venerdì 19 ottobre 2012

Lost Art

La storia dell'arte purtroppo è fatta anche dalle storie delle tante distruzioni avvenute nel corso dei secoli. A riguardo due segnalazioni. La prima è Gallery of Lost Art. Si tratta di una mostra online che racconta le storie di opere d'arte scomparse, distrutte, rubate, rifiutate, o cancellate e che non possono più essere viste. "The Gallery of Lost Art" è un sito web visivamente strutturato come un magazzino open con vista dall'alto, con vere e proprie scritte in gesso che delimitano le zona dove si trovano le opere d’arte, facendolo somigliare ad una vera e propria scena del crimine. La seconda è il sito Necrologi dell'Arte che racconta le storie di opere distrutte, disperse, degradate. Tra queste quelle che riguardano il celebre e disastroso Incendio della Flakturm Friedrichshain  che è stato il più grande disastro artistico della storia moderna, dopo la distruzione del Palazzo dell'Alcazar di Madrid, avvenuta nel 1734.


mercoledì 17 ottobre 2012

Sleep Art

Il medioevo: un nano sulle spalle di un gigante?


Ciro Lomonte
Il medioevo: un nano sulle spalle di un gigante?
Com’è stato possibile indire la “crociata delle cattedrali”.


Bernardo di Chartres[1] esortava gli allievi ad imitare gli antichi: “noi siamo come nani seduti sulle spalle dei giganti affinché possiamo vedere più cose di loro e più in lontananza”. C’è anche una vetrata della cattedrale di Chartres dedicata a questo detto di Bernardo.

I cristiani si consideravano nani sulle spalle dei giganti – degli antichi – perché potevano vedere più di loro: “…non certo per l’acutezza della nostra vista o la grandezza dei nostri cuori che possiamo vedere più di loro, ma poiché siamo sollevati e portati in alto dalla grandezza dei giganti”. Se potevano lanciarsi in avventure impensabili era grazie alla grandezza di persone come Platone ed altri che li avevano preceduti, che avevano preparato il terreno per le loro conquiste.

Giovanni di Salisbury aggiunge che Bernardo ed altri suoi allievi si davano pena di conciliare l’aristotelismo ed il platonismo. Una delle cose strane della cattedrale di Chartres, dove è vissuto l’impulso platonico in maniera somma, è l’assenza di Platone. Eppure troviamo rappresentato due volte Aristotele. Viene da chiedersi come mai questi chartriani così amanti di Platone preferiscano raffigurare Aristotele.

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Fermiamoci adesso al XII secolo, perché fornisce le premesse indispensabili al tema del nostro incontro. Figura interessante ai nostri fini è l’abbé Suger[2], uomo di Chiesa e di governo, dato il ruolo che questo monastero ha svolto nella storia della monarchia francese.

In tale condizione, Suger riuscì a combinare il servizio di Dio con la fedeltà al re Luigi VII in forza di grandi capacità diplomatiche e amministrative e di una singolare tenacia. In questa prima metà del secolo XII, così ricca di fermenti di ogni genere, Suger è l’anti-Bernardo[3], almeno nella vita attiva. Dalla più influente personalità religiosa del tempo lo distingueva quasi tutto, compreso un certo disinteresse per problemi di dottrina o di regola. Su questo fra Suger e Bernardo ci fu una polemica, ma è significativo che l’altro e ben più famoso avversario di Bernardo, Abelardo, che ebbe l’ardire un po’ altezzoso di smontare il mito di san Dionigi l’Areopagita proprio quando era ospite all’abbazia, non venga preso in considerazione da Suger che per sistemare la faccenda piuttosto imbarazzante della sua appartenenza alla congregazione di Saint-Denis.

Ma ad opporre Suger a Bernardo e ai cistercensi è soprattutto l’aspirazione alla bellezza e al fasto dei luoghi sacri, l’uso dell’arte e dell’architettura in servizio della gloria di Dio. È questa la vera passione di Suger, passione tanto più forte in quanto fondata sull’opera di quel Dionigi al quale era intitolata l’abbazia.

Dionigi (pseudo-Dionigi per noi, forse un anonimo siriano che scrive fra IV e V secolo) inserisce nella sua teologia una metafisica della luce, che combina elementi neoplatonici e cristiani. La luce discenderebbe dall’Uno alla materia terrestre, che, pur oscurata, ne conserva qualche parte; la luce presente nel mondo è così guida e ascesa al divino come le materie che la possiedono: l’oro, le gemme, le vetrate. La luce è poi anche luce architettonica, ampiezza e altezza della costruzione: in questo modo il nuovo coro di Saint-Denis inaugura l’arte gotica dell’Ile-de-France.

Suger restò sempre profondamente convinto dell’utilità dell’impresa e del suo valore religioso e celebrativo. Forse intuì anche la modernità di certe soluzioni artistiche e architettoniche: lo dimostra il libello che egli ha lasciato sull’opera di ricostruzione di Saint-Denis. Che poi a questo si accompagnasse anche un’autocelebrazione, un rinascimentale desiderio di perpetuazione, è ipotesi improbabile quanto suggestiva.

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Il medioevo non sembra davvero un millennio di nani. Pensiamo ad alcuni giganti del XIII secolo: Federico II (1194-1250); S. Luigi IX (1214-1270), che proprio a Saint Denis si occupa della sistemazione delle tombe reali per garantire continuità ideale da merovingi a capetingi; S. Tommaso d’Aquino (1225-1274); S. Bonaventura da Bagnoregio (Giovanni Fidanza, 1217-1274); …

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I romani, grandi pragmatici con un notevole complesso di inferiorità nei confronti della cultura e dell’arte greche, sviluppano l’architettura senza rendersi conto della portata delle proprie conquiste. Saranno i bizantini a farne un uso consapevole (è la cultura classica che dà finalmente frutti maturi, vivificata dalla Rivelazione e dalla venuta del Messia). Gli arabi impiegheranno a piene mani le sofisticherie dell’architettura bizantina.

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L’architettura gotica si scatena. Le caratteristiche delle cattedrali rispecchiano una differente concezione della vita e del mondo. Lo sviluppo dell’edificio è in verticale, con la facciata serrata fra due alte torri. Tutta la struttura s’innalza grazie all’uso d’archi acuti o ad ogive, che permettono altezze mai raggiunte prima, sgravando il peso delle volte a crociera dalle mura laterali, destinate a divenir sovente immense vetrate colorate. Le linee di congiunzione degli archi formano un naturale punto di fuga che vola verso l’alto, l’abside si allontana e la magnificenza del luogo si fa sempre più grande.

Il linguaggio gotico, oggi rivalutato al punto da essere considerato tra i più prolifici e innovatori, ha anche una caratteristica del tutto nuova. Nonostante le differenze locali, più o meno marcate, i tratti nazionali e più spesso regionali, esistono alcune peculiarità distintive del genere, che unificano, per la prima volta dai tempi dell’antica Roma, le espressioni artistiche di tutta Europa.

Storicamente, l’arte gotica s’inserisce in un momento di forte cambiamento. Laddove l’impero entra in crisi, ad esso iniziano a sostituirsi le monarchie, che organizzano il potere politico e si appoggiano saldamente al nuovo ceto, contrapposto alla vecchia nobiltà feudale: la borghesia. Coesistono nel nuovo assetto sociale borghesi, ma anche antichi signori e soprattutto religiosi, che formano vere e proprie comunità e svolgono un ruolo decisivo nell’ambito della cultura in genere, dell’arte e dell’istruzione in particolare.

La cattedrale gotica è stata paragonata alle Summae medievali. Pensiamo all’universo rappresentatovi dagli artisti con pertinenza antropologica e teologica. In realtà il corrispettivo della Summa theologiae di S. Tommaso d’Aquino e della Divina Commedia di Dante Alighieri è la Sagrada Familia di Antoni Gaudí, iniziata nella seconda metà del XIX secolo e ancora in costruzione. Le cattedrali di quest’epoca sono opera corale di un’intera società, una vera crociata incruenta, a volte durata centinaia di anni. Impresa resa possibile dalle corporazioni di artisti e artigiani che avevano i loro spazi riservati (logge) nel cantiere.

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Lo sviluppo della tecnologia dell’arco a sesto acuto è legato alla nascita della scienza (non di quella sperimentale, galileiana). La riflessione sul Logos, nei termini in cui parla del Figlio di Dio il prologo del Vangelo di Giovanni, consente di comprendere che l’universo non è caos, come lo vedeva il pensiero classico, bensì è razionale e conoscibile. Con questo non intendiamo sminuire le sorprendenti conoscenze empiriche dell’antichità. Tuttora infatti non sappiamo come funziona la cupola del Pantheon. Della cultura architettonica del passato ci rimane soltanto il trattato di Vitruvio, i Dieci libri dell’architettura. Probabilmente l’incendio della biblioteca di Alessandria ha causato una perdita irreparabile.

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L’arte bizantina e quella romanica (specie quest’ultima, meno ieratica) testimoniano la grande unità di un’intera cultura. Ogni cosa stava al suo posto, in armonioso ordine gerarchico. Non è un caso che gli artisti prestassero maggiore attenzione prima alle cattedrali, poi alle sedi delle istituzioni e infine alle costruzioni domestiche. Inoltre tutte le arti erano unite, non frammentate. Tutto sommato gli esercizi piuttosto cerebrali della logica tardoscolastica hanno rotto questo equilibrio. È la tentazione luciferina della gnosi, sempre insidiosamente presente nel pensiero cristiano.

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Del gotico è impressionante la libertà artistica: l’universo rappresentato in pittura e scultura, architettura dis-ordinata, rapporto con l’intero cosmo. Questo dà molto fastidio al rinascimento e all’illuminismo.

È Giorgio Vasari ad utilizzare per primo il termine “gotico”, a definire quella che egli considera una barbara manifestazione artistica. L’arte gotica è barbara, appunto, come fosse realizzata dai Goti, perché non corrisponde al canone classico cui il rinascimento intende tornare.

Perduta con gli anni ogni accezione negativa, la definizione rimane ad indicare un’epoca artistica, con caratteri e stilemi comuni. Ma forse rimane molto da fare per comprendere che i veri nani sono gli illuministi che hanno cercato di ridurre la complessità del reale dentro le classificazioni dell’enciclopedia, in particolare il concetto stesso di stile. In fondo un nano può sempre rifugiarsi nell’ironia di fronte alla grandezza dei giganti.


[1] Questo monaco, che morì intorno al 1130, non va confuso con il contemporaneo San Bernardo, di cui si parla di seguito. Qui è citato da Giovanni di Salisbury.
[2] Suger fu abate dal 1122 al 1151 dell’antica abbazia parigina di Saint-Denis.
[3] La sua è un’audacia che può farsi temeraria contro una possanza (quella di San Bernardo e dei cistercensi) che può degenerare in sicumera.

giovedì 11 ottobre 2012

I manuali di storia dell'arte e la banalizzazione del sapere

Sono un ormai anziano insegnante di Liceo, che da oltre venti anni cerca di fare il proprio dovere davanti agli studenti senza doversene troppo vergognare. Vi scrivo perché so che siete una brigata, forse anche allegra, di giovani studiosi di storia dell’arte, ben più aggiornati di me sulle trasformazioni in atto nella società, specie sotto il profilo culturale, e che dunque potrete forse chiarirmi il recente destino della nostra disciplina.

Da insegnante ogni anno devo fare i conti con una messe assai cospicua di libri di testo, che i rappresentanti di case editrici grandi e piccole, gloriose e sfrontate, ci rifilano in numero sempre maggiore affinché si possano adottare per i prossimi sei anni scolastici (la nostra disciplina è, pare, immobile come i monumenti di piazza, e dunque i testi si possono tenere invariati per così tanto tempo, perché che cosa mai volete che succeda di nuovo?).
Ultimamente poi la concorrenza si è fatta davvero fitta, al punto che tutti coloro che in casa avevano uno storico dell’arte si sono fatti scrivere un manuale, e il panorama che si presenta all'avventurato docente è davvero completo circa le offerte editoriali e per quello che in Italia ora s’intende per manualistica, dunque per la didattica della nostra disciplina.
Sfogliando i manuali, se ne ricava l’idea di una progressiva banalizzazione della materia. I contenuti sono sempre gli stessi, quelli assolutamente canonici, ma affrontati con una lingua piatta e talvolta scialba, con illustrazioni oramai bellissime ma che sembrano galleggiare nel vuoto. Ogni insegnante di una certa età, lo sappiamo, rimpiange fieramente il vecchio Argan, e la circostanza tiene qualcosa del patetico apprezzamento dei vestiti di organza e dei bicchierini di rosolio in salotti sul far della sera. Tuttavia, al netto della nostalgia dei tempi andati che come è noto sono sempre i migliori, il rimpianto ha qualcosa di autentico, perché quello fu un testo che aveva un forte impianto ideologico, dunque un punto di vista in qualche modo onnicomprensivo, ma capace di sfidare gli studenti, perché faceva dell’arte un vero e proprio problema culturale. L’arte come accadimento storico e linguistico, che necessitava di un’attenzione non casuale e di altrettanta pazienza.
Oggi invece i manuali divulgano un sapere talvolta sciatto, assolutamente anodino, dove i fatti storici si susseguono in una striscia temporale meccanica ed denemenziale… C’è un prima e un dopo, e quello giustifica sempre questo… Le schede a corredo dell’impianto centrale (sulle tecniche, sui termini di particolare pregnanza semantica etc), non offrono esiti per possibili diversioni, ma sono anch’esse l’approfondimento di un impianto storico visto come monolitico e inscalfibile… Come se, lo dico per gioco, la teleologia vasariana esistesse ancora: qui si comincia, e siamo agli inizi; qui si finisce e, ci credereste, quello che è avvenuto è un vero progresso!!
Pochissimo poi sopravvive dei pur ricchi accertamenti di certa storiografia – neppure recentissima – sui rapporti tra arti figurative e letteratura. Niente resta dei problematici e attualissimi rapporti tra arti figurative e potere politico (e dunque sulla funzione politica delle arti). Ancora meno sopravvive della convinzione che il fare storia sia esso stesso un racconto, dunque una particolare forma di letteratura che esprime un punto di vista. Che insomma il passato non sia una ‘cosa’ (in qualsiasi modo lo vogliamo chiamare) compatta e stereometrica, ma brulicante di contraddizioni e di tensioni. In un bel romanzo francese del 1885, si accennava al quadro di un artista che stava riscuotendo un successo straordinario: ma non era egli un impressionista, come ci saremmo aspettati, bensì un pittore accademico, di quelli noiosi e per niente d’avanguardia. Bisognerebbe ricordarselo. La storia raramente è rassicurante, e pur concedendo, come sosteneva quel signore, che possieda una propria razionalità, questa non è in genere identificabile con la facilità. Lo sanno i nostri manuali?
E’ una storiografia giocata al risparmio – quando va bene -, o consolatoria, quando va male. E siccome mi hanno insegnato che i mezzi vanno d’accordo con i fini, è forse un caso che questo accada ora, in un momento in cui è sempre più evidente come il crollo delle vecchie ideologie renda ridicola ogni pretesa volontà di dare un senso alla Storia?
Poi esiste un secondo aspetto. Negli ultimi anni i manuali sono sempre accompagnati da due sussidi didattici. Il quaderno degli esercizi per gli alunni; la guida per l’insegnante.
Vediamo il primo. Il tipo di esercizi proposti da tutte le case editrici è agghiacciante! Riducono la complessità della storia a pura nozione, la ricchezza dei cambiamenti storici a fastidioso orpello… Cosa ha fatto Donatello? Il David (quale poi non sappiamo!), la Centauromachia o Ilaria del Carretto? Chi era Renoir, un pittore impressionista (che poi ci sarebbe da discuterne), accademico (perché no? Anche!!!), o astratto? Ecco, rispondere con le crocette giuste a queste domande: per il ministero, gli ispettori e le case editrici, significa sapere la storia dell’arte!!!
Quanto poi alla guida per l’insegnante siamo al delirio autentico. Ci sono i vari argomenti e la foto delle opere più importanti. La guida ti dice quali sono le cose che bisogna sapere di quell’argomento e di quella foto, che cosa bisogna sentirsi dire dagli studenti, dunque il nucleo di conoscenze essenziali. Caravaggio? Era un pittore naturalista, ovvio … Un Crocifisso di Giunta Pisano? L’importanza del Cristo morto, il corpo piegato, il superamento dei moduli bizantini … Picasso? Che era cubista, che aveva riflettuto su Cézanne etc… L’idea che sta in fondo a questi suggerimenti è piuttosto semplice: rammentiamo agli insegnanti quello che loro non hanno più nessuna idea di poter o dover chiedere… Ignoranti? Addormentati? Frustrati? Chissà, ma forte è la tentazione di pensare che la risposta giusta sia la prima.
Ora, di fronte a una cosa del genere che bisogna fare? Attraverso la manualistica scolastica mi sembra che emerga una trasformazione potente della nostra disciplina e forse, più in generale, una modificazione pericolosa del fare storia e di divulgarne i contenuti. Un’arte senza la storia, e l’immagine ridotta a puro corredo, a illustrazione.
Anni fa a Firenze si tenne un convegno molto paludato sull’insegnamento della disciplina… Come ogni convegno accademico che si rispetti, vennero invitate a parlare molte di quelle persone che non avevano la più pallida idea della didattica scolastica, perché il nobiluomo deve tenere i cattivi odori a distanza. Che ne dite se cominciassimo a riparlarne?
La Storia, come diceva un bel signore qualche anno fa, è sempre storia contemporanea. A parer mio è evidente allora che la condizione dello studio della Storia dell’Arte non sia da intendersi come bega accademica, come ennesima e compiaciuta attività erudita, ma come occasione per riflettere un poco su questi anni avventurati, su come raccontarli e su come leggerli. E per sapere quando spengere la luce sul comodino.

Grazie,
Stefano Renzoni

Lettera pubblicata sul numero 30 (agosto 2012) dell su Predella, rivista di arti visive dell’Università di Pisa: http://predella.arte.unipi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=241&catid=85&Itemid=112

martedì 9 ottobre 2012

Rothko, Umanets e lo Yallowism

Un uomo di origine russa, Vladimir Umanets, ha rivendicato la responsabilità delle scritte impresse ieri su una tela del pittore americano Mark Rothko, esposto alla Tate Modern gallerydi Londra. L'opera fa parte della collezione Seagram di Rothko ed è stata imbrattata con le parole 'Vladimir' e 'un potenziale pezzo di yellowism'. Scotland Yard ha aperto un'indagine.Umanets, che si identifica come un fondatore dello 'yellowism', ha ammesso di avere scritto sul dipinto, ma nega di essere un semplice vandalo o di essere a caccia di notorietà. Parlando con la Press Association britannica, ha dichiarato che il suo obiettivo è attirare l'attenzione della popolazione sullo 'yellowism', da lui descritto come "un elemento della cultura visuale contemporanea". L'uomo dice di attendersi l'arresto, ma ritiene che le sue scritte abbiano incrementato il valore della tela.


L'opera di Mark Rothko conservata alla galleria Tate Modern di Londra è stata imbrattata durante l'orario di visita. Una foto pubblicata su Twitter da un visitatore che si trovava nel museo mostra il dipinto deturpato da una scritta nera, nella quale è possibile distinguere il nome Vladimir. L'opera appartiene ai 'murali Seagram'. Dopo l'incidente la galleria è stata chiusa per un breve lasso di tempo e ha poi riaperto al pubblico. La Tate Modern ha fatto sapere che sono in corso indagini della polizia. L'opera è stata danneggiata "applicando con una spazzola del colore nero sul dipinto", ha fatto sapere la galleria, che attrae ogni anno circa cinque milioni di visitatori. Rothko, morto nel 1970, è noto per le sue opere astratte con grandi blocchi di colore. Il dipinto danneggiato appartiene a una serie che era stata realizzata per decorare il 'Four Seasons restaurant' di New York; in un secondo momento, tuttavia, l'artista cambiò idea e decise di destinare la serie alle gallerie d'arte, tra cui la Tate Modern. Quest'anno l'opera 'Arancione, rosso, giallo' di Rothko è stata venduta all'asta a New York per circa 87 milioni di dollari. Un uomo che era sul posto ha twittato immediatamente una foto del dipinto deturpato.

Bernini. Scolpendo l'argilla - I modelli in terracotta

"Bernini. Scolpendo l'argilla" è il titolo dell'importante esposizione che si è aperta mercoledì 3 ottobre, nella Robert Lehman Wing del Metropolitan Museum of Art di New York.
I modelli di terracotta del Bernini gettano luce sul particolare processo creativo dello scultore. Per poter visualizzare le enormi statue di marmo a grandezza naturale da lui realizzate, il grande scultore Lorenzo Bernini (1598-1680) iniziava a modellarle nella creta in dimensioni ridotte. Questi studi in terracotta sono dei magnifici esempi espressivi a se ed, insieme agli schizzi relativi alle opere, testimoniano l’inizio del processo creativo ed immaginativo dello scultore destinato a concretizzarsi in alcune delle statue più famose e spattacolari di Roma. Tra le quali anche la Fontata di Piazza Navona e gli Angeli sul Ponte Sant’Angelo.
La mostra al Metropolitan, in programma sino al 6 gennaio 2013, ospiterà circa 40 di questi studi in terracotta, per la prima volta mostrati al pubblico nel loro insieme, ed anche 30 schizzi. Grazie ai prestiti di varie Istituzioni, l’esposizione è la prima nel suo genere e permette di apprezzare l’unicità e la grandezza della tecnica creativa della più grande officina dell’epoca, di penetrare nella mente creativa dell’artista e di meglio comprendere l’ impatto del Bernini sul Barocco. 







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