giovedì 28 febbraio 2013

Dalì e Bosch

Sull'ultimo numero di Art e dossier Marco Bussagli propone questo interessante confronto tra Dalì e Bosch, già proposto in Arte ed erotismo, in cui nota alcune affinità tra la testa con l'occhio chiuso de Il grande masturbatore e un particolare dal Trittico delle delizie dell'artista fiammingo. Ecco il confronto.



sabato 23 febbraio 2013

Se il giornalismo storico-artistico non esiste più

Tomaso Montanari con questo articolo che prende spunto da presunte "novità" leonardesche mette il dito nella piaga segnalando come oggi il giornalismo culturale relativo all'arte tocchi il suo punto più basso. Tanta ed eccessiva attenzione per mostre (blockbuster) o per psude-attribuzioni (Caravaggio e Leonardo su tutti) ma poca voglia di andare a fondo ai problemi artistici, di criticare con competenza collettive ed esposizioni, di svolgere quell'azione di mediazione ormai fondamentale in una società che sta sempre più smarrendo il senso della propria storia artistica veicolata da manager ed esperti di comunicazione. Di giornalisti "artistici" ospitati sulle testate nazionali ce ne sono sempre di meno, anche se qualcuno ancora si salva: tra tutti mi sento di segnalare naturalmente Fabio Isman dalle pagine del Messaggero e di Art Dossier  e Simone Verde.

«Se dichiaro di aver visto a occhio nudo il Bosone di Higgs nel mio salotto, mi portano alla neuro: ma se il primo che passa sostiene di aver scoperto un Michelangelo, un Leonardo o un Caravaggio, il circo mediatico lo porta, immediatamente, in trionfo. Quando si parla di storia dell’arte tutto è possibile: in Italia il giornalismo storico-artistico è pressoché defunto, ed è ormai talmente abituato a concepire se stesso come il megafono celebrativo dei Grandi Eventi da non essere più in grado di distinguere una notizia da una bufala. […] La prossima volta che qualcuno si presenterà all’Ansa con cento terrecotte di Leonardo o cinquanta marmi di Michelangelo verrà dunque sottoposto a una qualche verifica? Tutto lascia credere di no: per la prossima bufala storico-artistica è solo questione di giorni».

Così scrivevo, ad agosto, nella premessa a La madre dei Caravaggio è sempre incinta. Non era una profezia difficile, ma si è realizzata al punto che potrei già aggiungere una nutrita appendice al libretto.

A fine settembre è spuntata una seconda Gioconda. La notizia è stata data da Silvano Vinceti, l’ormai celebre cercatore dei resti di Caravaggio, e di quelli di Monna Lisa (in carne e, appunto, ossa) nel complesso fiorentino di Sant’Orsola (un’operazione finanziata con i nostri soldi dalla Provincia di Firenze): «Si trova a San Pietroburgo ed appartiene ad un collezionista privato - ha spiegato Vinceti - sono già in corso tutte le perizie e le ricerche del caso per certificare che l’opera è stata realizzata da Leonardo». Dove trovo bellissima questa idea da Asl: ‘Per certificare i Leonardo prendete il bigliettino e mettetevi in fila allo sportello 4. Per il Santo Graal, invece, sportello 3. Precedenza a templari e donne incinte’. Inoppugnabili, d’altra parte, gli argomenti di Vinceti: «ha le mani più scure del viso, tratto tipico dello stile del maestro, che condividerebbe con l’originale custodito al Louvre». Ma potevate dirlo subito: e che dubbio rimane?!

Di qualche giorno, fa invece, è il rilancio di un’altra Monna Lisa: se ne sentiva la mancanza, no?

La terza Monna Lisa è stata affidata dai proprietari nientemeno che ad una Fondazione (The Mona Lisa Foundation, con sede a Zurigo), senza scopo di lucro (lei). Nel board e nei consulenti non si conta nemmeno un vero storico dell’arte, ma questo non impedisce alla Fondazione di avere le idee molto chiare sull’opera. Il sito del Guardian informa (senza un filo di ironia) che la Fondazione ha fatto esaminare l’opera da un esperto di «sacred geometry» (qualunque cosa sia!), e poi ha fatto condurre un analisi al carbonio 14 per datare l’opera. In un eccesso di zelo, l’analisi ha dimostrato «that it was almost certainly manufactured between 1410 and 1455». Cosa davvero stupefacente, visto che Leonardo è nato nel 1452. Certo, se uno crede alla ‘sacra geometria’ può anche credere al fatto che Leonardo abbia dipinto il quadro svizzero a tre anni: anzi, mi pare una scoperta destinata a rifondare la storia dell’arte.

La risposta più seria a tutto questo è la meravigliosa serie satirica sui Misteri di Leonardo che andava in onda in «Non perdiamoci di vista». Ma, dopo aver seppellito tutto ciò sotto la meritata coltre di ridicolo, non si può non pensare che se il patrimonio storico e artistico italiano è nello stato in cui è, lo si deve anche alla trasformazione della storia dell’arte in un gigantesco, grottesco, circo equestre.




E per gli amanti della Monna Lisa ho trovato su Wikipedia questa interessante pagina redatta con grande competenza e con molte citazioni di fonti:

martedì 19 febbraio 2013

L'altra lingua degli italiani

Il programma di RaiEducational, in collaborazione con Fondazione Napoli Novantanove Onlus, è dedicato alla storia dell'arte e si propone di discutere il ruolo epistemologico ed euristico della disciplina attraverso otto lezioni magistrali di maestri come Salvatore Settis, Antonio Pinelli, Chiara Frugoni, Francesco Caglioti, Tomaso Montanari, Vittorio Gregotti, Michele Mariotti e Vincenzo De Vivo.



Un gran­dis­simo sto­rico dell’arte ita­liano, Ro­berto Lon­ghi, ha scritto che «ogni ita­liano do­vrebbe im­pa­rare da bam­bino la sto­ria dell’arte come lin­gua viva, se vuole aver co­no­scenza in­tera della pro­pria na­zione». Eb­bene, agli sto­rici dell’arte spetta pro­prio que­sto com­pito: far sì che ogni ita­liano, di ogni re­gione e li­vello so­ciale e cul­tu­rale, torni a sen­tire pro­prio il pa­tri­mo­nio ere­di­tato dai pa­dri. Se vo­gliamo che gli ita­liani tor­nino a eser­ci­tare dav­vero la loro piena so­vra­nità di cit­ta­dini, dob­biamo aiu­tarli a riap­pro­priarsi delle loro chiese, delle loro piazze, delle loro cam­pa­gne: di un Paese la cui uni­cità con­si­ste nelle den­sità di un pa­tri­mo­nio ar­ti­stico dif­fuso in di­stri­ca­bile dal pae­sag­gio ur­bano e na­tu­rale in cui è an­dato in­fi­ni­ta­mente stra­ti­fi­can­dosi in mil­lenni di sto­ria glo­riosa» (Il programma dei Martedi dell'Arte).

I Martedì dell’arte, 8 lezioni napoletane sono state organizzate dal Prof. Tomaso Montanari e dalla Fondazione Napoli Novantanove e si sono svolte a Napoli nei mesi di ottobre e novembre 2012 nel Teatrino di Corte di Palazzo Reale. Tra i relatori: Salvatore Settis, Antonio Pinelli, Chiara Frugoni, Francesco Caglioti, Vittorio Gregotti, Michele Mariotti e Vincenzo De Vivo, nonché lo stesso Tomaso Montanari, hanno incantato, con “L’altra lingua”, quella della storia dell’arte, il pubblico numeroso di studiosi, studenti, docenti, e semplici curiosi e appassionati accorsi ad ascoltare relatori provenienti da ogni parte del Paese (Corriere.it).

A questo ciclo di lezioni era associato un Concorso per le scuole per l’anno scolastico 2012-2013: «Il Concorso Nazionale L’altra lingua degli italiani, l’arte figurativa, il paesaggio e l’identità nazionale si rivolge a tutte le scuole primarie e secondarie di primo e secondo grado. Gli studenti e docenti partecipanti, sono invitati a svolgere un lavoro di ricerca di gruppo che illustri, con immagini, musica e un parlato, un monumento individuato (artistico o naturale: una chiesa, un palazzo, una piazza, una via, un tratto di costa o un ‘brano’ di campagna) particolarmente legato all’identità storica e civile della loro comunità, e dovranno comunicare (anche nell’accezione etimologica di ‘render comune’, cioè di far sentire come un bene comune) le ragioni e la forza della loro scelta» (Corriere del Mezzogiorno).

Le 8 lezioni su L’altra lingua degli italiani andranno in onda televisiva da sabato 16 febbraio a sabato 6 aprile su RAI SCUOLA canale 146 del digitale terrestre (Canale 806 di SKY e Canale 33 di TIVU'SAT e in diretta streaming on line su www​.scuola​.rai​.it). Ogni le­zione verrà re­pli­cata nella gior­nata de­di­cata in base ai se­guenti orari: 11:30/ 15:30/ 19:30/ 23:30.

Di se­guito il ca­len­da­rio della pro­gram­ma­zione televisiva:
  • Sal­va­tore Set­tis: Per­ché nac­que la sto­ria dell’arte (da Po­li­cleto a Va­sari)
    16 feb­braio 2013
  • An­to­nio Pi­nelli: Chiese e mo­schee, cro­ciati e pel­le­grini, mi­granti e mer­canti: la no­stra iden­tità me­tic­cia nel ‘mel­ting pot’ me­di­ter­ra­neo
    23 feb­braio 2013
  • Chiara Fru­goni: La prima rap­pre­sen­ta­zione del Buon Go­verno e la fon­da­zione dell’identità ar­ti­stica e spi­ri­tuale ita­liana
    2 marzo 2013
  • Fran­ce­sco Ca­glioti: ‘La Te­sta Ca­rafa’ e il mito del poeta Vir­gi­lio, mago e pro­tet­tore di Na­poli
    9 marzo 2013
  • To­maso Mon­ta­nari: Arte di Stato e li­bertà dell’artista: Las Me­ni­nas di Ve­la­z­quez
    16 marzo 2013
  • Vit­to­rio Gre­gotti: Lin­guag­gio e so­cietà ci­vile nell’architettura ita­liana dell’ultimo mezzo se­colo
    23 marzo 2013
  • Vin­cenzo De Vivo e Mi­chele Ma­riotti: La fun­zione ci­vile della mu­sica clas­sica e dei suoi luo­ghi. La Tra­viata
    30 marzo 2013
  • To­maso Mon­ta­nari: La glo­ria e la fama ita­liana. Arte fi­gu­ra­tiva e iden­tità na­zio­nale
    6 aprile 2013

 

lunedì 18 febbraio 2013

Lo sguardo di Michelangelo

Michelangelo Antonioni (1912-2007) è uno dei padri della modernità cinematografica. La sua opera ha oltrepassato i confini della settima arte: è stata profondamente ispirata dalle arti figurative e ha esercitato a sua volta su di esse un notevole ascendente, come sul cinema di ieri e di oggi. Tra i suoi ultimi lavori Lo sguardo di Michelangelo è un cortometraggio del 2004 che indaga con l'occhio della macchina da presa e un'assoluto silenzio il Mosè di Michelangelo a San Pietro in Vincoli. Splendida fotografia, attenzione per i più minimi dettagli e sostanzialmente un profondo e intimo amore per l'opera d'arte

Lo Sguardo di Michelangelo (Michelangelo Antonioni, 2004, KINOTE) from jeanne dielman on Vimeo.

domenica 17 febbraio 2013

Kate Moss e il paradigma contemporaneo della bellezza

Partendo da un'icona della moda contemporanea, Kate Moss, diventata paradigma della bellezza odierna, una bellezza asettica, asciutta e quasi androgina, Massimo Introvigne su La Bussola Quotidiana parla dei canoni della bellezza e della sua metamorfosi. Che la Moss sia un modello nel vero senso del termine lo dimostra il grande successo nei contesti dell'arte contemporanea: una Venere del Ventunesimo secolo. Marc Quinn, tra gli artisti che maggiormente l'ha raffigurata, ha dichiarato di aver scelto Kate Moss come soggetto prediletto perchè, dal suo punto di vista, incarna la bellezza del nostro millennio, risponde ai canoni estetici dell’Occidente moderno.

Lucian Freud - Jate Moss - 2004
"Si può considerare lo scrittore e saggista Alessandro Baricco un narcisista e un istrione, ma è certo che quando lancia un tema cominciano a dibatterne tutti i grandi giornali e migliaia di persone, perfino dal barbiere. Così poco tempo fa - nonostante la crisi economica, le elezioni e la guerra in Mali - tutti hanno cominciato a parlare dell'affollatissima lezione romana di Baricco sulla modella inglese Kate Moss, che compirà quarant'anni l'anno prossimo. Da cui, in effetti, si possono ricavare indicazioni interessanti.

Il trucco di Baricco consiste nel presentare come assolutamente originale una tesi che, in realtà, tanto nuova non è. Si tratta del cosiddetto «mutamento dei paradigmi». La teoria - Baricco si dimentica di ricordarlo - origina dal filosofo della scienza Thomas Kuhn (1922-1996), che nel 1962 la espose nel suo libro «La struttura delle rivoluzioni scientifiche». La scienza, sosteneva Kuhn, è dominata da un certo «paradigma», in base al quale gli scienziati giudicano quali teorie scientifiche sono attendibili e quali non lo sono. Ma ogni tanto - molto raramente - qualche genio propone una teoria che secondo il paradigma dominante dovrebbe essere ritenuta inattendibile, ma che nello stesso tempo alla maggioranza degli scienziati sembra intuitivamente vera. A questo punto gli scienziati possono scegliere: o buttano via la teoria, o cambiano paradigma. Di solito, cambiano paradigma, e così nascono le rivoluzioni scientifiche. L'esempio di Kuhn è la teoria della relatività di Albert Einstein (1879-1955). Secondo il paradigma dominante, che era quello di Isaac Newton (1642-1727), la teoria di Einstein avrebbe dovuto essere rigettata. Ma - intuitivamente - la comunità scientifica "sapeva" che rigettare la teoria della relatività sarebbe stato un errore. Dunque, anziché mettere da parte la teoria di Einstein perché contrastava con il paradigma, mise da parte il paradigma e ne creò uno nuovo. Si passò dal paradigma newtoniano a quello einsteiniano: una tipica rivoluzione scientifica, secondo Kuhn.

Con grande sorpresa di Kuhn, nel 1968 il suo libro ispirò prima i «sessantottini» e poi il New Age. L'idea del cambiamento di paradigma fu applicata prima alla politica e poi alla religione. Si disse che idee politiche e religiose che in base ai vecchi paradigmi avrebbero dovuto essere rifiutate a molti giovani erano apparse intuitivamente come vere. E così i giovani del Sessantotto e del New Age, anziché rinunciare alle nuove idee, avevano buttato via i vecchi paradigmi e avevano iniziato a costruire uno nuovo. Kuhn si affrettò a spiegare che la sua ipotesi valeva solo per la scienza, e che le trasposizioni politico-religiose erano arbitrarie. Ma nessuno gli diede retta.

L'operazione di Baricco - in questo, effettivamente, innovativa - consiste nell'estendere la teoria del cambiamento di paradigma a tutti i campi della vita umana, compresi alcuni apparentemente frivoli. 
Così ci spiega che quando nel 1968 l'atleta americano Dick Fosbury vinse la medaglia d'oro nel salto in alto alle Olimpiadi saltando all'indietro e cadendo sulla schiena, il suo stile contraddiceva assolutamente il paradigma atletico vincente. Ma i saltatori intuivano che Fosbury aveva ragione, perché saltava più in alto degli altri. Così smisero di criticare Fosbury e cambiarono il paradigma del salto in alto. Oggi quasi tutti saltano "alla Fosbury".

Quando debuttò - prosegue Baricco - la soprano Maria Callas (1923-1977) per il paradigma del bel canto dell'epoca appariva addirittura stonata. Ma ebbe talmente successo che cambiò il paradigma musicale, e nella generazione successiva tutte cercavano d'imitare la Callas. 
Un passo in più, e Baricco applica la teoria del cambiamento di paradigma nientemeno che alla bellezza femminile. Fino al 1990 circa - ci dice - la bella modella o attrice doveva essere alta, formosa, preferibilmente bionda, muoversi in modo aggraziato e non avere atteggiamenti o movimenti volgari. Il tipo di questa bellezza era la modella tedesca Claudia Schiffer.

A un certo punto nelle sfilate di moda irruppe Kate Moss, che veniva da un quartiere malfamato di Londra, era relativamente bassa (1,72), bruna, meno formosa di altre modelle, fumava a catena, sniffava cocaina e si presentava in modo ostentatamente volgare. Secondo il paradigma dominante, Kate Moss avrebbe dovuto essere considerata brutta. Ma il pubblico - e, si potrebbe aggiungere, alcuni artisti che andavano per la maggiore che la ritrassero in opere poi vendute per milioni di euro, dal pittore nipote del fondatore della psicoanalisi Lucian Freud (1922- 2011) allo scultore Marc Quinn - intuirono >che Kate Moss, a suo modo, era bellissima. Piuttosto che rinunciare a questa bellezza, cambiò il paradigma della bellezza femminile. E in poche settimane le bellezze alla Claudia Schiffer si ritrovarono invecchiate e superate.

Nelle idee di Baricco ci sono molti spunti interessanti. Certamente i paradigmi cambiano, ogni tanto in modo radicale e rivoluzionario. Ed è anche vero che il canone della bellezza femminile che ogni epoca si dà non è un elemento irrilevante per comprendere la sua mentalità. Occorre però intendersi. Non tutti i cambiamenti di paradigma sono positivi. È quello che cercava di spiegare Kuhn: i mutamenti di paradigma nella scienza normalmente hanno assicurato un progresso. Ma non è affatto garantito che cambiare i paradigmi in campi come la politica, la religione o l'arte garantisca un progresso. Potrebbe darsi che, anziché andare avanti, si vada indietro, a meno di adottare un'ideologia del progresso che non ha nulla di «scientifico» o di ragionevole.

Se un cambiamento di paradigma sia positivo o negativo è qualcosa che va valutato caso per caso. Il paradigma Fosbury aiuta gli atleti a saltare più in alto. Può darsi che la Callas abbia aggiunto al canto sonorità nuove. 
Ma i cambiamenti di paradigma in campo artistico - almeno per chi crede, com Benedetto XVI, che esista una bellezza oggettiva - spesso hanno portato a una paradossale esaltazione del brutto e del volgare. Si può riconoscere che la bellezza femminile, in quanto non deriva solo dal corpo ma anche dall'acconciatura, dai movimenti, dai vestiti sia a suo modo un'opera d'arte. L'idea risale al pittore e poeta preraffaellita Dante Gabriel Rossetti (1828- 1882), il quale causò a sua volta un cambiamento del paradigma prevalente in materia imponendo il modello di Jane Morris (1839-1914), una donna che forse la generazione precedente avrebbe considerato non particolarmente avvenente e che in seguito fu esaltata come una delle più grandi bellezze della storia.

Ma, se questo è vero, vale anche qui l'insegnamento del Papa secondo cui la bellezza è oggettiva: tollera certo variazioni infinite, ma deve sempre ispirare al vero e al buono e non si può semplicemente rovesciare il tavolo chiamando il brutto bello e viceversa. Da questo punto di vista la rivoluzione di Kate Moss di cui parla Baricco - che forse inizia ben prima di Kate Moss, intorno al fatidico 1968 - è parte di quella «rivoluzione antropologica» di cui parla Benedetto XVI e su cui il giudizio non può che essere negativo.

Una «bellezza» triste, malata, impastata di droghe, volgare non può essere vera bellezza, così come l'arte che la ritrae - tipico il fin troppo famoso ritratto di Kate Moss di Lucian Freud - è un'arte della provocazione e del brutto, che anziché avvicinarci alla vera bellezza ce ne allontana. L'unica consolazione è che oggi si avverte una certa reazione a questi modelli post-sessantottini. 
Se non alla Venere di Sandro Botticelli (1445-1510), un modello di bellezza fondato sulla grazia e la proporzione che ha resistito nei secoli, torniamo almeno a Jane Morris: bellezza tutta moderna, misteriosa e con una vena di tristezza, ma almeno elegante e tutt'altro che volgare.

Marc Quinns

Marc Quinns

Kate Moss - Murakami

sabato 16 febbraio 2013

Milo Manara - Il pittore e la modella

Probabilmente è tra i libri più belli disegnati da Milo Manara, quello che palesa il suo amore e la grande conoscenza della storia dell'arte e ci mostra l'arte come una lunga storia segnata da quest'intimo e segreto legame tra il pittore e la sua modella. Manara ci mostra il desiderio, l'aspetto gioioso e vitale della pittura, l'impulso naturale e l'aspetto perturbante nel nudo nei sogni personali dell'artista che interpreta e segna, amando e compomettendo la propria mano nella delineazione della figura. Da Prassitele all'arte pompeiana fino ad arrivare al Novecento una lunga carrellata di volti e di forme.

Il pittore e la modella (intervista Rai di Vincenzo Mollica)
Ecco come nasce Milo Manara e, soprattutto, la sua passione. Il ricordo della sua prima modella - ai tempi del liceo artistico - e la voglia di saperne di più della personalità e delle vicende che hanno visto protagoniste le muse ispiratrici dei pittori. Guarda il video

Milo Manara. “Il pittore e la modella” è un libro che si può considerare anche una sorta di storia dell’arte dalla parte delle modelle. Cioè, per la prima volta si racconta la storia di queste ragazze che hanno ispirato tanti pittori. Le racconti scrivendo la loro storia ma anche disegnandole.

Soprattutto disegnandole, ma voglio precisare che non ho mai tentato di scimmiottare gli stili dei maestri a cui sono riferite le modelle, ho sempre cercato di mettere le mie ‘ragazzine’ dentro questi contesti sacri cercando anche una specie, non di ironia, ma di umanizzazione di queste figure enormi; mettendo delle figurine tratte dai fumetti al posto delle classiche modelle, proprio per una specie di ringraziamento e anche di attualizzazione della figura della modella, delle ragazze normali a cui noi dobbiamo moltissimo, almeno altrettanto di quanto dobbiamo ai maestri che le hanno ritratte.

Qual è la ‘scintilla’? Qual è la modella che ha fatto partire tutto?

Credo la mia modella, la modella che ho avuto al liceo artistico: una cara ragazza – magrolina – Susi si chiamava. Rossa di capelli, rossa anche nel pelo pubico: così c’era questa fiamma rossa in questa figurina rosa, sempre appiccicata ad una stufa di mattoni, quindi di colore arancione. Bisogna raffigurarsi visivamente l’immagine in questi stanzoni grandi di questi palazzi vecchi dove c’erano le aule del liceo artistico, con soffitti altissimi grigi e questa figurina in mezzo. Poi io ero l’unico maschio in una classe tutta femminile, c’erano sedici ragazze. Quindi la situazione era abbastanza divertente, curiosa: io ero l’unico ragazzo con sedici compagne e questa ragazza nuda…

Mi sa che da lì sono nati molti fumetti dopo!

Mi sa che sono nato io, proprio, con tutti i miei fumetti dietro.

La storia di Frine è sempre quella che ti piace in assoluto di più.

La storia di Frine è paradigmatica per tanti versi. Questa ragazza – la modella di Prassitele – probabilmente una delle più belle ragazze che siano mai esistite se guardiamo a chi l’ha ritratta, era stata accusata di prostituzione e quindi era stata portata davanti all’areopago, al giudizio, e rischiava una grossa condanna, addirittura la pena capitale. L’avvocato ha pensato bene, anziché di difenderla tradizionalmente con arringhe, di non pronunciare neanche una parola ma di spogliare questa ragazza al cospetto dei giudici, anche di veneranda età. I giudici l’hanno assolta ed hanno così stabilito che la bellezza è una virtù in sé in grado di bilanciare le eventuali mancanze di altre virtù: cioè una ragazza bella è come se fosse onesta, l’onestà non è superiore alla bellezza. E’ una sentenza molto importante che vale ancora adesso, specialmente alla televisione quando noi vediamo le ‘vallette’ – non si sa bene come chiamarle perché non sono cantanti, non sono presentatrici, non ballano, non giocano a scacchi – semplicemente si presentano con la loro bellezza e con questo si riafferma che la bellezza è una virtù sufficiente per farsi apprezzare, e per farsi assolvere.

E di seguito una lunga carrellata di modelle e pittori; evito di segnare da quale opere derivano per lasciare ai lettori il gusto della scoperta.













Splendide tavole che mostrano l'amore per la storia dell'arte sono anche quelle tratte da I Borgia con testi di Jodorowsky; in basso vediamo gli appartamenti dipinti dal Pinturicchio in Vaticano.


Continua invece l'alacre lavoro di Milo Manara al progetto, curato dalla Panini Comics, di una graphic novel in due volumi sulla vita di Caravaggio, al secolo Michelangelo Merisi, genio ribelle del ‘500. Il primo volume avrà come focus la vita dell'artista, trasfigurato negli sguardi delle donne della sua vita. Le tavole, di una bellezza intensamente vivida, prendono il via aRoma, quando il pittore vi giunse lasciando Milano e si conclude con la sua condanna a morte. Il secondo racconta le oscure circostanze che portarono alla sua morte. L'originale sarò in bianco e nero inizialmente, seguito dalla colorazione in digitale. Non è l'unica novità: i dialoghi verranno aggiunti in un secondo momento, curati sempre da Manara. La distribuzione in Italia è prevista per il 2013. 


Su questo link, invece, un'esauriente carrellata di dipinti che mostrano gli artisti con le loro modelle:
http://catherinelarose.blogspot.com/2012/12/artist-and-model.html 

mercoledì 13 febbraio 2013

L'Immacolata Concezione: alcuni elementi di iconologia

Il prof. Rodolfo Papa ha inaugurato su Zenit una nuova rubrica di letture iconologiche che usciranno a scadenza quindicinale. La prima è stata sulla cappella Carafa a Santa Maria sopra Minerva mentre quella che proponiamo oggi riguarda l'iconografia dell'Immacolata concezione. 


L’11 febbraio 1858 la Vergine Maria appare alla giovanissima Maria Bernarda Soubirous nella grotta di Massabielle, sui Pirenei. Nelle sue apparizioni, la Madonna si manifesta a Bernadette dicendo “Io sono l’Immacolata Concezione”.

Solo quattro anni prima, con la bolla Ineffabilis Deus (8 dicembre 1854), Pio IX aveva definito il dogma dell’immacolato concepimento di Maria, ponendo in evidenza che la Vergine fu preservata dal peccato originale. Veniva così definita, dopo secoli di approfondimento teologico, una importante questione relativa alla persona ed al ruolo della Vergine Maria nel piano provvidenziale della Redenzione.

Nel 1870, Pio IX commissionò al pittore Cocchetti un dipinto raffigurante l’Immacolata, per l’arcosolio del presbiterio di Santa Maria in Trastevere: questo potrebbe essere considerato il primo dipinto legato al dogma dell’Immacolata Concezione, ma in realtà la pittura, tanto quanto la riflessione teologica, nel corso dei secoli era già stata chiamata a meditare questo tema. Già i Padri della Chiesa avevano accostato Eva e Maria, proprio per sottolineare che la Vergine era stata concepita senza il peccato, e con il passare del tempo l’assunto Semper Virgo. Dei Genitrix. Inmaculata era stato abbracciato da un numero sempre crescente di fedeli e difeso dai pontefici, fino a giungere alle celebri costituzioni di Sisto IV (Cum praeexcelsa, 1477, Grave nimis, 1483), confermate nella quinta sessione del Concilio di Trento nel Decretum de peccato originali (1546), su proposta soprattutto del card. Pietro Pacheco di Jaen. Questo cammino della Chiesa, coronato dalla definizione dogmatica di Pio IX, si specchia nel percorso dell’arte.

Il tema pittorico dell’Immacolata trova nascita nell’Italia meridionale e particolare diffusione in Spagna. Si definisce dal punto di vista iconografico intorno alla fine del Quattrocento[1], come dimostrano alcuni dipinti conservati in Italia, in Francia ed in alcune regioni della Penisola Iberica, e tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento gode di grande popolarità in Italia e, in modo speciale, in Spagna.

Fu per l’appunto uno spagnolo, Francisco Pacheco, che nel suo trattato Arte de la Pintura del 1638 ha fornito una guida chiara per raffigurare in maniera corretta l’Immacolata, riassumendo senza dubbio gli elementi comuni alle immagini che aveva visto e che giudicava affidabili; fra queste vi erano le immagini riprodotte sulle medaglie che Leone X aveva benedetto agli inizi del Cinquecento su istanza dell’ordine francescano, fedele difensore del privilegio di Maria (anche Sisto IV era dell’ordine dei frati minori): “ Si deve...dipingere...questa Signora nel fiore della sua età, da dodici a tredici anni, bellissima bambina con begli occhi e sguardo grave, naso e bocca perfettissimi e rosate guance, i bellissimi capelli lisci, color oro... deve dipingersi con tonaca bianca e manto blu vestita del sole, un sole ovale ocra e bianco, che circundi tutta l’immagine, unito dolcemente con il cielo; coronato di stelle; dodici stelle distribuite nel circolo chiaro fra splendori, servendo di punto alla sacra fronte; le stelle su alcune macchie chiare formate a secco di purissimo bianco, che esca sopra tutti i raggi... Una corona imperiale deve adornare la sua testa ma che non copra le stelle; sotto i piedi, la luna che benché sia un globo solido, prese licenza per renderlo chiaro, trasparente sui paesi; nella parte di sopra, più chiara e visibile la mezza luna con le punte verso il basso...I tributi di terra si accomoderanno, convenientemente, per paese, e quelli del cielo, se vogliono fra le nubi. Adornasi con serafini e con angeli interi che hanno alcuni degli attributi... il dragone... al quale la Vergine spaccò la testa trionfando dal peccato originale...se potessi lo eliminerei per non disturrbare il quadro”. Queste indicazioni normative del Pacheco non solo traducono la visione della Apocalisse, ma sembrano anche descrivere la tela che Zurbarán aveva dipinto per il collegio religioso di Nuestra Señora del Carmen de Jadraque, nel 1632.[2] 

In questa tela, infatti, troviamo magistralmente raffigurata l’Immacolata, con tutti i suoi attributi iconografici. Il primo dei simboli, il sole, non è presente come astro, ma come luce che si irradia da dietro la figura della Vergine, facendo sì che questa si presenti come una “donna vestita di sole” (Ap 12,1). Le dodici stelle ornano simbolicamente l’aureola, la quale si tramuta in una vera apoteosi di teste di cherubini, che aprono il cielo fisico verso lo spazio delle sfere celesti. L’immagine quasi statuaria della Vergine si colloca in uno spazio assolutamente ideale, che sta a metà tra cielo e terra. Il suo alone di luce irradia un caldo ammasso di nuvole, in cui spiccano quattro attributi mariani; tra squarci di nubi a sinistra si vede la Porta del Cielo, Porta coeli (Gen 28,17) e la Scala di Giacobbe o del cielo, Scala coeli (Gen 28,12) a destra la Stella del Mare, Stella maris (Himn. Lit.) e lo Specchio senza macchia, Speculum sine Macula (Sap 7,26).

Nella parte inferiore del dipinto un paesaggio che si stende come una marina, a ricordare l’etimo poetico del nome della Vergine, riunisce una infinità di attributi mariani in un luogo reale e al tempo stesso simbolico, concepito appositamente per la contemplazione del fedele raccolto in preghiera, davanti al creato posto ai piedi di Maria. Ecco che, a saperlo guardare, il paesaggio si tramuta nell’Orto Sacro, Hortus Conclusus (Ct 4, 12), nel quale crescono fiori di campo rossi e bianchi, Flos campi, e dove si ergono la Torre di Davide, Turris David (Ct 4,4), il cipresso, Cypressus in monte Sion (Sir 24,17), il Tempio dello Spirito Santo, Templum Spiritus sancti (I Cor 6,19), la palma, Palma exaltata in Cades (Sir 24,18), i cedri, Cedrus exaltata in Libano (Sir 24,17), e gli ulivi, Oliva Speciosa (Sir 24,19). Al centro, il pozzo delle acque vive, Puteus aquarum viventium (Ct 4,15), e la fonte della grazia o dell’orto, Fons hortorum (Ct 4,15).

Zurbarán dipinge questa tela come una visione; mostra ai nostri occhi tutta la bellezza, lo splendore e la fragranza della natura immacolata di Maria e ci invita a rimanere con lei nel luogo delizioso che ha accolto il Verbo incarnato in un tripudio di colori e di forme belle. In casi come questo, l’arte stessa si rivela come un dono magnifico che Dio ha offerto all’umanità per contemplare, in un modo del tutto particolare, la bellezza dei suoi doni e del suo amore. Carlo Chenis scrisse a tal riguardo che «l’Immacolata sprigiona bellezza originale ed escatologica, così che la visione estetica di quanto la ravvisa conduce alla visione estatica di quanto la glorifica» e «lo splendore artistico rivela il reale nella sua totalità complessa» in quanto è « svelamento dei fondamenti ultimi, è metafora della gloria divina, è impronta della divina sostanza. Gli attributi che lo descrivono sono l’intergrità, in quanto occorre compiutezza intrinseca, e la conoscenza, poiché nihil est ordinatum quod non sit pulchrum»[3]

Rodolfo Papa, Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, docente di Storia delle teorie estetiche, Pontificia Università Urbaniana, Artista, Accademico Ordinario Pontificio. 

*

NOTE

[1] Riguardo alcuni sviluppi del tema iconografico dell’Immacolata tra Cinquecento e Seicento Cfr. Rodolfo Papa, Leonardo teologo. L’artista «nipote di Dio», Ancora Milano 2006, pp. 86-148; Rodolfo Papa, Caravaggio pittore di Maria, Ancora, Milano 2005, pp. 67-76.

[2] Cfr. Rodolfo Papa, I colori dello Spirito. Capolavori dell’arte cristiana tra il XIV e il XVII secolo, Ed. Paoline, Milano 2005, pp. 15-22.

[3] Carlo Chenis, Tota pulchra, perché tutta pura. Paradigmi estetico spirituali dell’Immacolata, in Una donna vestita di sole. L’Immacolata Concezione nelle opere dei grandi maestri, catalogo mostra a cura di G. Morello, V. Francia, R. Fusco, 11 febbraio-13 maggio 2005, Braccio di Carlo Magno, Città del Vaticano, F.M.Editore, Milano, 2005, pp. 14-17.

(su Zenit)

domenica 10 febbraio 2013

Caravaggio, novità sul periodo romano


Interessanti novità d'archivio che gettano luce sul periodo romano di Caravaggio sono sintetizzate in quest'articolo da Fabio Isman, mentre presto saranno pubblicate in un libro.

Caravaggio è arrivato davvero a Roma nel 1596, quando aveva 25 anni: le testimonianze concordano; e cosa abbia fatto dopo il 1592, data dell’ultimo documento che lo attesta in Lombardia, resta un mistero: un viaggio a Venezia, come scrive Giovan Pietro Bellori nella sua biografia? Non c’è nessuna traccia. Scoperte, poi, sul suo grande nemico, il pittore Giovanni Baglione: diceva d’essere nobile, ma era figlio di un macellaio. E ancora: la Natività di Merisi, il quadro rubato dalla mafia nel 1969 dall’oratorio di San Lorenzo a Palermo, non è del 1609, ma dipinto nel 1600, a Roma: se ne sono trovate le tracce.

I MECENATI
E si è capito anche che l’intera fase romana dell’artista, a parte due soggiorni a Borgo, da Pandolfo Pucci, e a piazza delle Tartarughe dai Mattei, si svolge in un chilometro quadrato: un fazzoletto della città, tutt’attorno a San Luigi dei Francesi. Queste, e svariate altre, sono le importanti novità che tre ricercatori, Francesca Curti, Michele Di Sivo e Orietta Verdi dell’Archivio di Stato di Roma, hanno scoperto tra i documenti, appunto, dell’Archivio. Li avevano già studiati per «Caravaggio a Roma, una vita dal vero», mostra ideata da Eugenio Lo Sardo nel 2011; ma adesso, hanno trovato altre piste di indagine.

Ad esempio, si sapeva assai poco su Costantino Spada, un mercante di quadri da cui l’artista metteva in vendita le sue prime opere: «Il suo negozio era attiguo a Palazzo Madama, nel quale abitava il cardinal Del Monte», il primo protettore dell’artista; «e probabilmente, da lui comperavano i Giustiniani e gli Aldobrandini, che pure vivevano lì: attorno a lui, insomma, ruotano tutti i primi mecenati dell’artista; è assai più persona-chiave che non si sapesse finora». Il suo negozio è stato individuato grazie a un’edicola sacra, una «Madonnella», che era sulla casa. E lui è risultato in contatto anche con i Patrizi, i proprietari della Cena in Emmaus ora a Brera. Caravaggio lo frequenta assiduamente: è a casa sua, come testimone di un atto con cui Spada compera una casa a via della Frezza, nel 1599. 

Si sapeva assai poco anche di Francesco Morelli, maestro di Baglione quando (si è appurato) aveva 11 e non 15 anni: si scopre che da lui lavorano vari artisti, amici o nemici di Caravaggio; come Tommaso Salini, Ventura Salimbeni e Antiveduto Gramatica, da cui Merisi sarà a bottega, dopo Lorenzo Carli e prima di Giuseppe Cesari, il Cavaliere. E siamo sempre lì: attorno a San Luigi dei Francesi, che era allora il quartiere romano più alla moda. E Carli, da cui Caravaggio ha la sua prima abitazione in città, stava a via della Scrofa, di fronte alla bottega di Antiveduto.

IL CAPOLAVORO
Grandi novità ci sono anche sul quadro rubato a Palermo, in un testo del volume presto in vendita («L’essercitio mio è il pittore», Caravaggio e l’ambiente artistico romano: 576 pagg, 40 euro, nella collana della rivista Roma moderna e contemporanea, dell’Università Roma Tre), con saggi di 16 studiosi. La Natività si è sempre ritenuta opera siciliana, compiuta verso il 1609. Invece, no. L’iconografia la lega al Miracolo di San Matteo del Cavalier d’Arpino, nella stessa cappella Contarelli di San Luigi dei Francesi, dove Merisi produce la prima pubblica committenza: due figure sono esattamente uguali. Anche Maurizio Calvesi trovava la Natività stilisticamente assai prossima al periodo romano dell’artista.

IL MERCANTE DI STOFFE
È pure dipinta su un’unica tela; mentre nel periodo successivo, poiché non ne trovava, Caravaggio le ha sempre assemblate. Ma allora, quel quadro come è arrivato fino al lontano capoluogo siciliano? «C’è un contratto di Caravaggio del 1600», raccontano i tre studiosi, «con un mercante di stoffe, Fabio Nuti di Siena: per un quadro, è scritto, cum figuris, di cui sappiamo le misure e basta». Legami di Nuti con l’oratorio palermitano li ha trovati da uno studioso siciliano; e il suo quadro doveva essere pronto per la festa di San Lorenzo, il 10 agosto. Che sia proprio quello? 

Infine, la faccenda di Caravaggio colpito dal calcio di un cavallo, a fine 1596: è la ragione della sua lite con il Cavalier d’Arpino. Per risparmiare, questi non chiama un chirurgo a casa, e Merisi sarà aiutato da Carli: perché gli curino la ferita a una gamba, abbastanza grave, lo accompagna all’ospedale della Consolazione. Cioè quello dei poveri. E i due non faranno mai più pace.

venerdì 8 febbraio 2013

L'Origine del mondo di Courbet ha un volto

L’origine del mondo, celebre quadro di Gustave Courbet dipinto nel 1865 e rappresentante un corpo nudo femminile, senza volto, senza testa, che mostra in primo piano il sesso della donna avrebbe finalmente ritrovato una delle sue parti mancanti? Secondo quanto rivelato giovedì sul settimanale Paris Match il busto avrebbe ritrovato la sua testa mancante su un altro quadro, testa che sarebbe stata tagliata dallo stesso Courbet per evitare lo scandalo. L’Origine del Mondo, che dal 1995 troneggia in una sala del Museo d’Orsay, non sarebbe dunque che una parte di un quadro di ben più grandi dimensioni, forse 1m x 1,20m. La notizia è tra le più incredibili e inaspettate anche se sa tanto di bufala.



Parigi. È su uno dei misteri più intriganti della storia dell’arte che si sta facendo luce in Francia: la donna che prestò la propria intimità a Gustave Courbet per «L’origine del mondo», posando languidamente stesa e offrendo il sesso allo sguardo di tutti, ha ormai un volto e un nome. Il massimo specialista francese del pittore realista, Jean-Jacques Fernier, è convinto infatti di aver messo le mani sulla «parte mancante» del dipinto, una tela che riproduce il viso della modella e che completa, come in un puzzle, l’audace nudo conservato al Musée d’Orsay di Parigi.
Sembra, spiega lo specialista, che Courbet abbia concepito il quadro-scandalo nel 1866 non come un’opera incentrata sul sesso della donna, ma come un ritratto completo. L’artista avrebbe tuttavia deciso di ritagliarlo e di vendere la parte inferiore a un diplomatico turco (Khalil Bey. L'ultimo proprietario dell'opera. prima del suo ingresso nelle collezioni del d'Orsay nel 1995, fu invece lo psicanalista Jacques Lacan, Ndr). La parte superiore sarebbe invece rimasta sconosciuta per oltre un secolo.
Lo scoop che già fa discutere il mondo dell’arte si deve al settimanale «Paris-Match», che ha pubblicato il volto della ragazza, chino all’indietro, con la bocca dischiusa e i ricci ribelli sparsi sul cuscino. È un’irlandese, Joanna Hifferman, amante del pittore. La storia del ritrovamento è degna di un’inchiesta alla Conan Doyle. Nel gennaio 2010 un collezionista d’arte inglese, che si fa chiamare John, acquista un quadro da un antiquario parigino per 1.400 euro, un olio su tela senza firma di 33 x 41 cm. Non sospetta che si possa trattare di un Courbet, ma intende saperne di più. Nota che la tela è piegata, trova il sigillo di un mercante d’arte, risale al nome della protagonista, mette a confronto il quadro con altri Courbet. Ha un'incredibile intuizione. Scava allora negli archivi del Louvre, consulta esperti e chiede perizie. I due quadri sembrano combaciare perfettamente. Manca ora il parere decisivo dell’Orsay. Ma se il volto di donna è autentico, come sostiene Fernier, il suo valore si aggira intorno ai 40 milioni di euro. (Il Giornale dell'Arte)

venerdì 1 febbraio 2013

L'Inferno di Rodin

La Real Academia de España a Roma (Piazza San Pietro in Montorio, 3) inaugura il 29 gennaio nelle proprie sale la mostra dello scultore francese “Auguste Rodin. L’inferno di Dante”. L’esposizione presenta l’importante opera grafica, quasi sconosciuta, dello scultore Auguste Rodin (1840- 1917), che fu stampata nel 1897 dalla Maison Goupil, pioniere delle nuove tecniche di riproduzione dell’ immagine e della diffusione delle opere artistiche. Questa mostra ha un interesse doppio non solo perche ci permette di ammirare lo straordinario potenziale grafico dell’opera di Rodin, bensì anche l’inizio delle nuove forme di democratizzare l’arte attraverso la moltiplicazione e commercializzazione intrapresa dalla Goupil and Cia con un ampio e diversificato programma editoriale. Questo “monumento alla bibliofilia” fu anche denominato l’album Fenaille, in quanto ottenne il patrocinio di Maurice Fenaille, membro dell’Academie des beaux-arts di Francia, nonché grande collezionista e mecenate. Grazie a Lui, possiamo osservare i disegni che erano andati perduti di Rodin, perche furono realizzati come stampe grazie alla nuova tecnica della fotoincisione. Qui si mostrano le prove “bon a tirer”, alcune con le annotazioni originali dello stesso Rodin, poiché il procedimento dell’intera edizione fu seguita molto da vicino dallo stesso artista. Questi Disegni Neri di Rodin, sono ispirati all’Inferno di Dante Alighieri, e furono realizzati mentre lavorava nella sua famosa e non conclusa opera “ le Porte dell’inferno” (1880-1917), e benché non si tratti degli studi diretti per questo grande complesso di sculture, ne hanno la stessa ispirazione. Le 129 stampe vengono suddivise in tre gruppi: 82 appartengono all’inferno, 31 al limbo, e le altre 16 sono studi che seppur non riguardano l’opera di Dante, condividono lo stesso argomento d’ispirazione biblica ed evocazione delle opere di Michelangelo. Le dissacranti tecniche grafiche di Rodin evocano le opere di Goya, di Rembrandt, ma anche i disegni di Victor Hugo, molto conosciuti dallo scultore, poiché il suo rappresentante George Petit organizzò nel 1888 una mostra a Parigi sugli enigmatici disegni dello scrittore, dove lo schizzo d’inchiostro diventa protagonista.



Scarica l’Omaggio a Auguste Rodin di Octave Mirbeau : Omaggio a auguste rodin

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