sabato 3 novembre 2012

I 500 anni della volta Sistina nelle parole di Benedetto XVI



CELEBRAZIONE DEI VESPRI IN OCCASIONE DEL 500° ANNIVERSARIO DELL’INAUGURAZIONE DELLA CAPPELLA SISTINA, 31.10.2012

Alle ore 18 di questo pomeriggio, nella Cappella Sistina, il Santo Padre Benedetto XVI presiede la Celebrazione dei primi Vespri della solennità di tutti i Santi, in occasione del 500° anniversario dell’Inaugurazione della Cappella.
Pubblichiamo di seguito l’omelia che il Papa pronuncia nel corso della Celebrazione:

OMELIA DEL SANTO PADRE 

Venerati Fratelli, 
cari fratelli e sorelle! 

In questa liturgia dei Primi Vespri della solennità di tutti i Santi, noi commemoriamo l’atto con cui, 500 anni or sono, il Papa Giulio II inaugurò l’affresco della volta di questa Cappella Sistina. Ringrazio il Cardinale Bertello per le parole che mi ha rivolto e saluto cordialmente tutti i presenti. 
Perché ricordare tale evento storico-artistico in una celebrazione liturgica? Anzitutto perché la Sistina è, per sua natura, un’aula liturgica, è la Cappella magna del Palazzo Apostolico Vaticano.
Inoltre, perché le opere artistiche che la decorano, in particolare i cicli di affreschi, trovano nella liturgia, per così dire, il loro ambiente vitale, il contesto in cui esprimono al meglio tutta la loro bellezza, tutta la ricchezza e la pregnanza del loro significato. E’ come se, durante l’azione liturgica, tutta questa sinfonia di figure prendesse vita, in senso certamente spirituale, ma inseparabilmente anche estetico, perché la percezione della forma artistica è un atto tipicamente umano e, come tale, coinvolge i sensi e lo spirito. 
In poche parole: la Cappella Sistina, contemplata in preghiera, è ancora più bella, più autentica; si rivela in tutta la sua ricchezza. Qui tutto vive, tutto risuona a contatto con la Parola di Dio. 
Abbiamo ascoltato il passo della Lettera agli Ebrei: «Voi vi siete accostati al monte Sion e alla città del Dio vivente, alla Gerusalemme celeste e a miriadi di angeli, all’adunanza festosa…» (12,22-23). L’Autore si rivolge ai cristiani e spiega che per loro si sono realizzate le promesse dell’Antica Alleanza: una festa di comunione che ha per centro Dio, e Gesù, l’Agnello immolato e risorto (cfr vv. 23-24). Tutta questa dinamica di promessa e compimento noi l’abbiamo qui rappresentata negli affreschi delle pareti lunghe, opera dei grandi pittori umbri e toscani della seconda metà del Quattrocento. 
E quando il testo biblico prosegue dicendo che noi ci siamo accostati «all’assemblea dei primogeniti iscritti nei cieli, al Dio giudice di tutti e agli spiriti dei giusti portati alla perfezione» (v. 23), il nostro sguardo si leva al Giudizio finale michelangiolesco, dove lo sfondo azzurro del cielo, richiamato nel manto della Vergine Maria, dona luce di speranza all’intera visione, assai drammatica. «Christe, redemptor omnium, / conserva tuos famulos, / beatæ semper Virginis / placatus sanctis precibus» - canta la prima strofa dell’Inno latino di questi Vespri. Ed è proprio ciò che noi vediamo: Cristo redentore al centro, coronato dai suoi Santi, e accanto a Lui Maria, in atto di supplice intercessione, quasi a voler mitigare il tremendo giudizio. 
Ma stasera la nostra attenzione va principalmente al grande affresco della volta, che Michelangelo, per incarico di Giulio II, realizzò in circa quattro anni, dal 1508 al 1512. Il grande artista, già celebre per capolavori di scultura, affrontò l’impresa di dipingere più di mille metri quadrati di intonaco, e possiamo immaginare che l’effetto prodotto su chi per la prima volta la vide compiuta dovette essere davvero impressionante. Da questo immenso affresco è precipitato sulla storia dell’arte italiana ed europea – dirà il Wölfflin nel 1899 con una bella e ormai celebre metafora – qualcosa di paragonabile a un «violento torrente montano portatore di felicità e al tempo stesso di devastazione»: nulla rimase più come prima. Giorgio Vasari, in un famoso passaggio delle Vite, scrive in modo molto efficace: «Questa opera è stata ed è veramente la lucerna dell’arte nostra, che ha fatto tanto giovamento e lume all’arte della pittura, che ha bastato a illuminare il mondo». 
Lucerna, lume, illuminare: tre parole del Vasari che non saranno state lontane dal cuore di chi era presente alla Celebrazione dei Vespri di quel 31 ottobre 1512. Ma non si tratta solo di luce che viene dal sapiente uso del colore ricco di contrasti, o dal movimento che anima il capolavoro michelangiolesco, ma dall’idea che percorre la grande volta: è la luce di Dio quella che illumina questi affreschi e l’intera Cappella Papale. Quella luce che con la sua potenza vince il caos e l’oscurità per donare vita: nella creazione e nella redenzione. E la Cappella Sistina narra questa storia di luce, di liberazione, di salvezza, parla del rapporto di Dio con l’umanità. Con la geniale volta di Michelangelo, lo sguardo viene spinto a ripercorrere il messaggio dei Profeti, a cui si aggiungono le Sibille pagane in attesa di Cristo, fino al principio di tutto: «In principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Con un’intensità espressiva unica, il grande artista disegna il Dio Creatore, la sua azione, la sua potenza, per dire con evidenza che il mondo non è prodotto dell’oscurità, del caso, dell’assurdo, ma deriva da un’Intelligenza, da una Libertà, da un supremo atto di Amore. In quell’incontro tra il dito di Dio e quello dell’uomo, noi percepiamo il contatto tra il cielo e la terra; in Adamo Dio entra in una relazione nuova con la sua creazione, l’uomo è in diretto rapporto con Lui, è chiamato da Lui, è a immagine e somiglianza di Dio. 
Vent’anni dopo, nel Giudizio Universale, Michelangelo concluderà la grande parabola del cammino dell’umanità, spingendo lo sguardo al compimento di questa realtà del mondo e dell’uomo, all’incontro definitivo con il Cristo Giudice dei vivi e dei morti. 
Pregare stasera in questa Cappella Sistina, avvolti dalla storia del cammino di Dio con l’uomo, mirabilmente rappresentata negli affreschi che ci sovrastano e ci circondano, è un invito alla lode, un invito ad elevare al Dio creatore, redentore e giudice dei vivi e dei morti, con tutti i Santi del Cielo, le parole del cantico dell’Apocalisse: «Amen, alleluia. […] Lodate il nostro Dio, voi tutti suoi servi, voi che lo temete, piccoli e grandi! […] Alleluia. […] Rallegriamoci ed esultiamo, rendiamo a lui gloria» (19,4a.5.7a). Amen. 

© Copyright 2012 - Libreria Editrice Vaticana (Fonte)


Inseriamo anche l'articolo di Antonio Paolucci, uscito sull'Osservatore Romano e il link dal sito vaticano per visitare virtualmente la Cappella Sistina

Il 31 ottobre 1512 Giulio si inaugurava la volta della Cappella Sistina completata da Michelangelo

di Antonio Paolucci

Ogni giorno almeno diecimila persone con punte di ventimila nei periodi di massima affluenza turistica, entrano in Cappella Sistina. È gente di ogni provenienza, lingua e cultura. Di ogni religione o di nessuna religione. La Cappella Sistina è l'attrazione fatale, l'oggetto del desiderio, l'obiettivo irrinunciabile per l'internazionale popolo dei musei, per i migranti del cosiddetto turismo culturale.
Tuttavia la Cappella Sistina, pur facendo parte del percorso dei Musei Vaticani, non è un museo. È uno spazio religioso, è una cappella consacrata. Di più, essa è il vero e proprio luogo identitario della Chiesa romano-cattolica. Perché qui si celebrano le grandi liturgie, qui i cardinali riuniti in conclave eleggono il pontefice. La Sistina è allo stesso tempo la sintesi in figura della teologia cattolica.
La storia del mondo (dalla Creazione all'Ultimo Giudizio) vi è qui rappresentata insieme al destino dell'uomo redento da Cristo. La Sistina è la storia della salvezza per tutti e per ognuno, è l'affermazione del primato del Papa di Roma, è il tempo sub gratia della Chiesa che assorbe, trasfigura e fa proprio il tempo sub lege dell'Antico Testamento. È l'arca della nuova e definitiva alleanza che Dio ha stabilito col popolo cristiano. Non a caso l'architetto Baccio Pontelli che operò fra il 1477 e il 1481 modificando e innalzando le preesistenti strutture volle dare alla Cappella Magna del Papa di Roma, le misure del perduto Tempio di Gerusalemme così come ci sono indicate dalla Bibbia.
Chi entra nella Cappella Sistina entra di fatto in una immane sciarada teologico-scritturale che è arduo comprendere al primo sguardo. Ci sono immagini (la Creazione dell'uomo, il Peccato originale) che nella memoria di chi guarda (sempre che chi guarda provenga da Paesi di cultura cattolica) riaffiorano in disarticolati frammenti dal catechismo dell'infanzia. Ce ne sono altre (i Profeti, le Sibille, certi episodi dell'Antico Testamento) che il visitatore comune non conosce affatto. Chi, anche fra i visitatori credenti e praticanti, sa qualcosa della Punizione di Aman o dell'Innalzamento del serpente di bronzo o saprebbe spiegare, con un minimo di correttezza, chi erano la Sibilla Cumana o il profeta Giona?
E poi c'è Michelangelo il quale, come una luce troppo forte che acceca tutto ciò che sta intorno, assorbe con la sua notorietà clamorosa l'attenzione di ognuno rendendo difficile l'ordinata comprensione del sistema simbolico all'interno del quale Michelangelo è inserito.
Ci sono vari modi per entrare nel sistema Sistina, tutti necessari. C'è prima di tutto quello della comprensione iconografica, della decodificazione simbolica. Occorre guardare e riguardare a lungo e poi tornare a guardare le scene affrescate cercando di collocarle nel tempo, nella storia, nella dottrina che ha dato loro immagine e significato.
C'è poi la comprensione del messaggio stilistico, operazione ardua per chi non è provvisto di una attrezzatura storico critica adeguata.
Quel 31 Ottobre del 1512 quando Giulio ii inaugurava con la liturgia dei vespri la volta da Michelangelo conclusa dopo una immane fatica durata quattro anni (1508-1512), il Papa non poteva immaginare che da quei più di mille metri affrescati sarebbe precipitato sulla storia dell'arte un violento torrente montano portatore di felicità ma anche di devastazione, come scrisse il Woelfflin nel 1899 con una bella metafora.
Di fatto, dopo la volta, la storia dell'arte in Italia e in Europa cambia radicalmente. Niente sarà più come prima. Con la volta ha inizio quella stagione delle arti che i manuali chiamano “del manierismo”. La volta -- scrive Giorgio Vasari -- diventerà la lucerna destinata a illuminare la storia degli stili per molte prossime generazioni di artisti.
Per capire la radicalità della rivoluzione operata da Michelangelo, bisogna confrontare la volta con gli affreschi che trent'anni prima lo zio di Giulio ii, Papa Sisto iv della Rovere aveva fatto affrescare dai massimi pittori dell'epoca: da Ghirlandaio, da Perugino, da Botticelli, da Luca Signorelli. Il visitatore che guarda prima gli affreschi della volta poi quelli delle pareti, avrà l'impressione che fra gli uni e gli altri ci siano non trenta ma trecento anni di distanza. Basterà questo confronto a far intendere anche al visitatore della prima volta e di una sola ora la profondità e le dimensioni di una mutazione, quella messa in opera dal Buonarroti, che è filosofica, spirituale, religiosa prima di essere stilistica.
C'è poi (al sapere dell'iconografo e alle competenze dello storico dell'arte si sovrappone e si mescola la sensibilità del conservatore) un tipo di approccio alla Sistina che riguarda l'uso che ai nostri giorni pesa su questo documento supremo della umana civilizzazione. È l'approccio che conosco bene perché tocca direttamente le mie responsabilità di direttore dei Musei Vaticani.
Cinque milioni di visitatori all'anno all'interno della Cappella Sistina, ventimila al giorno nei periodi di punta, fanno un ben arduo problema. La pressione antropica con le polveri indotte, con l'umidità che i corpi portano con sé, con l'anidride carbonica prodotta dalla traspirazione, comporta disagio per i visitatori e, nel lungo periodo, possibili danni per le pitture.
Potremmo contingentare l'accesso, introdurre il numero chiuso. Lo faremo se la pressione turistica dovesse aumentare oltre i limiti di una ragionevole tollerabilità e se non riuscissimo a contrastare con adeguata efficacia il problema. Io ritengo però che nel breve medio periodo l'adozione del numero chiuso non sarà necessaria. Intanto (è l'obiettivo che sta impegnando in questi mesi le nostre energie) è necessario mettere in opera tutte le più avanzate provvidenze tecnologiche in grado di garantire l'abbattimento delle polveri e degli inquinanti, il veloce ed efficace ricambio dell'aria, il controllo della temperatura e dell'umidità. Se ne sta occupando, con un progetto di altissima tecnologia, radicalmente innovativa, la multinazionale Carrier, azienda leader nel mondo nel settore della climatizzazione. Io confido che, entro un anno, il nuovo impianto potrà entrare in funzione.
Diceva Giovanni Urbani, grande maestro dei nostri studi, che alla nostra epoca non è dato avere un nuovo Michelangelo. A noi è dato però il dominio della tecnica la quale ci permetterà, se correttamente applicata, di conservare il Michelangelo che la storia ci ha consegnato nelle condizioni migliori, per il tempo più lungo possibile.

(©L'Osservatore Romano 31 ottobre 2012)



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