sabato 17 novembre 2012

L'utopia dell'isola di Hashima

Con questo post voglio inaugurare una nuova tag, le città invisibili, che trattano di quelle che chiamo città dello spirito dove lo spazio a misura o meno d'uomo ispira il sublime. La buona architettura è quella che sa invecchiare. Probabilmente è l'utopia della costruzione ad aver formato quest'isola che pesca la sua forma nei nostri sogni ma che, resa scheletrica dall'abbandono, ci mostra un'immagine sorprendentemente affascinante. E' in fondo il fascino della rovina, di una nuova acropoli moderna e industriale, ma anche l'angoscia dell'horror vacui, la struttura labirintica, il gioco di prospettive, come si ci trovassimo di fronte ad una costruzione della mente che sa tanto delle carceri piranesiane quanto di rovine antiche. E' forse questa è la sua contraddizione.



L'isola di Hashima sperduta tra le 505 isole disabitate della prefettura di Nagasaki, in Giappone, è un luogo spettrale e affascinante, meta di un insolito turismo. L'isola è chiamata ancheGunkanjima, che significa "nave da guerra", per via dell'aspetto che assume il suo profilo sul letto dell'Oceano: un'isola grigia e decadente, circondata da un grande muro di cemento e i cui edifici prossimi al collasso vanno a delineare la forma di una specie di grande nave da guerra. Questa misteriosa isola fu costruita sopra un'importante miniera di carbone che, nel periodo compreso tra il 1887 ed il 1974, contribuiva notevolmente a rifornire di energia la città di Nagasaki, che si trovava ad un'ora di navigazione. Era un polo minerario talmente importante che decisero di costruire centinaia di appartamenti per i minatori, con scuole, ospedali, palestre, cinema, bar, ristoranti e negozi per le rispettive famiglie. Furono costruiti anche i primi edifici in cemento armato della storia del Giappone, per difendersi dai frequenti tifoni che si abbattono su quelle zone. Nel 1959 l'isola di Hashima arrivò ad avere la più alta densità di popolazione mai registrata in tutto il mondo: ben 3.450 abitanti per km². Gli appartamenti erano come delle celle per monaci, piccoli e soffocanti, e gli abitanti erano suddivisi in "caste": minatori non sposati, minatori sposati e con famiglia, e dirigenti della Mitsubishi e insegnati, che potevano persino godere del lusso di avere una cucina e un bagno privato. La sopravvivenza di Hashima dipendeva interamente dai rifornimenti via terra e se un tifone si abbatteva sull'isola, i suoi abitanti dovevano cercare di sopravvivere per giorni in attesa della prossima nave cargo.

Nel periodo di massima attività l'isola produceva 410.000 tonnellate di carbone all'anno. L'isola di Hashima fu abbandonata dopo che il petrolio iniziò a sostituire il carbone come fonte di energia. Dal 1974 Gunkanjima è una città fantasma. Nonostante sia stato un luogo di sofferenza, di stenti e di morte, Hashima rappresenta un importante pezzo di storia per il Giappone e il suo sviluppo industriale post-bellico. Oggi l'isola è un cimitero di edifici decadenti e destinati al crollo ma, proprio per il suo fascino spettrale, è meta di appassionati di esplorazione urbana e di cineasti. Nel 2005 fu concesso ad alcuni giornalisti di accedere all'isola e da allora tutto il mondo è venuto a conoscenza dell'esistenza di questo luogo incredibile. Fino al 2009 si rischiava il carcere se si provava a mettere piede nella città fantasma ma, nell'aprile di quell'anno, una parte dell'isola è stata riaperta per le visite, anche se, a causa delle condizioni del mare, è possibile accedervi solo per 160 giorni l'anno.








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