venerdì 24 giugno 2011

Il Correggio Vaticano - storia di un originale

Il 27 giugno prossimo, alle ore 11.30, presso la Sala Conferenze dei Musei Vaticani verranno presentati alla stampa i frutti di un lavoro di alcuni anni che ha portato al riconoscimento dell’autenticità di un’opera del Correggio.Si tratta della cimasa del Trittico detto “Trittico dell’Umanità di Cristo”, che è conservata proprio nei Musei Vaticani. Alla conferenza stampa interverranno: Antonio Paolucci, Direttore dei Musei Vaticani; Giovanni Orlandi, Presidente della Fondazione Il Correggio; la storica dell'arte Margherita Fontanesi; l'architetto Gianluca Nicolini; Rodolfo Papa, docente della Pontificia Università Urbaniana di Roma; Ulderico Santamaria e Fabio Morresi, del Laboratorio Scientifico dei Museri Vaticani; e Claudio Rossi de Gasperis, restauratore dei Musei Vaticani.



CRISTO IN GLORIA TRA CHERUBINI (IL REDENTORE) trittico dell'umanità da corregioarthome



Il giorno 27 giugno sono stati presentati alla stampa i frutti di un lavoro di alcuni anni che ha portato al riconoscimento dell’autenticità di un’opera di Antonio Allegri detto il Correggio, conservata ai Musei Vaticani. Si tratta della cimasa del Trittico detto “Trittico dell’Umanità di Cristo”. L’ancona in cui si inseriva il trittico ospitava, nella nicchia centrale, una pregevolissima statua in terracotta policroma raffigurante la Madonna con il Bambino attribuita da Giancarlo Gentilini a Desiderio da Settignano. Ai lati della scultura trovavano posto due tele oggi disperse, sempre del Correggio, raffiguranti san Giovanni Battista e san Bartolomeo. In alto, in linea con la scultura Il Creatore fra cherubini sull’iride, concludeva il gruppo. L’opera era stata commissionata dalla Confraternita della Divina Misericordia per la chiesa di Santa Maria della Misericordia a Correggio. L’opera aveva subito nel tempo uno smembramento e la cimasa, conservata ai Musei Vaticani, era finora ritenuta una copia seicentesca; molti dubbi, inoltre, sollevava l’iconografia del soggetto.
Alla conferenza stampa ha presentato la sua autorevole relazione anche il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani.
Gli studi e le ricerche sono stati diretti e coordinati dalla Fondazione “Il Correggio”, con l’indispensabile collaborazione del Laboratorio di Diagnostica per la Conservazione ed il Restauro dei Musei Vaticani, in modo particolare del prof. Ulderico Santamaria. Il Laboratorio ha realizzato una serie di indagini non invasive sull’opera che hanno attestato che si tratta di una tela cinquecentesca e che non si tratta di una copia (la presenza di ripensamenti è la maggiore conferma a tal fine).
Il percorso ha visto la collaborazione di più studiosi con competenze diverse, in modo particolare: Gianluca Nicolini per l’analisi documentaria; Margherita Fontanesi, per l’analisi stilistica; Claudio Rossi de Gasperis (che ha restaurato l’opera) per l’analisi della tecnica pittorica; io, Rodolfo Papa, per l’analisi iconografica ed iconologica.
Il mio contributo all’interpretazione della cimasa conservata ai Musei Vaticani, a favore della sua originalità, è, infatti, soprattutto di ordine iconografico ed iconologico, come è ampiamente ricostruito nel testo Lettura iconologica del Trittico, da me pubblicato nel catalogo della Mostra “Il Correggio a Correggio” (pp. 124-143). I miei studi si sono concentrati sulla interpretazione dei documenti e soprattutto sull’analisi iconologico contestuale dell’opera. Importantissima è stata la ricognizione diretta dell’opera, avvenuta il 5 agosto 2008, insieme a Giuseppe Adani, Gianluca Nicolini, Nadia Stefanel, Renza Bolognesi. L’analisi approfondita e diretta dell’opera conservata ai Musei Vaticani fornisce, infatti, numerosi elementi per convincere che l’opera è proprio l’originale e non una “copia coeva”. Peraltro, dai documenti non risulta essere mai stata effettuata una copia nel Cinquecento, e sappiamo che l’unica copia documentata sia stata eseguita intorno al periodo di vendita degli originali, risalente al 1613.
Dai documenti emergono due ordini di problemi: la cimasa viene chiamata dal vescovo di Reggio, Claudio Rangoni, come “tabula” e, inoltre, in vari documenti viene denominata e descritta in modi diversi. Quanto al primo problema, il termine latino “tabula, -ae” indica semplicemente un “dipinto”, senza dare ragione del supporto. Il secondo problema, cioè le differenti denominazioni, richiede invece maggiore attenzione. Nell’atto notarile di stima del valore commerciale delle opere redatto dal pittore Jacopo Borbone si parla di una tela raffigurante il “Signore Dio Padre”; mentre il già citato vescovo Rangoni la chiama “Cristo”; nel libro mastro della Confraternita, è registrata con il titolo «l’Umanità di Cristo ascendente in cielo». Di fronte a questa diversità di descrizioni e titolazioni dell’opera, dobbiamo interrogare direttamente le opere che sono conservate e lavorare indirettamente sulle repliche a stampa. La replica ad acquaforte realizzata da Giuseppe Asioli nel 1816, lavorata - come egli stesso scrive anche in epigrafe - direttamente dall’“originale”, si manifesta come del tutto conforme alla tela conservata nei Musei Vaticani. Si nota in entrambe le opere infatti, innanzitutto, l’assenza dei segni della passione dalle mani, dai piedi e dal costato di Cristo, inoltre una pressoché totale conformità nelle pieghe dei panneggi, nella posa delle braccia e nel gruppo degli angeli, e una totale coincidenza nelle misure complessive del dipinto.
Il dipinto presenta alcune difficoltà iconografiche e alcuni complessi rimandi teologici: sembrerebbe che la figura dipinta da Correggio non si adatti a nessuna tipologia iconografica –Cristo benedicente, Cristo in Pietà, Cristo Risorto, Cristo Giudice –. Per comprenderne il senso e il significato, occorre affrontare l’economia teologica e compositiva dell’intera ancona,comprendente il gruppo statuario della Vergine con il Bambino.
A questo fine, sono importanti due confronti; il primo confronto è da istituire tra la cimasa del nostro Trittico e la tavola di Cristo Redentore fra la Vergine e san Giovanni Battista, con i santi Paolo e Catarina d’Alessandria, dipinta, intorno al 1520, a tempera grassa da Giulio Romano, per il Convento benedettino femminile di San Paolo a Parma, su commissione della badessa Giovanna da Parma e oggi conservata nella Galleria Nazionale di Parma. Il secondo confronto è con il dipinto su tela raffigurante Cristo in Gloria tra i san Pietro e san Giovanni Evangelista, con i santi Maria Maddalena, Ermenegildo e Odoardo d’Inghilterra con il committente Odoardo Farnese, realizzato da Annibale Carracci intorno al 1600 circa, e conservato oggi nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze,
La tela dipinta dal Correggio, anche se mantiene una composizione affine a queste due opere, si discosta in maniera sostanziale, perché le braccia e le mani sono rappresentate in una posizione inconsueta nella tradizione iconografica della figura di Cristo, e non mostrano i segni inferti dai chiodi nel momento della crocifissione. Infatti, le fattezze giovanili del volto, il busto e perfino la posa delle gambe rispondono completamente alla tradizionale iconografia di Gesù Cristo, ma la posizione delle braccia e delle mani è invece inconsueta. Proprio per questo motivo, a mio avviso, Jacopo Borbone e il vescovo Rangoni chiamano in maniera diversa questa tela, perché entrambi sono attirati da particolari diversi e diversamente interpretabili: il volto è di Cristo, ma la posizione delle braccia è di Dio Padre Onnipotente. Indipendentemente da una soluzione di tipo formale alla questione della composizione, si rivela allora la necessità del livello di analisi proprio dell’iconologia che, attraverso l’analisi di opere affini precedenti o coeve, dia ragione iconografica e teologica di tale peculiarità.
Una comprensione, gradualmente acquisita nel nostro percorso comparativo, è che il Trittico, per le sue proprie caratteristiche d’impianto compositivo, e ancor più l’insieme dell’intera anconadell’altare maggiore della chiesa di Santa Maria della Misericordia, appartengono a quel tipo di opere che tendono più all’astrazione mistico-teologica e contemplativa, che al dato narrativo.
In questa prospettiva, analizziamo un classico dell’arte sacra di genere mistico-contemplativo, ovvero la Natività mistica del carmelitano fra’ Filippo Lippi, realizzata nel 1445 circa per la famiglia Medici, oggi conservata alla Gemäldegalerie di Berlino; quest’opera si propone come una meditazione sul tema dell’Incarnazione, ponendo al centro il gruppo di Maria e di Gesù Bambino, secondo l’importantissima tradizione mistica mutuata direttamente dalle Rivelazioni di santa Brigida di Svezia e, parallelamente, dal misticismo fiorentino dei domenicani beato Giovanni Dominici e sant’Antonino Pierozzi.
Inoltre, nella Madonna dell’Umiltà di Jacobello del Fiore la figura di Dio Padre apre le braccia in una posizione che ricorda molto da vicino la figura della cimasa del nostro Trittico. Tale positura delle braccia e delle mani rimanda direttamente, ancora una volta, ad un modello tipologico-iconografico che è quello di Dio Creatore, come possiamo vedere per esempio nell’affresco dellaCreazione del mondo realizzato nel 1288 da Jacopo Torriti nella Basilica di Assisi, in cui il volto del Creatore è in realtà quello di Cristo. Del resto questo aspetto iconografico è derivato da una lunghissima tradizione che, riposando sulle Scritture e sulla loro interpretazione autorevole da parte dei Padri della Chiesa e dei teologi nel corso dei secoli, ha prodotto innumerevoli immagini per il culto e la contemplazione. Un esempio chiarificatore più antico di un secolo rispetto agli affreschi assisiati di Torriti, è rintracciabile nelle miniature del Folio I del Salterio di Canterbury,in cuici imbattiamo in una vera e propria confessione di fede nel Cristo Cosmico, in cui creazione e salvezza sono poste in relazione diretta nella persona di Cristo, attraverso un percorso di dodici miniature allineate e affiancate nella medesima pagina. Cristo è il volto della Trinità, riquadro dopo riquadro.
Un simile impianto teologico-iconografico è rappresentato, alla fine del XIV secolo, nel famosissimo affresco dell’Universo sostenuto da Dio con i simboli dei pianeti, opera di Pietro di Pucci da Orvieto, nel Camposanto di Pisa, dove il Cristo Cosmico letteralmente crea e regge tutto il Creato; solo il volto e le mani sono visibili, ma si intuisce facilmente che la braccia sono allargate appunto ad abbracciare l’intero Universo.
Ritengo, dunque, che la tela di Correggio rappresenti la divinità del Verbo nell’accezione più alta.
Il significato di tutto l’insieme liturgico e teologico dell’altare maggiore della chiesa di santa Maria della Misericordia si illumina e illumina le finalità della Confraternita, che univa i precetti caritativi alle opere di misericordia corporale e spirituale, curando il malato, educandolo alla fede, confortandolo, provvedendo alle sue necessità e offrendo giuste esequie e degna sepoltura ai defunti.
Tale significato, a mio avviso, ha al centro il Verbo che, presente e agente fin da principio nella Creazione del mondo, fattosi carne nel ventre della Santissima Vergine Maria, morto e risorto, avendo riconciliato il cielo con la terra, abbraccia e accoglie tutta l’umanità che a Lui guarda con fede e Lo riconosce come Figlio di Dio, chiamando a Sé quanti nella vita hanno in Suo nome amato il prossimo in virtù dell’infinita misericordia di Dio Padre Onnipotente, proprio come i membri della Confraternita per la quale Correggio inventò questa complessa immagine.
Considerando anche che nel complesso dell’opera, la rappresentazione di Maria appare come una sovrapposizione della iconografia della Vergine con il Bambino e di quella della Madonna della Misericordia (che accoglie tutti sotto il suo mantello aperto), ipotizzo che il giusto ed appropriato nome del Trittico sia Trittico della Misericordia Divina.

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