lunedì 14 marzo 2011

ATLAS: come portarsi il mondo sulle spalle?

Atlas. Interessante esposizione al museo Reina Sofia curata da George Didi-Huberman; si riflette sulle immagini, quelle contemporanee ma anche quelle sedimentate. Filo conduttore è il celeberrimo Atlante della Memoria di Warburg, generatore infinito di impressioni e rimandi e che il curatore prova a continuare. Vaso di Pandora del nostro eccesso visuale ma anche scrigno per decifrare una cultura dell'immagine sempre più opprimente, in perenne relazione con un passato inteso quale memoria quasi sempre nascosta e celata. Di seguito un bel post dal blog Rocaille di Lisa.

La memoria

Mnemosyne deriva dal greco μνήμων e significa memoria.

Era il nome di una delle figlie di Urano e Gea, una Titanessa generata all’inizio dei tempi. Dalla sua unione con Zeus nacquero le nove Muse, protettrici dell’arte. Fu così che si fissò per sempre il legame imprescindibile tra arte e memoria.

Mnemosyne è il nome del monumentale atlante di Aby Warburg dove immagini di ogni epoca e provenienza sono accostate in maniera non gerarchica ma tematica, dove nulla è più importante di altro ma tutto forma un tessuto: la trama della memoria.



L’Atlante


Il progetto di Warburg era un’impresa imponente, iniziata negli ultimi anni della sua vita dal 1925 al 1929 quando morì e la lasciò incompiuta.

Un lavoro paradossale, ma affrontato con metodo scientifico di archivista e classificatore e che può essere considerato come un grande riassunto, un documentario di tutta l’arte occidentale e non, un tentativo di dare un ordine (κόσμος) al caos (χάος) della storia e quindi della memoria.

Il suo studio si serviva di un sistema di pannelli dove raccoglieva le immagini che più lo interessavano così che, ad una sola occhiata, potesse avere uno sguardo d’insieme senza bisogno di parole.

Il suo occhio cercava le analogie, gli isomorfismi che intercorrono tra le immagini, i richiami impensabili che si muovono sottotraccia, invisibili. Una studio quasi primitivo dove non serve più l’analisi, ma solo l’intuizione, un approccio talmente nuovo da sembrare inutile.

Warburg diceva infatti “ciò di cui mi occupo è una scienza che non ha nome” e chiamava questo atlante “racconto di fate venuto dal reale” o “storia di fantasmi per adulti”.



Imago Mundi


Sin da quando l’uomo abita il mondo ha prodotto talmente tante immagini che con il tempo rischiano di andare perdute cioè dimenticate. Per evitare l’eterno ritorno bisogna combattere l’oblio così Warburg si chiede come raccogliere tutta l’arte: come racchiudere tutta la nostra memoria? Come portarsi il mondo sulle spalle?

E’ un’impresa titanica proprio come quella di Atlante, condannato da Zeus a reggere sulle spalle l’intera volta celeste. Atlante regge il mondo, ma questa è la mappa del mondo, è la sua memoria fatta dalle immagini che l’uomo ha creato dall’inizio dei tempi ad oggi e che costituiscono un fardello altrettanto pesante.

Warburg arriva ad una congiunzione astrale e terrestre dove tutto può essere scritto, anzi tutto può essere rappresentato e l’universo può essere racchiuso in un libro: un atlante.

Il grande atlante diventa così una mappa istantanea della memoria, magma informe e infinito, IMAGO MUNDI del pensiero e del ricordo. Non esiste più oggetto ma solo concetto, non possiamo più collezionare ma solo collazionare. E’ l’uomo moderno che non è più in grado di creare, ma solo di recuperare, raccogliere frammenti, vagare.



I tableaux di G. Didi-Huberman


E’ ancora il sogno dell’uomo rinascimentale che cerca di stipare la conoscenza nei manuali, ma è impossibile racchiudere l’universo in un libro e infatti l’opera rimane incompiuta, non solo per caso. Georges Didi-Huberman prova a continuarla, accostando immagini quanto mai eterogenee di artisti ed esperienze artistiche tra il XX e XXI secolo.

Lo storico dell’arte francese, che a Warburg ha dedicato la monografia “L’immagine insepolta”, ha curato la mostra esposta al museo Reina Sofia a Madrid, fino al 28 marzo. Una mostra sperimentale e un saggio critico esposto che non ha bisogno di parole né, quasi, di immagini.

Non è una mostra che si preoccupa di esporre la bellezza di grandi capolavori, ma di ciò che c’è dietro. Ciò che è esposto non sono oggetti, ma i pensieri che collegano quegli oggetti: è una grande mostra all’immateriale.

Non c’è niente da capire, ma solo da scoprire e tutto ciò che capiamo si rivela effimero, leggero.

Un labirinto estetico incomprensibile e impossibile fatto di dipinti e sculture, ma anche fotografie, film, giornali, annotazioni, lettere, dove non ci sono verità o certezze ma tutto è affidato a foglietti delicati e fragili.

Si sente una totale perdita del centro, tutto è sullo stesso piano: il tavolo. Non ci sono più punti fissi, né linee né momenti, ecco dunque il tentativo di ricostruire “l’ordine delle cose”, “l’ordine del tempo” e “l’ordine dello spazio”.

Abbiamo di fronte un mondo sotterraneo di oggetti e parole nascoste: troviamo una statua romana di Atlante e un assemblage di foto di Warburg, i capricci di Goya e i ritratti fotografici di August Sanders e i collage di El Lissitzky. Non è una mostra di opere famose, ma non è nemmeno una mostra di opere: di Paul Klee c’è l’erbario, di Sol LeWitt le sue fotografie dei muri di New York, di Josef Albers il suo album fotografico dedicato all’architettura pre-colombiana, gli esercizi di anatomia di Max Ernst, le Water Towers di Berndt & Hilla Becher, gli appunti di Walter Benjiamin e di Rosemarie Trockel; le nuove invenzioni geografiche di Marcel Broodthaers, Guy Debord e On Kawara, fino ad arrivare all’ Histoire du cinéma di Jean-Luc Godard.

“Di solito quando si esibisce un archivio non c’è niente da vedere, è un lavoro di tempo che prende mesi e anche anni mentre invece un atlante è una presentazione sinottica delle differenze. Il suo scopo è quello di farti capire il legame che non è basato sulle somiglianze, ma sulle connessioni segrete tra due cose diverse. Atlas è un tour visuale rispetto a qualsiasi altro archivio, è un lavoro di montaggio nel quale differenti tempi stanno insieme. Non sono cose belle appese sulle pareti, ma è il processo creativo che spesso avviene sul tavolo.”

Un grande celebrazione alla Corrispondenza, così come l’aveva intuita Baudelaire, che della modernità è l’inizio.

Una delle più belle mostre di quest’anno, fatta con la voglia di ricerca e non di vendere biglietti.

Data: 26 Novembre – 28 Marzo
Luogo: Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía
Co-organizzata da : ZKM Zentrum für Kunst und Medientechnologie Karlsruhe y Sammlung Falckenberg Phoenix Kulturstiftung
Curatore: Georges Didi-Huberman

Lisa.


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