L'impressione all'uscita dalla mostra Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo – Città moderna, presso il Complesso del Vittoriano a Roma, è di una soddisfazione a metà. Sono sempre stato diffidente delle mostre offerte dal Complesso poichè non sempre sono conformi alle aspettative; le considero le classiche mostre Blockbuster molto pubblicizzate che di importante hanno solo il nome ma poi si limitano a presentare opere non sempre all'altezza. Diciamo che non mi piace per nulla anche lo spazio espositivo, troppo angusto e articolato male per le troppe persone in fila. La mostra di Van Gogh è stata di livello basso, anche se il tema, il raffronto tra l'immagine della campagna e della città nelle sue opere, è interessante in quanto cerca di indagare quel complesso legame tra l'artista e la Natura nella sua evoluzione dalla scura pittura olandese di genere all'esplosione di colore impressionista. Fatto sta che alcune opere valgono totalmente il prezzo del biglietto e, anche se poche, giustificano le ore di fila. La speranza è che anche il pubblico meno addetto le ritrovi nella calca generale e nell'allestimento, altrimenti corre il rischio di trovarsi con un'immagine confusa e marginale dell'artista. Per le opere mi riferisco in particolare a Orti a Montmartre del 1887.
In quest'opera, di formato relativamente grande, si notano le prime conquiste del colore; l'artista, giunto da poco a Parigi, risente dell'ambiente impressionista e del puntinismo di Seraut e Signac che cerca di riproporre. Ne risulta un quadro dai toni delicati, dove i principi del punto sono applicati marginalmente a vantaggio di linee e tocchi di colore già diversi da quelli di Monet. In particolare risultano commoventi proprio questi tocchi, queste barbe di colore incise meticolosamente dall'artista che aveva piazzato il cavalletto su un'altura dalla quale ritrarre la parte meno urbana del quartiere Montmartre. Commovente è la determinazione di Van Gogh nel cercare a tutti i costi la forma del paesaggio, nel tentare di rendere sulla tela il particolare e la disorganicità della natura. Trovo in quelle pennellate che cercano di liberare il colore la forza che tra poco esploderà nel sud della Francia mentre immagino il pittore da solo, perso sulla tela, con gli occhi ora sul paesaggio ora sui pennelli nel cercare disperatamente e con ostinazione di dar senso al dipinto.
Del tutto diversa è la tela Cipressi con due figure femminili del 1889. Direi quasi sconvolgente per me che non avevo ancora visto dal vivo un'opera del periodo più tardo. La tela è un tocco al cuore nell'assoluta predominanza della materia pittorica plasmata come fosse materia viva con la quale creare non un quadro bensì un bassorilievo. Il nero e verde scuro dei cipressi emerge, lo si sente quasi al tatto, con linee ondulate che cercano di seguire le fronde battute dal vento del sud. L'aria è calda ma sotto i rami l'ombra si fa buia e fresca eppure inquietante se agli occhi del pittore appare così tormentata, resa come un groviglio di tracce e rovi. Il cielo, invece, sembra seguire un moto proprio. Vi si scorge l'andare delle nuvole, stiracciate e tese come serpi, anche loro raffigurate con solchi di materia, con tubetti versati direttamente sulla tela dove il pennello apre linee, sollevando barbe, come l'aratro sui campi. Pittura materica e viva, si scorge quasi il Balzac del Capolavoro incompiuto, eppure i riferimenti ci sono se pensiamo alla pittura disfatta di Monticelli o al colore-oggetto di Rembrandt, sempre amato da Van Gogh. Verranno altri cipressi, raffigurati perché figure misteriose del paesaggio, obelischi di un verde così scuro da apparire alieno al resto del paesaggio, eppur questa tela mi sembra la più sentita e tormentata. Assoluto capolavoro che parla al cuore con la forza del colore.
Segnalo la tela con delle donne su un campo di neve del 1890 per la resa di un cielo irreale da tramonto, con linee azzurro cobalto e un sole spento, mentre rinvengo già quel tocco di colore vivo sulla linea dell'orizzonte in una primissima tela del 1883, così fiamminga, a rendere un rosso tramonto. In ambedue il lavoro degli umili.
Interessante la parte introduttiva con una serie di stampe collezionate da van Gogh e altre opere grafiche alle quali si ispirò; personali e intime alcune lettere alla fine del percorso. La calligrafia minuta e nervosa, intervallata da schizzi e disegni.
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