Che cosa è l’arte? Di fronte a questa domanda, viene in mente la situazione descritta da sant’Agostino nel libro XI della Confessioni a proposito della domanda “che cosa è il tempo?”: se non me lo domandano lo so, se me lo domandano non lo so. Si sente la necessità di definire il significato del termine, anche se nel contempo si avverte una difficoltà definitoria. Infatti, circoscrivere il significato dell’arte escluderebbe, forse, novità e sperimentazioni, oppure mantenerlo fluido e suscettibile di infinite interpretazioni ne annullerebbe, forse, l’identità.
Nella teoria dell’arte convivono atteggiamenti diversi: tentare di definire e analizzare fino all’esaurimento di ogni punto interrogativo; oppure rinunciare ad una definizione di fronte al proliferare delle domande; o ancora identificare l’arte solo con un suo aspetto: una particolare disciplina, una particolare corrente, una particolare epoca storica.
La questione è difficile, e per essere affrontata richiede chiarimenti prioritari. Cercheremo solo di tracciare un percorso possibile, soprattutto delineandone i compiti. Innanzitutto, cosa vuol dire definire? Definire significa spiegare “che cosa è”, dunque implica la conoscenza, seppure non esaustiva, di ciò che si definisce; inoltre definire non significa costringere una realtà dentro una parola, ma viceversa cercare un discorso che sappia dire la stessa realtà. Dunque, non bisogna avere paura delle definizioni, come se fossero delle prigioni. Inoltre, le definizioni possono essere di tanti tipi, secondo lo scopo e il tipo di conoscenza che si vuole o si può conseguire. Si può definire il “nome” oppure la “cosa”. Nel primo caso siamo di fronte a una definizione nominale, che può a sua volta consistere nell’etimologia, nella spiegazione dell’uso comune del termine, oppure nella specificazione di usi particolari, relativi a un contesto o a una persona. Nel secondo caso, siamo di fronte a una definizione “reale”, che può consistere nell’esplicitazione della cause e dei principi, oppure nella determinazione di genere e differenza specifica, o ancora può sfumare in una descrizione.
La tradizione classica (Aristotele, Tommaso d’Aquino, solo per fare alcuni nomi) ci offre una definizione reale di ars, secondo genere e differenza: ars est recta ratio factibilium, ovvero l’arte è la corretta ragione delle cose da fare. Dunque il genere è la “recta ratio”, e la specie viene differenziata dal riferimento ai “factibilia”, alle cose da fare, da produrre. L’arte viene così posta tra le virtù dianoetiche, cioè tra le perfezioni dell’anima razionale; inoltre è strettamente connessa con la conoscenza e con la fabbricazione di oggetti; potremmo esemplificare che arte è un “saper fare”. Si tratta di una definizione ampia, che tiene insieme tutte le modalità di “saper fare”: dal costruire tavoli allo scrivere poesie, dal dipingere al cucinare, purché siano fatti bene, con recta ratio.
Entro questo concetto così vasto, facilmente si pone una distinzione tra le arti connotate principalmente da bellezza e le arti connotate principalmente da utilità. Si tratta di una distinzione non escludente, nel senso che anche un tavolo, che è utile, può essere bello ed anche un monumento, che è bello, può essere utile, tuttavia l’opera d’arte bella è arte perché è bella, mentre l’opera di arte utile è arte perché è utile. Entro le arti belle, notiamo una grandissima varietà di operazioni e funzioni, che delineano i vari ambiti delle discipline artistiche. Proprio a questo livello si pone la problematicità di una definizione comune. Mi sembra che il modo migliore di procedere per contribuire alla definizione dell’arte sia cercare, adesso, una definizione delle diverse discipline artistiche. Una tradizione che risale a Plinio, ripresa anche da Leonardo, dice che la prima disciplina artistica è la pittura, da cui sono seguite poi la scultura e via via tutte le altre. Sappiamo che nel Rinascimento si è riflettuto molto sul “paragone delle arti”, e cioè sulla valorizzazione degli aspetti comuni e soprattutto di quelli diversi, al fine di capire quale fosse la regina delle arti. Ciò ha contribuito a una valorizzazione degli aspetti specifici delle singole discipline, con una forte consapevolezza dei percorsi tecnici, cui sono stati dedicati molti trattati e manuali, come per esempio il già citato Libro di pittura di Leonardo. Mi sembra che questa strada sia molto proficua, perché proprio partendo dalla pratica della pittura, della scultura, dell’architettura … si arriva a definire cosa siano ciascuna. Ed è anche importante che tale riflessione sia provenuta e provenga dai medesimi artisti, cosa che evita il senso di scollamento tra le arti e la teoria delle arti, così frequente nella contemporaneità.
Entro il percorso di ricerca di una definizione universale di arte, acquista un valore molto significativo la ricerca dei principi e delle regole che definiscono le singole discipline artistiche. Ciascuna ha un proprio specifico compito, mezzi e metodologie proprie, tradizioni e maestri, paradigmi e principi. Mi sembra un campo molto fecondo, che non nega sviluppi e progressi, ma nel contempo consente di identificare una disciplina e anche di coltivarla. Fornisce inoltre la strumentazione teorica per riconoscere la disciplina stessa, per affermare, per esempio, che Monet è pittore così come Giotto, ma anche per negare che gli allestimenti e le performances siano pittura. Infatti, le innovazioni che accadono in una disciplina possono far crescere notevolmente la disciplina stessa, ma ci sono delle innovazioni che, anche se spesso nascono dentro di essa, però ne ricadono fuori, e non ne fanno più parte. Così, per esempio, la pop art e gli allestimenti non rientrano nella disciplina della pittura, perché ne esorbitano i mezzi, i fini, la tradizione, l’ambito, e vanno a definire una disciplina diversa, nuova, con proprie finalità e modalità di esecuzione: non si tratta del superamento della pittura ma forse della nascita di una nuova disciplina artistica. La distinzione che si pone tra le arti tradizionali, pittura, scultura, architettura, poesia, musica … si pone anche nei confronti di quelle nuove, quali la fotografia, il cinema, etc. Per esempio, i fondamenti della pittura sono diversi da quelli dell’architettura, e anche se possono avere anche parti in comune, hanno scopi e regole diverse.
Dunque la definizione dell’arte deve essere tale da poter comprendere tutte le singole arti, ciascuna delle quali ha i propri principi e fondamenti che la distinguono dalle altre e la definiscono nella propria identità.
Cosa vuol dire “essere artisti”? Chi è artista? Nella contemporaneità si è affermata l’opinione che essere artista non sia una condizione particolare, ma che ciascuno sia un artista, in quanto non servirebbero talenti e formazione, ma l’unico ingrediente necessario sarebbe la creatività libera da ogni schema. Nelle biografie di molti artisti del Novecento, emergono inoltre abitudini disordinate, atteggiamenti eccentrici, comportamenti autodistruttivi, tanto che sembrerebbe che tale tipo di vita sia un ingrediente necessario per riconoscere il vero artista, sia esso un pittore, uno scultore, un musicista, un poeta.
Ma al di là di queste posizioni, evidentemente poco consistenti, rimane la domanda: chi è l’artista? A cui possiamo aggiungere una domanda ulteriore, fondamentale per le nostre riflessioni: chi è l’artista cristiano? Nell’arte cristiana, ovvero nell’arte che è al servizio della Chiesa e che nei secoli è stata capace di annunciare Cristo e alzare un inno di lode a Dio attraverso inestimabili opere, ci sono regole o principi che individuano l’identità professionale, morale e spirituale dell’artista? Possiamo trovare un aiuto per la nostra riflessione, nel Libro di pittura scritto da Cennino Cennini alla fine del XIV secolo; egli innesta la storia della nascita dell’arte sugli eventi della creazione narrati nel libro della Genesi, e pone a fondamento della pratica artistica una riflessione di tipo morale: all’arte non si perviene con sete di guadagno, né per vanagloria, ma con un’umiltà e una perseveranza tali da sopportare ogni sacrificio necessario per impararne tutte le regole e praticarne tutti i principi.
Ulteriore aiuto alla riflessione può essere trovato nel Libro di pittura di Leonardo da Vinci, ovvero nella raccolta dei suoi appunti e dei suoi studi composta postuma dall’allievo Francesco Melzi e di cui abbiamo copia nel Codice Urbinate 1270 conservato nella Biblioteca Vaticana, di cui Carlo Pedretti ha fornito un’edizione critica nel 1995. Leonardo indica all’artista un cammino di formazione tecnico e morale, in cui hanno un ruolo fondamentale le regole e i principi praticati fino a diventare virtù. Le certezze di Cennini e di Leonardo poggiavano su una solida tradizione, che non poneva in discussione l’importanza delle regole di formazione. Nell’antichità, possiamo trovarne esempi noti in Vitruvio e Plinio, ma anche in Columella per quanto riguarda l’arte dell’agricoltura. Si tratta di una tradizione che, con innovazioni e ripensamenti, arriva fino al XX secolo, testimoniata da innumerevoli trattati.
Da questa tradizione possiamo trarre l’importanza del binomio arte e regole, e soprattutto possiamo comprendere come tale impostazione sia realmente liberatoria per la creatività dell’artista. Nella lunga storia delle arti, le regole hanno giocato l’importante ruolo di formare gli artisti, di far crescere senza opprimere, di spronare senza imprigionare, di sciogliere senza legare. Le regole tracciano un percorso, rendendo accessibile una tecnica che può diventare il fondamento dell’azione, la condizione di possibilità per la crescita. Oggi, riusciamo a comprendere l’importanza della tecnica e delle sue regole soltanto in campi molti ristretti; un esempio molto divulgativo riguarda il mondo dello sport: nell’atletica, nei tuffi, nello sci, nel calcio … la bella esecuzione è tale perché è anche gesto tecnico. Infatti, senza una adeguata preparazione tecnica, nessuno sport può essere praticato.
Nel campo delle arti gli esempi diventano più difficili. Nella musica rimane più evidente la necessità di possedere il linguaggio e la sua tecnica; nel campo della pittura, invece, le regole del mercato hanno preso sopravvento, aiutate dai critici che teorizzano che l’arte non deve avere vincoli e principi, se non appunto quelli -imperanti ma non esplicitati- dello stesso mercato. Così come la tanto reclamata libertà dell’artista da ogni regola spesso si traduce paradossalmente in dipendenze di tipo non-artistico, come l’alcool, le droghe o altri vincoli che coartano radicalmente la libertà della persona, ottundendo la ragione. Del resto, le teorie artistiche che sottolineano con una certa ossessiva ricorrenza che l’artista è un essere disadattato e solitario, finiscono quasi per prescrivere il malessere psichico ed esistenziale come un prerequisito fondamentale. Così l’arte che dovrebbe donare la felicità diventa un labirinto di dolore, interamente attraversato dall’ansia di successo. Cosicché alla figura dell’artista si sovrappone quella di Faust disposto a fare patti con il Diavolo, o quella di Prometeo, che sfida gli dei per rubare loro il fuoco.
Il centro del percorso creativo dell’artista, in un siffatto contesto, è l’artista stesso. In un totale egotismo, l’arte esprime l’io dell’artista e null’altro. Se riflettiamo bene, invece, comprendiamo che l’artista per essere tale dovrebbe possedere le regole del suo mestiere, e che il presupposto per violarle e superarle è appunto conoscerle. Inoltre il malessere e la perversione non sono richiesti all’artista in quanto tale, ma solo all’artista così come è teorizzato da certi critici e da certi mercanti contemporanei.
Se questo osservazioni valgono per l’artista in generale, a fortiori acquistano ragione nei confronti dell’artista cristiano. Si può parlare di Cristo a partire da queste posizioni teoriche e raggiungere le alte vette dell’arte sacra cristiana? L’artista che lavora per la Chiesa può essere identificato dalla dissolutezza, dall’ignoranza del mestiere, dal narcisismo? Non stiamo parlando di un giudizio sulla vita dell’artista, perché questo non dovrebbe interessare allo storico e al teorico dell’arte, ma stiamo riflettendo proprio sulle opere d’arte, sulla possibilità che senza una formazione tecnica e artistica, e senza virtù coltivate, si possano produrre opere belle adatte alla preghiera e alla liturgia.
Inoltre, aggiungo una considerazione più importante, e cioè che per lavorare per Cristo, ad ogni livello e in ogni campo, c’è bisogno di una adesione a Cristo stesso. Con molta chiarezza Joseph Ratzinger spiega che la sacralità dell’immagine implica la vita interiore dell’artista, il suo incontro con il Signore: «La sacralità dell’immagine consiste proprio nel fatto che essa deriva da un vedere interiore e così conduce a un vedere interiore. Deve essere frutto di una contemplazione interiore, di un incontro credente con la nuova realtà del Risorto e, in questo modo, deve introdurre nuovamente ad uno sguardo interiore, nell’incontro orante con il Signore» (Joseph Ratzinger, Teologia della liturgia, Libreria editrice Vaticana, Città del Vaticano 2010, p. 131). Aggiunge anche che «la dimensione ecclesiale è essenziale all’arte sacra» (ibid.), mettendo all’attenzione che l’artista cristiano non può vivere al di fuori della Chiesa stessa.
Gesù nel Vangelo di Luca ci avverte: «là dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34) . Se il nostro tesoro non è Cristo, ma siamo noi stessi, i nostri vizi, il successo, allora non si ha il cuore adatto alla produzione di opere di arte sacra. Ancora ci insegna Gesù che «nessun servitore può servire due padroni [...] non potete servire Dio e la ricchezza» (Lc 16,13). Dunque l’artista cristiano deve fare la scelta radicale di porre Cristo come unico Signore della sua vita e della sua arte. Ciò implica anche l’umiltà di un percorso di formazione, artistica, morale e spirituale, nella convinzione che il lavoro artistico è una vocazione: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartiene la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen» (1Pt 4,10-11).