La chiesa Parrocchiale di San Giulio a Roma dopo aver accolto, lo scorso 13 aprile, la tela raffigurante San Giulio I in preghiera[1] continua l’opera di riqualificazione degli spazi liturgici presentando un nuovo dipinto realizzato dall’artista Rodolfo Papa. La volontà espressa dai committenti è quella di conferire nuova dignità alla chiesa del quartiere Gianicolense che, costruita negli anni Sessanta, era rimasta incompiuta in quanto ferma alla sola cripta e pertanto sostanzialmente spoglia di ornamenti. Il decoro che deriva dalle opere d’arte sacra autentiche, ovvero universali, belle, narrative e figurative[2], è un segno di elevazione morale e spirituale, una difesa contro le spinte nichiliste della società contemporanea, un rifugio dalla bruttezza che sempre più spesso viene esaltata dai media e dalle arti, e infine un momento prezioso di didattica della fede se recuperiamo l’antico concetto delle immagini come Biblia pauperum. La tela che raffigura San Francesco in estasi verrà inaugurata solennemente il prossimo 4 ottobre durante la cerimonia presieduta dal cardinale Antonio Canizares Llovera, Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
L’opera sarà collocata di fianco al tabernacolo, già incastonato all’interno di una vetrata policroma e affiancato da due pannelli raffiguranti le specie eucaristiche del pane e del vino, e formerà con la precedente tela una sorta di pendant. Le due figure così disposte, San Giulio I, titolare della chiesa, e San Francesco, in omaggio all’attuale pontefice Francesco, guardano entrambe verso la custodia eucaristica guidando così lo sguardo del fedele in direzione del centro fisico e spirituale dello spazio. Nell’opera di arricchimento del patrimonio iconografico della chiesa è stato pensato inoltre di inserire, in futuro, sopra al tabernacolo, una sorta di “macchina” pittorica, ovvero un polittico comprendente diversi pannelli con la figura di Cristo risorto circondato dalla Madonna e San Giovanni Battista, dalle figure dell’Angelo e di Maria dell’Annunciazione, e sormontato dalle altre Persone della Trinità, il Padre e lo Spirito Santo. Due figure di angeli sporgerebbero poi dai due sportelli laterali mentre tutta la costruzione lignea sarebbe decorata con foglia d’oro costituendo così una vera e propria “Gloria” o macchina scenica come si usava nel Rinascimento.
La tela raffigura San Francesco in estasi, col volto rapito dalla luce divina e pertanto intento a fissare in alto, mentre poggia su alcune rocce sullo sfondo di un paesaggio naturale e di un cielo dai colori del crepuscolo. Il paesaggio, se letto come una raffigurazione compendiaria del monte della Verna, ci riporta anche al momento della stigmatizzazione. Secondo le agiografie, il 14 settembre 1224, mentre si trovava a pregare in questo luogo il santo, caduto in estasi, avrebbe visto un Serafino crocifisso e al termine della visione gli sarebbero comparse nel corpo le piaghe di Cristo sulla croce («Nel crudo sasso intra Tevere ed Arno / da Cristo prese l’ultimo sigillo / che le sue membra due anni portarno» Dante Alighieri, Divina Commedia, Paradiso, canto XI). Per questa caratteristica, per la condivisione fisica delle pene di Cristo, San Francesco viene definito «alter Christus» e lo si intuisce bene nella tela di Papa in quanto la figura, nel momento della visione, con le braccia allargate viene ad assumere la posa di Gesù crocifisso. La pietra sulla quale poggia inoltre, a differenza delle rocce naturali che lo circondano e che sono mutuate dalle rocce leonardesche, è una pietra perfettamente regolare e deriva dalla pietra tombale, il lapis untionis, della Deposizione di Caravaggio. La citazione è molto evidente e anche in questo caso possiamo leggere il legame con la Passione di Cristo il quale dal momento della massima disperazione, ormai calato morto della croce e condotto al sepolcro, abbandonato dai discepoli e dimenticato dagli amici, risorto diventerà la pietra d’angolo delle successive generazioni e della Chiesa che su lui si fonda: «La pietra scartata dal costruttore è diventata testata d’angolo» (Sal. 118). Anche San Francesco per il suo tempo, con i suoi insegnamenti e la sua predicazione, è diventato una colonna della Chiesa: come riportato nella Legenda maior Innocenzo III sognò l’umile frate che reggeva la Basilica del Laterano, a simboleggiare l’intera comunità cristiana, salvandola così dalla distruzione. Il santo è circondato dall’intera creazione, piante e animali sono il canto della natura ma anche un riferimento al suo Cantico delle creature, il testo poetico più antico della letteratura italiana composto, secondo la tradizione, proprio durante la permanenza sulla Verna. L’usignolo sulla destra, simbolo di re Davide compositore dei Salmi e quindi cantore della maestà e bellezza divina, diventa anche simbolo di Francesco che canta e scrive lodi a Dio mentre la lucertola e la rana, come nelle opere di Carpaccio, sono un’allusione alla morte. La lucertola inoltre, per la sua immobilità al sole, è anche simbolo di contemplazione della luce divina. Tra le piante mediche raffigurate in basso, tutte allusive di nuovo alla Risurrezione di Cristo dalla morte, compare vicino al piede anche il Tasso Barbasso (Verbasco) che, secondo la tradizione, aveva la capacità di conservare, di preservare dalla putrefazione e di trattenere in vita, assumendo quindi un significato salvifico.
A livello compositivo l’opera si può dividere in due parti: la zona inferiore caratterizzata dalle rocce e dagli alberi sullo sfondo allude alla morte e all’aspetto terreno della predicazione di Francesco, ma anche alla creazione divina e alla varietà della natura, la zona superiore, invece, contraddistinta esclusivamente da un cielo privo di nuvole, allude all’aspetto spirituale e mistico, alla preghiera e all’adorazione verso Dio. Il volto di Francesco, lasciato volutamente generico fuori da questioni filologiche sulla ricostruzione fisiognomica, nell’unione di grazia, dolcezza e misticismo è il vero centro del dipinto e il punto focale della scena. Con grande efficacia retorica, inoltre, Papa ha caratterizzato il cielo alle spalle in modo tale che un’aureola di luce circondasse la figura del santo patrono d’Italia e d’Europa. L’artista non è nuovo a tali ricerche sulla luce in quanto sovente adopera gli aspetti “atmosferici” del cielo come manifestazioni del divino: le sue sono delle vere e proprie teofanie, manifestazioni di Dio in forma sensibili, in questo caso nei colori del cielo. L’opera rispettando l’iconografia, anzi arricchendola con diversi spunti, e ponendosi nel solco della tradizione, ovvero della storia dell’arte sacra cristiana, dimostra ancora una volta come sia possibile proporre un’arte figurativa e allo stesso tempo non anacronistica, ovvero non fatta esclusivamente di citazioni e riferimenti al passato ma capace di offrire spunti nuovi. Recentemente Papa, nel corso del convegno Riflessioni sull’arte sacra tenuto presso il Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso per l’inaugurazione della mostra Immagine del Vespro, chiarendo i vari aspetti dell’opera d’arte e del rapporto dell’arte con il magistero della Chiesa, considerando l’espressione artistica come una delle più importanti dichiarazioni di fede che l’uomo può produrre, ha affermato come non rispettando l’armonia e la bellezza, distorcendo la forma, allontanandosi dal volto di Cristo, eliminando il sacro, l’artista rischia di cadere nel peccato della falsa testimonianza. Le opere di Papa, e la tela con San Francesco ne è uno splendido esempio, vanno esattamente nella direzione opposta, ovvero nel recupero pieno della tradizione e nella consapevole ricerca di una bellezza non negoziabile con le logiche contemporanee della presenza[3].
Tommaso Evangelista è storico e critico d’arte
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NOTE
[1] Sull’analisi del precedente dipinto T. Evangelista, “Giulio I in preghiera” di Rodolfo Papa. Analisi e riflessioni sull’opera, http://www.zenit.org/it/articles/giulio-i-in-preghiera-di-rodolfo-papa-analisi-e-riflessioni-sull-opera
[2] A riguardo R. Papa, Discorsi sull’arte sacra, Siena 2012.
[3] R. Papa, La bellezza come valore non negoziabile, http://www.zenit.org/it/articles/la-bellezza-come-valore-non-negoziabile
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