venerdì 17 aprile 2009

Genitalpanik

Nel 1969 l’austriaca Valie Export realizza la sua “azione” Genitalpanik; indossando pantaloni col cavallo rimosso offriva agli spettatori un contatto crudo e immediato con la sua sessualità. Il corpo così può diventare inquietante proprio perché rifiutando filtri e finzioni mette davanti agli occhi l’oggetto del desiderio il quale, appunto poichè non veicolato da stereotipi o concezioni maschiliste, appare come un elemento perturbante, che crea panico proprio in quanto sfida la sicurezza dell’uomo nel suo possesso. L’inquietante rapporto con il mitra, poi, non fa che creare un cortocircuito mettendo sullo stesso piano di funzione-azione la vagina e l’arma da fuoco.
L’artista serba Marina Abramović ha recentemente riproposto quest’idea in una performance del 2005, forse in maniera anche più cruda nel mostrarsi al centro della sala nel “sacro” silenzio del museo, con intorno attenti spettatori.


Del resto questo gesto, come molti altri, fa parte della nostra memoria collettiva e inconscia; nell’antichità infatti il significato delle figure femminili che ostentano i genitali era legato all’idea della fertilità e alla capacità rigeneratrice della natura; mostrare la vagina nell’antichità era considerata infatti un’azione salutare, la cui vista produceva serenità e riso. Nel medioevo la trattatistica teologica affida ai genitali femminili un significato e una funzione morali, in quanto sede della fecondazione e simboli del desiderio di generazione; oltre al valore apotropaico di allontanamento dalla cattiva sorte.

Un esempio è questa metopa dal duomo di Modena o questo bassorilievo del XIII sec. definito la Putta di porta Tosa:

Maestro_delle_metope-ermafrodito (la potta di modena)

Putta di porta Tosa valie-export

Come simbolo di seduzione e con una forte accezione di realismo, tipico della sua poetica, il tema sarà ripreso nell’800 da Courbet che creerà una sorta di paesaggio sessualizzato:

Courbet-Origine 1866

Su questo rapporto fra terra femminile e riguardante s’imposta invece un’opera capitale del percorso artistico del Novecento, che può ben considerarsi una delle prime installazioni che si ricordino. È il celebre assemblaggio di Marcel Duchamp intitolato Dati: 1. La cascata d’acqua. 2. Il gas illuminante: al di là di una porta chiusa, da una fessura (che pare di fortuna) si può sbirciare una figura femminile nuda che tiene in mano una lampada a gas.

EtantDonnes

La donna – un manichino ricoperto di pelle di maiale trattata dall’aspetto estremamente convincente – ha una posa assai esplicita che ricorda quella del quadro di Courbet: sdraiata su un prato di sterpi, rappresenta la Terra. Di lei non è possibile, come nel caso della donna di Courbet, scorgere il volto; è la femminilità della natura, sempre pronta a procreare eppure eternamente vergine. A fecondarla, con lo sguardo, quell’uomo, o meglio “l’uomo” che la sbircia dalla fessura della porta senza, però, poterla mai raggiungere. La presenza dell’acqua della cascata sullo sfondo, del fuoco della lampada che tiene in mano, della terra su cui è distesa e dell’aria tersa che riempie il cielo, simboli dei quattro elementi primordiali, originari della vita (terra, acqua, aria e fuoco), fa di questo scorcio uno spicchio di paesaggio sessualizzato. Tanto l’uomo che guarda, quanto l’artista che ha creato l’opera, ma che poi, una volta creatala, si è trovato nella stessa posizione del primo, finiscono per sentirsi immersi in un universo pervaso dalla vita fervente. Qui le colline si ammantano di verde o di giallo autunnale al ritmo del respiro delle stagioni e, come un’immensa madre, la terra morbida dalle chiome di bosco e di foresta, dalle vene pulsanti di acque torrentizie, dai denti bianchi di roccia scintillante, accoglie gli uomini che sanno amarla.
Duchamp impiegò più di vent’anni per realizzare quest’opera che ha un po’ il sapore della summa di una lunga tradizione iconografica, simbolica e, se si vuole, religiosa”
(M. Bussagli).

E per mostrare come tale gesto-raffigurazione non sia solo una velleità artistica ricordo come questo comportamento fosse ben noto ad Ernesto De Martino, che si rifaceva ad un esempio rumeno in Morte e pianto rituale. Questa azione, il ricorso all'esibizione della vulva nei momenti di intensa crisi cosmica o sociale, connessa ad antichissime costumanze documentate nella tradizione mediterranea ed in altre tradizioni, quella giapponese e quella egizia, interveniva quando il gruppo parentale era immerso nel delirio di morte e di abbandono, quanto tutto l'universo sembrava farsi vano per l'emergenza improvvisa del dissolversi nel rituale del lutto.

marina abramovic- Balkan Erotic Epiccfr. M. Bussagli, Il nudo nell'arte; B. Pasquinelli, Il gesto e l'espressione.

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