giovedì 27 settembre 2012

Vermeer. Il secolo d'oro dell'arte olandese da oggi a Roma


Si è inaugurata oggi la mostra Vermeer. Il secolo d'oro dell'arte olandese presso le Scuderie del Quirinale a Roma (27 settembre – 20 gennaio 2013)Rara e preziosa occasione di vedere insieme capolavori assoluti dell'artista e un’accurata selezione di opere della pittura olandese del XVII secolo. Sono esposti otto capolavori del Maestro, ma il numero esiguo non deve trarre in inganno: Vermeer infatti dipinse non più di 50 quadri nella sua vita, e oggi se ne conoscono solo 37. Nessuna di queste appartiene ad una collezione italianae solo 26 possono essere movimentate. Negli ultimi cento anni solo 3 mostre su Vermeer hanno ottenuto in prestito più di 4 capolavori dell’artista: qui ce ne sono otto, numero superato solo dal Museo del Prado nel 2003, che riuscì a riunirne 9. Tra i tanti articoli di encomio allego quello realizzato da Simone Verde, puntuale, preciso, molto competente e con alcune interessanti osservazioni fuori dal coro poichè ciò che manca nelle analisi critiche sui giornali delle mostre che si svolgono in Italia è un giudizio sereno e non celebrativo a tutti i costi. Se volete questo basterà sfogliare la rassegna stampa fornita giornalmente dal Mibac.



Lo strapotere delle immagini
Vermeer e il Secolo d'oro alle Scuderie del Quirinale


Di Johannes, Jan o Johan Vermeer si sa molto poco. Anzi, oltre qualche aneddoto familiare, della sua storia di pittore, degli anni della formazione non si sa quasi niente. Per questa ragione, e come avvenuto per pochi altri come lui avvolti in un una certa oscurità storiografica – Giorgione, Caravaggio o La Tour–, è diventato la celebrità che è. Il motivo sembra dar ragione a Benedetto Croce. Difficile da sottoporre ai riduzionismi della critica che non può appoggiarsi a fatti certi, le sue opere sono diventate uno specchio del tempo, parlano per sé e accusano uno scarto con le giustificazioni che si vogliono addurre a loro riguardo. In questo senso, cioè, e come si torna a constatare con Vermeer e Il secolo d’oro olandese da oggi e fino al 20 gennaio 2013 alle Scuderie del Quirinale, le immagini si esprimono con un linguaggio dall’autonomia irriducibile, sovrastano la babele delle interpretazioni e la letteratura secondaria che si accumula negli anni alla fine sembra parlare più di se stessa che del suo oggetto.

La mitica riscoperta è dovuta al giornalista e critico Jean Theophile Thoré (anche se si firmava William Bürger) ed è rivelatrice degli orientamenti “realisti” della pittura di metà Ottocento. Non è un caso che l’intellettuale francese era amico di Courbert e di Millet, si batté per la repubblica democratica contro il dispotismo di Charles Louis-Napoléon Bonaparte e condusse le sue ricerche sul pittore olandese durante l’esilio politico nei Paesi Bassi. Sfuggiva, o forse non interessava al gusto impegnato per il “realismo” in voga in quel momento la vicenda spirituale del pittore, la conversione alla Chiesa di Roma nell’aprile del 1653 per sposare la moglie, Catherine Bolnes, la casa familiare nel piccolo quartiere cattolico della città e vicino alla chiesa “nascosta” dei gesuiti. Avrebbe incuriosito il Novecento, invece, la storia spirituale del pittore, le sue vicissitudini tormentate nell’ambito delle tensioni politiche e civili dell’Europa barocca.

Quanto alla mostra delle Scuderie, vuole ora inserire l’opera nel suo contesto artistico. Lo fa come al solito in maniera esageratamente light, con grande trionfalismo autocelebrativo abituato al consenso acritico della stampa italiana e con troppe opere da collezioni private, per ciò che in termini di mercato ne consegue, e quasi tutte da musei e case americane, pochi in realtà i capolavori (due dei tre curatori sono a capo delle collezioni europee e olandesi del MET di New York e della NGA di Washington). Nella costruzione del percorso viene persegue la giusta scelta di suddividere quelle di Vermeer portate a Roma – 6 su 36 in tutto – a seconda dei generi e dei sottogeneri che la pittura olandese andava codificando, accompagnandola, sezione per sezione, con esempi analoghi di artisti coevi tra cui gli immancabili Gabriel Metsu, Pieter de Hooch, Jan Van Der Weyden, Gerrit Dou. Scelta curatoriale che scegliendo Vermeer come punto di partenza per ricostruire il contesto artistico di quegli anni, tuttavia, tralascia tutto ciò che è a lui più distante e restituisce un panorama parziale che non viene giustificato.

Tra le date da ricordare c’è il 1566 e la rivolta iconoclasta fomentata dal clero protestante con enorme distruzione di immagini sacre; il 1618, quando gli Orange iniziarono la loro signoria sui Paesi Bassi; e il 1650, che portò la morte prematura e tragica del giovane Guglielmo II, da pochi anni succeduto a Federico Enrico. Progressivamente, cioè, dalla fine della grande committenza cattolica e con la scomparsa dei due sovrani più dediti di tutti al mecenatismo, gli artisti si trovarono senza padroni, drammaticamente liberi di cercare nuovi referenti e di inventarsi un mercato. Una serie di accidenti provvidenziali che segna la storia dell’arte e scandisce le svolte professionali ed estetiche di Vermeer.

Il passaggio quasi meccanico, nel giro di appena un ventennio da un barocco allegorico imposto dalla gerarchia accademica dei generi pittorici, alla metafisica della luce piena del simbolismo delle ultime opere. Una parabola che la mostra fa partire dalla Santa Prassede della collezione privata Barbara Piasecka Johnson, opera di discutissima attribuzione datata 1655, copia di una tela dell’italiano Felice Ficherelli, e conclude con le due Giovane donna seduta e/o in piedi al virginale del 1670-72, registrando nel mezzo tutta la rivoluzione culturale, scientifica, politica del secolo d’oro. Immensa, in effetti, è la differenza tra la pompa classicista o caravaggesca di un cattolicesimo per il quale la vita è fatta di materia corruttibile poiché intrisa di peccato che pone Dio in alto, al di fuori dal mondo, e il pacato ordine razionalista dove ogni cosa è al suo posto, dove il creatore è energia visibile, sta nella luce immanente che proviene dalle cose.

Il Novecento, intellettualistico per natura, avrebbe visto in questa svolta l’influenza di Spinoza, al punto da congetturare una serie di incontri tra il filosofo e il pittore. Oggi, come racconta in catalogo la terza curatrice, Sandrina Bandera, si propende più per circoli scientifici come quello di Constantijn Huygens, che a Vermeer avrebbe fatto scoprire la famosa camera oscura (scoperta favoleggiata anche da un famoso libro dell’artista contemporaneo David Hockney e di cui, ovviamente, non c’è nessuna prova). Proprio dalla camera oscura deriverebbe la sapienza ottica delle composizioni, la precisione maniacale e microscopica con cui, grazie alla tecnica del pointillé, far apparire le cose alla luce, gli angoli periferici sfocati, le prospettive soggettive, decentrate, per illudere lo spettatore di una sua reale presenza nello spazio.

Molta scienza e meno umanesimo, secondo la critica di questi anni tecnocratici che ama in Vermeer la descrizione della realtà nella sua esattezza matematica perché gli sembra un avvicinamento alla modernità tecnologica. Lo scriveranno tutti i giornali e lo suggerisce la mostra, che si concentra sul contesto formale, sulle qualità ottiche delle opere esposte, e mette da parte quello religioso e spirituale. Solo qualche anno fa si sarebbe insistito su una precisione pittorica che nei Paesi Bassi del tempo aveva un profondo significato religioso, indicava la capacità di un popolo operoso di avvicinarsi alle regole assolute ed essenziali che rivelavano la presenza di Dio nelle cose. La solita babele delle interpretazioni, cioè, che in mancanza di elementi certi, viene fortunatamente sovrastata dallo strapotere silenzioso delle immagini.





1 commento:

  1. Cito: "Negli ultimi cento anni solo 3 mostre su Vermeer hanno ottenuto in prestito più di 4 capolavori dell’artista: qui ce ne sono otto, numero superato solo dal Museo del Prado nel 2003, che riuscì a riunirne 9."

    Alla mostra "Vermeer and the Delft School" (NY, Metropolitan + Londra, NG, 2001) di Vermeer ce n'erano 15 (e mi sembra che il 2001 cada "negli ultimi cento anni").
    Alla precedente monografica di Londra/L'Aja (1995-96) ce ne erano ben 25.
    Cordialità.

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