura di Tommaso Evangelista.

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